tag:blogger.com,1999:blog-1122730169309812462024-03-05T08:08:00.132+01:00Ripassare dalle parti del cuore - Normanna Albertiniil Blog di Normanna Albertini - Insegnante e scrittrice.
"Ogni persona brilla con luce propria fra le altre. Ci sono persone di un fuoco sereno, che non sente neanche il vento e persone di un fuoco pazzesco, che riempie l'aria di scintille. Alcuni fuochi, fuochi sciocchi, né illuminano né bruciano, ma altri si infiammano con tanta forza che non si può guardarli senza esserne colpiti, e chi si avvicina si accende."
(Eduardo Galeano)normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.comBlogger225125tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-14657701287600550772024-02-29T21:29:00.003+01:002024-02-29T21:29:34.675+01:00ACQUA BIANCO LATTE ALLA CAMERA DELLA MADDALENA - BERGOGNO/ DOVE FORSE C’ERA UNA GROTTA<p> <table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcUjsV7Ggv-v4zZQvr_mL-W9r6EvqAHidaugFWVXesHkPemnOFdS6-I8N5LtEK2qRmyUDTJ9I3LA-mPgTNgeTv4IwWvEYOOa1SG-GDcaePasL2gopmJtBm-RGFcaj_fYQaJRaYEVdIqDAf1chL8MEljXlW40VAAGDXu-hii92fU55AwepImOZPjsQhjQ/s1218/latte%20di%20monte_camera%20maddalena.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1218" data-original-width="720" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcUjsV7Ggv-v4zZQvr_mL-W9r6EvqAHidaugFWVXesHkPemnOFdS6-I8N5LtEK2qRmyUDTJ9I3LA-mPgTNgeTv4IwWvEYOOa1SG-GDcaePasL2gopmJtBm-RGFcaj_fYQaJRaYEVdIqDAf1chL8MEljXlW40VAAGDXu-hii92fU55AwepImOZPjsQhjQ/w236-h400/latte%20di%20monte_camera%20maddalena.jpg" width="236" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">"Latte di monte" alla Camera della <br />Maddalena, foto di Roberto Ronchetti</td></tr></tbody></table><br /></p><div style="font-size: large; text-align: justify;"><i>Da un fenomeno curioso, spunti di riflessione sugli antichi culti delle divinità femminili, passando per Santa Maria Maddalena, la santa delle grotte, per poi arrivare alla Madonna del latte o della neve: la “Virgo lactans”</i></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;">La giornata è gelida, senza nubi, perfetta per un’escursione in quel di Bergogno, giusto a un mese dal solstizio d’inverno. Nel parcheggio l’auto segna 5 C° e sappiamo che saranno certo di meno al bosco della Péntoma e alla “Camera della Maddalena”. Scendiamo lungo le pieghe basse dei monti, seguendo il “Sentiero Matilde”: intorno, poderi curati e resti di quelle che erano le “piantate” della vite maritata agli “oppi”. D’altra parte, Bergogno era il granaio di Matilde e il suo microclima è idoneo anche per la produzione del vino. Ad avere senz'altro favorito la sua prosperità è la sua posizione su una via un tempo fondamentale. Il pensiero va a Pietro Gambarelli, alle sue ricerche e al suo impegno nel recupero del bosco della Péntoma, toponimo che significa “dirupo” e che contiene il nome del dio celtoligure “Penn”. Certo, la “Camera della Maddalena”, nonostante la definizione, non è una grotta, tuttavia “camera” viene dal greco “kamára”: “ciò che è ricoperto da una volta”; nei tempi antichi potrebbe essere stata davvero una cavità. Mentre per Pietro Gambarelli il nome “Maddalena” deriverebbe dal germanico “Mädchen”, “ragazza”, o avrebbe a che fare con i folletti, ma certo non con la santa, una leggenda locale dà un’altra spiegazione. Una donna, certa Maddalena, per sfuggire alle violenze del marito avrebbe trovato rifugio lì, dove sarebbe poi morta cadendo dall’alto. Lo storico Arnaldo Tincani, comunque, a titolo informativo, pur non dichiarandolo luogo di culto (che di fatto non è), lo inserisce (a pag. 52) nel volumetto dedicato alle sedi cultuali di Santa Maria Maddalena nel reggiano, forse perché la santa è da sempre associata alle grotte.</div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="font-size: large; margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_kr-Cbaa7jitFr1-SCg3nKGwPivdkpo97DBFhgw3oY4egMvvemYf8aNn8kb4l3ViJCT_dvlcSB-Egm8zpm4DyryP2Fw75KQUt037OxvBPTG9xM_7kbsfhnm_Bv2ZZCR7GQxxAyQPFtOergEdRbwirwQOHALqLDP2uo_TLcfGluWKmwYBlZg7UJSBY0Q/s599/Correggio_Noli_Me_Tangere.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="599" data-original-width="468" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_kr-Cbaa7jitFr1-SCg3nKGwPivdkpo97DBFhgw3oY4egMvvemYf8aNn8kb4l3ViJCT_dvlcSB-Egm8zpm4DyryP2Fw75KQUt037OxvBPTG9xM_7kbsfhnm_Bv2ZZCR7GQxxAyQPFtOergEdRbwirwQOHALqLDP2uo_TLcfGluWKmwYBlZg7UJSBY0Q/w313-h400/Correggio_Noli_Me_Tangere.jpg" width="313" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Quadro del Correggio con la Maddalena e <br />la Pietra di Bismantova sullo sfondo</td></tr></tbody></table><br /><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><b style="font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><b>Maria Maddalena anche a Bismantova</b></div></b><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;">A tal proposito, il primo nucleo dell’attuale santuario della Madonna di Bismantova (del latte!) era posto nell’originaria grotta della montagna e, come riportato proprio da Tincani: “...ben si prestava al richiamo cavernicolo del messaggio magdalenico. Il che induce a ritenere il culto della Maddalena a Bismantova nell’ambito fondativo di prima o seconda generazione”. Nella chiesa un affresco quattrocentesco, poi trasferito su tela nel 1958, presentava la Maddalena, il Battista, il Salvatore e il Padre Eterno benedicente. Maria Maddalena, raffigurata con i lunghi capelli rossi (che, in alcuni casi, le coprono il corpo nudo), riporta al mito della “Donna Selvatica”. Lo spiega l’antropologo Massimo Centini: “La Donna Selvatica ha legami con le divinità femminili delle foreste e delle sorgenti d’acqua, con le pratiche di guarigione e i riti connessi alla procreazione. In alcune rappresentazioni antiche perfino Maria Maddalena sembra una Donna Selvatica e ne possiede le caratteristiche distintive, con poteri taumaturgici legati alle acque”. Del culto magdalenico nel reggiano, Arnaldo Tincani parla in modo approfondito, attestando che, in montagna, l’epicentro di tale devozione era proprio Bismantova. In un dipinto ora al museo del Prado (del 1523-1524), sul cui sfondo si eleva un monte simile alla Pietra, il Correggio raffigura il Cristo che si rivela a Maria Maddalena. Sempre Tincani riporta di nuovo il culto magdalenico alle grotte: “...talune cavernicole che, nel nostro territorio, rispondono a romitori sommitali dei monti Valestra e Ventasso, nonché quello situato alla base di Bismantova”. Aggiungiamo la grotta di Lagoforno a Saccaggio… Fu dal romitorio magdalenico di Cerezzola che, stanca per le troppe persone intorno, nel 1378 partì suor Richildina diretta a quello del Ventasso.</div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="font-size: large; margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUPYmOeUqeGKDVH4AnNap-UyfmoUcXB83Qcfjqt0hC1xGbpd5CfFaPqECqNrBl6khkD0TUC_heic1mZYVyXTrTuCH26jORlecbmJttV6TgYQcibasTHbyoRVD5Lb-797BMpe9h-UOvFA_hy2eZm89y0UGEpZ7BatzHWkQMf2Fiw5HSeSICXfK51zASEA/s1080/camera%20della%20maddalena.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1080" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUPYmOeUqeGKDVH4AnNap-UyfmoUcXB83Qcfjqt0hC1xGbpd5CfFaPqECqNrBl6khkD0TUC_heic1mZYVyXTrTuCH26jORlecbmJttV6TgYQcibasTHbyoRVD5Lb-797BMpe9h-UOvFA_hy2eZm89y0UGEpZ7BatzHWkQMf2Fiw5HSeSICXfK51zASEA/w400-h400/camera%20della%20maddalena.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Bosco della Péntoma</td></tr></tbody></table><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><b style="font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><b>La santa delle grotte</b></div></b><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;">È ormai acclarato che Maria Maddalena non sia stata la peccatrice che lavò i piedi a Gesù, ma che sia la sintesi di tre figure dei Vangeli: Maria di Magdala, Maria di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro e, appunto, l’anonima prostituta. Fu papa Gregorio Magno a fonderle in quelle della peccatrice penitente. Il decollo del culto avviene a Vézelay, in Borgogna. Nel 1050, l’abbazia allora dedicata alla Vergine Maria (una Madonna nera) passa sotto la protezione della Maddalena: i monaci (o monache?) scoprono una sua reliquia e il luogo diventa fulcro ispiratore dei Templari. Papa Stefano IX proclamò dunque, nel 1058, che il corpo della santa “riposava” a Vézelay. Un altro polo diffusivo sarà poi San Maximin-Sainte Baume in Provenza dove, a partire dal secolo XII, si racconta che la Maddalena sarebbe vissuta, come eremita, nella grotta della Sainte Baume e, alla morte, sarebbe stata sepolta in un castello. La teoria trova il sostegno di papa Bonifacio VIII il quale affida ai domenicani la cura del luogo. Che poi Maria Maddalena fosse davvero approdata in Francia o che fosse invece morta e sepolta a Efeso, dove la tomba fu venerata sin dal VI secolo, e poi trasportata in Borgogna, non è dato saperlo; di sicuro, le sue reliquie sono attestate a Senigallia, a Bergamo (portate dal Colleoni) e un piede era a Reggio Emilia, nella chiesa abbaziale di San Prospero fuori le mura (ora è nella basilica di San Pietro a Modena). Sarà il francescano Salimbene de Adam, di Parma, di ritorno dalla Sainte Baume, a propagare nel parmense il culto della Maddalena. Tincani distingue le dedicazioni alla santa: quelle originate dai benedettini cistercensi di Vézelay o dai Templari (prima generazione, anteriori al 1280), e quelle della seconda, di matrice provenzale.</div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX_fn5vBxvzVhztUyo4fHhEz9sB2c5z4gVi1ydPCuxjKtYlLR5DBhsWvxK4LCzXKdcSMZzIWXksgUcWdeuap6v88RoMvNdFie0zkSq95hhGxfgqNiNCcPcg-3Ypb9k9HrBTxWtNSWDBQ67Ry6TMcUJgMF-471B9vF7kwcIWoWaVtLNjWR871rVtAaaaw/s2619/Piede_maddalena_modena.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2619" data-original-width="1704" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX_fn5vBxvzVhztUyo4fHhEz9sB2c5z4gVi1ydPCuxjKtYlLR5DBhsWvxK4LCzXKdcSMZzIWXksgUcWdeuap6v88RoMvNdFie0zkSq95hhGxfgqNiNCcPcg-3Ypb9k9HrBTxWtNSWDBQ67Ry6TMcUJgMF-471B9vF7kwcIWoWaVtLNjWR871rVtAaaaw/w260-h400/Piede_maddalena_modena.jpg" width="260" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Piede della maddalena, reliquia</td></tr></tbody></table></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b style="font-size: large; font-weight: bold;">Le madri: preziose “vie” per il futuro</b></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;">Maria Maddalena avrà soppiantato quindi dei culti femminili pagani? A questo proposito, Franco Cardini e Marina Montesano offrono, nel libro “Donne sacre. Sacerdotesse e maghe, mistiche e seduttrici”, un excursus approfondito attraverso l’archetipo della donna entrata a contatto col “sacro”: “Non c’è uomo, a parte Adamo, che non sia figlio di una donna: che non abbia albergato per mesi nel buio, caldo, sicuro ricettacolo del suo ventre; che non si sia attaccato ai suoi seni in cerca di vita (…) Senza quel ventre, senza quel seno, senza quegli occhi che lo guardavano, senza quelle mani che lo proteggevano e lo accarezzavano, l’uomo non sarebbe stato nulla.” Le comunità preistoriche riconoscevano il valore delle donne all’interno del gruppo, riservando loro un posto di rilievo. Solo attraverso le madri, per questo onorate, c’era possibilità di futuro per la tribù, il clan, il gruppo di famiglie. Le donne erano in grado di dare la vita, ma anche di nutrirla senza fermarsi durante gli spostamenti, e ciò le rendeva preziose, vicine al divino. Tra i tanti culti, miti, divinità femminili ci sono dee o entità legate all’acqua (è nell’acqua che viviamo per nove mesi prima di nascere). Molti reperti archeologici sono statuette femminili con forme esagerate e si è spesso spiegato il fenomeno con il culto della fertilità. Tuttavia, è forse più logico che si volesse, con quei manufatti, dare un valore sacrale alla donna, al suo potere generativo, di cura, e alla vita stessa.</div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkBw-KjWndplyCeiOxy5Pzpap6ZtEmhCgiBqtKUlTaPJlC7NSJPgaJrZnSbe7kzwfLat6ADn3hkN7tU7FQzvn-YbChRPZT2twBk7Q-Wt_VlEsw-LzjlxMzqMPE2yKUEX-UBBodmWQIRe15h6wflUe5yZH2_ZjPjSLxcyHEs3iRMLV5vIPPRIsw7d9PvA/s1440/via%20per%20la%20camera%20della%20maddalena.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="1440" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkBw-KjWndplyCeiOxy5Pzpap6ZtEmhCgiBqtKUlTaPJlC7NSJPgaJrZnSbe7kzwfLat6ADn3hkN7tU7FQzvn-YbChRPZT2twBk7Q-Wt_VlEsw-LzjlxMzqMPE2yKUEX-UBBodmWQIRe15h6wflUe5yZH2_ZjPjSLxcyHEs3iRMLV5vIPPRIsw7d9PvA/w400-h400/via%20per%20la%20camera%20della%20maddalena.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Via medievale per la Camera della Maddalena</td></tr></tbody></table><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><b style="font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><b>Le rocce galattofore</b></div></b><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;">Prima della “Camera della Maddalena”, sulla sinistra c’è una sorgente di acqua solforosa, sicuramente ritenuta curativa dalle antiche popolazioni: già nella medicina ellenica si parla degli effetti terapeutici di suddette acque. Proprio dietro alla fonte, notiamo un liquido bianco, della stessa densità del latte, che fuoriesce dalle rocce sfaldate - quasi “friggendo” - e scorre sulle foglie cadute: “Ecco: abbiamo anche le rocce ‘galattofore’… e se il fenomeno lo abbiamo notato noi, l’avranno notato anche nei tempi antichi...”, commenta Roberto Ronchetti, studioso delle pietre incise e appassionato di archeoastronomia. Chiediamo a un’amica geologa: “Effettivamente il territorio è modellato sulle marne di Antognola e sulle marne di Ranzano. Le marne sono argille che ‘ce l'hanno fatta’. Cioè, sarebbero argille, quindi terreni, che però, a volte, vuoi per la presenza di CaCO₃, vuoi per sovraconsolidazione, diventano quelle che chiamiamo rocce tenere. Sorgenti solforose si trovano spesso vicino alle formazioni marnose che, poi, raramente sono solo marnose! Troviamo, infatti, marnoso arenacee, marnoso calcaree eccetera. Insomma rocce sedimentarie. Quindi, il bianco dell'acqua potrebbe essere dovuto a una reazione, che porta a un processo chimico, tra il carbonato di calcio del calcare e le acque sulfuree”. Un cartello posto in loco recita: “Una colata calcarea (travertino)”, dunque il calcare c’è. E Ronchetti, che parlava di rocce “galattofore”, cosa intendeva?</div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyZ11aFhWAeggA6CJRFznF3-xQsi2geuAx1_ol82cH14NCChGNt8aM42X_dDr61eT_Q-7-CkjHP8giwqEaa5X-BVfk8YRK3Rs8db_CXECl929SKrQSqRz4Pee6yjy4P52p9Sq24kGgB0IqRK262ehgWWRR-jJMfkKZuuo1FwHkYcYXixM-vXeTIDhp-Q/s600/CULTO-DELLE-PIETRE_%20Luigi%20di%20Gianni.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="600" height="284" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyZ11aFhWAeggA6CJRFznF3-xQsi2geuAx1_ol82cH14NCChGNt8aM42X_dDr61eT_Q-7-CkjHP8giwqEaa5X-BVfk8YRK3Rs8db_CXECl929SKrQSqRz4Pee6yjy4P52p9Sq24kGgB0IqRK262ehgWWRR-jJMfkKZuuo1FwHkYcYXixM-vXeTIDhp-Q/w400-h284/CULTO-DELLE-PIETRE_%20Luigi%20di%20Gianni.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Culto delle rocce</td></tr></tbody></table><br /><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><b style="font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><b>Le Madonne del latte e della neve</b></div></b><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;">Qui si apre un capitolo per molti di noi sconosciuto… che parte dalle grotte “sacre” e culmina nel culto delle “Madonne del latte” (vedi Bismantova). Intanto, impariamo che, perché avvenga il fenomeno di quell’acqua bianca, la temperatura deve essere tra 3,5 C° e 5 C°, giusto quella rilevata prima. In quanto all’effigie delle “Madonne del latte” deriverebbe da quella della dea egizia Iside Lactans. Dall’Egitto copto le “Madonne del latte” passarono nell’arte cristiana occidentale, dove si diffusero soprattutto tra il XIII ed il XIV secolo. A bloccare questa tendenza sarà la Controriforma, infatti trovare un’icona di “Virgo lactans” posteriore agli ultimi anni del XVI secolo costituisce una rarità. A Bergogno non c’è un culto della “Madonna del latte”, però, si festeggia, intorno al 5 di agosto, la “Madonna della neve”. L’appellativo è legato alla basilica di Santa Maria “ad Nives” a Roma, che celebra il dogma di “Maria madre di Dio” e che prende il nome dalla leggenda di una nevicata estiva: è il più antico santuario mariano d’occidente. La “Madonna della neve” sembrerebbe essere una delle tante ierofanie dell’arcaica “dea bianca”, o Leucotea, dea sia del cielo coperto di neve sia della schiuma bianca del mare. Maria Vergine non è forse definita “regina del cielo” e “stella del mare”? “Bella tu sei qual sole /bianca più della luna...”</div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhago6u1d_POs_1Q7XuhfnsQ5o7BeTzX6N8K0EA2EWxvwrpgLOweazkqur8ORnvQmuaKvT1zSbNrFUCDksX9Z5hxlrZ-MZXKt2RaVbBv9oBgSKxErBRGY5pgpwIJOcP0TtapA5nOZJ1xDT4cdpK7YwEr0xUpt5KURZKR5dq_Guofz-TK2VPHQyHdY3qCA/s1440/canossa%20da%20Bergogno.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="1440" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhago6u1d_POs_1Q7XuhfnsQ5o7BeTzX6N8K0EA2EWxvwrpgLOweazkqur8ORnvQmuaKvT1zSbNrFUCDksX9Z5hxlrZ-MZXKt2RaVbBv9oBgSKxErBRGY5pgpwIJOcP0TtapA5nOZJ1xDT4cdpK7YwEr0xUpt5KURZKR5dq_Guofz-TK2VPHQyHdY3qCA/w400-h400/canossa%20da%20Bergogno.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Canossa da Bergogno</td></tr></tbody></table></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><b style="font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><b>La donna che nutre e la “Grotta del latte” a Betlemme</b></div></b><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;">In vari documenti troviamo che, in alcune caverne, un liquido biancastro fuoriesce dalle pareti o dalle stalattiti: è il “latte di monte”. Sono state documentate usanze in cui le madri spalmavano questo liquido sui seni per garantire una adeguata lattazione. Prima che si inventasse il latte artificiale il timore più grande di una puerpera era quello di non riuscire ad allattare. Avere il latte e averne tanto significava garantire ai neonati la sopravvivenza. Proviamo a immaginare, dunque, che problema fosse non avere latte nelle epoche antiche, e proviamo a metterci nei panni di quelle comunità e di quelle donne. È possibile che alla “Camera della Maddalena”, ben prima che venisse così denominata, le donne andassero a invocare qualche dea per il dono di una lattazione abbondante? Il culto delle pietre, insieme a quello dell’acqua, in più zone della Penisola si è conservato fino agli anni Sessanta. Ad esempio, il regista Luigi di Gianni, in un documentario del 1967, mostra dei devoti che, a Raiano, in Abruzzo, si addentrano nelle grotte sottostanti un santuario, strofinano le mani sulle pietre, poi se le passano sul viso e sul corpo per ottenere chissà quali grazie. Tornando all’acqua biancastra, è chiamata “latte di monte”, ma anche “latte di luna”. Di recente, uno studio sul “moonmilk” della Grotta Nera nella Majella (reperibile online e presentato dalla professoressa Lisa Foschi), è stato condotto dai ricercatori dell’Università di Bologna guidati dalla dottoressa Martina Cappelletti.</div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgw4MfzVLmcqyVEWS8y9yBZywweLupsD-2fJWz-kp7ZSDPsNHfVMpDEXPS74Q1pcNtSXR77oGLVhVeWzZYhzAuwQjcN_6qhQ_2PVWY7pYw1JKNcVNMFCV84Prmp47mQw-8MNGkszOzE-LtVASQFCOErGm2I28hDjotPg3GYZOKbbXld_iSIt7FasdB0oQ/s960/a%20sx%20Pietro%20Gambarelli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="720" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgw4MfzVLmcqyVEWS8y9yBZywweLupsD-2fJWz-kp7ZSDPsNHfVMpDEXPS74Q1pcNtSXR77oGLVhVeWzZYhzAuwQjcN_6qhQ_2PVWY7pYw1JKNcVNMFCV84Prmp47mQw-8MNGkszOzE-LtVASQFCOErGm2I28hDjotPg3GYZOKbbXld_iSIt7FasdB0oQ/w300-h400/a%20sx%20Pietro%20Gambarelli.jpg" width="300" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Pietro Gambarelli a sinistra</td></tr></tbody></table><br /><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;">In ambito cristiano, la “Grotta del Latte” di Betlemme è uno dei santuari mariani più visitati di tutta la Terra Santa. È qui che Maria, secondo antichi racconti, si fermò per allattare Gesù; in quel frangente alcune gocce del suo latte caddero a terra e la roccia divenne bianca. Ed ecco che la grotta diventò meta di pellegrinaggio per le donne che avevano difficoltà ad allattare o a concepire un figlio. Come direbbe il professor Piero Camporesi: “La sacra umidità primigenia stillante dal corpo della terra madre, fonte perenne di forme vitali...” è ciò che descrive anche, senza dubbio, il bosco della Péntoma e la “Camera della Maddalena di Bergogno.</div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLE_8Ve7TG88jrM01QH_QTRS959fM65835TRxDMmunXXciGI9yQ9di7YmZu9bPanweY8QTxDy7aRP9QvWCo7QE48p0Kv1AZldhtd8hCov8OIc_Oz9WT4yMc5SiEWo5k7HSFXC5ag5zDCUHd3xQHkD80H39Whyphenhyphen0wEjQLirr3PpcZg5xl1gItxI4VRtVig/s607/Giona_lagoforno.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="607" data-original-width="486" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLE_8Ve7TG88jrM01QH_QTRS959fM65835TRxDMmunXXciGI9yQ9di7YmZu9bPanweY8QTxDy7aRP9QvWCo7QE48p0Kv1AZldhtd8hCov8OIc_Oz9WT4yMc5SiEWo5k7HSFXC5ag5zDCUHd3xQHkD80H39Whyphenhyphen0wEjQLirr3PpcZg5xl1gItxI4VRtVig/w320-h400/Giona_lagoforno.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Grotta di Lagoforno, vicino all'oratorio di <br />Santa Maria Maddalena di Saccaggio</td></tr></tbody></table><br /><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div> <div style="font-size: large; text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p><span><a name='more'></a></span>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-52757771973257044762024-02-28T18:46:00.002+01:002024-02-28T18:46:43.064+01:00ALBERI DI NATALE DELL’EDEN E COPPELLE PESTAROLE - QUANDO LE GHIANDE ERANO CIBO PER GLI UOMINI<p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjmOr-RaJHYBNdrjxSxDnjmmYEYsHbO_F7r-MwJjsOkFITB-cUWik-8Ces9dz7HT7p7Khh-plWKkvWOFcMb-P-gWIWJIETvOWQBSGbNUtEILAmgWpY2iJ_Jx5XpIIO5eynqxqaDlxnv3lY_7-6_u2zpa46E1a32Ozam7fz3-py8nJAF_DeIRlkBUt3eA/s680/Nativity%20scene.%20Found%20in%20Naxos;%20dated%20to%204th%20or%205th%20century%20AD.