Alcune delle poesie presenti nel libro
Nostalgia delle pareti
Le
bufere non hanno atterrato
gli aceri e le querce:
di leggiadrìa sacra, i
tronchi
non temono il vento
né la nebbia.
I semi danzano e vanno,
volano, orientati dal
cosmo,
fin sulle pietre alte
torreggianti,
dove la luna
sorveglia l’insonnia dei
gufi.
Hanno assunto il vivere
rasente l’abisso
gli alberi e i cespugli,
anche se costa e fa male.
Per nostalgia delle pareti,
delle travi sorelle
a difesa, o per sete
millenaria,
che le tormente non fermano.
Sul confine
L’azzurro è limite, è il
confine,
linea smerlata del
precipizio,
infinito nel cielo e oltre.
L’universo
riversa melodia
nell’utero del castello,
nel nostro grembo.
Quanto sangue, sui muri,
e quanti baci, nella luce
azzurra
oltre il margine infranto.
Ogni pena, nella vita,
tutto il male che ci offende
si riordina e sbiadisce
sul confine.
Riprendere fiato a fondo
dobbiamo,
e odorare le foglie, la neve,
le viole e i narcisi.
Odorare
la calendula
e i minuti secondi che ci
restano.
In attesa
Nelle
ore smorte di certi giorni
si attende chi non arriva
tra le pietre,
e si celebra ogni assenza,
ogni rimpianto,
con battesimi di pioggia
fine.
Di sasso in sasso, sui
gradini,
l’umidità scioglie la
solitudine,
dilava dal volto la ruggine
bruna
del rancore, la stilettata
dolente,
irritante,
di vecchi abbandoni.
La pioggia è innocente, è
compagna.
È
confidente sicura, come i laterizi
delle scalinate, e le tegole
rosse
figlie di arcaiche fornaci.
Colano
invisibili le lacrime
sotto la pioggia
nell’attesa di chi non
arriva.
Siamo tutti in cerca di un
villaggio,
in attesa inquieta di un
incontro.
L’inverno dell’anima
Fiocchi di neve smarriti,
ammassati nelle strettoie,
collane di perle abbandonate,
abbozzano marosi di spuma.
Muraglie come grovigli
di fauci nevose
labirinti dove l’anima
cristallizza, pietrifica,
si fa diamante
e solleva tra le braccia
il bambino ferito
della propria interiorità.
E gli mostra, a ponente,
i poggi estivi
dove sbocceranno i papaveri.
Canossa
C’era un nido sulla vetta
piana,
su questa pietra riparata,
fragile,
bianca, consumata,
come certi inverni di
gennaio,
quando onde brune di scirocco
smembrano le nevi.
C’era una roccaforte
altera, bellicosa
sullo scoglio, sull’isola
dai riflessi di sale,
sovrana dei calanchi;
fortezza, ora, bruciata dal
fulmine,
abbaglio di ieri, sembianza
che sfugge
tra le rovine,
tra residui macchiati di
malinconia:
illusione spezzata per
sempre.
Eppure, quel nido disfatto
Eppure, quel nido disfatto
non è pietra abbattuta,
ma un sentiero da imboccare
a piedi nudi.
Proseguiamo sui passi di chi,
nel fondale del crepuscolo,
proietta da secoli lontani
le nostre ombre.
Lei
Si
può solo tacere, qui
davanti al cuore del mondo
e rimanere sazi di bellezza
come una corolla in faccia al
sole.
Non si ha voglia di alzarsi
dal fresco dell’erba
dove riposa il sogno
dell’estate.
Ci si scopre rapiti da una
festa limpida,
sotto il quieto blu
che avvolge i colli.
Dolce terra, consacrata,
protetta
con la pazzia di un grande
amore,
da Lei, che ancora
cammina,
lungo strade e sentieri
e mai accetterà l’esilio.
lungo strade e sentieri
e mai accetterà l’esilio.
Cammina superba e libera semi
nel terreno rigoglioso
dove tutto ebbe inizio.
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