Capit. 2
LA PESTE ERETICA
Il profumo intenso della
vita nei campi gialli di tarassaco. La primavera è vita tenace, che rinasce e
tracima e inonda e offende. Il profumo, nel vento violento d’aprile, è dei
fiori, dell’erba, della terra bagnata. È pieno e sensuale, pungente e
selvatico, insistente. La vita è vita e fluisce, scorre, importuna e dà
scandalo. Non si può reggere all’insistenza del suo risorgere, quando allaga i
campi, i boschi, le acque, i corpi. Fermarla, bisogna fermarla. O, perlomeno,
si dovrebbe educarla.
Nel buio della prigione
Elvira ha gli occhi chiusi. La cella è un pozzo umido e maleodorante, lontano
dalla luce e dal vento di quei primi giorni d’aprile; un tunnel per l’inferno.
Elvira ha gli occhi chiusi, i polsi e le caviglie stretti nei ferri, piagati e
sanguinanti. Il terrore che la pervade le paralizza i pensieri, scindendo la
mente dal corpo, squartandole l’anima e riducendola a brandelli. Elvira non si
percepisce: non ha più carne, spirito, cervello, non riesce ad aprire gli
occhi, a muovere le braccia, le gambe, a parlare, gridare, piangere.
L’hanno rivestita? L’avranno
rivestita? In ginocchio aveva implorato i suoi torturatori di spiegarle cosa
volevano che confessasse. Quieti, paterni, come si conviene a chi opera in nome
di Dio per la salvezza delle anime, si erano limitati a suggerirle di
dichiarare la verità, perché
conosceva bene il suo peccato, Elvira
del Campo, o se lo conosceva! N'erano certi, i due domenicani, e sapevano che
non avrebbe tardato a rivelarlo in tutta la sua sozzura. Bastavano pochi giorni
di garrotta e strappado.
In fondo, la vita è così
insolente e scandalosa che va per forza
rieducata; il Signore Dio non può essere lasciato solo a combattere contro il
peccato di questa sua creazione così imperfetta, va aiutato e consigliato,
perché, a volte, sembra quasi non rendersi conto di quante brutture gli siano
sfuggite di mano il sesto giorno.
Non l’hanno rivestita; sente
appena il calore di un rivolo di sangue che, dal collo, le cola giù, sul seno.
Sente il freddo del muro sulla schiena. L’umiliazione della propria nudità
violata è talmente dolorosa che la scuote dal torpore e le consente di
riprendere, almeno parzialmente, il controllo del proprio corpo.
Le zaraguelles, i panni delle vergogne, almeno quelle gliele hanno
messe. Anche a Cristo coprono le parti intime con un cencio bianco, quando lo
raffigurano negli affreschi e nei quadri. Possibile che i boia romani si
dessero la briga di usare tanto pudore con i condannati a morte simili a Gesù,
sobillatori del popolo, contestatori, pericolosi per la stabilità dell’Impero?