%20Byzantine%20Museum,%20Athens,%20Greece..jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="526" data-original-width="680" height="310" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjmOr-RaJHYBNdrjxSxDnjmmYEYsHbO_F7r-MwJjsOkFITB-cUWik-8Ces9dz7HT7p7Khh-plWKkvWOFcMb-P-gWIWJIETvOWQBSGbNUtEILAmgWpY2iJ_Jx5XpIIO5eynqxqaDlxnv3lY_7-6_u2zpa46E1a32Ozam7fz3-py8nJAF_DeIRlkBUt3eA/w400-h310/Nativity%20scene.%20Found%20in%20Naxos;%20dated%20to%204th%20or%205th%20century%20AD.%20Byzantine%20Museum,%20Athens,%20Greece..jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Natività con pigne e ghiande</td></tr></tbody></table></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;">La narrativa sulle origini dell’albero di Natale fa riferimento alla cultura celtica. Si tratterebbe di una pianta sempreverde che i druidi - gli antichi sacerdoti dei celti - onoravano in varie cerimonie. Un pino o un abete? O forse una quercia che non perde le foglie, come il leccio? Capita poi di imbattersi nell’immagine di un rilievo del IV secolo a.C. raffigurante la Natività, conservato nel museo di Atene e proveniente da Naxos. Il Bambinello in fasce dorme nella mangiatoia e, ai lati, ha due alberi, oltre all’asino e al bue. Gli alberi sono un pino e una quercia: si vedono le pigne sulla pianta a sinistra e le ghiande su quella a destra. Quasi certamente si tratta di un pino domestico e di una roverella, specie utilizzate dall’uomo per trarne cibo ben prima del Neolitico, quando finalmente iniziò la domesticazione e coltivazione delle piante. La farina più antica ad oggi conosciuta risale infatti a trentaduemila anni fa, più di ventimila anni prima dell’avvio dell’agricoltura nel vicino oriente. Gli amidi sono stati rinvenuti su un pestello trovato nella grotta Paglicci, a Rignano Garganico, Foggia. Insieme alle avene selvatiche, è provata, sul pestello stesso, la trasformazione in farina delle ghiande. Quindi, il Bambinello di Naxos sembra collocato in un “Giardino dell’Eden” di alberi selvatici che producevano semi commestibili: ghiande e pinoli, i più antichi alimenti amidacei del Mediterraneo. Ma come era possibile trasformare le ghiande, amare per l’eccesso di tannino, in una farina commestibile? </span></p><p style="text-align: justify;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhF7XPBg8j3lNQHA6Ii3Yxyx9wdtjZLl0rJKkL8wz_VRg24FbNRXSh7KI3704XNyaG_HDsqbjjq0Jv1jsVkmqn-sUjsjYZCM-CpHdX16n9URMNp04rOluSbwgCH5utCAalo8nASdHT4P1Q-dbG78hx0n3DE3hdpSLWGu4SqCfJjMYXkeOVRD8S4lvqpTw/s2016/coppelle%20Monte%20Sassoso%20Ceriola.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1512" data-original-width="2016" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhF7XPBg8j3lNQHA6Ii3Yxyx9wdtjZLl0rJKkL8wz_VRg24FbNRXSh7KI3704XNyaG_HDsqbjjq0Jv1jsVkmqn-sUjsjYZCM-CpHdX16n9URMNp04rOluSbwgCH5utCAalo8nASdHT4P1Q-dbG78hx0n3DE3hdpSLWGu4SqCfJjMYXkeOVRD8S4lvqpTw/w400-h300/coppelle%20Monte%20Sassoso%20Ceriola.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Monte Sassoso (Ceriola): coppelle e il ricercatore<br />Roberto Ronchetti con il cane dello studioso Rino Barbieri</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Le coppelle nelle rocce: antichi mortai?</b></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il processo era lungo, laborioso e potrebbe aver lasciato dei segni anche in alcune zone del nostro territorio. Parliamo, almeno per una parte, delle famose coppelle scavate su rocce - non del tutto rovinate dagli agenti atmosferici - come quelle di Ceriola/monte Sassoso e del monte Lulseto. Perché le coppelle? Come abbiamo già scritto in altri articoli, questi incavi nella pietra avranno avuto diverse funzioni - utilitaristiche e rituali - ma una è sicuramente la macinazione di semi per l’alimentazione. Foto e filmati dei primi del novecento, in California, ci mostrano le donne native mentre producono farina di ghiande, togliendoci ogni dubbio riguardo ai metodi di lavorazione. Vero che, sia a Ceriola, sia al Lulseto, in mezzo alle querce sono presenti dei castagneti, fonte di un amido più adatto all’alimentazione umana (perché senza tannini). Tuttavia, la coltivazione del castagno pare sia successiva e si debba ai Romani, pur essendo la pianta già presente allo stato selvatico anche nella preistoria. Sull’indigenato del castagno in Italia si è molto discusso. Alcune ricerche attestano, in base alle analisi di pollini fossili della pianura costiera apuana, la presenza del castagno già diecimila anni fa. Quindi, il castagno avrebbe resistito alle ondate di freddo glaciale susseguitesi nel tempo; pertanto, l’ipotesi che l’ultima glaciazione lo avrebbe fatto scomparire, per poi vederlo ritornare dall’Asia Minore, portato dall’uomo, è stata abbandonata. In ogni caso, nei periodi particolarmente rigidi, la quercia resisteva e dava frutti, il castagno no.<span></span></span></p><a name='more'></a><p></p><p style="text-align: justify;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHllQePkTmKRpegC89D5vxwUNkLQvBMt9f4MAvBWplJcSY2hVAkv7UOeT0gpP0WBzC7uFaPKGGrnBbLMbDNQruP1kkQZhyAkMpQ8Iu5pgJ5wSHqZXwbn2maGhR7rVwEWH4hbBg76RMz5-VC0ZjnoELK_YA94XGH8E5SGqaePttuQFFJt1WLwtugKpr0w/s3490/Maggie%20Iko,%20indiana%20Yokut,%20California.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2456" data-original-width="3490" height="281" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHllQePkTmKRpegC89D5vxwUNkLQvBMt9f4MAvBWplJcSY2hVAkv7UOeT0gpP0WBzC7uFaPKGGrnBbLMbDNQruP1kkQZhyAkMpQ8Iu5pgJ5wSHqZXwbn2maGhR7rVwEWH4hbBg76RMz5-VC0ZjnoELK_YA94XGH8E5SGqaePttuQFFJt1WLwtugKpr0w/w400-h281/Maggie%20Iko,%20indiana%20Yokut,%20California.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Maggie Iko, nativa americana che pesta le ghiande</td></tr></tbody></table><br /><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Ricavare farina edibile dalle ghiande</b></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Come si produceva la farina di ghiande? Ce lo hanno mostrato le donne indiane delle tribù Mono, Yokut e Chuckchansi della California. All’arrivo dell’autunno, le comunità si riunivano per raccogliere le ghiande. In tre giorni, una famiglia poteva accumulare, in “granai” di corteccia d’albero, ghiande sufficienti per il loro fabbisogno. Terminata la raccolta, venivano essiccate per un anno. Le donne, in seguito, si raggruppavano sedute su un macigno e, usando un pestello di pietra, prima sgusciavano i frutti, poi li vagliavano con crivelli di cortecce intrecciate e, infine, li macinavano. La ripetuta molatura e la fitta serie di colpi sulla roccia creava, nel tempo, degli avvallamenti e delle coppelle. Avranno macinato ghiande, allo stesso modo, creando coppelle, anche i nostri antenati in Appennino? Alla macinazione seguiva la “lisciviazione” per togliere il tannino. Ci voleva molta acqua, ecco perché le operazioni venivano svolte vicino ai ruscelli. Le donne formavano dei cumuli di argilla asciutta in cui scavavano una sorta di largo catino che foderavano di rametti. Poi, lo ricoprivano con un telo leggero fissato ai bordi. Quindi, dopo aver mescolato la farina di ghiande con l’acqua fredda, la versavano sopra al telo. L’acqua filtrava sotto, portando via i tannini, mentre le donne continuavano a versarne ancora dall’alto, alternando acqua calda con acqua fredda. Una volta terminata l’operazione, veniva raccolta la poltiglia rimasta sul telo: la farina era pronta per essere cotta (come una piadina) su pietre arroventate. </span></p><p style="text-align: justify;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj25-HuxzhxdDMXYRo6H4lO5O-YHbMon5OV0fRtMYVzMc1_7zeMFIGN152PSiLO7chpg1CSHQWrp748X7pSHiaZkQ5nzR4Yx76gZmw1AzckFXzEW4w1JLxMK9qtC7_LXygiOmD5WcC0BZFmeKrQsZNv7u-bcW_RZthrgwFBglMMf_KX_0NTA9q62uV-1g/s3601/Lavaggio%20della%20farina%20dai%20tannini%20attraverso%20l'argilla%20e%20la%20cenere.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2839" data-original-width="3601" height="315" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj25-HuxzhxdDMXYRo6H4lO5O-YHbMon5OV0fRtMYVzMc1_7zeMFIGN152PSiLO7chpg1CSHQWrp748X7pSHiaZkQ5nzR4Yx76gZmw1AzckFXzEW4w1JLxMK9qtC7_LXygiOmD5WcC0BZFmeKrQsZNv7u-bcW_RZthrgwFBglMMf_KX_0NTA9q62uV-1g/w400-h315/Lavaggio%20della%20farina%20dai%20tannini%20attraverso%20l'argilla%20e%20la%20cenere.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Lavaggio della farina di ghiande dai tannini</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Da alimento per i maiali a cibo nelle carestie</b></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">In Italia, l’utilizzo delle ghiande per fare il pane è raccontato da Plinio il Vecchio, che, nel I secolo d.C., riferisce del consumo, in Sardegna, di un pane dal sapore asprigno. Ancora nel XVIII e XIX secolo, alcuni descrivono il pane di ghiande sardo come qualcosa di immangiabile, senza sapore. Dopo aver tolto la buccia, le ghiande venivano bollite in una caldaia di rame con argilla e cenere per asportarne l’acido tannico. In questo modo, si ottenevano frutti commestibili. Il brodo nero rimasto nella caldaia, insieme alle ghiande sciolte, continuava a bollire, fino quasi a disidratarsi; successivamente, veniva versato sopra a grandi pezzi di sughero. Con un coltello si tracciavano le forme che, raffreddate e asciutte, diventavano il “pane”. Ma il “mangiar ghiande” (per eccellenza cibo dei maiali) è rimasto come sinonimo di fame e carestia. In alcuni documenti riguardanti l’Appennino modenese si narra che, nel 1443, a causa del ghiaccio e delle enormi quantità di neve caduta, i raccolti, soprattutto di grano, andarono distrutti, con effetti atroci anche nei due anni successivi; tra il 1589 e il 1598 ci fu la peggior carestia del Frignano: molti, per procurarsi di che mangiare, furono costretti a vendere o uccidere il bestiame. Gli alimenti principali divennero la crusca, le ghiande, oppure gli acini d’uva ridotti in farina, le radici, le erbe. In quanto alle castagne, da secoli fonte di cibo per la popolazione, le condizioni meteorologiche distrussero i raccolti nel 1612, nel 1621, nel 1663, nel 1740, nel 1751, nel 1807, nel 1816 e nel 1850. L’ultima carestia risale al 1936, quando una forte nevicata, tra il 7 ed l’8 ottobre, compromise la raccolta delle castagne e sradicò molti alberi, pregiudicando i raccolti anche negli anni seguenti.</span></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiq3WFmi6C36-VrMr-W7zd4E8gVkUCpyreQ0r0ZmF4fr3hVtt3VBKN1rEvSn-Tu18OBIqHXoz52DyKNAOJYQWe26DuLAOTHS97ZF2bFgjvcSymcRUB2qC1kitNJPTpCbFSGTvKXdDcuoUeo2pxrUY4nwtzFqXB3AUg4Q72-swxjVBP5q-xdwdMYZ12_XA/s450/214d0f27d6c30d0d0d824f820d6aa517.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="354" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiq3WFmi6C36-VrMr-W7zd4E8gVkUCpyreQ0r0ZmF4fr3hVtt3VBKN1rEvSn-Tu18OBIqHXoz52DyKNAOJYQWe26DuLAOTHS97ZF2bFgjvcSymcRUB2qC1kitNJPTpCbFSGTvKXdDcuoUeo2pxrUY4nwtzFqXB3AUg4Q72-swxjVBP5q-xdwdMYZ12_XA/s320/214d0f27d6c30d0d0d824f820d6aa517.jpg" width="252" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEguDeDInfo5HWX9h51um1mLeT5OOgzOIqYTXJFMBetc4PQqFaw5hQxkTXtcl7mwzsORJVcq3KQgaIWvnIlwgWR7obMcAEsWqyhfhhBwF6otHSdMrAtSyOgTgQRsCInhQpR02QSWJHVzrJfldpdYlutEtxSzYVg2cKdvyToEztVoVJeJ4Nn5MyJcFmTbPA/s767/404385771_2544112919095081_5834640389748330337_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="767" data-original-width="558" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEguDeDInfo5HWX9h51um1mLeT5OOgzOIqYTXJFMBetc4PQqFaw5hQxkTXtcl7mwzsORJVcq3KQgaIWvnIlwgWR7obMcAEsWqyhfhhBwF6otHSdMrAtSyOgTgQRsCInhQpR02QSWJHVzrJfldpdYlutEtxSzYVg2cKdvyToEztVoVJeJ4Nn5MyJcFmTbPA/s320/404385771_2544112919095081_5834640389748330337_n.jpg" width="233" /></a></div><br /><span style="font-size: medium;"><br /></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Un caffè “ciofeca” di ghiande</b></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">“Quando il re era solo re, di caffè se ne bevevano tre, poi divenne imperatore, del caffè neanche l’odore; se prendiamo un altro stato, sparirà anche il surrogato”. Alcuni anziani montanari raccontavano che, prima e durante la seconda guerra mondiale, non si trovava il caffè e, chi non aveva terra dove seminare, non poteva nemmeno usare l’orzo come succedaneo, così ci si arrabattava con il caffè di ghiande. La tostatura delle ghiande era fatta con un attrezzo metallico forato, di forma cilindrica, che si usava anche per tostare l’orzo: fissato alla catena del camino, sulle braci, si faceva girare a mano. Le ghiande arrostite venivano sbriciolate e poi bollite per la preparazione del caffè. In Calabria questo “caffè” si chiamava “ciofeca” (che oggi significa alimento disgustoso) e deriva dalla parola araba antica ‘safek’, che significa “bevanda poco energica”. Per tornare alla Natività di Naxos, il giardino dell’Eden biblico era forse l'emisfero settentrionale post glaciale, che, da terra fredda e desolata, era diventato un giardino pieno di cibo: ghiande, noci, nocciole, pinoli, radici, cereali selvatici, uva e forse castagne? Può essere, visto che le querce (con il loro vischio) e gli aghifoglie, come i pini e gli abeti, risultano essere i più importanti alberi del solstizio d’inverno in Europa, quando il sole sembra morire, ma poi, proprio a Natale, risale più alto nel cielo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEireGEtfZUqn37ULVaGFlEKkX80wkDoZvZxOEY-A9CvkPst776ScPDqptyT2ZkYk80uL-n2G8GSnUinGiXM3e6rrHjG6VN2eCxuLkojoAoBC9_XfB7EdeKUvxHjXi96hFmp9asHnET5OvoXqqSuy-i3n6zeVsvhfnTmi5KJ7CvLdcl9QzJhWWpfEeKcOw/s720/FB_IMG_1700000710326.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="405" data-original-width="720" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEireGEtfZUqn37ULVaGFlEKkX80wkDoZvZxOEY-A9CvkPst776ScPDqptyT2ZkYk80uL-n2G8GSnUinGiXM3e6rrHjG6VN2eCxuLkojoAoBC9_XfB7EdeKUvxHjXi96hFmp9asHnET5OvoXqqSuy-i3n6zeVsvhfnTmi5KJ7CvLdcl9QzJhWWpfEeKcOw/w400-h225/FB_IMG_1700000710326.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Pane di ghiande sulle montagne dell'Iran oggi</td></tr></tbody></table><br /><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"> </span></p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-2312533566984552302024-02-12T18:32:00.019+01:002024-02-28T18:50:19.694+01:00DUE DOCUMENTI: UN ROGITO E UN TESTAMENTO - GOMBIO, NELLO STATO DI PARMA DI MARIA LUIGIA D’AUSTRIA<p> </p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><i></i></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyOMraz-IgMHm6TpeVJRoKKUjVEmeL1ZzOit4yre9Zh6P4mheETH4gh1AB3vdgNexn_SsJKtgPm4H2QGxPH8a82UpQ8isFZXM0D2dwpCnOAbjpDmtTETwIjMyIkzxsztUiu-Lig0w1lG68ImsRodGoxiTvTitvLJw86dStnlD4qMq8UlcsMAinW1sCOw/s1349/soraggio.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="607" data-original-width="1349" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyOMraz-IgMHm6TpeVJRoKKUjVEmeL1ZzOit4yre9Zh6P4mheETH4gh1AB3vdgNexn_SsJKtgPm4H2QGxPH8a82UpQ8isFZXM0D2dwpCnOAbjpDmtTETwIjMyIkzxsztUiu-Lig0w1lG68ImsRodGoxiTvTitvLJw86dStnlD4qMq8UlcsMAinW1sCOw/w400-h180/soraggio.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Soraggio di Gombio</td></tr></tbody></table><br /><br /><i style="font-size: large;">Una dozzina di zecche, quasi trecento sistemi monetari, una selva di dogane: questa era l’Italia prima dell’unità. La frazione di Gombio non solo apparteneva al comune di Ciano, ma anche al ducato di Parma</i><br /><br /><span style="font-size: medium;"> Era il 1844 quando, a Ciano D’Enza, venne redatto un documento di compravendita che andremo a esaminare. Siamo nell’anno del trattato di Firenze, stipulato tra il duca di Modena, il granduca di Toscana e il futuro duca di Parma. Secondo gli accordi, alla morte di Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, tutti i territori parmensi (exclave) della sponda destra dell’Enza sarebbero passati al ducato di Modena e Reggio, mentre quelli (sempre exclave) di Bazzano e Scurano sarebbero ritornati a Parma. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Gombio, con le sue “ville” (gruppi di case), e Beleo erano in quella propaggine incuneata nel ducato estense e governata da Parma. Il confine più a sud tra i due ducati si trovava sul monte Battuta, verso Villaberza. Soraggio, collocato a nord dello stesso monte, ricadeva pertanto nello stato di Parma e ci sarebbe rimasto fino al 1848. In seguito, il via vai delle terre gombiesi, come spiega bene lo storico Giuseppe Giovanelli, sarà tra i comuni di Ciano, Casina e Castelnovo. In quest’ultimo, Gombio entrerà in modo definitivo soltanto nel 1959. Ma il va e vieni di Gombio, per diverso tempo, riguardò anche le due diocesi di Reggio e Parma. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Torniamo al 1844, quando un certo Natale Scarenzi, gombiese, e il signor Prospero Pedroni, calzolaio di Soraggio, vanno a rogito davanti all’allora sindaco di Ciano, Angelo Birzi. Oggi, a Gombio, il cognome Scarenzi resta soltanto a denominare una delle “ville”, essendosi estinto. Anche il cognome Birzi è quasi sparito, mentre era un tempo molto presente, tanto da far pensare a un’origine nel luogo stesso. </span><br /><br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgzzVBRR4wbikV9Fq57_I7xlaAqvqFmWdKyaZAsw051s2Lxq-zeU9ZpwLDrIsjJFY96ZSPZXZMMLvx_9Qt0CbKguN8xpTdYgzg1Bsp3_0J2MSWEIBi3Do49JD1nJ_LIXxLMmv0c4AEJPcuzfNS2ICFUzlsp5LTJSWoQQZW_c7R09sadNxCc89_JrFsOQ/s607/pedroni1.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgzzVBRR4wbikV9Fq57_I7xlaAqvqFmWdKyaZAsw051s2Lxq-zeU9ZpwLDrIsjJFY96ZSPZXZMMLvx_9Qt0CbKguN8xpTdYgzg1Bsp3_0J2MSWEIBi3Do49JD1nJ_LIXxLMmv0c4AEJPcuzfNS2ICFUzlsp5LTJSWoQQZW_c7R09sadNxCc89_JrFsOQ/s320/pedroni1.jpg" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjp3f2rRpSSZLg1Ta8q-skcuyhCJwrNhqhyphenhyphenEgFChA6gHy5D-B98rrc3Gh25kqmn2AlZBRgEWEy6orqyLUKT_j2w2GuTWolLmkU-xkvaZxp3r6kdGQaZKENF0N6753vO-z9UnXRTRVqT41JOnzXNqYTTHq-MIt64IXvxk0qtFlC7ePIBFQvMZiBrtRzLwQ/s607/pedroni2.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjp3f2rRpSSZLg1Ta8q-skcuyhCJwrNhqhyphenhyphenEgFChA6gHy5D-B98rrc3Gh25kqmn2AlZBRgEWEy6orqyLUKT_j2w2GuTWolLmkU-xkvaZxp3r6kdGQaZKENF0N6753vO-z9UnXRTRVqT41JOnzXNqYTTHq-MIt64IXvxk0qtFlC7ePIBFQvMZiBrtRzLwQ/s320/pedroni2.jpg" /></a><br /><br /><br /><br /><b><span style="font-size: medium;">Pretura di Traversetolo, ducato di Parma: un rogito</span></b><br /><br /><span style="font-size: medium;">La famiglia Pedroni di Soraggio scomparve, invece, con Antonio Luigi (figlio di Prospero), di cui si raccontava fosse partito per le Americhe e mai ritornato. I beni dei Pedroni, casa e terreni, vennero poi acquistati dalla famiglia Albertini, compresi quei castagneti dei “Valetti” o “Valeti”, situati di fronte a Leguigno e Beleo, di cui si parla nel documento qui riportato (compreso di evidenti errori ortografici)! </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">“Stato di Parma, Comune di Ciano - Pretura di Traversetolo Gombio - quarto Giorno tre 3 - novembre Mille otto cento quaranta e quattro, 1844. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Colla presente benché privata Scrittura, la quale la parte voliamo che sta valendo come pubblico </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">legale documento anche melio, si dichiara che il qui presente Natale di fu Luigi Scarenzi domiciliato a Gombio, che a venduto e vende a libera vendita, una porzione di uno fondo castagnativo posto nel territorio di Gombio, loco detto alli Valetti a cui confina, a matina il venditore, a merigio Violi Giovanni, a sera ed al nord l’aquirente. Al qui presente Prospero di Giuseppe Pedroni nativo e domiciliato in detto luogo, che compra stipola ed accetta per se, e con denari propri riccavati sotto la sua professione di calzolaio cosi dichiarando come dichiara in aqui. E questo pel prezzo di lire nove di Parma, trenta e cinque 35. prezo giusto convenuti amichevolmente. La qual soma è stata sborsata prima d’ora in mane del sudetto Scarenzi il quale dice e confessa d’averla anche ritenuta presso di se, facendole fini quietanze in ogni (?) E le predette cose tutte hanno asserito e asserivano le contraenti parti essere vere promettendone la piena osservanza sotto l’obbligo di se stessi beni tutti presenti fatturi (?) Li sopra descritti contraenti non si firmano, che Scarenzi, perché Pedroni e ileterato, pero viene pubblicato alla presenza di me infrascritto e degli sotto scritti testimoni cioè Costi Giuseppe, e Francesco Birzi tutti di Gombio, Scarenzi Natale afermo quanto sopra, Francesco Birzi testimonio Giuseppe Costi testimonio. Angelo Birzi Sindaco al Comune di Ciano, scrissi di comisione delle parte e fui testimonio: segue la registrazione a Langhirano il 16 gennaio 1845 con le tasse pagate </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">(N.B: il resto è incomprensibile)”<span><a name='more'></a></span> </span><br /><br /> <br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVbd1UMGWYcpfxgZogFozKjJwJxH6n1mgZ_8aQRkNoRcrGTvRNyDTdhMumik7KXCyTk5h2BCxTJXOuozAQoweBQGjGzY7XOD63ZxHA9_c68_ObfouZvRR6Ysd33Sn_K4YxcmrqvDVB5GNGRxdceLKemiULYtsWLrP73NVoYw9isXtr2A60EzeWB_dLLQ/s1280/maria-luigia.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVbd1UMGWYcpfxgZogFozKjJwJxH6n1mgZ_8aQRkNoRcrGTvRNyDTdhMumik7KXCyTk5h2BCxTJXOuozAQoweBQGjGzY7XOD63ZxHA9_c68_ObfouZvRR6Ysd33Sn_K4YxcmrqvDVB5GNGRxdceLKemiULYtsWLrP73NVoYw9isXtr2A60EzeWB_dLLQ/s320/maria-luigia.jpg" /></a><br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuZTDzU67fk2eTi6zcwIgxZXKreGlqlSmvX1k9KA7YPh03XL5SuFWvAZftS-fOWw0ji74EMOJ_BQ1a8klmXddu1S2DETqfKswR25SCTI-UF60lhi3Ufmb-4ZlsWV6EFs4NPfVP5JqT4HsQxiEbluMR7vPfa8M_1GMVVRUQQinDEw4fTSUjRgH2TImGjA/s319/monete.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuZTDzU67fk2eTi6zcwIgxZXKreGlqlSmvX1k9KA7YPh03XL5SuFWvAZftS-fOWw0ji74EMOJ_BQ1a8klmXddu1S2DETqfKswR25SCTI-UF60lhi3Ufmb-4ZlsWV6EFs4NPfVP5JqT4HsQxiEbluMR7vPfa8M_1GMVVRUQQinDEw4fTSUjRgH2TImGjA/s1600/monete.jpg" /></a><br /><br /> <br /><b><span style="font-size: medium;">Due ducati, due sistemi monetari diversi </span></b><br /><br /><span style="font-size: medium;"> Le “lire nove” sono probabilmente da intendere come “lire nuove”, perché poi si parla di 35 lire come prezzo del castagneto. Dodici zecche, 282 monete, una selva di dogane: questa era l’Italia prima del 1861. Dopo il periodo napoleonico - e il 1815 - Parma mantenne il sistema monetario usato in Francia. I nostri vecchi, infatti, parlavano proprio di “franchi”, intendendo i “soldi”. Maria Luigia ebbe a Parma anche una monetazione a proprio nome coniata dalla zecca di Milano (la città era austriaca… come la duchessa). Fece pure coniare di proposito delle monete da distribuire alle famiglie colpite dal colera, ricavando il metallo dalla fusione di una sua toilette in oro e argento, dono di Napoleone. Nel ducato estense, invece, dopo il Congresso di Vienna si tornarono a usare le lire modenesi (a Modena) e a Reggio le lire reggiane (in rapporto di 3 lire reggiane per 2 lire modenesi). Le monete circolanti erano vecchie, le attrezzature della zecca di Modena, durante il periodo napoleonico, erano state trasferite a Bologna e restituite al ducato solo nel 1816. Tuttavia, il “torchio di Modena” riconsegnato era in gran parte inservibile, così che negli anni successivi non si avviò alcuna coniazione. Le lire del ducato di Parma, di cui si parla nel rogito, risultavano dunque “nuove”, rispetto alle “vecchie” circolanti nel ducato di Modena e Reggio. </span><br /><br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrY0uNkxXYPOONk25qqUnF7KLA5XqKG3RomnnjDLUyMqF3qxuXHXXvCpKbR1O7i_nYN03DAG7oWtTXVpLEguJSrA7Bl26ks1N8wRCmfAWI4RNxCYKyOUIkvgdVx4IhQ3zwYOTPhZ790C6tcZO8FHMsWb9LhMEzcnWdx17K2Wx0MVQuFeFBCnV5rym6eQ/s607/testamento.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrY0uNkxXYPOONk25qqUnF7KLA5XqKG3RomnnjDLUyMqF3qxuXHXXvCpKbR1O7i_nYN03DAG7oWtTXVpLEguJSrA7Bl26ks1N8wRCmfAWI4RNxCYKyOUIkvgdVx4IhQ3zwYOTPhZ790C6tcZO8FHMsWb9LhMEzcnWdx17K2Wx0MVQuFeFBCnV5rym6eQ/s320/testamento.jpg" /></a><br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgP5QjIvBsDFEurhHhQQIK0mPxYbo_cn7JIdEuM5nu0bxcg4Cq9JOM2BJgNHAKUr_ZgExtURwh9EP0ZWSf_SEDTRJRb3A0sKZBBueqkYupUbYEJRQONFZOsxNvSSiCR_yoUneqI5lPAy-JdNd0OPePf5QI2Fd590jFmm3uypXjGg7l33GBiLq-WYYG0lQ/s965/pedroni.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgP5QjIvBsDFEurhHhQQIK0mPxYbo_cn7JIdEuM5nu0bxcg4Cq9JOM2BJgNHAKUr_ZgExtURwh9EP0ZWSf_SEDTRJRb3A0sKZBBueqkYupUbYEJRQONFZOsxNvSSiCR_yoUneqI5lPAy-JdNd0OPePf5QI2Fd590jFmm3uypXjGg7l33GBiLq-WYYG0lQ/s320/pedroni.jpg" /></a><br /><br /> <br /><br /><div><span style="font-size: medium;"><b>Confini, dogane e briganti e contrabbando </b></span><br /><br /><span style="font-size: medium;"> Gombio era territorio di confine, di conseguenza di traffico di merci contrabbandate. Apprendiamo dallo storico Giovanelli che, già nel 1433, il podestà Bartolomeo Grassi denuncia l’organizzazione di furti e malefatte in territorio estense da parte di gente di Gombio per poi passare il confine e godere dell’immunità in quel di Parma. Per rendersi conto di cosa significasse varcare le frontiere di tutti gli stati preunitari, è interessante leggere il resoconto del critico d’arte inglese John Ruskin, in viaggio, nel 1840, fra Bologna e Parma: “Sono giunto alfine alla meta dopo aver subito l’assalto di una folta schiera di doganieri. Vediamo nell’ordine: porta di Bologna, uscita: passaporto e gabella. Ponte, mezzo miglio più avanti: pedaggio. Dogana, due miglia innanzi, lasciati gli Stati Pontifici: passaporto e gabella. Dogana, dopo un quarto di miglio, entrati nel Ducato di Modena, prima l’ufficiale della dogana, poi l’addetto ai passaporti. Versato un tributo ad entrambi. Porta di Modena, entrata: dogana, gabella, passaporto. Porta di Modena, uscita: passaporto e gabella. Porta di Reggio, dogana, gabella, passaporto. Porta di Reggio, uscita: passaporto, gabella. Cambio di cavalli, più avanti: passaporto, gabella. Entrata nel Ducato di Parma, ponte: pedaggio, dogana, gabella, passaporto. Dunque in totale sedici soste, con una perdita media di tre minuti e un franco ogni volta. Quello della dogana di Modena non s’è rabbonito per meno di cinque paoli: l’ufficiale pontificio di Bologna ci ha assicurato che in coscienza non poteva evitare la perquisizione per meno di una piastra.”. </span><br /><br /> <br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDO4wWug1pol0febn-yfmhJhfsFnfgm2AzJiKHOBFpRUoGvJXfjfsRQIWABwx6YjTbVtkXJdyqV7gLomhi1TJ2lyGOE-I8PNSL5temaPxMwc8MoVbnb1wcJKq7rZCdaRk78PLqQo35CIACdUtrr-wtvD1_sRZVI2c_IH87mKUxK_YHGUbkc4NsV3BdJQ/s607/confine%20stato%20di%20parma.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDO4wWug1pol0febn-yfmhJhfsFnfgm2AzJiKHOBFpRUoGvJXfjfsRQIWABwx6YjTbVtkXJdyqV7gLomhi1TJ2lyGOE-I8PNSL5temaPxMwc8MoVbnb1wcJKq7rZCdaRk78PLqQo35CIACdUtrr-wtvD1_sRZVI2c_IH87mKUxK_YHGUbkc4NsV3BdJQ/w249-h400/confine%20stato%20di%20parma.jpg" /></a><br /><span style="font-size: medium;">Confine dello Stato di Parma (in blu)</span><br /><br /><br /><b><span style="font-size: medium;">Duecento lire alla Compagnia del Santissimo Sacramento e una bilancia </span></b><br /><br /><span style="font-size: medium;"> Il figlio di Prospero Pedroni, Antonio Luigi, fa testamento nel 1907 (corretto nel 1913 con una postilla), in favore di un nipote. Singolare il lascito della “bilancia a chili” alle sorelle Ida e Domenica Violi, che a Soraggio abitavano nella cosiddetta “casa del duca” (oggi proprietà di Silvia Branchetti). Pedroni si preoccupa anche della sua anima e specifica i soldi per il funerale e le messe di suffragio. Duecento lire andranno poi alla Compagnia (confraternita) del Santissimo Sacramento, presente a Gombio già nel 1594, come da resoconto di una visita pastorale del vescovo Rangoni. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;"> Il concilio di Trento aveva infatti assegnato le confraternite alla vigilanza dei vescovi, passandole sotto la giurisdizione della Chiesa. Può essere che il Pedroni facesse parte di tale congregazione. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">“Testamento olografo Con quale Io sottoscritto Pedroni Antonio Luigi fu Prospero nato e domiciliato Soraggio di Gombio Comune di Ciano d’Enza il giorno due del mese di Aprile millenovecentosette Due 2 Aprile 1907 </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Dichiaro con espressione ed intenzione di mia pura e spontanea volontà e degnivo (?) con carattere di mia propria volontà e mia mano le seguenti mie disposizioni testamentari che avranno il suo effetto doppo la mia morte. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">1° Io lascio l’anima mia all’Eterno padre e creatore del cielo e della terra e di tutto l’universo e in </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">suffragio dell’anima mia mi lascio la somma di Italiani £ duecento dico 200 compreso il mortorio </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">che sara fatto dove accradra la fine della mia Vitta o sia la mia morte e mi lascio ancora la </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">compagnamento con la Compagnia del SS. Sacramento e il resto della somma delle 200 £ che </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">restano da spendere doppo il mortorio che siano celebrate tante Messe entro il termine di due </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">anni. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">2° Lascio mio Erede Generale e universale di tutti i miei beni Mobili e immobili con tutti gli usi e </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">diritti dei medesimi posti in Villa Soraggio di Gombio comune di Ciano d’Enza e posti in Villaberza </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">di Castelnovo Monti e da pertutto dove mi trovo antestato (?) al vero mio Nipote Serri Paolo del fu </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Giuseppe e della fu mia sorella Pedroni Rosa il quale nato e tuttora domiciliato in Sarzano comune </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">di Casina. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">3° Che poi il sudetto erede sara poi obbligato per le spese lasciate …. E obblighi che troverà </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">scritto nel sudetto testamento. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">4° Se il sudetto erede dovesse per caso morire prima del testatore la redita sara devoluta a favore </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">dei suoi figli in compagnia della Madre Rossi Carolina convivono insieme coi figli. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">5°. Lascio poi facoltà al notaio di coregere tutti li sbaglii e gli errori che posso essere in questa </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">caligafia. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">6° Lascio alle due sorelle Violi Domenica e Ida del fu Egidio la Ballance a chilli che li sia data subito doppo la mia morte. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">E mi firmo di mio proprio carattere a mano io testatore </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Ripetto Oggi 2 Aprile 1907 Pedroni Antonio Luigi </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Agiungo che lascio allerede sudetto anche i diritti che mi pervengo dal fratello querino e dal fratello Fortunato se fosse morto prima di me. </span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Oggi 23 febbraio 1913 Pedroni Antonio Luigi” </span><br /><br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8CLHg0IF6iZixRoRga-ohXjeiTnzYgUWKFqEgKm2RvPK9iJYx1WD-fgZf__4AuPxA3bCVhyphenhyphenPalZM-arzK4DyVywKZyXt9JnmXflj22jxi6Bk5GcFIi0JX6cLpk6GC5S9INBvYInsKpXfZmlizHeriOVpwebrS7_X9qI1prZYtSZyp2Nvvi3GwSWrVug/s720/particolare%20una%20casa%20di%20Gombio.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8CLHg0IF6iZixRoRga-ohXjeiTnzYgUWKFqEgKm2RvPK9iJYx1WD-fgZf__4AuPxA3bCVhyphenhyphenPalZM-arzK4DyVywKZyXt9JnmXflj22jxi6Bk5GcFIi0JX6cLpk6GC5S9INBvYInsKpXfZmlizHeriOVpwebrS7_X9qI1prZYtSZyp2Nvvi3GwSWrVug/w400-h225/particolare%20una%20casa%20di%20Gombio.jpg" /></a><br /><span style="font-size: medium;">Particolare di una casa di Gombio</span><br /><br /><span style="font-size: medium;">Ancora nel 1960, Gombio contava più di trecento abitanti, e i castagneti, che davano reddito come i campi, venivano curati con scrupolo. Purtroppo, lo spostarsi della viabilità dalle vie antichissime della Val Tassobbio alla comoda e asfaltata statale 63 ha contribuito a spopolare il paese. E quei castagneti, costati 35 lire nel 1844, oggi somigliano sempre di più a una foresta primordiale.</span><br /><br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8ZFVUyQlBMAu96IY_MuqMpqYGfFXBuX-V7x0FcPfNSd3iqZMLE_9dJ9jtEcehi-yB6oses2ZCMPHiiGr_FWfKffZOpeCnKlQJoDZzBqGXvSI-E2T9OKs25GNHKhr1-cmxjZY3uA7REz9a5d8YTYS3UNgIA91yXMYZZLYv_bds2Pqm0soCpqeMxokG7A/s1349/per%20i%20valeti.jpg" style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8ZFVUyQlBMAu96IY_MuqMpqYGfFXBuX-V7x0FcPfNSd3iqZMLE_9dJ9jtEcehi-yB6oses2ZCMPHiiGr_FWfKffZOpeCnKlQJoDZzBqGXvSI-E2T9OKs25GNHKhr1-cmxjZY3uA7REz9a5d8YTYS3UNgIA91yXMYZZLYv_bds2Pqm0soCpqeMxokG7A/w400-h180/per%20i%20valeti.jpg" /></a><br /><span style="font-size: medium;">Via medievale per i Valeti (Monte Vaglio)</span><br /><br /><p></p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-16620252387967638732023-12-08T09:43:00.002+01:002023-12-09T22:19:00.828+01:00IL VOLO DI MELUSINA - UN RACCONTO TRATTO DAL LIBRO<p> </p><p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">RACCONTO TRATTO DAL LIBRO</span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFf7x23KJdTGHEwI2VWutwVlzNX8p-6ZeMocsomp5WEJKtHE581nszZfXO7seVGcIyp4qpr5X_fU2xR_EWZkZ2UKINScCRP1fPh71WFqpF-jOSI3e84QVQhoLLNUDhMCDvyLpW6todXEah11nw_yd4t8fk0QWX8vKNHjzAUyXLCjLzacR-YqXm_-9wGg/s500/melusina_libro.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFf7x23KJdTGHEwI2VWutwVlzNX8p-6ZeMocsomp5WEJKtHE581nszZfXO7seVGcIyp4qpr5X_fU2xR_EWZkZ2UKINScCRP1fPh71WFqpF-jOSI3e84QVQhoLLNUDhMCDvyLpW6todXEah11nw_yd4t8fk0QWX8vKNHjzAUyXLCjLzacR-YqXm_-9wGg/w320-h320/melusina_libro.webp" width="320" /></a></span></div><p></p><p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><i>Il libro è disponibile su tutte le librerie online anche in formato ebook: </i></span></p><p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><i>https://www.amazon.it/volo-Melusina-Normanna-Albertini/dp/8832870606</i></span></p><p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">La
tempesta della notte le aveva buttate tutte a terra, tanto che, ora,
intorno agli alberi, si stendeva un tappeto di susine, una molle
frittata sulla quale pranzavano sinistri calabroni e un nugolo di
moscerini del vino.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Che
peccato, che disastro, Renzo mio, e adesso? Dovrò bollire marmellata
per una settimana».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Eugenia
avanzava china, con il cesto di vimini quasi colmo, prestando
attenzione a schivare gli insetti e, al contempo, cercando di non
calpestare i frutti gialli, già ammaccati e rovinati dalle
intemperie.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Il
marito la osservava dal pollaio, dove era indaffarato a rimettere in
piedi la recinzione; lavorava nervosamente, considerando che avrebbe
dovuto ripulire pure la piscina, del tutto scomparsa sotto una
montagna di foglie e rami. Bel disastro, questi cambiamenti
climatici. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Renzo,
nei suoi ottandadue anni di vita, non aveva mai visto un vento tanto
potente da sollevare i tavolini di ferro sotto al porticato, raffiche
con chicchi ghiacciati delle dimensioni di una pesca lanciati come
proiettili. Non era molto credente, tuttavia, un pensiero
all’Apocalisse e ai suoi terribili cavalieri gli era scappato.
Anche Luna, la sua cagnolona dal pelo color crema fiorentina, pareva
confusa, seduta in alto, su un muretto, fra i tralci sbrindellati di
un vecchio glicine.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Della
loro casa, Eugenia e Renzo, da anni pensionati, avevano fatto un bed
and breakfast, conservando l’architettura del vecchio edificio
colonico toscano. Avevano mantenuto anche i pavimenti di graniglia,
le piccole piastrelle di ceramica a fiori, i bagni con grande vasca e
la scala centrale, che portava ai piani superiori, dotata di
ringhiera in svolazzante ferro battuto. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Tutt’intorno,
orti, un frutteto, un giardino e la vigna, poi alberi di ulivo a
spezzare, con bagliori d’argento, il verde dei gelsi, dei ciliegi,
dei pruni e dei meli.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Si
è alzata, la nostra ospite, o dorme ancora?», domandò Renzo
togliendo il cesto di prugne dalle mani della moglie.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Johanna?
La professoressa Rolff? Le avevo preparato la colazione, ma ancora
non s’è vista. Forse, con il temporale, sarà rimasta sveglia,
vorrà recuperare».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«E
la nipote? Ancora a letto pure lei?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Ah,
quella… Karin van… van… Comperen, vero? Quella dorme sempre
fino a mezzogiorno. I giovani scambiano il giorno per la notte, è
una moda, ormai».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Bene,
allora faccio in tempo ad affettare un po’ di salame e aprire una
formetta di pecorino. Da buone olandesi, apprezzano il cibo italiano,
e pure il vino! Ti porto in casa il cesto, così non sforzi la
schiena, Eugenia mia». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Era
sempre stato così, il suo Renzo: attento e premuroso fin da quando
si erano incontrati, cinquant’anni prima. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Bionda,
esile, la pelle chiara e gli occhi azzurri, Eugenia non aveva certo
l’aspetto di una brasiliana e nessuno le credeva quando raccontava
di aver avuto una nonna india. Invece, babbo e mamma si erano
conosciuti proprio in Brasile, in una piccola cittadina dello Stato
di Santa Caterina, dove era poi nata Eugenia. Successivamente, c’era
stata la scelta di ritornare in Italia, al paese degli antenati, in
Garfagnana.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Un
po’ come tutti i brasiliani, Eugenia era il risultato di un
miscuglio prodigioso di etnie, colori, culture. Era italiana, india,
irlandese e portava dentro la sapienza antica di tutte le sue
antenate. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Nei
rituali “Rodas di cura”, che praticava di nascosto a chi si
affidava a lei, usava il “rapè”, una miscela polverizzata,
composta di tabacco e da una mistura di altre erbe capaci di aprire
il cuore, radicare a terra e scaricare le energie negative. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Raccontava
che la nonna india, Isadora, era stata colpita da un fulmine da
bambina, mentre si trovava vicino al fiume. Non era morta e, quando
si era svegliata, forte del dono ricevuto attraverso la scarica
elettrica, aveva iniziato a guarire la gente. Anche dopo che si era
sposata con un italiano, incontrato nella fazenda dove lavorava,
Isadora riceveva saltuariamente le visite di uno sciamano che usciva
dalla foresta e veniva a trovarla. Allora, parlavano per ore e si
scambiavano le loro conoscenze sui diversi rituali di guarigione
utilizzati.<span></span></span></span></p><a name='more'></a><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span> </span>
</span><p></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«E
il signor Giancarlo s’è visto?» Domandò ancora Renzo. «Aveva
detto ieri che sarebbe andato dalle parti del ponte, giù al mulino,
in cerca di misteriose scritte, antichi graffiti sulle pietre e di
una chiesa scomparsa, ma con la bufera di questa notte forse avrà
rimandato…»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Eugenia
smise di ramazzare le foglie sotto gli alberi, appoggiò la scopa a
un tronco e indicò la piscina:«Strano… guarda là, sul bordo,
sotto quei rami: c’è qualcosa che sembra proprio lo zaino
dell’archelogo, lo zaino rosso del signor Giancarlo. Mi sbaglio?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«L’avrà
dimenticato ieri sera…», rispose Renzo, continuando a intrecciare
il fil di ferro sul recinto squarciato.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Oh,
speriamo che si sia messo in tasca l’amuleto che gli avevo
preparato quando è partito. Andare alla ricerca di qualcosa
distrutto dal diavolo, come la chiesetta della leggenda, può essere
pericoloso».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Che
gli avevi confezionato, cara la mia streghetta?» Rise Renzo. «A
proposito di pacchetti, portami dei sacchi della spazzatura, ma di
quelli grandi e robusti, eh! Così li riempio di foglie, poi vado
all’isola ecologica a vuotarli». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Eugenia
annuì, ripensò alla bustina cucita contenente bacche di ginepro,
aghi di pino, aloe e sale che aveva consegnato al professore, ripetè
mentalmente la formula di guarigione “In nome del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo, io ti libero dalla testa ai piedi da chi vuole
farti del male, occhio, contr'occhio, mettiglielo all'occhio.
Schiatta il diavolo e crepa l'occhio”, poi sparì in casa. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>All'improvviso,
dal muretto, Luna cominciò ad abbaiare in direzione della piscina. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Calma,
bimba, calma…», la apostrofò Renzo, «la tempesta è finita e tu…
guarda… guarda come sei sporca! Ti sei rotolata nelle foglie,
vero?» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>La
cagnolona color caramello mugolò, scese dal muro e si avvicinò al
padrone. Poi si sedette, fissando la piscina e fiutando l’aria.
Intanto, un bel sole infuocato era comparso tra le nubi e tutto, da
ogni parte, aveva recuperato i colori dell’estate. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Eugenia
rispuntò allora sulla porta, con i sacchi dell’immondizia in mano
e, proprio in quel momento, Luna filò di corsa verso la vasca e
cominciò a ringhiare, girandosi verso il padrone. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Poi
si tuffò. Riemerse trascinando qualcosa afferrato con le zanne.
Renzo si avvicinò, lei mollò la presa e si tirò su dall’acqua. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Il
cadavere affiorò tra le foglie: galleggiava a testa in giù, a
braccia aperte come uno spaventapasseri. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Dio
mio…», mormorò Renzo, «un morto… un morto!» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>La
prima volta che era entrato in quella caverna, il professor Giancarlo
Guidotti era caduto in ginocchio di fronte a ciò che gli si era
parato davanti. Non credeva ai propri occhi. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Di
menir, pietre modellate a losanga, pietre altare, incavi di coppelle,
incisioni raffiguranti oggetti, animali, esseri umani, nella sua
attività di archeologo ne aveva incontrate a migliaia. Aveva trovato
anche piccole statuette dalla testa di luna, altre di donne
stilizzate, con grandi seni e glutei; aveva percorso canyon scavati
dai torrenti, con pareti a strapiombo sulle quali erano scolpite
enormi vulve; si era infilato in caverne dove, di nuovo, aveva
rinvenuto quel simbolo: la vulva, ben intagliata nella roccia e
abbastanza grande da permettere ad un uomo (o una donna?) di
sedercisi dentro. Mai, però, si era trovato davanti a qualcosa di
tanto grande, eccezionale, evocativo e misterioso.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>A
quella grotta era arrivato per caso, cercando una chiesetta dedicata
a Santa Maria Maddalena. Si era infilato nel bosco seguendo le
indicazioni di un vecchio pastore e i sentieri aperti dagli animali
selvatici nella vegetazione intricata, da decenni abbandonata a se
stessa. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Mentre
con la roncola cercava di tagliare un groviglio di vitalbe e rovi per
farsi strada, vide, più avanti, una signora piegata a raccogliere
qualcosa. Sembrava anziana, con i lunghi capelli grigi raccolti in
una treccia. Forse una del posto? Andar per funghi, da soli, in quei
luoghi, era comunque abbastanza imprudente. «Signora, signora!» La
chiamò. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Lei
alzò il capo, sorrise, poi si raddrizzò e lo salutò con la mano.
Il professore si rese conto, dai lineamenti e dal colore della pelle,
che la donna non era italiana, dunque pensò che potesse trattarsi di
una badante. Provò a chiederle: «Il ruscello… l’acqua… acqua,
sì… sa dov’è?» Lei sorrise di nuovo e gli indicò una sorta di
percorso tortuoso alla sua sinistra.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Seguendo
quel cenno, Giancarlo Guidotti era poi finito nel greto di un
ruscello semiasciutto e lo aveva percorso in direzione della
sorgente, scalando le cascatelle che incontrava, sempre attento ai
minimi segni di graffiti umani che avrebbe potuto rinvenire sulle
rocce.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Proprio
alla pieve di San Paolo, in Lunigiana, giorni prima, si era imbattuto
in qualcosa che, a prima vista, poteva sembrare soltanto un ammasso
di pietre. Invece no. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Era
stata Karin a intuirlo.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Fermati,
fermati! Guarda… aiutami a togliere questi rami… ecco, così.
Vedi? La vedi?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Una
losanga, ed è perfetta, enorme e perfetta!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Siamo
vicini, Giancky, siamo vicini al suo tempio. Tutto ciò è
meraviglioso», esclamò Karin, mentre si affannava a fotografare la
pietra da ogni lato. Era davvero una enorme losanga con un punto al
centro, una coppella, immagine della Dea Madre Gravida; era lì,
distesa a terra in un intrico di rovi, vitalbe e pruni selvatici. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«La
dea era adorata da queste parti e, guarda caso, qui a due passi c’è
una pieve millenaria», disse Giancarlo, «forse le idee di tua zia
Johanna su un collegamento tra le pievi matildiche, cioè tra Matilde
di Canossa e l’antico culto della dea non è così assurda». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Certo:
se in quel momento l’avessero ascoltato i suoi colleghi archeologi
“puri”, gli avrebbero dato del venditore di fumo, lo sapeva bene.
Tuttavia, nonostante le sue tesi apparissero troppo fantasiose per
chi si atteneva con fermezza ai soli esiti scientifici, Giancarlo era
convinto che la losanga, cioè il rombo schiacciato, fosse la
raffigurazione dell’organo sessuale femminile: l’origine della
vita, l’origine del mondo. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Non
lo so, Karin, forse già questo era un altare, un tempio. Se
riuscissimo a pulire e mettere in piedi le altre pietre, scommetti
che troveremmo altre losanghe? E quello? Quello non sembra un
menhir?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Ne
avevano trovate diverse di quelle pietre a losanga, le avevano
fotografate, avevano preso appunti, poi erano rientrati entusiasti al
bed and breakfast “Da nonna Eugenia”, in Garfagnana, dove li
aspettava Johanna, come sempre concentrata in qualche rito dedicato
alla dea, seduta a terra, al centro di un labirinto a forma di cuore
tracciato su un tappeto.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Non
è un labirinto», aveva spiegato lei, «vedete: rappresenta l’acqua,
i cerchi concentrici dell’acqua e la punta all’ingiù che dà
forma a un cuore è il simbolo del pube femminile. È la stessa della
“M”!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Giancarlo
aveva chiacchierato a lungo con lei e aveva poi deciso di partire da
solo, il giorno dopo, alla ricerca di una misteriosa chiesetta sui
monti, di cui tutti parlavano, ma che sembrava sparita, forse
distrutta dal diavolo. Ormai sapeva che, di solito, dietro, sotto e
intorno a quelle che sarebbero poi diventate sedi di culto cristiane,
c’erano state località consacrate a qualche divinità più antica,
il più delle volte femminile. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Stava,
dunque, risalendo il ruscello, inerpicandosi sulle rocce, quando,
tastando un masso, gli sembrò di percepire una forma. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Lontano,
udì degli spari, eppure, la stagione venatoria non era ancora
iniziata. Forse si trattava di caccia di selezione? O di un
bracconiere?</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Spero
che non mi scambino per un cinghiale…», brontolò tra sé. Cercò
nella tasca dei pantaloni il sacchettino che, la mattina, Eugenia gli
aveva consegnato e lo strinse forte. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Non
era la prima volta che una rosa di pallini o un pallettone lo
sfiorava e non ci teneva proprio ad essere abbattuto al posto di un
animale selvatico. Magari, la magia di Eugenia contro i malefici
funzionava! Si fermò, cercò di capire la distanza e la direzione
degli spari, poi ripulì la pietra cui si era assicurato.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Un
brivido gli attraversò la schiena, e non per la paura degli spari;
fu l’immagine in rilievo di una sirena bicaudata emersa dal muschio
e dal terriccio, grande quanto il palmo della sua mano, con tanto di
seni ben eretti che lo sbalordì. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Tutt’intorno,
i segni incisi di piccoli labirinti, zig zag, losanghe, e poi quel
simbolo particolare, la “M”, con la punta mediana breve e
all’ingiù: i simboli dell’acqua che scorre, della vulva, della
donna che dà la vita. “M”, il pube femminile, “M” la mamma,
la madre, la madonna…</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Eccoti,
piccola, ti ho trovata!» Sussurrò, mentre lisciava la scultura
sbalzata con le due code che parevano quelle dei serpenti - più che
dei pesci – tenute spalancate dalle mani a mostrare l’origine
della vita. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Eccoti,
mia bella Melusina… sei davvero bellissima». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">In
realtà, la creatura era mostruosa e appena abbozzata, tuttavia era
la conferma dell’intuizione che lo aveva condotto in quel bosco.
Altri spari, sempre più lontani; alzò allora il capo verso la cima
degli alberi, seguendo il tramestio di alcuni uccelli che s’erano
alzati in volo e, di nuovo, rabbrividì: «Non è possibile…»,
esclamò, vacillando e rischiando di cadere dalla piccola cascata,
«che ci fanno così tanti e tutti insieme?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>In
alto, sopra la sua testa, almeno una decina di lunghe serpi verdi
scivolavano tranquille sui tronchi e sui rami, allacciandosi e
sciogliendosi, ondeggiando come in una danza. Poi, quasi dando
ascolto a un comando, si addentrarono nella macchia, tutte in fila,
nella stessa direzione. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Gli
vennero in mente le chiacchiere del pastore che gli aveva segnalato
il percorso:</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Attento,
professore, stia molto attento in quei boschi, perché lì dentro c’è
il “motro botaio”, brutto, grande, con la testa grossa».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Cosa?
Di che parla?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«È
un serpente grosso che fischia, e quando fischia tutti i bisci nei
dintorni corrono da lui. Tutti quanti, anche mille. Dicono che
l’hanno visto verso quel fiume… quello dove nasce il Serchio. Ha
una corona da re in testa, dicono che ci sia un diamante al centro.
Dicono che incanta, che fa vedere delle illusioni. Dicono che è un
illusionista».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Per
caso ha pure le ali? Vola?» Rise Giancarlo.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Bravo!
E come fa a saperlo? Forse è un serpente, forse è un diavolo. C’è
anche a Castiglione, laggiù dal mulino, vicino al ponte. Che poi,
quello è proprio un ponte del diavolo, no?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Il
pastore se n’era andato con un ghigno divertito stampato in faccia,
bofonchiando tra sé che i mugnai erano sempre stati tutti furfanti e
per questo vivevano in combutta con Lucifero.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Intanto,
lì nel ruscello, Giancarlo ebbe la netta sensazione che quei
saettoni – serpenti innocui, per fortuna – volessero indicargli
una strada. E li seguì.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>La
grotta gli si parò davanti all’improvviso, subito dopo una frana
recente, come si intuiva dal colore intenso delle rocce e del
terriccio. Dietro al cumulo di materiale inerte si ergeva, infatti,
un costone roccioso, nascosto dalla vegetazione, dove si apriva una
cavità. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>L’ingresso
era intagliato a forma di losanga. I serpenti, nel frattempo, si
erano dileguati. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Giancarlo
si guardò intorno e poi entrò. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Ciò
che vide lo lasciò senza fiato. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Piegò
le ginocchia e restò così, come in estasi, mentre i rumori del
bosco sembravano amplificarsi da ogni parte, fino a diventare una
musica, un canto mistico, qualcosa di solenne, sovrumano, qualcosa
che era celestiale e infernale allo stesso tempo. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Johanna
Rolff era venuta in Italia per la prima volta a sedici anni,
accompagnata dal padre. Aveva percorso la penisola in lungo e in
largo e aveva visitato tutte le città d’arte; in particolare,
aveva dedicato molto tempo a quelle toscane. Affascinata, catturata
da tanta bellezza, dalle forme morbide del paesaggio e dalle
architetture dei centri abitati, in armonia con i colli, gli ulivi, i
cipressi, aveva deciso che, una volta adulta e libera di muoversi,
sarebbe tornata. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Fedele
a quel proposito giovanile, giunta alla pensione e abbandonato
l’insegnamento di storia dell’arte all’università, Johanna
lasciò Amsterdam e tornò in Italia, nella sua amata Toscana. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Fu
a Pitigliano che s’imbatté, per la prima volta, in uno strano
simbolo. Un flash back la riportò a quel suo viaggio con il padre,
ricordò il giardino rinascimentale di Bomarzo e la riconobbe: quella
sulla pietra era lei, la sirena a due code. In realtà, non sembrava
una creatura per metà donna e per metà pesce; le due code
somigliavano più alle estremità di due serpenti. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Eppure,
era proprio leì, così come era lei in un’antica pieve, vicino a
Pienza. E ancora a Sovana, su due tombe etrusche, e persino sul
duomo. Che voleva da un’anziana professoressa olandese, quella
strana creatura? Perché Johanna se la ritrovava ovunque tra i piedi?
E, soprattutto, chi era?</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Zia,
portami con te, la prossima volta», le aveva detto Karin, la nipote
archeologa, al suo ritorno in Olanda, «vorrei davvero indagare più
a fondo il mistero della dea sirena, vorrei capire che collegamento
c’è con la leggenda della Melusina. La conosci, vero, quella
storia?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Quella
cantata dai trovatori medioevali? Con un principe e una fata? Ne
avevo letto, sì…»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Proprio
quella, zia, dove una bellissima fata perse la testa per un uomo,
Raymondin. I due giovani si sposarono, però Melusina pose una
condizione: ogni sette giorni voleva restare sola. Pensa, zia: una
femmina che chiedeva di restare sola e libera…» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«In
effetti, fa riflettere. Poi, come andò? Non ricordo bene».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Andò
che ci si mise di mezzo quel ficcanaso del fratello di Raymondin che,
un sabato, notando l’assenza di Melusina, spinse il principe a
seguire la moglie. E sai? Semplicemente, scoprì che lei si lavava!
La vide fare il bagno, sola, in uno stagno!» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«L’acqua…
c’è sempre l’acqua di mezzo».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Certamente:
l’acqua e i serpenti. Infatti, ciò che sconvolse Raymondin fu
vedere una coda di serpente che spuntava dall’acqua». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«E
lui che fece? La uccise?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«No,
restarono insieme, però, poi, il figlio maggiore incendiò un
monastero, uccidendo tutti i monaci, allora Raymondin accusò la
moglie di aver corrotto il ragazzo con il suo spirito demoniaco e lei
se ne andò per sempre. Raymondin decise perciò di farsi monaco per
scontare il male fatto alla moglie».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Una
storia davvero piena di simboli riguardanti anche la condizione
femminile e i rapporti uomo donna. Poi ci sono i riferimenti ai
rapporti tra la Chiesa e le antiche religioni pagane… Grazie per
avermela ricordata. E sì: verrai con me in Italia, mia cara». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Johanna
Rolff si era dunque rimessa in viaggio con la nipote, dopo aver
prenotato nel solito bed and breakfast a Castiglione di Garfagnana. I
due padroni erano anziani, ma gentili e affidabili e lei, nonna
Eugenia, piccola, minuta, con grandi occhi azzurri, aveva conoscenze
che andavano dalla cura con le erbe a riti di guarigione quasi
magici. La professoressa non si azzardava ancora a chiederle dove
avesse appreso tutti quei segreti da sciamano ma, prima o poi,
l’avrebbe fatto, non poteva lasciarsi sfuggire una simile
occasione.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Intanto,
con Karin, si era recata a visitare la pieve di san Vito e Modesto, a
Corsignano, Pienza. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Sul
portale, i soliti, stupefacenti bassorilievi. Da un lato c’erano
due sirene – una delle quali bicaudata e l’altra provvista,
forse, di uno strumento musicale – e dall’altro due figure
femminili, mentre sui lati c’erano due serpenti.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Johanna
aveva pian piano scoperto che la narrazione del serpente tornava di
continuo nei racconti del folklore garfagnino. Proprio nonna Eugenia
le aveva raccontato la storia del “Marchiò di Petrognano”, un
importante avvocato dell’Ottocento il cui cadavere, alla morte, era
misteriosamente sparito. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Probabilmente,
Marchiò aveva l’anima dentro al corpo di due serpenti», aveva
riferito la donna, «due grossi bisci nutriti ogni giorno da un
contadino. Poi, però, una mattina lui si sentì male e mandò un
altro al suo posto. Il poveretto, invece, si spaventò e li ammazzò.
Be’, guarda caso, anche Marchiò morì. Lo misero in una cassa, ma
il cadavere sparì. Era stato il diavolo! Allora, riempirono la cassa
di sassi e di spini e la sotterrarono così!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Al
bed and breakfast, Johanna e Karin avevano incontrato un archeologo,
il professor Giancarlo Guidotti, anch’egli alla ricerca di
iscrizioni e figure incise sulle rocce ricollegabili alle antiche
religioni. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«I
segni che ci arrivano dalla preistoria hanno una valenza mondiale»,
aveva spiegato il professore, «è come se tutti i popoli del pianeta
fossero, da sempre, in collegamento».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«In
effetti, la sirena bicaudata è presente in tutte le civiltà del
pianeta», disse Johanna.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Certamente!
E vi ricordate il “fiore della vita”? Ecco: lo potete ritrovare
nel terzo millennio avanti Cristo in Egitto, o in un portale del
diciassettesimo secolo a Camporaghena, in Lunigiana. Così è per lo
“zig-zag”: è in Africa, in India, nelle tribù degli indiani
d’America come nelle civiltà andine». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Concordo.
Anche la cultura semitica, come gli Etruschi, considerava il serpente
come sacro. Divinità della vegetazione, guardia dei santuari e dei
confini, simbolo della vita. L’acheologia degli accademici, però,
direbbe che sono coincidenze, o sbaglio?» Domandò Karin.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Già,
e sai una cosa? Fra le bestemmie più usuali sulla bocca dei toscani,
c’era proprio “<i>dio serp.....</i>”. Vuoi la verità? La
verità è che relegare a meri simboli geometrici o coincidenze tutti
i segni, tutte le leggende, significa non averli compresi e nemmeno
essersi sforzati di farlo». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Con
il professor Guidotti, Johanna Rolff e Karin Van Comperen erano in
seguito salite nel Frignano, sull’Appennino modenese, dove una
infinità di “sassiscritti” avevano dato loro conferma di quanto
gli stessi segni e simboli comparissero sulle pietre in ogni zona del
mondo, dalle montagne italiane, alle Ande, ai deserti africani o
australiani. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">E
il serpente, o meglio: la dea serpente, la dea sirena, era fra
quelli.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Ma
fu a Roma che Johanna ebbe una vera e propria rivelazione a riguardo.
</span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Mentre
camminava nella basilica di San Pietro, s’imbatté nella tomba
della contessa Matilde di Canossa, opera di Lorenzo Bernini. In alto,
sul monumento funebre, un po’ defilato, ecco il bassorilievo di una
piccola sirena bicaudata. Da allora, la professoressa aveva girato
l’Italia inseguendo i misteri che legavano Matilde (e il popolo dei
Longobardi) alla sirena, alla dea madre, al culto delle fonti, delle
caverne, delle serpi e delle fate. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Era
partito al mattino, alla ricerca della chiesetta perduta, e ora era
quasi sera. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Fuori
dalla grotta s’era alzato un vento furioso che strapazzava il
bosco. Giancarlo sperò che si quietasse, invece le folate si
intensificarono, trasformandosi in violenti vortici d’aria che si
sfidavano, guerreggiavano, avvinghiandosi, respingendosi,
sollevandosi verso la cima degli alberi, in un caos che risucchiava
foglie, polvere e rami spezzati, per poi buttarli a terra con un
boato. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Provò
ad uscire, ma il vento sembrò convogliare tutte le sue forze su di
lui, travolgendolo con tale potenza da obbligarlo a una danza assurda
per mantenere l’equilibrio e non ruzzolare a terra. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Guardò
in alto e il cielo gli parve interamente grigio, formato da una sola,
sconfinata nuvola che offuscava il sole. Ora, il vento mugghiava tra
le cime degli alberi e la temperatura si era di colpo abbassata, come
se qualcuno avesse spalancato le porte del regno dei morti. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>L’aria
pungente colpiva a frustate nette, risolute, e l’unica scelta
possibile era restarsene al riparo nell’antro, aspettando che tutto
si placasse. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Infine,
il vento cessò di colpo e un tuono echeggiò da lontano, poi un
altro, e un altro ancora, in un susseguirsi di scoppi più forti e
ripetuti. Si fece buio, i lampi e i fulmini accompagnarono i tuoni,
mentre un rovescio di grandine con chicchi grossi come pesche si
scagliò sulla boscaglia. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Allora,
un fiotto di acqua fangosa precipitò dal costone di roccia sopra di
lui verso la frana, formando una cascata e trascinando con sé rami e
alberi sradicati, tanto da ostruire, in parte, l’uscita della
caverna.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Giancarlo,
ringraziò di essere al riparo e ancora tastò il pacchettino che
Eugenia gli aveva regalato: sì, quell’amuleto lo stava davvero
proteggendo. In mezzo al frastuono della tempesta, gli parve di
distinguere un tramestìo più vicino: forse un animale stava
tendando di spostare tralci e fronde per poter entrare. Si guardò
alle spalle e pensò di ritirarsi più a fondo nel cunicolo,
nascondendosi, perché non aveva voglia di trovarsi faccia a faccia
con un cinghiale impaurito, né con un lupo. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Diede
un’ultima occhiata al manufatto che gli troneggiava davanti – la
sua meravigliosa scoperta - si assicurò di aver salvato le foto che
aveva appena scattato con il cellulare e arretrò di qualche passo,
accucciandosi dietro le rocce.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Dio
com’era bella! Su un enorme trono di pietra, intagliata e scolpita
nello stesso blocco, una sirena bicaudata era seduta con una
conchiglia nella mano destra e un recipiente per l’acqua nella mano
sinistra. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Al
posto delle gambe, due code di serpente avvoltolate fino a terra. Il
volto, bellissimo e ben definito, aveva un’espressione oscura,
ambigua, e gli occhi, nel balenìo dei lampi, parevano lanciare
sguardi inquietanti. Sulle spalle, qualcosa che sembrava
l’attaccatura di due ali, tuttavia, nel buio, Giancarlo non era
riuscito a controllare.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>La
statua aveva la stessa collocazione della Madonna in trono di tante
opere d’arte, ma anche di Iside e di altre dee pagane. La cosa più
incredibile erano le collane di ossa e altri materiali che qualcuno
le aveva posto al collo: da più di mille anni, probabilmente, erano
rimaste lì, forse per la chiusura accidentale della grotta da parte
di una frana. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>E,
appesa a una delle collane, luccicava una sorta di grossa mandorla di
pietra, probabilmente di pirite. Sì, era fatta con un minerale che
inglobava cristalli e corpuscoli brillanti, pareva d’oro. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Il
professore sapeva bene che quella forma particolare, la mandorla,
come la losanga, era il simbolo della vulva, centro della vita.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Ancora
un rumore di foglie e rami spezzati, poi una figura si stagliò sul
varco, nel bagliore dei lampi. Era un uomo. E aveva un fucile in
spalla.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Il
cacciatore, deposta l’arma contro una parete, si tolse il cappuccio
del giaccone e si ripulì dalle foglie e dal fango. Poi la vide:«Ma
cos’è? Porco… ma… ma… cos’è?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Si
accostò alla sirena, ne sfiorò le estremità con le dita, si
soffermò sul volto, sui capelli, sui seni.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Giancarlo,
intanto, nascosto nel cunicolo, lo fissava e si chiedeva se uscire
allo scoperto o rimanere in attesa. Aveva appoggiato una mano a terra
e si era accorto che un rivolo d’acqua calda fuoriusciva nella
cavità. C’era pure qualcosa che lo innervosiva, un odore forse di
zolfo, di uova marce, un gas irritante. «Speriamo che non si sia
rotta qualche conduttura del metano», pensò, «anche se non credo
che le tubazioni passino da queste parti».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Il
cacciatore continuava ad accarezzare la statua, poi notò la mandorla
appesa a una delle collane.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Oro?
Sarà oro? Vacca d’un cane, se è oro, grossa com’è, ci compro
un altro fucile!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Fece
per staccare la mandorla, ma il laccio non cedette. Allora, tentò di
togliere l’intera collana passandola sopra al capo della sirena, ma
si aggrovigliò con le altre collane e cominciò a bestemmiare.
Chinato su quello che riteneva un gioiello, inciampò in qualcosa e
si accorse che, proprio di fianco alla statua, c’era uno
zaino: «Be’? E questo cosa ci fa qui?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Giancarlo
tremò, ma non si mosse, sperando che l’uomo non lo aprisse e che,
soprattutto, non si rendesse conto della sua presenza. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Nel
buio, il cacciatore tentò di esaminare l’interno della grotta,
usando la torcia del cellulare, ma non vide niente, a parte un
rigagnolo di acqua da cui si alzavano aliti di vapore.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«C’è
qualcuno?» Gridò, poi, non ottenendo risposta: «L’avrà
dimenticato Giuliano, il pastore. Questi posti li conosce solo lui…»,
e riprese a trafficare e a bestemmiare intorno alla statua.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">La
luce rossa del tramonto, adesso che la tempesta si era acquietata,
penetrò nell’antro, riversandosi sulla mandorla e provocando ancor
più l’incauto ladro. L’uomo estrasse un coltello e, infuriato,
provò a tagliare tutte le collane.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Giancarlo,
nel suo buco, non fiatava, anzi, faticava proprio a respirare per
quel forte odore di gas, mentre sentiva la testa farsi via via più
leggera. Distingueva anche una sorta di respiro lugubre, un sibilo di
cui non capiva l’origine, e vide che, a poco a poco, il rivolo
d’acqua calda si era fatto più copioso. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Ora,
bagnava le code della sirena. E le code si mossero.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Non
volle crederci, guardò meglio: davvero, si muovevano e, intanto,
anche le braccia sembravano oscillare.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Mostro
maledetto!», gridò il cacciatore, che si era sicuramente ferito.
«Torno con una mazza e ti faccio a pezzi!» Afferrò lo zaino e
iniziò, con quello, a percuotere la statua.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Fu
un attimo e, dalle spalle della dea, due ali spuntarono aprendosi,
nere e lugubri, poi si udì un grido, come di un’aquila o di un
falco, e le code della sirena si avvolsero intorno al corpo del
cacciatore, comprimendolo in una morsa letale. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Giancarlo
chiuse gli occhi, trattenne il fiato e strinse con tutte le sue forze
il pacchetto di nonna Eugenia:«Mio Dio… mio Dio… aiutami!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Quando,
un attimo dopo, li riaprì, vide che la creatura - la dea, la
Melusina – si stava alzando in volo oltre l’ingresso della
caverna con il malcapitato ladro - che aveva ancora nelle mani il suo
zaino - imprigionato tra le spire. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Il
grido di un’aquila risuonò nell’aria. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Melusina
si librò su in alto, nei cieli dorati del tramonto garfagnino.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;">
</p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">L’avevano
tirato su dalla piscina e avevano recintato tutta la scena con il
nastro bianco e rosso, in attesa della scientifica che avrebbe fatto
i rilevamenti. Poi, i volontari dell’ambulanza e i vigili del fuoco
se n’erano andati, lasciando i carabinieri a parlare con Eugenia,
Renzo e il pastore Giuliano, accorso in fretta e furia quando aveva
avvertito il suono inquietante delle sirene.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Johanna
e Karin, sedute a uno dei tavoli sotto il porticato, li osservavano,
chiaramente sconvolte, intanto che Luna, confusa, correva
all’impazzata mugolando. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Il
maresciallo l’accarezzò per calmarla, mentre cercava una matita
nel taschino: «Dunque, signor Suffredini, i suoi ospiti sono questi?»
</span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Renzo
annuì, ma intervenne Eugenia:«No, no, ne manca uno… Renzo, sai
che ho guardato in camera sua e il signor Giancarlo Guidotti non c’è?
Non ha dormito nel letto, dunque non è proprio rientrato». </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Si
tratta del professor Guidotti? Proprio di quel famoso archeologo?»
Domandò il maresciallo.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Certo,
proprio lui…», rispose Eugenia, «vede: quello è il suo zaino e,
pensi, giusto ieri mi aveva raccontato del suo progetto. Voleva
cercare i resti di una chiesa scomparsa, quella su, nei boschi…
quella portata via dal diavolo, dicono. Allora, gli avevo preparato
uno dei miei amuleti perché, sa, maresciallo, quando si va a
rimestare nelle attività del maligno è meglio proteggersi!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Vero,
vero», intervenne Giuliano, «anche a me aveva chiesto informazioni
e io gli avevo indicato un sentiero, uno di quelli usati dai
cacciatori… Infatti, maresciallo, ci metto la mano sul fuoco che
quel tipo morto ammazzato è un cacciatore: è malconcio, ma mi
sembra proprio di averlo riconosciuto!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Ah,
non si preoccupi, la vittima aveva i documenti, dunque non ci sono
difficoltà», disse l’ufficiale, «piuttosto: era di sicuro un
cacciatore di frodo, visto che la stagione è ancora chiusa. E poi,
dov’è finito il fucile?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Bel
problema! Ma, il bracconiere, non potrebbe essere stato attaccato da
un animale selvatico impallinato?» Domandò Giuliano.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Direi
di no… le ferite sembrano dovute a corde, è morto strozzato,
soffocato, una roba mai vista, sinceramente. Inoltre, non ci sono sue
tracce fuori dalla piscina, come se fosse stato trasportato qui dal
vento. Piuttosto: perché lo zaino del professore è qua? Mi
raccomando: non toccatelo!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Le
due donne, sotto al porticato, allo sguardo del maresciallo
annuirono, versandosi il caffè bollente che Eugenia aveva appena
preparato. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Johanna
era molto angosciata e cominciava a temere per la vita dell’amico;
addentrarsi nella boscaglia, incappare in una spaventosa tempesta e
passare la notte chissà dove, sui monti, senza nemmeno lo zaino con
le scorte era davvero pericoloso: «Karin, tu hai idea di dove sia
Giancarlo?» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Non
lo so, zia. So che aveva parlato con quel pastore… lui gli aveva
indicato un ruscello con dei “sassiscritti”… Però, non sarebbe
mai partito senza il suo bagaglio!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Il
maresciallo, con Luna a fianco, si diresse verso le due donne:«Mi
raccomando, signore, non lasciate Castiglione prima che sia conclusa
questa prima parte delle indagini. Potremmo aver bisogno di voi,
anche se a vostro carico non c’è niente. E ora vi lascio, sta
arrivando la scientifica e io devo rientrare al comando». Fu allora
che Luna si accostò allo zaino del professore, lo annusò a lungo,
cominciò a fiutare tutto intorno e poi partì di corsa, abbaiando
furiosamente.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Luna!Luna!
Dove vai, vieni qua!» Gridarono all’unisono Eugenia e Renzo, ma la
cagnolona era già sparita in direzione del ponte, giù, vicino al
mulino.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Ricomparve
dopo diverse ore, sul far della sera, quando la polizia scientifica,
terminato il suo compito, se n’era già andata. Non era sola. Con
lei c’era il professore.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Giancarlo!
Mio Dio, Giancarlo!» Gridò Karin, correndogli incontro e
buttandogli le braccia al collo:«Che hai fatto? Che ti è successo?
Ma sei ferito… chi ti ha medicato la mano?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Era
passata ormai una settimana dalla notte della tempesta e dal
ritrovamento del cadavere nella piscina dei Suffredini. I tre ospiti
del bed and breakfast erano stati interrogati dai carabinieri, ma non
era emerso nulla che potesse far pensare a un loro coinvolgimento
nell’omicidio. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Caduto
in una trappola dei bracconieri», disse Renzo, commentando le
notizie del telegiornale regionale, «ma voi ci credete? Strozzato
dalle corde di un laccio e poi portato fin qui dagli altri
bracconieri che erano con lui? E perché, poi?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Stavano
facendo colazione tutti insieme, Johanna, Karin, Giancarlo e il
padrone di casa, mentre Eugenia era andata a ritirare i panni stesi
la sera prima, così da poterli stirare ancora un po’ umidi.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Davvero
non ricordi niente?» Domandò Johanna al professore. «Non ricordi
nemmeno dov’eri quando hai perso conoscenza?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Niente,
vuoto assoluto», rispose lui, «mi sono svegliato nei pressi del
ruscello, mi sono messo in piedi e ho capito di non avere più lo
zaino con me. L’unica cosa che ricordo è l’immagine di una
sirena bicaudata trovata su una pietra mentre risalivo il corso
d’acqua e poi uno strano sapore amaro in bocca. E un odore, come di
gas. Forse, sarò caduto e avrò battuto la testa, anche se non ho
ematomi. Senz’altro, il cacciatore avrà trovato il mio borsone e
l’avrà portato con sé».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«La
busta magica che le ha dato Eugenia, allora, ha funzionato», disse
Renzo, «mia moglie non sbaglia mai con i suoi portafortuna!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Dunque,
ti avrebbe medicato una donna…», mormorò Karin, «ricordi
com’era? E come si chiamava?» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Il
professore osservò l’abrasione ormai cicatrizzata sulla mano,
probabilmente dovuta a una pietra tagliente:«Ora ce l’ho bene in
mente, sì: era anziana, con una lunga treccia bianca e… mio Dio!
Io, quella l’avevo già vista! Sì: mi aveva indicato il sentiero
per il ruscello. Una donna straniera, con lineamenti orientali… no,
non proprio orientali, sembrava… sembrava… »</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">In
quel momento, Eugenia arrivò con la cesta della biancheria. La posò
sul tavolo e ne estrasse una sorta di sciarpa bianca di cotone,
ricamata di rosso ai bordi.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«La
donna che ha incontrato, professore, non credo fosse orientale. Le ha
chiesto come si chiamava?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Certo,
gliel’ho chiesto, ma poi è arrivata Luna… mi sono confuso, lei è
sparita e io, ora, non mi ricordo più».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«È
questa la pezza che ha usato per fasciarla, vero?»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Mi
pare proprio di sì».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Vede,
professore: io sono brasiliana e Isadora era mia nonna, era india e
sapeva guarire come uno sciamano. Vede cosa c’è scritto qui, cosa
c’è ricamato? Guardi…»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Sulla
sciarpa bianca, in un angolo, rosso come il bordo, si leggeva
chiaramente un nome: “Isadora”.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br />
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Johanna
e Karin avevano deciso di ripartire per Amsterdam e anche Giancarlo
Guidotti stava riordinando tutto il materiale raccolto per poi
rientrare a casa. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Dopo
aver scaricato sul computer le immagini della macchina fotografica,
si ricordò di avere diversi scatti anche sul cellulare, soprattutto
del viaggio nel Frignano. Collegò gli apparecchi e aspettò.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Possiamo
salutarti?» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Johanna
e Karin entrarono nella stanza:«Pensavamo di andarcene nel
pomeriggio, ma dicono che il tempo peggiorerà, dunque meglio partire
subito».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">«Teniamoci
comunque in contatto e cerchiamo di scambiarci le informazioni»,
disse Johanna, «io so che la dea ci sta cercando perché vuole che
raccontiamo di lei al mondo».</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Vero»,
aggiunse Karin, «e a te, Giancarlo, lei si è rivelata per mezzo di
Isadora, la nonna di Eugenia. Sei un privilegiato!» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Risero
di cuore e si abbracciarono, quand’ecco che Johanna gridò:«Ma è
lei, è lei… là, nelle foto!»</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Sullo
schermo del computer, le anteprime di almeno una decina di istantanee
parevano riportare l’immagine di una sirena.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Giancarlo,
all’improvviso, ricordò tutto: la grotta, la creatura, il
cacciatore.</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>«Non
è possibile, non è possibile…» </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><span>Si
sedette e ingrandì le foto: seduta su una sorta di trono, con le due
code di serpente al posto delle gambe, una magnifica sirena bicaudata
lo osservava. </span>
</span></p>
<p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Aveva
occhi vivi, e sembrava sorridere.</span></p><p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></p><p class="western" style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><i>Ho scritto questo racconto pensando alla "Grotta del Tanaccio", zona Camaiore.</i></span></p><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><i>"È chiamato Trono del Papa, ma con la chiesa ha poco a che vedere, sebbene riporti l’incisione di una specie di croce. È la stalagmite scolpita a forma di sedile, che si trova all’interno della grotta del Tanaccio, sulle pendici del monte Gevoli, nelle Apuane, la cui origine è stata collocata verso la fine del neolitico. Uno dei molti luoghi densi di mistero e di magia custodito dalle montagne di marmo, che si trova a circa 800 metri sul livello del mare nel comune di Camaiore.</i></span><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><i><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWnvXa0eMJbuyK8trhvtaPYR0FRKEL0akYiEhyJW4olO7ldmZLoymq6cB-9WGStg2m9fssk1lL-Lb7ofj0OPZ2_A5rvfzsuo_xg__d0elXUpPEpXlJ1Ypo-pdwRlAgl6TmsaPVZ4j93RkTTbov3XKULmRDkuZttXvP4s8tCd5hjfemx6Rl4RwBwwYmrw/s800/sedile%20grotta.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="800" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWnvXa0eMJbuyK8trhvtaPYR0FRKEL0akYiEhyJW4olO7ldmZLoymq6cB-9WGStg2m9fssk1lL-Lb7ofj0OPZ2_A5rvfzsuo_xg__d0elXUpPEpXlJ1Ypo-pdwRlAgl6TmsaPVZ4j93RkTTbov3XKULmRDkuZttXvP4s8tCd5hjfemx6Rl4RwBwwYmrw/w400-h300/sedile%20grotta.jpg" width="400" /></a></div><br /><br />Il trono non è una creazione naturale dovuta all’erosione degli agenti atmosferici, ma è un vero e proprio manufatto preistorico e questo rende ancora più difficile la spiegazione del suo uso. La colonna di pietra, formata dal depositarsi millenario di gocce calcaree, si è innalzata dal pavimento della grotta del Tanaccio, che è stata sicuramente abitata da uomini primitivi perché resti di ossa risalenti al neolitico sono state rinvenute all’interno della cavità naturale larga circa 14 metri. A che serviva, dunque, il sedile? Nessuna delle diverse ipotesi avanzate dagli studiosi ha un riscontro effettivo di prove che la confermino. Tuttavia, alcune di queste, risultano particolarmente affascinanti. Il trono è rivolto verso l’entrata della grotta e ha una sorta di spalliera sulla quale c’è una incisione a forma di croce e una seduta concava che fa pensare più a un lavandino o a una vasca. Per questo motivo è stato ipotizzato che fosse una sorta di proto-sedia da parto, cioè che venisse usato dalle donne per partorire i neonati con l’aiuto dell’acqua raccolta nella cavità del sedile. Il trono si trova in un punto abbastanza riparato della grotta e questo ha permesso la formulazione di un’altra ipotesi secondo la quale che si tratterebbe, invece, di una specie di nido d’amore e di fecondità: il luogo in cui avvenivano i riti propiziatori che si esprimevano con rapporti sessuali tra i membri della comunità preistorica che abitava la grotta del Tanaccio. La stretta vicinanza tra la grotta del Tanaccio con quella dell’Onda e quella della Vulva, farebbe pensare che le tre cavità naturali fossero abitate dallo stesso gruppo di uomini – tracce risalenti alla preistoria sono state rinvenute in tutte e tre – che le usavano per scopi diversi. La grotta del Tanaccio per i riti della fecondità o per il culto lunare della Grande Madre riservato alle sole donne, quella della Vulva per i riti di passaggio all’età adulta, con i giovanetti che dovevano passarvi una notte esposti all’aggressione delle belve e la grotta dell’Onda dove, invece, avevano dimora".<br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /> <br /></i></span><br /></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-58838335745948005212023-11-30T16:51:00.001+01:002023-11-30T16:51:05.616+01:00UN SAGGIO SULLA POLITICA DI DE GASPERI - IL LIBRO DI GINO FONTANA<p> <table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDai073GpFXYzBCYI2uQlylQFPg6aMRZdg3cCAYXPZZn4oezvgwWE9XqTUkV6BydP2jwFhf1BG4_2UB-wN2qnkY51LeglAZnpePo4B_TiNWsPfSJwIoSksNEdfx_Y9CA-xte0T3ZQmfO-AKkclWOqm0ntZKs0LgndtRaTFUQqdD9u1GIrum6KG7nSZKQ/s500/gino4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="261" data-original-width="500" height="209" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDai073GpFXYzBCYI2uQlylQFPg6aMRZdg3cCAYXPZZn4oezvgwWE9XqTUkV6BydP2jwFhf1BG4_2UB-wN2qnkY51LeglAZnpePo4B_TiNWsPfSJwIoSksNEdfx_Y9CA-xte0T3ZQmfO-AKkclWOqm0ntZKs0LgndtRaTFUQqdD9u1GIrum6KG7nSZKQ/w400-h209/gino4.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Gino Fontana</td></tr></tbody></table></p><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><i>L’idea di una Europa federale come forte elemento ideologico nella politica estera del grande statista. “Mai dare per scontati la nostra democrazia, il nostro benessere sociale, la nostra pace”. <br /></i><br /> È uscito in libreria, per i tipi di “Consulta libri e progetti”, “De Gasperi e l’Europa unita”; l’intento è quello di aiutare a riscoprire il lascito dello statista e la distinzione fra i valori della vita religiosa e quelli dello Stato e delle leggi. Il volume deriva dalla tesi di laurea magistrale di Gino Fontana, classe 1993, nato tra i monti dell’Appennino reggiano. Abbiamo intervistato l’autore, chiedendogli di presentarci questo suo pregevole saggio. <br /><br /><b>Come mai, per la tua tesi, hai scelto una figura come quella di De Gasperi? E qual è stato il tuo percorso di studi che poi ti ha condotto a quella scelta? </b><br /> Mi sono laureato in triennale in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Forlì, e in magistrale a Parma in “Relazioni internazionali ed europee”. Ho poi frequentato il Master in Diplomacy presso l’ISPI di Milano (Istituto per gli studi di politica internazionale). La politica estera italiana mi ha sempre incuriosito, tanto che ho scritto diverse analisi per il centro studi Osservatorio Globalizzazione. La scelta di studiare la politica estera di De Gasperi è stata quasi naturale: parliamo di uno dei padri fondatori dell’integrazione europea, Ministro degli Esteri prima, poi Presidente del Consiglio dell’Italia che sorse dalle macerie della guerra e dalla dittatura. La sua opera politica e pensiero mi hanno sempre ispirato. <br /></span><br /><div><div style="text-align: start;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYtMUhR_9ZhQaeM9Iba6lFc21GBNnnyoSps9WZCPXwrZ4dpfwFzhA-EHuughkC94K6vmu7LhJSepFY4-tMYgbObDN_V0Cqm3wMLpAs5nbUMLd9nYgxJIjJKwF_gqQG1GA1HRVtqNcfHdPdAWEkJmziXght9Pe9mq8OZm4rjJAJE5NqZDEJhk3Tx1UYQQ/s2048/gino3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1442" data-original-width="2048" height="281" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYtMUhR_9ZhQaeM9Iba6lFc21GBNnnyoSps9WZCPXwrZ4dpfwFzhA-EHuughkC94K6vmu7LhJSepFY4-tMYgbObDN_V0Cqm3wMLpAs5nbUMLd9nYgxJIjJKwF_gqQG1GA1HRVtqNcfHdPdAWEkJmziXght9Pe9mq8OZm4rjJAJE5NqZDEJhk3Tx1UYQQ/w400-h281/gino3.jpg" width="400" /></a></div><div style="text-align: start;"><br /></div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><b>Come hai suddiviso il libro? Quale struttura e sequenza hai scelto? </b><br /> Il libro è suddiviso in tre capitoli, con la postfazione finale del professor Bruno Pierri che ora insegna a Forlì “Storia delle relazioni internazionali”. Per meglio comprendere le scelte di politica estera, ho scelto di analizzare tre tappe fondamentali del secondo dopoguerra: la prima comincia dal governo Badoglio, il ruolo giocato dagli aiuti internazionali americani e delle Nazioni Unite, arrivando sino alle prime elezioni democratiche, la nuova forma di governo e la Costituzione repubblicana. La seconda parte, invece, analizza gli sforzi profusi dai Paesi dell’Europa occidentale per arrivare a una vera e propria forma di integrazione militare. Infine, la terza parte del libro riguarda il primo vero traguardo dell’integrazione, ovvero la nascita della CECA, in cui De Gasperi ebbe un ruolo fondamentale. <br /><br /><b>Che politico fu, Alcide De Gasperi? Un restauratore? Un conservatore? Un moderato “creativo”, in un Paese devastato dalla guerra? </b><br /> È sempre difficile classificare i politici del passato secondo i canoni odierni. Studiando attentamente un personaggio storico, emergono sfumature a volte difficili da comprendere con gli strumenti attuali: vanno piuttosto analizzate secondo i valori dell’epoca in questione. Come scrivo nel libro, per De Gasperi non vi era contraddizione nell’essere simultaneamente un patriota italiano - quindi difensore degli interessi della nazione - un atlantista e un federalista. Se guardiamo all’Italia di inizio anni ’50 comprendiamo il perché di certe scelte.</span></div><div><span><a name='more'></a></span><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhXfXXZ0wUqACYN9Bb3I9obERojTUTwNYcfEb8lrwn52wkE-i-nZCYP_DXUjLBMILHrjyBdfJ7Igp0V5kE-DIhLpVNQDqtCaq_jh-sHuTEISqMuudLbdxcZ4TxKehyphenhyphenMaTEKmEtL9UmvkvgUVcvpS6Xm7VuAYYUTVtHc5eyK55EsEbR60LpMEhfe7l6_Jw/s2048/gino1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhXfXXZ0wUqACYN9Bb3I9obERojTUTwNYcfEb8lrwn52wkE-i-nZCYP_DXUjLBMILHrjyBdfJ7Igp0V5kE-DIhLpVNQDqtCaq_jh-sHuTEISqMuudLbdxcZ4TxKehyphenhyphenMaTEKmEtL9UmvkvgUVcvpS6Xm7VuAYYUTVtHc5eyK55EsEbR60LpMEhfe7l6_Jw/s320/gino1.jpg" width="240" /></a></div><div><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><b>Certo, fu un politico che si è sempre mosso consapevole delle condizioni imposte dal quadro internazionale e dalla divisione del mondo in due sfere di influenza... </b></span><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"> In quegli anni, vi fu un acceso dibattito, all’interno della Democrazia Cristiana, ma anche all’interno delle altre forze politiche - vedi PCI ecc… - sul ruolo e posizionamento dell’Italia nel quadro internazionale. Molti esponenti della DC, Dossetti in primis, si batterono a lungo per la neutralità dell’Italia. La preoccupazione di Dossetti, e di molti altri, era appunto la creazione di un ordine bipolare. In effetti, tra gli studiosi delle relazioni internazionali, vedi Mersheimer e Gilpin, vi è sempre stato un acceso dibattito su quale sia la natura “migliore”, intesa come più pacifica, dell’ordine internazionale. Per i sostenitori del bipolarismo, vi sono tre ragioni per cui i sistemi bipolari sono più stabili e pacifici e sono questi: per il minor numero di conflitti tra grandi potenze; è più facile gestire un sistema di deterrenza efficace; il rischio di errori di valutazione e incidenti è ridotto. Per i teorici dell’asimmetria di potere, invece, o del multipolarismo, l’equilibro di potenza genera insicurezza e porta alla guerra. Per avere la pace è necessaria la presenza di un attore egemone, mentre la fonte massima di instabilità dell’ordine internazionale è proprio il declino della potenza dominante. Tornando alla situazione italiana, il Paese, uscendo sconfitto dal secondo conflitto mondiale, si trovò sotto la sfera d’influenza statunitense ben prima degli accordi di Jalta.</span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhD_lEvKmQcAeHumOO4hK3hIvdB7LZ8nTlo3agchohyc4fqMbJAo-nIwzEXkimn8avqRaa3_hV2ryguyTAyUIHd5UmQrfEbt0NCzzGPmNHlCxflk28bS8mZhTQ1IO6RFkemXxvslm-vJUYwJ4KcklMmObe1QhD8Bay0Q1MSPydt9TRbVTjTQtklR0MQhQ/s2048/gino5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhD_lEvKmQcAeHumOO4hK3hIvdB7LZ8nTlo3agchohyc4fqMbJAo-nIwzEXkimn8avqRaa3_hV2ryguyTAyUIHd5UmQrfEbt0NCzzGPmNHlCxflk28bS8mZhTQ1IO6RFkemXxvslm-vJUYwJ4KcklMmObe1QhD8Bay0Q1MSPydt9TRbVTjTQtklR0MQhQ/w300-h400/gino5.jpg" width="300" /></a></div><div><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><b>Quale Europa sognava De Gasperi e quanto è lontana dalla realtà di oggi? L'Europa festeggia sé stessa il 9 maggio: cosa successe quel giorno, nel 1950? Cosa avevano in comune Konrad Adenauer e Robert Schuman con Alcide De Gasperi?</b></span><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"> « …L’Europe ne se fera pas d’un coup, ni dans une construction d’ensemble. Elle se fera par des réalisations concrètes créant d’abord une solidarité de fait…» Queste le parole del Ministro degli Affari Esteri francese Robert Schuman alla radio nel lontano 9 maggio 1950, che ammetto, ogni volta che le leggo o ascolto mi commuovono. Spesso sentiamo dire che Schuman, Adenauer e De Gasperi erano accomunati dal fatto che erano tutti democristiani, uomini di confine e parlavano tedesco. Questo è molto riduttivo. Torniamo alla dichiarazione. Quella dichiarazione era indirizzata alla Germania di Adenauer. Da parte francese vi erano ancora forti preoccupazioni sul futuro della Germania, cosa che tratto nel libro. L’ambizione francese, specialmente quella di De Gaulle, era di sottrarre la Francia dalla morsa delle grandi potenze, ma dovette scontrarsi con la dura realtà del secondo dopoguerra. Anche l’obiettivo di indebolimento della Germania dovette essere riconsiderato. Non fu facile per Schuman elaborare una politica estera di riconciliazione con la Germania che non provocasse qualche dubbio, o peggio, paura nell’opinione pubblica francese. Non veniva tollerata l’equiparazione della Germania agli altri Paesi europei. La decisiva svolta psicologica e politica nei confronti della Germania fu proprio il Piano Schuman, con il determinante contributo di Monnet. Il Piano Schuman, prevedeva di mettere insieme le due risorse necessarie alla ricostruzione industriale dei due Paesi: carbone e acciaio. Questo avrebbe permesso a Parigi di avere un certo controllo politico su Bonn, oltre che la possibilità di rendersi portavoce dell’intera Europa occidentale nei confronti degli Usa. De Gasperi, dal canto suo, capì l’importanza storica e l’opportunità di una tale dichiarazione e della possibilità per l’Italia di essere inserita come partner di rilievo nel quadro europeo. Notevolissimo fu il contributo politico di De Gasperi nei successivi negoziati per inserire nel trattato CECA la creazione di un’Assemblea Parlamentare europea, con il prezioso aiuto di Altiero Spinelli. L’Italia, insieme alla Francia, può vantare ben due padri fondatori. </span><br /><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><b>Quanto credi che De Gasperi sia stato poi volutamente ignorato nel mondo politico, quasi rimosso pure tra i cattolici? </b></span><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"> Rimanendo negli anni ’50, la destra cattolica era contraria a De Gasperi. In Vaticano, diversi pensavano che la DC fosse troppo debole nella lotta al comunismo in Italia, ma De Gasperi difese con convinzione l’operato del suo governo. Personalità come Gedda, il cardinale Ottaviani, mons. Montini, Tardini ecc... avrebbero preferito una svolta più a destra della Democrazia Cristiana. Sono noti gli attriti con Papa Pacelli, Pio XII, in particolare per la questione delle elezioni amministrative di Roma del 1952, dove si tentò un’alleanza con le destre, alla quale De Gasperi era molto contrario. Alla fine non se ne fece nulla. Al giorno d’oggi, come ogni grande statista, c’è chi lo osanna e chi lo detesta.</span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYu8qVgijI1c4n0jlmvAjM2fqxtjtRVSVdbwCbm8xml3FpIv0P9Da7ZaGcBKU2A80CESHxknycvy-_XbqIkBNnyA_dHjwTue_kvQzenJQ1GCFpfFqRuglY-WTB2rkCQPgmWhc6fTI4vqwuWNresf7dKcLsmJBxrGJ2-mRDZFrpMxa0vLMnkf6ZhPq_HQ/s1305/gino%206.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="919" data-original-width="1305" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYu8qVgijI1c4n0jlmvAjM2fqxtjtRVSVdbwCbm8xml3FpIv0P9Da7ZaGcBKU2A80CESHxknycvy-_XbqIkBNnyA_dHjwTue_kvQzenJQ1GCFpfFqRuglY-WTB2rkCQPgmWhc6fTI4vqwuWNresf7dKcLsmJBxrGJ2-mRDZFrpMxa0vLMnkf6ZhPq_HQ/s320/gino%206.jpg" width="320" /></a></div><div><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Prendo dalla quarta di copertina: “Federalismo, democrazia, stato di diritto e rifiuto di ogni ideologia totalitaria”: in cosa abbiamo fallito e quanto è ancora attuale il pensiero di De Gasperi? </span><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"> Non so se il termine fallito sia corretto. Democrazia, stato di diritto, rifiuto di ogni ideologia totalitaria sono ben impressi nella nostra Costituzione, e guai a dimenticare il ruolo importantissimo giocato dai politici reggiani dell’epoca. Federalismo? Ahimè, come spiego bene nel libro, si decise per la via funzionalista, piuttosto che federalista o confederalista. Tornando al giorno d’oggi, la mia impressione è che si tenda a criticare negativamente la nostra democrazia e a giustificare inutilmente il periodo del ventennio fascista. Vorrei che non dessimo per scontati la nostra democrazia, il nostro benessere sociale, la nostra pace, quando alle porte dell’Europa si sta consumando una guerra. Sicuramente rimane ancora molto da fare. C’è sempre qualcosa da imparare da personaggi illustri come De Gasperi, ma non solo: vedi Dossetti, Einaudi, Saragat, Nenni, Togliatti, Di Vittorio… l’elenco potrebbe non finire più. </span><br /><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br />normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-76519532120335481532023-11-28T22:17:00.006+01:002023-11-28T22:17:59.749+01:00IN UN LIBRO: GALLINE IN CITTÀ - LE CRONACHE DI ILDE DAL SUO POLLAIO<p> </p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><i> </i></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><i><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCd8UDZYEF-4WstER4yN-X4UgRnFgbbaaKZIdy6CFVrb3IYiASCMZ9ElK8abb0faYjFjHlDiNr4YbHXIH34Qk0PP3C8jSPlPSj7Eh2mzDRgoaIiheWqJ3GPM3Fw4WUkelkZVnFRzrTaTmnIJocJOWvJZye5mNYoHPZnoN413JRQUjJuKbyuYELsm867Q/s600/libro_Ilde.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="450" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCd8UDZYEF-4WstER4yN-X4UgRnFgbbaaKZIdy6CFVrb3IYiASCMZ9ElK8abb0faYjFjHlDiNr4YbHXIH34Qk0PP3C8jSPlPSj7Eh2mzDRgoaIiheWqJ3GPM3Fw4WUkelkZVnFRzrTaTmnIJocJOWvJZye5mNYoHPZnoN413JRQUjJuKbyuYELsm867Q/w300-h400/libro_Ilde.jpg" width="300" /></a></i></div><i><br /></i><p></p><span style="font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><i>Corredate da meravigliosi acquerelli, ecco le vicende di cinque galline abilmente raccontate dall’autrice</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Diceva Italo Calvino a proposito dello scrittore Luigi Malerba - uno dei migliori e più apprezzati autori italiani del secondo Novecento – che osservare le galline voleva dire esplorare l’animo umano nei suoi inesauribili “aspetti gallinacei”. Malerba aveva pubblicato “Le galline pensierose”, storielle collocabili tra l’umorismo surreale e gli apologhi zen.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9T9DLVPZVg0QWOsCpYHNwiQXfg6ZAh98VVpwduOdbvEO1ZdJrV5HmEeTp3AScX2PB8dk6oW6pbcJlrTZdxLgmd8OjmJrB3nAiZ_fWOKxYwXWWeY87bZ-OIRCKhl1DmCLmN-EBdPIc4uq84v0-W5B-Lsn5txX-g4L_gM96pesOLp-oOej7F6mk0KRBxQ/s2048/Libro_Ilde2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9T9DLVPZVg0QWOsCpYHNwiQXfg6ZAh98VVpwduOdbvEO1ZdJrV5HmEeTp3AScX2PB8dk6oW6pbcJlrTZdxLgmd8OjmJrB3nAiZ_fWOKxYwXWWeY87bZ-OIRCKhl1DmCLmN-EBdPIc4uq84v0-W5B-Lsn5txX-g4L_gM96pesOLp-oOej7F6mk0KRBxQ/w300-h400/Libro_Ilde2.jpg" width="300" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">I racconti di Ilde Rosati, invece, nel suo “Cronache dal pollaio”, Edizioni Cdl, riflettono più che altro l’atteggiamento dei nostri nonni nei confronti dei loro animali: cura, affetto, volontà di comprenderne il carattere e le particolarità individuali. I vecchi di un tempo con gli animali parlavano e, in genere, li “battezzavano” tutti con un nome proprio, che fossero le vacche nella stalla, le galline o il maiale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Erano, dunque, come i cani o i gatti, anche animali da compagnia, non soltanto fonte di cibo o di reddito. Dice Ilde: “Credo di essere, nel mio profondo, un po’ contadina come i miei nonni che mi hanno ispirato l’amore per il verde e gli animali da cortile”.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1O6o3BuS2LUF6GFrsOQrrWQyuxSUsuzCcdsu7ToU1p_FpwNW-NrRpCl8piyxPVsjJ0t8344R8akMjOoHxOnpMLhKMunqHvUU_bXPyRFshrNzO1h1488t1RDn12GrEsnsNDCpalS4jt01P4fqxPxLjiMpLlE4GWPOlF69Kp0Z_mWXpulkeQPqXZNneAw/s720/Ariolo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="720" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1O6o3BuS2LUF6GFrsOQrrWQyuxSUsuzCcdsu7ToU1p_FpwNW-NrRpCl8piyxPVsjJ0t8344R8akMjOoHxOnpMLhKMunqHvUU_bXPyRFshrNzO1h1488t1RDn12GrEsnsNDCpalS4jt01P4fqxPxLjiMpLlE4GWPOlF69Kp0Z_mWXpulkeQPqXZNneAw/w400-h300/Ariolo.jpg" width="400" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;">Nel testo, oltre alle festose, vive illustrazioni delle sue galline, c’è un acquerello con un paesaggio. “È la casa della mia nonna, dove da piccola ho ricevuto tanto affetto, perché i nonni questo sanno fare. Quanta nostalgia mi prende quando il mondo è in tumulto! Quanta pace e serenità gli anni vissuti là in fondo vicino al Tassobbio, nella casa isolata tra il verde. Ricordo, e lo sento ancora, l'odore delle prime gocce di pioggia sulla terra della strada e del cortile, il lezzo della stalla, il profumo del fieno ove io, incurante degli insetti, facevo capriole, l'odore inebriante della cantina, le vinacce d'ottobre, il profumo del pane che, infaticabile, la nonna cuoceva nel forno a legna. E poi l'acqua del Tassobbio che cantava, discreta, tra i sassi levigati e formava piccoli gorghi ove potevo osservare rane, lucertole e biscioline d'acqua. Ero sempre con i piedi nell'acqua, mi bagnavo la gonna fino alla vita per fare sbarramenti con i sassi nell'intento di imprigionare l'acqua, o statuine con la melma grigia che poi il sole spezzava. Quanto amo quel silenzio immerso nel frusciare del vento tra le querciole e i salici, i passeri, le cornacchie e le bellissime galline della mia nonna! Ecco, la casa della mia nonna che guarda da sempre il castello di Leguigno, eccola sola e abbandonata. L’ho disegnata con le finestre aperte, come quando c'ero anch’io”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFXc8qJuUKj6oc6SgvYTgmy_BKDyIxCxb3jQr9c19P8oVHfCtrPDeM3palm4oG8wE6uH_wISnRSyFI4yk06pIxE-wv4olozOLrDqJcPDy5cLlRPuKgW723JGVismDCMkeUPPj0sCWiJpB6sUQguW_09U3LE4UNr2js4iaMzb9_AqiKOx4MX9dAGlZRPQ/s1080/Tassobbio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1080" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFXc8qJuUKj6oc6SgvYTgmy_BKDyIxCxb3jQr9c19P8oVHfCtrPDeM3palm4oG8wE6uH_wISnRSyFI4yk06pIxE-wv4olozOLrDqJcPDy5cLlRPuKgW723JGVismDCMkeUPPj0sCWiJpB6sUQguW_09U3LE4UNr2js4iaMzb9_AqiKOx4MX9dAGlZRPQ/w400-h400/Tassobbio.jpg" width="400" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il mondo è ora in tumulto per due guerre a noi vicine, ma lo è stato in ugual modo per tre anni, a causa della pandemia con i suoi divieti, chiusure, perdite improvvise di amici, concittadini o parenti. È in quel durissimo periodo che Ilde ha trovato conforto nelle sue galline: Caterina, Geltrude, Ginfrina, Marylin e Pavarotta, liberate in uno spazio verde del giardino di casa sua, a Reggio. Certo, Ilde ricorda che il vuoto lasciato dalla perdita del suo adorato nipote niente e nessuno potrà mai colmarlo, ma le sue “co-co” (così le chiama), le hanno fatto tanta compagnia. E hanno prodotto anche le uova! Per le sue galline, Ilde preparava pasti succulenti e con ingredienti sempre diversi, andando incontro ai loro gusti. Di loro, annotava quasi giornalmente, sui social, le vicissitudini, i caratteri, le stramberie. Come la Ginfrina che, quando un elettricista era dovuto intervenire sulla pompa del giardino, si era data da fare per controllare i lavori, proprio come un “umarel”: “La Ginfrina sentendo la voce di mio marito in cortile si è avvicinata alla rete che separa il prato dal cortile e per tutto il tempo della ‘lavorazione pompa’ è rimasta a guardare cosa stavano facendo. Senza alcuna distrazione, e sempre guardando in direzione dell'elettricista e di mio marito, ha contribuito al lavoro facendo ogni tanto un timido co-co-co”.</div><div style="text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWk54YHQHohmf0N_6I3zAB-o_KH7wL1keEuEKhcJ9FuzAfGqZxjrnqgzBab_zvIcbU7_dzWUlaoc24THDNwpoGzx8HwLJ1pvuI8rNjUqRcHV0jDJ2F-yjoHkONFK4dWvFrSv0CKIax1_vU68llfofuQzQmB2JKIpvmVJy1UuTWssEOjk-JPuzUbXsxOA/s480/Ilde.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="320" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWk54YHQHohmf0N_6I3zAB-o_KH7wL1keEuEKhcJ9FuzAfGqZxjrnqgzBab_zvIcbU7_dzWUlaoc24THDNwpoGzx8HwLJ1pvuI8rNjUqRcHV0jDJ2F-yjoHkONFK4dWvFrSv0CKIax1_vU68llfofuQzQmB2JKIpvmVJy1UuTWssEOjk-JPuzUbXsxOA/w266-h400/Ilde.jpg" width="266" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Ilde Rosati che racconta favole</td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;">Insomma: “Cronache dal pollaio” narra l’allevamento delle galline visto da un altro punto di vista: quello di una mamma chioccia umana; il suo approccio a questi animali è riguardoso attento, in quanto li percepisce magnifici esseri viventi dotati di un loro carattere e di una loro propria personalità. La collaborazione, l’amicizia, l’affetto, l’interazione tra l’autrice e le sue “co-co” percorrono le pagine e si rivelano anche nelle belle illustrazioni. Senza tutto questo e senza la sua anima contadina non sarebbe stato possibile l’inserimento del piccolo pollaio di Ilde in un centro urbano, sia pure in un giardino privato. L’esplorazione quotidiana del comportamento delle galline, la contentezza e la riconoscenza per le uova offerte, l’allegria del loro svolazzare e il modo comico con cui “fanno covino” e si lasciano carezzare, sono istanti narrati in modo piacevole, ma che induce a riflettere. La vita con le galline - a cui, non a caso, si è dato un nome - riavvicina forse alla nostra vera natura e risulta più tranquilla, perché rispetta ritmi ancestrali e immutabili. In fondo, quando la vicinanza uomo-animale diventa quella di Ilde con le sue “co-co”, cadono molti di quegli ostacoli e pregiudizi che spesso abbiamo, pur non riconoscendoli.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Gli animali, galline comprese, sono semplicemente vita allo stato puro, senza filtri. Non sono umani, ma conoscono la paura, il sogno, l’attaccamento, la gioia. Quando Ilde si è dovuta trasferire, le ha traslocate nel giardino di un’amica: “Sono venuta via con il cuore grosso, confuso tra la tristezza e la nostalgia dei giorni passati…”</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Un libro versatile, questo, adatto ai grandi e ai bambini. Un libro che si presterebbe a essere letto nelle scuole e che, a detta dell’editore: “...può regalare a chiunque un momento di tenerezza e di dolcezza davvero utile nel caos della vita quotidiana di oggi”.</div></span><span><!--more--></span><span><!--more--></span>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-21532211790564387162023-11-27T20:23:00.002+01:002023-11-27T20:23:22.073+01:00“FROLE E BAGGI”, LE POESIE DI RALFO MONTI IN LIBRERIA - UNA NUOVA EDIZIONE DI “ALTE VOCI” <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicfuMxjOEzpL-y-z_eFN1h9ZowcOpLUBwdFumRyBPDud_nYyzbWEH70tfOMloxRrhlKm3LIduqLT6zOJr2b68-IKnQclo8yaImfj0P3BSjEVrxW0RSh14sjZcjanG_-hKRhDFhyphenhyphendVzdyv5KPlbwmxREjoGvNlp8oPT7gQxhNBuxVcKwGQQHPRnMLyXZQ/s719/frole.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="719" data-original-width="500" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicfuMxjOEzpL-y-z_eFN1h9ZowcOpLUBwdFumRyBPDud_nYyzbWEH70tfOMloxRrhlKm3LIduqLT6zOJr2b68-IKnQclo8yaImfj0P3BSjEVrxW0RSh14sjZcjanG_-hKRhDFhyphenhyphendVzdyv5KPlbwmxREjoGvNlp8oPT7gQxhNBuxVcKwGQQHPRnMLyXZQ/w279-h400/frole.jpg" width="279" /></a></div><br /><p><i style="font-family: georgia; font-size: large;">Il poeta dipinge, con affetto, ironia e tenerezza, una realtà umile, scomoda: quella dei monti, dei piccoli borghi (Civago e dintorni), della più varia umanità. A quarant’anni dalla scomparsa, un omaggio al cantore del crinale</i></p><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /><br />Sono come tracce sulla neve, quando dopo una nevicata, se non si usava la pala, le impronte poi ghiacciavano, formando essenziali passaggi tra le case, le stalle, i pollai. <br /><br />Sono come macchie di colore, squarci nei quali si insinuano immagini lontane. Sono le poesie di Ralfo Monti, bella voce di Civago, per fortuna ancora presente nella memoria collettiva. <br /><br />Un poeta montanaro, tuttavia marinaio, dato che i montanari si son sempre dovuti spostare al piano, al mare, perfino al di là dell’oceano; “nomadi” per bisogno ma anche perché, dall’alto dei monti, l’orizzonte si allarga e appare più vasto, e affascina: chiama all’avventura. <br /><br />Raccolte, finalmente, in una pubblicazione di “Consulta libri e progetti” - dall’elegante veste grafica di Elisa Pellacani – le poesie sono ora nelle librerie con il titolo “Frole e baggi”. <br /><br />La selezione, la sequenza e la revisione dei testi sono state curate da Lino Paini e Paola Ranzani, mentre le note introduttive e la postfazione sono di Benedetto Valdesalici, dello stesso Paini, e di Emanuele Ferrari. <br /><br />“Frole e baggi” sarebbero le fragole e i mirtilli e viene dai versi dedicati apertura della strada Civago – Piandelagotti. È un testo in cui, con impudente ironia e, soprattutto, con sarcasmo beffardo, il poeta dipinge l’evento, non trascurando qualche frecciatina diretta ai politici e agli amministratori. <br /><br />Questa la conclusione: “La strada!/ Non vi dico che vantaggi!/Andremo in vespa fino in Garfagnana,/spediremo col camion frole e baggi/e le greggi di pecore in Toscana/e in autunno la bella cameriera/a servizio, d'accordo, ma in corriera!” <br /><br /> La poetica di Ralfo ha tanto della pittura; a volte è impressionista, con la capacità di recuperare immagini parziali, collegando, nello stesso momento, più fatti e sensazioni. <br /><br /> È colta, come quella del Pascoli, soprattutto nei sonetti: “Là dove il cielo al mare si confonde/di rosea luce si dipinge a sera./È l’ora in cui mia madre si nasconde/il volto in seno e dice una preghiera./Triste una lieve nenia si diffonde/forse è il mare che bacia la scogliera/O forse è il pianto abbandonato all’onde/di donna che pel figlio suo dispera.”</span><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_P6YEzeBOgdHQ03op79zmBdvpakroQXanvKsfNNaulRKzwYNZ4PF54c9pWvKZN-GjBegV1uczcz7fzcuGzWGtympoNn9KKaFMUlvZyAc1Xt3iKmZNYWgdjx7ZDf9kq-yWn2b6AnD_syvepvMkg37L69_s2DsHDGx_je02_I_gIYW1q9fnHcOk0zL1hA/s268/ralfo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="268" data-original-width="188" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_P6YEzeBOgdHQ03op79zmBdvpakroQXanvKsfNNaulRKzwYNZ4PF54c9pWvKZN-GjBegV1uczcz7fzcuGzWGtympoNn9KKaFMUlvZyAc1Xt3iKmZNYWgdjx7ZDf9kq-yWn2b6AnD_syvepvMkg37L69_s2DsHDGx_je02_I_gIYW1q9fnHcOk0zL1hA/w281-h400/ralfo.jpg" width="281" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Ralfo Monti</td></tr></tbody></table><br /><br /> L’influsso dei due anni di studi nel Seminario Vescovile di Reggio Emilia è indubbio. La poesia di Ralfo non è naif, non è ordinaria; la padronanza, da parte del poeta, delle forme metriche della poesia lirica e della poesia narrativa emerge chiaramente. Forse perché in seminario si studiava latino fin da subito, insieme alle altre discipline? Il latino, infatti, con la sua complessa sintassi, affina e potenzia le capacità linguistiche dell’italiano. <br /><br /> Erano tempi in cui, per accedere alle medie del seminario, si doveva sostenere un difficile esame di ammissione dopo le elementari; la quinta non era obbligatoria, quindi il piccolo Monti l’avrà frequentata “in più” proprio per continuare gli studi e perché era un ottimo allievo. <br /><br /> Colto, dunque, ma spontaneo, genuino. In altre rime, come facevano i macchiaioli, Ralfo dipinge una realtà umile, scomoda, non certo da mondo intellettuale. È quella dei monti, dei boschi, dei piccoli borghi (Civago e dintorni), delle campagne, della più varia umanità, sempre guardati, comunque, con implicita tenerezza. <br /><br /> Anche con “malinconia”, nell’accezione di nostalgico rimpianto e desiderio irrealizzabile che questo termine assume dalle nostre parti: “e sogno le tranquille ore passate/in casa tua, fra un litro di buon vino/e una padella colma di bruciate./Vedo Graziella intorno al lavandino/fra piatti ed acqua fresca dei miei monti,/Silvio è in lettura, scherza Edda con Lino.”</span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9R9udgk1KgGKPPfMDa2-cjFmHeN4nbyUOzrGTJdHQX6tn5dTw6YVfrImzve5WRMNzzxA3VyZRDSE2wgA4Pkr2oDV5ocmIj3X2F2Ar2brTTSpYcpxnNrMhtVE8R4MZJ9S-jFGp2GAxFMNIrPOR4jLjbk8nPiLAAa2LWeScSM8fOAU181qTDbFFA2ciCg/s640/CIVAGO-Reggio-Emilia.webp" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="441" data-original-width="640" height="276" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9R9udgk1KgGKPPfMDa2-cjFmHeN4nbyUOzrGTJdHQX6tn5dTw6YVfrImzve5WRMNzzxA3VyZRDSE2wgA4Pkr2oDV5ocmIj3X2F2Ar2brTTSpYcpxnNrMhtVE8R4MZJ9S-jFGp2GAxFMNIrPOR4jLjbk8nPiLAAa2LWeScSM8fOAU181qTDbFFA2ciCg/w400-h276/CIVAGO-Reggio-Emilia.webp" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Civago in una vecchia foto</td></tr></tbody></table><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /> E poi c’è l’ottava rima, che Ralfo usa in più componimenti, costituita da strofe in endecasillabi, sei in rima alternata e le ultime due che terminano con lo stesso suffisso. <br /><br /> La stanza, o ottava, ebbe grande successo sia tra i poeti letterati sia tra i poeti privi di istruzione.<span><a name='more'></a></span> <br /><br /> È sempre stata trasversale al mondo “colto” e al mondo “popolare”: la usò Boccaccio, ma la ritroviamo nell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. L’ottava è utilizzata anche nelle “Stanze per la giostra” di Poliziano. <br /><br /> È giocosa e arguta, la poesia in ottava in cui Ralfo Monti descrive una villeggiante bolognese che tenta di allontanare un vecchio rognoso cane dalla sua preziosa cagnetta: “Quella signora bionda che d'estate/viene in villeggiatura da Bologna/tutte le furie in corpo ha scatenate/e rossa in viso e piena di vergogna/strilla e cerca di prendere a sassate/un vecchio can bastardo con la rogna/frustandolo col guinzaglietto rotto/dalla cagnetta che gli sta di sotto.” <br /><br /> Alcune poesie, invece, sono in sestine, quartine, terzine, verso libero, sempre con lo stesso stile disinvolto e in bella commistione fra cultura alta e popolare. D’altra parte, già ai tempi di Dante – e anche in seguito - la Divina Commedia era stata studiata dagli eruditi e, al contempo, recitata a memoria dal popolino. Anche dai pastori.</span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9j__DcMIpZO1FpF0dX9PpH1bu-yryfjQLI0oQ0iuP-sDfD_DEjb3XvxUaSVwEV6uVBhup-ZSzIdMf6pM-TC3WV4DDNgaNmEcqPvX-mBaaGZM8zUpwrs5BukgLHV9uDHMPi23Y5gupKnJFUvAj7O6svZQkQXpKaxYnQZ7YOgYPlrDyNMorWTTM0SSJHQ/s500/beatrice_pian_degli_ontani_2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="333" data-original-width="500" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9j__DcMIpZO1FpF0dX9PpH1bu-yryfjQLI0oQ0iuP-sDfD_DEjb3XvxUaSVwEV6uVBhup-ZSzIdMf6pM-TC3WV4DDNgaNmEcqPvX-mBaaGZM8zUpwrs5BukgLHV9uDHMPi23Y5gupKnJFUvAj7O6svZQkQXpKaxYnQZ7YOgYPlrDyNMorWTTM0SSJHQ/w400-h266/beatrice_pian_degli_ontani_2.jpg" width="400" /></a></div><div><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"> Proprio dalle parti di Pàvana, il paese di Francesco Guccini, nell’Appennino pistoiese, proveniva la pastora analfabeta Beatrice Bugelli, conosciuta come Beatrice di Pian degli Ontani: la più grande poetessa-cantante dell’ottava rima di tutto il 1800, diventata celebre dopo che Niccolò Tommaseo l’aveva scoperta sui monti nel 1832. Un tempo, quando né radio, né televisione, né internet esistevano, le piazze dei paesi e le aie, in estate, e le case o le stalle, in inverno, erano luoghi d’incontro, dove bambini, giovani e anziani, tutti insieme, si davano al ricordo, al canto e al racconto. Nel mondo tradizionale, l’arte del cantare improvvisando, del poetare, ha consentito anche a persone poco istruite - o analfabete - di esprimersi e ritagliarsi un proprio spazio creativo, riconoscibile e riconosciuto.</span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgYeTiQi91KMZkQAplbSXftpGAk00uZmEOeh6Hsza8OelOVyYwDSAiO2V6UzcuwWuRZYpUYpzXTInoE0HxAHrL1xntAv2DD0CiueZXdA-CpA8ZJgHr3KgfKXOL8RWXbbkbSVj39UBW35rl9y6b29oCGEpFeLF5BFYbPkM161QhOKqZJNW2Wx3wQgZ89w/s480/poeta%20pastora.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="480" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgYeTiQi91KMZkQAplbSXftpGAk00uZmEOeh6Hsza8OelOVyYwDSAiO2V6UzcuwWuRZYpUYpzXTInoE0HxAHrL1xntAv2DD0CiueZXdA-CpA8ZJgHr3KgfKXOL8RWXbbkbSVj39UBW35rl9y6b29oCGEpFeLF5BFYbPkM161QhOKqZJNW2Wx3wQgZ89w/w400-h300/poeta%20pastora.jpeg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Beatrice Bugelli</td></tr></tbody></table><br /></span><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Dice Lino Paini nella sua introduzione: “Ralfo guarda il suo paese da un osservatorio privilegiato, le navi mercantili su cui ha solcato i mari di mezzo mondo. In calce a molte poesie, Ralfo si premura di indicare il mare che stava solcando in quel momento: non a caso, sono proprio le poesie che più di altre lo avvicinano al paese, agli amici, alla mamma.” </span><br /><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"> Ralfo Monti morì a soli 58 anni, il 27 aprile 1983. Era tornato a Civago dopo essere andato in pensione, e questo solo due anni prima. Di certo, non aveva “risparmiato il fiato”, come dovrebbero fare i montanari. </span><br /><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"> Nella sua poesia “Cos’è”, Ralfo risponde alla levatrice che, davanti a un neonato (suo figlio?), dipinge i montanari come molto arretrati, tanto da non riuscire a piangere alla nascita: “In pianura s'immagini/che perfino i neonati/acutamente strillano/in segno di protesta/mentre qui appena frignano/e chinano la testa./Il montanaro è semplice/e forse più educato..."/ "Nooo... si risparmia il fiato.” </span><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><br />
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-35987702377513312662023-11-27T20:06:00.005+01:002023-11-27T20:23:57.613+01:00«HER – STORY», IL SECONDO SAGGIO DI ANNA LOMBARDI - LUCCA/PREMIO TRALERIGHE STORIA<p><br /></p><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbbxRLslQ-ZqeFp7LAHOR7NpUG94KZQl9h7Opga4W-DgIl-QvuVluMLkVy6uCbRtX7MOwDLErisnJo_Fg3CgFe_1eXz0vXeVle6yko6LU72K5YKuEo9D1Q9DlMUnXY4HkTtzstBg3Q39T2sfen3tXBspV3ZDFlTN31KzQu8XpaTNH9JRTgcUBg7nCQYg/s619/anna_lombadi_libro.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="495" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbbxRLslQ-ZqeFp7LAHOR7NpUG94KZQl9h7Opga4W-DgIl-QvuVluMLkVy6uCbRtX7MOwDLErisnJo_Fg3CgFe_1eXz0vXeVle6yko6LU72K5YKuEo9D1Q9DlMUnXY4HkTtzstBg3Q39T2sfen3tXBspV3ZDFlTN31KzQu8XpaTNH9JRTgcUBg7nCQYg/w320-h400/anna_lombadi_libro.jpg" width="320" /></a></div><br />Con una tesi sulla lotta delle donne curde per l’autodeterminazione, la ricercatrice storica felinese vince di nuovo il prestigioso premio nazionale <br /></i><br /><br />Il fatto che una giovane ricercatrice abbia mostrato sensibilità e curiosità per le donne curde, ignorate dai media, è abbastanza inconsueto: “Mi sono interessata alle combattenti curde quando le ho viste in una foto su un social, sorridenti, con tanto di Kalashnikov imbracciato. Stavo per laurearmi in storia alla magistrale, eppure, di loro non sapevo nulla. Nessun corso universitario mi aveva mai parlato dei curdi né, ancor meno, delle donne curde, benché l’esperimento del Confederalismo democratico di Abdullah Öcalan fosse in atto ormai da dieci anni. Il mio interesse è nato proprio dalla consapevolezza di essere all’oscuro di quel mondo e di averlo scoperto soltanto, per caso, su Facebook.” Grazie a questa consapevolezza, e a ciò che ne è seguito, Anna Lombardi, di Felina, ha poi vinto per la seconda volta il “Premio Tralerighe Storia - Opere inedite di storia contemporanea, militare, memorialistica e diari”, che si tiene ogni anno a Lucca. Il suo libro, “Her – Story, la lotta delle donne curde per l’autodeterminazione”, ha infatti ottenuto un contratto di edizione come opera vincitrice. “Si tratta della mia tesi del Corso di Laurea Magistrale in Sociologia dei conflitti”, dice Anna, “con la quale mi sono laureata a Modena nell’aprile 2022. La tesi parte proprio dall’analisi del Confederalismo democratico curdo e dalle teorie elaborate da Öcalan che, nonostante l’incarcerazione fin dal 1994 nell’isola-prigione di İmralı, in Turchia, riesce ancora a guidare, a distanza, la sua ‘rivoluzione’.” <br /><br /></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkfJAtnhsYt51ztXbpzmNo2A_Rs6Q4OCMrqB7TfvKAGr5zPNOSGRlaTCXLnPni1SrLTa1RBN5EypU89uOiqZlulOZ5WwZ_S15i4JOBkUR4K8q2JzLwWXKb4dmLQvS_bPC0heUdqPOmZY8OaTR_alX1Co6nSsHvk6c_IyR4r59Rp_GiAtyuVSwzkaC2gg/s960/Anna_Giannasi.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="960" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkfJAtnhsYt51ztXbpzmNo2A_Rs6Q4OCMrqB7TfvKAGr5zPNOSGRlaTCXLnPni1SrLTa1RBN5EypU89uOiqZlulOZ5WwZ_S15i4JOBkUR4K8q2JzLwWXKb4dmLQvS_bPC0heUdqPOmZY8OaTR_alX1Co6nSsHvk6c_IyR4r59Rp_GiAtyuVSwzkaC2gg/w400-h225/Anna_Giannasi.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La dottoressa Anna Lombardi con l'editore Andrea Giannasi</td></tr></tbody></table><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"> </span><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /><br /><b>L’importanza di avere storiche donne </b><br /><br />Andrea Giannasi, l’editore, è ben contento di aver dato alle stampe “Her – Story” , innanzitutto perché i curdi, in questo momento, sono un po’ i “nemici” di tutti: dei turchi, degli iracheni, dei siriani di Assad (difesi da Putin), ma anche perché parla di donne, e quelle curde sono l’asse portante della loro società: “Imbracciano il fucile e combattono,” dice Giannasi, “quando, nella primordiale struttura mentale maschile, questo non viene accettato: non è ammesso che un maschio sia ucciso da una donna. Se, in più, si tratta di maschi musulmani, è convinzione che quella morte per mano femminile precluda loro il paradiso. È un atto che va difatti a contrastare la supremazia maschilista, che è anche religiosa. Inoltre, l’ho pubblicato perché è un saggio che… non esisteva. “Her”, il pronome femminile in copertina, simboleggia un cambio di passo che io auspico da anni. Il cambio della saggistica e della costruzione di un ruolo della donna, nella letteratura, che non sia più soltanto secondario, ‘alla Emily Dickinson’, ma che diventi qualcosa di dirompente. E quel dirompente è la libertà del pensiero femminile, anche, e anzitutto, nella saggistica. Spingo molto per avere saggiste donne, per avere il punto di vista di una donna sulla storia, anche quella militare e contemporanea. Anna Lombardi, donna, rappresenta, quindi, il terzo motivo per cui ho pubblicato questo libro: è una studiosa che affronta, con tenacia, voglia e strumenti che le appartengono, un argomento difficile, e lo fa, appunto, da – e - con un’ottica diversa da quella di uno storico maschio. In più, per le ragioni che ho spiegato prima, si tratta di un argomento che gli uomini non vogliono raccontare. Quindi, questo elemento minore, che sono i curdi, in realtà ha l’enorme forza della presenza femminile che, secondo me, può essere utile in tanti altri nostri campi.”<span><a name='more'></a></span> <br /><br /> <br /> </span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAsvFaRdphcJ6TlXpuWMVKliXh3QZ0QLDorCVY4RBQPhNW64KIIITgIKuKm_1WK6B_8eeq2xWlye2H1pPTuIrOMZM00IWLZJmA31Gupdsh5rOFL6lJ3EtZ-4MvnOydhEmA2Lkz2rRTVu5VRxjV3l-O8gnKFsFmWUvj9kGFBkYPGtc8v9NheYRmz9DY8g/s264/jineoloji.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="264" data-original-width="170" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAsvFaRdphcJ6TlXpuWMVKliXh3QZ0QLDorCVY4RBQPhNW64KIIITgIKuKm_1WK6B_8eeq2xWlye2H1pPTuIrOMZM00IWLZJmA31Gupdsh5rOFL6lJ3EtZ-4MvnOydhEmA2Lkz2rRTVu5VRxjV3l-O8gnKFsFmWUvj9kGFBkYPGtc8v9NheYRmz9DY8g/w258-h400/jineoloji.jpg" width="258" /></a><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /><br /><b> Confederalismo democratico curdo e “jineolojî” </b><br /><br /> Secondo l’ideologia di Abdullah Öcalan, detto Apo, furono i sumeri a sovvertire l’ordine matriarcale, rinchiudendo la donna in casa. Per lui – che a suo tempo rinnegò il marxismo - la liberazione della donna è basilare poiché il grado di libertà di ogni nazione dipende dal grado di libertà conseguito dalle donne. Qualsiasi forma di schiavitù non sarà mai abbattuta finché la donna resterà subalterna all’uomo. Le scoperte fatte dalle donne sono state poi trasformate in scoperte maschili, privando il genere femminile del protagonismo centrale dovuto alla capacità di procreare. Per dar forma alla sua ideologia, Öcalan si è basato sugli studi del filosofo Murray Bookchin (che, da ex marxista, già negli anni sessanta aveva optato per un “anarchismo della post scarsità”), ideando un sistema politico privo di entità statale e basato soprattutto sull’ecologia. In breve: tutto dovrebbe tornare a un sistema il più naturale possibile, antecedente il capitalismo che sta devastando le risorse del pianeta. <br /><br /> Il titolo del libro, “Her – Story”, ha a che fare con la “jineolojî”, la “scienza delle donne”. Öcalan, all’interno del suo esperimento del Confederalismo democratico, ha ideato appunto la “jineolojî”: una revisione delle scienze naturali e sociali in chiave femministica ed ecologica, il cui fine primario è quello di restituire alle donne le conoscenze e quel tipo di intelligenza emotiva e analitica di cui erano stata private cinquemila anni fa. <br /><br /> <br /> </span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghmasfkalgBQh7JR4IxEKYbm8wpFfZT6u8M-7JV__c4MRTGagGDKsObP1_D665kF21Qrxjzkd3y0qiKXWuOEXcChGMhyLwiZP2pRp5keNr4cfd2rIG0VcsuEFJV-syC7cdXGnnbWbPl0zMbj9DP_ipRMdUMBr6XWnoL2WSvW_MZvPUuZ7oOmiDdXarwg/s1600/Gulala_Salih_attivista_curda.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghmasfkalgBQh7JR4IxEKYbm8wpFfZT6u8M-7JV__c4MRTGagGDKsObP1_D665kF21Qrxjzkd3y0qiKXWuOEXcChGMhyLwiZP2pRp5keNr4cfd2rIG0VcsuEFJV-syC7cdXGnnbWbPl0zMbj9DP_ipRMdUMBr6XWnoL2WSvW_MZvPUuZ7oOmiDdXarwg/w300-h400/Gulala_Salih_attivista_curda.png" width="300" /></a><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /><br /><b> “Her - story”, “la storia di lei” </b><br /><br /> Le donne curde si sono prefissate l’obiettivo di riscrivere la storia partendo da quella lontana società matricentrica. Di qui il termine “Her - story”, “la storia di lei”, al posto di “la storia di lui”: "history" dove si gioca – mediante etimo forzato - con il pronome maschile inglese "his" più “story”. Racconta Anna: “All’interno della tesi ho preso in considerazione soprattutto i curdi siriani e turchi. Ho però intervistato Gulala Salih, una curda irachena, rappresentante di “Kurdistan Save the Children” in Italia, dove si era trasferita nel ‘99 dopo il matrimonio con un connazionale. Gulala si batte da sempre per aiutare le popolazioni del Kurdistan iracheno, basato su un sistema statale, al contrario del Confederalismo democratico curdo dove, invece, lo stato non esiste. Gulala mi raccontò che la sua famiglia aveva resistito al regime iracheno, resistenza pagata con la morte di sua madre. Tutta la sua famiglia era stata imprigionata e ora lei si batte per i diritti dei curdi e per aiutare soprattutto i bambini. Oltre a lei, ho intervistato Davide Grasso, combattente internazionalista che, nel 2016, si è recato nel Rojava (Siria) e ha combattuto per sei mesi con la Ypg, l'Unità di Protezione Popolare (da non confondere con la YPJ, l'Unità di Protezione delle Donne o Unità di Difesa delle Donne). Prima era un giornalista free lance, ora ha preso un dottorato di ricerca e insegna all’Università di Torino. Grazie a Davide mi è stato possibile scoprire varie criticità, ma anche le potenzialità di questo esperimento non statuale. Attraverso i suoi occhi ho potuto vederne la quotidianità: se dal punto di vista pubblico le donne hanno raggiunto una totale emancipazione, in quello privato, familiare, è ancora presente la discriminazione tra uomo e donna. Il lavoro da fare è molto complesso, poiché si tratta di abbattere sistemi sociali sedimentati nel tempo. Gli uomini, a periodi, devono seguire dei corsi presso l’accademia di “jineolojî” per essere educati a comprendere l’importanza del protagonismo femminile.” <br /><br /></span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZ3KwTLr3pl-TIpefJjZMBzi_LstFPuLkqpOzdjA9EvX-vPBNQ3739p2LsT_ubShNv3ZQfl8x8EEdnpYl_bVs1zJD1_BH5itE89GmUDuUBqHIcAi5_l3BBoCmQtxF7zPIFa73IFRXZLhCsLBMeC8tWbkIGXmvVj3vFmgl9kVaLfc-B3wiRjcIOLrt3HA/s255/curdi.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="197" data-original-width="255" height="309" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZ3KwTLr3pl-TIpefJjZMBzi_LstFPuLkqpOzdjA9EvX-vPBNQ3739p2LsT_ubShNv3ZQfl8x8EEdnpYl_bVs1zJD1_BH5itE89GmUDuUBqHIcAi5_l3BBoCmQtxF7zPIFa73IFRXZLhCsLBMeC8tWbkIGXmvVj3vFmgl9kVaLfc-B3wiRjcIOLrt3HA/w400-h309/curdi.jpg" width="400" /></a><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /> <br /><br /><b> Non solo guerra, ma proposte generative </b><br /><br /> Alla teoria di Abdullah Öcalan (Apo) - che dovrebbe portare al superamento del capitalismo culminando nell’ “uccisione” del maschio dominante, cioè del dominio, del fascismo e dell’ineguaglianza, Anna Lombardi dedica quasi tutto il primo capitolo. Nel secondo, si concentra sulla situazione delle combattenti e dell’organizzazione confederale delle donne, per poi affrontare altre tematiche nei capitoli successivi. Ci sono accademie solo femminili, cooperative sociali e unità di protezione e villaggi. Jinwar, ad esempio, nella Siria autonoma del Nord e dell’Est, è un eco-villaggio auto-costruito con mattoni di terra cruda dalle donne. È interamente abitato da donne e gli uomini possono entrarci durante il giorno, ma non ci possono risiedere. “Purtroppo, non ho avuto la possibilità di parlare con donne combattenti, anche perché la tesi l’ho scritta nel periodo del covid; ho intervistato per iscritto Gulala e in videochiamata Davide. Rientrato da Rojava, Grasso ha sostenuto diversi processi come ‘soggetto pericoloso’, avendo ricevuto un addestramento militare. Sia il Pkk, che le Ypg e le Ypj sono inseriti nelle liste del terrorismo internazionale, soprattutto a causa di Erdogan. Il presidente turco tende infatti a ricattare l’Europa: se l’Occidente dovesse appoggiare l’esperimento curdo, Erdogan dice che aprirebbe le frontiere e orde di immigrati ci invaderebbero. Ho letto varie testimonianze di donne curde raccolte in Rojava e la cosa che più mi ha colpito è la ‘serenità’ con cui le combattenti affrontano la situazione. Per noi la guerra è paura, mentre per loro, oltre alla lotta contro l’Islamic State (ex Isis), significa anche occasione per creare soluzioni alternative. Non si tratta solo di distruggere credenze sociali, usi e costumi, ma anche di proporre un sistema generativo con vie d’uscita per problemi mai trattati prima. Ci sono stati altri casi di donne combattenti nella storia - pensiamo alle donne nella Resistenza - ciò nonostante, finita la guerra, gli uomini le hanno in buona parte relegate in una posizione subalterna. Il Rojava ha puntato, invece, su nuove condizioni sociali per confermare loro un protagonismo che non si concludesse con la fine dello scontro armato.” <br /><br /></span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-T_IfR1CgQZ1txhyotZr1_7ZMGwoshf_gy8TAGSDNxgvp3Atf5iQ9cLLvkKkZpurAhZz7gtIgEfKUBtJnMc2Vt0871BJusvyNQreO5bflAf4CZlvC7N0Bxwkd-RN51Pl4kvkpkJs4030CTgtWiUMqSr89NfQU0tt-ER26iPWS0WvTOKMiScLQQoVvVw/s990/donna%20dea.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="556" data-original-width="990" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-T_IfR1CgQZ1txhyotZr1_7ZMGwoshf_gy8TAGSDNxgvp3Atf5iQ9cLLvkKkZpurAhZz7gtIgEfKUBtJnMc2Vt0871BJusvyNQreO5bflAf4CZlvC7N0Bxwkd-RN51Pl4kvkpkJs4030CTgtWiUMqSr89NfQU0tt-ER26iPWS0WvTOKMiScLQQoVvVw/w400-h225/donna%20dea.jpg" width="400" /></a><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /> <br /><b><br /> L’amicizia politica: l’helvaltî </b><br /><br /> La combattente Christine, durante un seminario tenutosi a Qamishlo, rispose così a chi affermava che le donne curde avevano ottenuto molte libertà, ma non quella sessuale: “Oggi la società occidentale è ipersessualizzata, l’imperativo è compiere atti sessuali in una logica di accumulazione e competizione che riduce a oggetto di appropriazione qualsiasi donna.” In realtà, tra i/le militanti vige l’obbligo del celibato, non come abolizione dei sentimenti, ma come percorso che deve disciplinarsi in modo sociale per non aumentare la pressione psicologica. L’amicizia politica (l’helvaltî) è verso tutti in egual misura. “Her – story” è importante anche perché ci presenta punti di vista femminili e femministi che potrebbero esserci d’aiuto. Anna Lombardi è intanto già impegnata in un’altra ricerca che le auguriamo si trasformi in una terza pubblicazione: “Subito dopo la laurea, ho fatto domanda per il dottorato, sono stata presa e ho iniziato il primo anno a Modena a novembre 2022. È un dottorato in Digital Humanities che durerà tre anni. Si tratta di una ricerca in storia contemporanea: il soggetto è la rappresentazione pubblica delle donne partigiane italiane, un confronto tra la situazione degli anni Quaranta e i social media negli ultimi cinque anni.” <br /></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><br />normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-29879662899283775962023-10-14T21:48:00.004+02:002023-10-15T10:46:49.068+02:00LE ULTIME RISULTANZE ARCHEOLOGICHE SUL MONTE LULSETO E NOTE A MARGINE<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/sfgR-RRNHfY" width="320" youtube-src-id="sfgR-RRNHfY"></iframe></span></div><span style="font-size: medium;"><br />CROVARA /CONFERENZA DI GIULIANO CERVI </span><p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br /></p><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><i>L’enigma delle canalette incise e le nuove scoperte: coppelle, triangoli, simboli fallici e altro ancora. E poi la testa in pietra di Crovara: un manufatto celtico o una semplice “Marcolfa”?</i></div><div style="text-align: justify;"><i><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9VnhhzAlRep7C2PdjBAenxipXuehUt3l2WRAnNbG9j4hToxBpNGa-2YECRXRD6XY_2mLDTZNUczPh2Oj1uKwo_IjUTvwjpMSfKky9AOzg-kw3UORndNduy9PDcMbsZrh5-6rLIwA-4OqQ-U2BmvMBxsCHdEi9OMh5NF93WHN7SCNEGqOCNgVvwOTxiw/s825/IMG_4638.JPG" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="825" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9VnhhzAlRep7C2PdjBAenxipXuehUt3l2WRAnNbG9j4hToxBpNGa-2YECRXRD6XY_2mLDTZNUczPh2Oj1uKwo_IjUTvwjpMSfKky9AOzg-kw3UORndNduy9PDcMbsZrh5-6rLIwA-4OqQ-U2BmvMBxsCHdEi9OMh5NF93WHN7SCNEGqOCNgVvwOTxiw/w400-h300/IMG_4638.JPG" width="400" /></a></div><br /></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Partecipata e degna di interesse è stata la conferenza dell’architetto Giuliano Cervi il 25 agosto scorso a Crovara di Vetto; dopo aver ripercorso le conoscenze già acquisite grazie al comitato scientifico del Cai, e già pubblicate, Cervi ha presentato le ultime risultanze archeologiche sulle incisioni del Lulseto. Un luogo di culto, ha confermato lo studioso, dove l’acqua aveva un’importante funzione sacrale, attestata dalla presenza di una fonte: un incavo nella roccia a forma di bacile.</div><div style="text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijSzFcM51uJmHvFWtym2PZIdG6-DBtMi2OOCwOpYxIDF2POOj-HiRgZUuzDtnTRlwejrKzJ7ZklpQXEDOo5gzLxas2SY3FDVyJuxqAeXQgEuo57_Hy3uRew7Rj8WwstXpGAk2rl9KJLhKcWoVO-iuj_9LnLIN1JfzgM9EE2yZCuCBKtJtXeOXrZNMd3A/s619/IMG_20230907_102646.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="464" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijSzFcM51uJmHvFWtym2PZIdG6-DBtMi2OOCwOpYxIDF2POOj-HiRgZUuzDtnTRlwejrKzJ7ZklpQXEDOo5gzLxas2SY3FDVyJuxqAeXQgEuo57_Hy3uRew7Rj8WwstXpGAk2rl9KJLhKcWoVO-iuj_9LnLIN1JfzgM9EE2yZCuCBKtJtXeOXrZNMd3A/w300-h400/IMG_20230907_102646.jpg" width="300" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Fonte nella roccia <br />(forse da indagare tutto intorno?</td></tr></tbody></table><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div style="text-align: justify;">Ha inoltre avanzato un’ipotesi senz’altro verosimile sul “diavolo di Crovara”, il volto con le “corna” murato su una parete della chiesa. A margine della conferenza, sorgono alcune considerazioni e interrogativi. Il primo riguarda lo scopo e la formazione delle canalette: cosa sono? Perché e come sono state incise? Con quali attrezzi, visto che la roccia è arenaria silicea, certamente meno friabile rispetto ad altre e, d’altro canto, più dura da lavorare? L’ipotesi di Cervi è che quei solchi siano stati scavati in tempi molto lontani - benché più recenti rispetto ad altri segni - e poi ripassate, negli anni, accentuandone l’incavo, dai bambini dei dintorni, i quali le usavano come scivolo e parco giochi. Di primo acchito, rievocano le “cart ruts”, i famosi “solchi di carro”, sennonché, soprattutto in questo caso, le canalette non possono essere state impresse da ruote, sia pure rivestite di ferro, o da slitte – le “tragge” – dato che la troppa inclinazione della roccia non ne avrebbe favorito l’utilizzo e anche perché non sono linee parallele. Vediamo di cosa si tratta.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoQUmugd-UsJVAIOOsfUUK4ZY_lQROp7TbQ5rmomDg9vrEsBFlyMlTHU-qxZLRKsQbfs95rLnWTtTBiOyIQkKUZ3u35mzbjZIwEO9LsiXZTu1w2l9ojw3A6RjS3wzGGqqFBBA3iaDmPRf4u4RA1Wc5krNne3N0XtHZ6Ffv82QXovdXJWEqVHZrloHTvg/s825/AA78B687-145B-455A-A546-267F42E4D342.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="825" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoQUmugd-UsJVAIOOsfUUK4ZY_lQROp7TbQ5rmomDg9vrEsBFlyMlTHU-qxZLRKsQbfs95rLnWTtTBiOyIQkKUZ3u35mzbjZIwEO9LsiXZTu1w2l9ojw3A6RjS3wzGGqqFBBA3iaDmPRf4u4RA1Wc5krNne3N0XtHZ6Ffv82QXovdXJWEqVHZrloHTvg/w400-h300/AA78B687-145B-455A-A546-267F42E4D342.jpeg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'architetto Giuliano Cervi durante la conferenza<br />(foto di Davide Costoli)</td></tr></tbody></table><span><a name='more'></a></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><b><div style="text-align: justify;"><b>“Cart ruts”, manufatti o impronte?</b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Le canalette incise sono ovunque. Le vediamo a Pompei, dove, sulle vie, disegnano solchi paralleli, quindi, in questo caso, sono state realmente impresse dal passaggio dei carri. Ma altrove?</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjIFHrkbt-eiPHL6qNRjUvFkg_V-RTL-HqU6Q4duH0g4lJf-ePsLzqVjbc2PtgXs_DnOpJ7WKhgpWSCU4oEWoyWu8n7rJu-pPh3dLgdZHcfjg9UGwQdeRfQrKKQaSxomhzAKDiqykAgGJyqsnaslSLXS1OLe744OIvFl8HzQRsNJeYO5PRWooy2bjkOw/s720/FB_IMG_1693837869981.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="380" data-original-width="720" height="211" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjIFHrkbt-eiPHL6qNRjUvFkg_V-RTL-HqU6Q4duH0g4lJf-ePsLzqVjbc2PtgXs_DnOpJ7WKhgpWSCU4oEWoyWu8n7rJu-pPh3dLgdZHcfjg9UGwQdeRfQrKKQaSxomhzAKDiqykAgGJyqsnaslSLXS1OLe744OIvFl8HzQRsNJeYO5PRWooy2bjkOw/w400-h211/FB_IMG_1693837869981.jpg" width="400" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">A Cerveteri, per esempio, le cart ruts ricoprono un’intera collina, passando tra le tombe e le vasche, intersecandosi come uno scalo ferroviario. Sono anche a Gravina di Puglia, sono in Sardegna (necropoli di Su Crocifissu Mannu) e sono in altri siti etruschi, come la necropoli di Norchia. Sembrano marcare luoghi di culto e sepoltura di alcune popolazioni e, in qualche zona, sulle cart ruts sono stati eretti, in seguito, edifici religiosi cristiani; è il caso di La Madeleine a Tursac, in Dorgogna, dove le canalette, con coppelle, si trovano accanto a una piccola cappella cristiana. Dimostrazione, ancora una volta, che il cristianesimo, non riuscendo a cancellare i luoghi sacri pagani, li ha incorporati. Si ipotizza per le cart ruts una datazione molto antica, in periodo preistorico, proprio per l’usuale coesistenza di cart ruts e siti preistorici. È l’isola di Malta, però, a detenere il maggior numero di questi solchi. E, come in Sardegna, pure a Malta, a Clapham Junction, al di sotto delle cart ruts ci sono caverne e anfratti opera dell’uomo. L’antropologo Massimo Frera, che ha studiato questo fenomeno, afferma trattarsi di una “…manifestazione rituale, probabilmente connessa a un pensiero religioso che aveva al suo centro la Grande Madre e l’acqua, sua teofania”, esattamente come ipotizzato da Cervi. Certo, la loro associazione con le necropoli fa riflettere anche riguardo al Lulseto...</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVizihS7c7RGLT6j05IyCXzecX-85afYXd_x3KvYW-ShWaBkSWfH0nXuxbMa9Ku7P2WK7_zTridpLlO7wAK1Xbaav_GjHFg9s2weiyFlhyphenhyphenfkosv0YAsyig7XKZL0xv2Hz1v5Oo-j6G1pLw-xngbxchUABCR7aLdUGkwDCrgzyWUX-F9Lyaq6U21aXSYg/s720/FB_IMG_1693837163607.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="405" data-original-width="720" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVizihS7c7RGLT6j05IyCXzecX-85afYXd_x3KvYW-ShWaBkSWfH0nXuxbMa9Ku7P2WK7_zTridpLlO7wAK1Xbaav_GjHFg9s2weiyFlhyphenhyphenfkosv0YAsyig7XKZL0xv2Hz1v5Oo-j6G1pLw-xngbxchUABCR7aLdUGkwDCrgzyWUX-F9Lyaq6U21aXSYg/w400-h225/FB_IMG_1693837163607.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto rielaborata da Italo Garavaldi</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><b><div style="text-align: justify;"><b>Incisioni, ipotetico calendario celtico e… Halloween</b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Le canalette del Lulseto sono sette e sono inframmezzate da coppelle, alcune delle quali grandi abbastanza da formare una comoda scala. Il collegamento delle canalette con i siti preistorici, le necropoli e i luoghi sacri, di cui parlavamo prima, non si può ignorare osservando il lastrone. Proprio all’inizio, una serie di piccole coppelle unite da solchi formano una sorta di tridente, nel complesso simile alla costellazione dello Scorpione. “Quell’incisione, in comune con la costellazione dello Scorpione ha solo il tridente. I presupposti mi sembrano un po' forzati…”, dice però Roberto Ronchetti, serio studioso appassionato di archeoastronomia (scienza che analizza i reperti usati anticamente per l’osservazione dei corpi celesti). Si potrebbe comunque supporre, senza scadere nella fantarcheologia, che il numero delle canalette dovesse indicare i sette mesi “luminosi” del calendario celtico, mesi che, durante l’Età del Ferro, si concludevano a novembre con la levata eliaca (all’alba) di Antares, stella rossa dello Scorpione. Tuttavia… sempre Ronchetti: “In generale, i calendari, sin dalle registrazioni del paleolitico, presentano segni in numeri che possiamo mettere in rapporto tra loro e il movimento degli astri. In questo caso dovremmo rapportare le coppelle alla canalette, ma le prime sono distribuite in modo poco ordinato, caotico, mentre il tempo ha ritmi costanti. Vorrei ricontrollare con metodi che ho messo a punto da poco, perché, per ora, oltre al fatto che sono sette, non trovo altri indizi. Non penso, al momento, che ci siano aspetti calendariali al Lulseto; ci sono invece aspetti astronomici tipici dei siti cultuali preistorici che troviamo anche al Sassoso, a Montecagno, al Ventasso e in altri luoghi. Nel caso del Lulseto, il dato è l'esposizione del lastrone, rivolto al tramonto solstiziale invernale, aspetto rimarcato da un ‘podio’ e anche da un allineamento sottostante”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhpI5rRRkMBNa_J0jB23olfXNcVkbgaS46yY8Veapxoiip_8sT4XTUaNyHxAcsjNtmipbsKfH6NHbm9wa-w65a-OMJjHUuzlEQdNqcoyYPYP6PqKooJuvZb1AMkutI70sC9_WEK-BNU3gJ2qHT0DokAL4zYwYkyf1JXUHyeH5NZw2egiz-k7pqnGZ1YxQ/s619/IMG_20230903_233448.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="464" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhpI5rRRkMBNa_J0jB23olfXNcVkbgaS46yY8Veapxoiip_8sT4XTUaNyHxAcsjNtmipbsKfH6NHbm9wa-w65a-OMJjHUuzlEQdNqcoyYPYP6PqKooJuvZb1AMkutI70sC9_WEK-BNU3gJ2qHT0DokAL4zYwYkyf1JXUHyeH5NZw2egiz-k7pqnGZ1YxQ/w300-h400/IMG_20230903_233448.jpg" width="300" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Calendario Celtico di Pietro Gambarelli<br />per Bergogno</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quello di Ronchetti è un parere affidabile: come ricercatore ha esaminato e misurato quelle che lui definisce “le meridiane dei pastori” - massi indubbiamente orientati, con funzione di proto meridiana, con segni antropici non riconducibili a un semplice riparo - riportando poi i risultati in un saggio non ancora pubblicato. Tornando ai Celti, per loro lo scorrere del tempo era ciclico, si snodava in spirali, in cicli di cinque anni (di mesi lunari) inseriti in altri di trent’anni: non seguiva una linea retta come è per noi. Un calendario celtico territoriale è stato ricostruito da Pietro Gambarelli nella sua pubblicazione “Bergogno terra di Matilde tra storia e leggenda”.<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_U1dj7_iK5oaGUUS7iC1iwa8Fkk6tZlnyjWbaxuSk-nlSeqaBtcmB0MMlb7BVzRiU_V3uqAUQ_F1pLgLZerOLsYqiiW1AjW5Hzlf-tnMFfxJYcTyi_b-ailHNV6S93C3Ycl_w8LAMUbv2S0THj4O7a6rzPe2Ut5sZhveBKEIY1AzncJTttZvh2_sLzA/s4032/pietra_podio.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1860" data-original-width="4032" height="185" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_U1dj7_iK5oaGUUS7iC1iwa8Fkk6tZlnyjWbaxuSk-nlSeqaBtcmB0MMlb7BVzRiU_V3uqAUQ_F1pLgLZerOLsYqiiW1AjW5Hzlf-tnMFfxJYcTyi_b-ailHNV6S93C3Ycl_w8LAMUbv2S0THj4O7a6rzPe2Ut5sZhveBKEIY1AzncJTttZvh2_sLzA/w400-h185/pietra_podio.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Pietra "podio"</td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’attuale 31 ottobre/1º novembre, per i Celti corrispondeva a Samhain, il loro capodanno. In tutto questo, l’importanza della luna e dei suoi cicli è stata ben documentata da molti autori latini e, soprattutto, dal calendario celtico presente su una tavola di bronzo rinvenuta a Coligny, in Francia, nel 1897. E veniamo ad Halloween… La festa discende da quella celtica di “Trinvxtion Samoni”, “le tre notti di Samonios”, festività che si teneva proprio dal 31 ottobre in avanti, quando le forze degli spiriti dei morti potevano unirsi al mondo dei viventi, stemperando la paura della morte nell’allegria del capodanno. Il cristianesimo si sovrappose a Samhain/Halloween, tuttavia in Irlanda la festa sopravvisse per poi essere esportata negli Usa dai migranti irlandesi e, in seguito, riportata in Europa - anche in Italia - negli ultimi decenni.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><b><div style="text-align: justify;"><b>Cernunnos, il dio con le corna</b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’intuizione di Giuliano Cervi riguardo al volto in pietra murato sulla chiesa di Crovara, che tanto ricorderebbe un dio celtico, è davvero credibile. Il dio cornuto Cernunnos (pronunciare: Kernùnnos) porta corna o palchi di cervo e, come lo stesso animale, signore della foresta, può avere gli zoccoli. Una delle prime rappresentazioni di un essere “cornuto” è tra le pitture rupestri della Val Camonica, ma di Cernunnos si sa poco. Il suo nome è apparso solo una volta, associato alla sua immagine, sul “Pilastro dei nauti” (Nautae Parisiaci), scolpito a Parigi durante il I secolo d.C.; il manufatto raffigura una serie di divinità romane e gaeliche, tra cui, appunto, Cernunnos.</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhesv3SgTDKAz7knT7g4GCTekvG9B1Am89SqxTBKJsalG2Y-iCh65lqjrFqiVoUiuGUsRIUftaonfvVxaS7V2d5xpQl9FSvaxVmUSujGVAOar681LUqkjUrwgeNRAojQct_K-v6AQMxe60vU78e4mbDOVR_8OulhjCM4hgzaA-NjSfy07jUZl-KihUwaA/s768/IMG_20230907_113541.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="576" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhesv3SgTDKAz7knT7g4GCTekvG9B1Am89SqxTBKJsalG2Y-iCh65lqjrFqiVoUiuGUsRIUftaonfvVxaS7V2d5xpQl9FSvaxVmUSujGVAOar681LUqkjUrwgeNRAojQct_K-v6AQMxe60vU78e4mbDOVR_8OulhjCM4hgzaA-NjSfy07jUZl-KihUwaA/w300-h400/IMG_20230907_113541.jpg" width="300" /></a></div><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjUjsmE6vc6ZXz_EwpaUfE8qetxeDCSNWBVhnjBzJKECweLWrajPwZ4OwxDLHt-a-ADhRnx8LHjrrwUxpuDg9I17-p_9pq1RteBU8Tq1ElH7-aZRdY-UUq0A5_bGjzL2vI8OHmhXdaGcKMC925SYiyR2a9MHAUeAiwS-KkG4ttDQLJXW_NrH_JPq_beg/s825/IMG_20230907_113548.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="825" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjUjsmE6vc6ZXz_EwpaUfE8qetxeDCSNWBVhnjBzJKECweLWrajPwZ4OwxDLHt-a-ADhRnx8LHjrrwUxpuDg9I17-p_9pq1RteBU8Tq1ElH7-aZRdY-UUq0A5_bGjzL2vI8OHmhXdaGcKMC925SYiyR2a9MHAUeAiwS-KkG4ttDQLJXW_NrH_JPq_beg/w400-h300/IMG_20230907_113548.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il "diavolo": notare una sorta di baffo e un pizzetto sul mento</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUelvdcKsNEL2iSmUpO_XgGxJefX0WfOzwkKB117Rm1mIkuoNyt3fBTh1umleeX3iHvVRP31ySI-lRkzNgulcUKSw6NUt3eWDPNEPKxyoFp4JxxrR56zd1K69JMrUa4wdK9juOsfDhSBBOy19MQhjQ5fBbGkxiUEypy9DDdHhg_QPxgeDPD0pmt75qpQ/s1024/_French%20School%20-%20The%20Celtic%20god%20Cernunnos%20after%20a%20French-Roman%20sculpture%20discovered%20in%20the%20foundations%20of%20Notre%20Dame%20Cathedral%20Paris%20from%20Les%20Arts%20au%20Moyen%20Age%20published%201873%20%20-%20(MeisterDrucke-97686).jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="717" data-original-width="1024" height="224" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUelvdcKsNEL2iSmUpO_XgGxJefX0WfOzwkKB117Rm1mIkuoNyt3fBTh1umleeX3iHvVRP31ySI-lRkzNgulcUKSw6NUt3eWDPNEPKxyoFp4JxxrR56zd1K69JMrUa4wdK9juOsfDhSBBOy19MQhjQ5fBbGkxiUEypy9DDdHhg_QPxgeDPD0pmt75qpQ/s320/_French%20School%20-%20The%20Celtic%20god%20Cernunnos%20after%20a%20French-Roman%20sculpture%20discovered%20in%20the%20foundations%20of%20Notre%20Dame%20Cathedral%20Paris%20from%20Les%20Arts%20au%20Moyen%20Age%20published%201873%20%20-%20(MeisterDrucke-97686).jpg" width="320" /></a></div><div style="text-align: justify;">Il “diavolo di Crovara”, come dice Cervi, è diverso dalle teste apotropaiche presenti nei paesi intorno, per esempio Ceredolo dei Coppi. Ha le “corna”, gli occhi a fessura, qualcosa che sembra un labbro superiore pronunciato - ma potrebbero essere baffi gallici - e un pizzetto a triangolo sul mento. Figure scolpite molto simili sono presenti nei musei inglesi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La testa, per i Celti, aveva una grande importanza, infatti le teste mozzate dei nemici venivano appese al collo dei cavalli. Erano di persone di sesso maschile (mai di donne), adulti, già defunti, e morti, nel fiore degli anni, della “bella morte”, cioè combattendo. Da alcuni documenti, risulta che le teste venissero imbalsamate per esporle davanti alle case. Nel 2018, gli archeologi lo hanno confermato con il ritrovamento, nel sito celtico di Le Cailar, in Francia, delle prove di questa abitudine: teste imbalsamate risalenti a più di duemila anni fa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il fatto che, dall’esposizione delle teste vere si sia poi passati alle teste in pietra, è più che plausibile e spiegherebbe questa usanza diffusa in tutto il nostro Appennino, soprattutto nel modenese (con le “Marcolfe”). L’architetto Cervi ha specificato che nei pressi dei luoghi di venerazione venivano piantati dei fittoni con raffigurazioni di volti umani; può essere dunque che la testa di Crovara sia testimone e “segnale” dell’antico luogo di culto del Lulseto.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Le “corna” del volto di Crovara, restando in ambito celtico, potrebbero però dipendere, come racconta Diodoro Siculo, dalla pratica dei Celti di impiastrare i loro capelli con acqua di calce per schiarirli, tanto da somigliare poi a divinità cornute: “Lavano, infatti, frequentemente le chiome con acqua di calce e le tirano indietro dalla fronte alla sommità della testa e giù fino alla nuca, così da sembrare simili nell’aspetto ai Satiri o a Pan: a seguito di questo trattamento, i capelli diventano tanto pesanti da non differire in nulla dalla criniera dei cavalli.”</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><b><div style="text-align: justify;"><b>Nuovi ritrovamenti al Lulseto</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /></b></div></b><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjjifMXbcY57ApGni8kGRTr8p55zdhL_PvXJwFVbL49q1DYCoe0vyFs8SgqyL3-tBBj5uGQMRccxgDs-FPlJulihagTew5jfNpZzGlaKxwUwK8_sR2bot1PfT88ZhHZT1RoAeyPo1bBOTe8R07D6621yVpKKu8XB8I7ycwvA3AStN-VkT0l_ppq3uQHw/s619/IMG_20230907_101322.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="464" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjjifMXbcY57ApGni8kGRTr8p55zdhL_PvXJwFVbL49q1DYCoe0vyFs8SgqyL3-tBBj5uGQMRccxgDs-FPlJulihagTew5jfNpZzGlaKxwUwK8_sR2bot1PfT88ZhHZT1RoAeyPo1bBOTe8R07D6621yVpKKu8XB8I7ycwvA3AStN-VkT0l_ppq3uQHw/w300-h400/IMG_20230907_101322.jpg" width="300" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Coppelle e canalette</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Procedendo sul sentiero verso il lastrone inciso, a destra si incontra la sorgente (sulla quale si dovrebbe forse indagare, ripulendone i contorni), e più su, nel bosco, c’è una serie di massi messi quasi a semicerchio. È su questi massi che sono state scoperte ed esaminate dal Cai nuove coppelle collegate da solchi; sullo stesso masso, Roberto Ronchetti ha in seguito “riconosciuto” un triangolo con la punta in basso, chiaro simbolo del pube femminile. Di più: di fronte al triangolo c’è una pietra a forma di fallo. Secondo Ronchetti: “La fattura suggerisce un modellamento, o quanto meno che siano stati elaborati alcuni dettagli per evidenziarne la forma ispiratrice, tuttavia non presenta evidenti segni di lavorazione. Volendo classificare il fallo e anche il ‘triangolo pubico’ come naturali, l’iconicità del primo e il simbolismo di entrambi sono stati quasi certamente riconosciuti, dato il sistema di coppelle e canalette inciso appresso, e forse ulteriormente valorizzati dall’incisione stessa”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E qui entra in gioco la “pareidolia”, ben spiegata da Ronchetti, cioè l’illusione subcosciente che ci induce a riconoscere volti o forme conosciute in oggetti dalla forma casuale. In pratica, l’uomo sarebbe intervenuto con: “...segni che non modificano l’immagine, ma che di fatto ‘marcano’ l’oggetto (…) immediatamente vicini a massi recanti incisioni o lavorazioni antropiche”, cioè aggiustando appena ciò che la natura aveva creato. E, nella conferenza, Cervi ha confermato che l’esistenza di coppelle e reticolo di canaletti identifica una funzione offertoria.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ronchetti ha notato che un triangolo con il vertice in alto (simbolo maschile) e un segno naturale vulviforme sono comunque presenti pure sul lastrone. Inoltre: “Pochi passi sotto il ‘santuario’, a valle di un grande masso di arenaria, si nota una testa di rettile, un serpente o una tartaruga, di cui il blocco raffigurerebbe il corpo, sebbene sproporzionato. Sospettiamo che qualche dettaglio sia stato realizzato da mano umana: gli occhi e una linea che demarca il collo. Se, in ogni caso, fosse naturale, riteniamo che la figura sia stata considerata per ciò a cui assomiglia, dato che, oltre ad essere prossima al ‘santuario’, alle spalle della testa è stata scolpita una grossa coppella”.</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZgMlprYJ6t8zKoKdQL4YIxdosdLxIvCWN8X9gZwqeFwDm3FDjR-NoGG3DthbaPrpguIEu7mADrnsE5Hph4Ocrf2J7Y-zTalrOYF4Xc2CLJuPABEwuCCHkU0DzYWkPobgs1PG-xNuzpFU_yde9ronYeAdF2GqlRRmpJ1StqXa7etalu13aVERx8W_I4w/s825/IMG_20230907_105319.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="825" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZgMlprYJ6t8zKoKdQL4YIxdosdLxIvCWN8X9gZwqeFwDm3FDjR-NoGG3DthbaPrpguIEu7mADrnsE5Hph4Ocrf2J7Y-zTalrOYF4Xc2CLJuPABEwuCCHkU0DzYWkPobgs1PG-xNuzpFU_yde9ronYeAdF2GqlRRmpJ1StqXa7etalu13aVERx8W_I4w/w400-h300/IMG_20230907_105319.jpg" width="400" /></a></div><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRGvdkd0bNE5xphyphenhyphenU6a6cJZbJqV5CeK5xnC0WyjV8fGdXsU21qBDqeg87YxTo5V7z9C7TglUo4757NN-65fDqNp-ITYOUTMFNL_6pdPYB59LzEYIBmJVPKiJxRTvs1sz1STHa91OrICTod4EJUzg9EmuLzvZ2bfOlLWu4oZJit5KzhE2XLpJgUlQDEiQ/s619/IMG_20230907_104947.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="464" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRGvdkd0bNE5xphyphenhyphenU6a6cJZbJqV5CeK5xnC0WyjV8fGdXsU21qBDqeg87YxTo5V7z9C7TglUo4757NN-65fDqNp-ITYOUTMFNL_6pdPYB59LzEYIBmJVPKiJxRTvs1sz1STHa91OrICTod4EJUzg9EmuLzvZ2bfOlLWu4oZJit5KzhE2XLpJgUlQDEiQ/w300-h400/IMG_20230907_104947.jpg" width="300" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il rettile<br /><br /></td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sul masso sono presenti altri segni da verificare e, vicino al “rettile” c’è qualcosa che ricorda uno “scivolo della fertilità”. Sempre sul sentiero, a sinistra c’è poi una pietra rettangolare posizionata a “podio”, dalla quale, quando gli alberi sono spogli, si può osservare l’orizzonte: “Questo podio è pensato per far osservare il tramonto del solstizio invernale, per indicarlo e celebrarlo”, ci spiega Ronchetti con la solita, scrupolosa correttezza.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In attesa della pubblicazione dello studio sulle nuove scoperte da parte del comitato scientifico del Cai, è importante riprendere le parole del ricercatore Luca Bettosini, perché un conto è formulare ipotesi da verificare, come fanno Cervi e Ronchetti, un conto è affermare verità (fantasy) alla Peter Kolosimo: “L'archeologia e la ricerca storica richiedono un approccio rigoroso basato su prove e dati concreti. Creare storie senza fondamento scientifico non solo distorce la verità, ma può anche minare la fiducia del pubblico nell’importanza della conservazione e dello studio di questi antichi reperti (…) la vera bellezza dei massi con coppelle risiede nella loro autenticità storica, nelle storie che possono raccontare delle civiltà passate e nella connessione con il nostro patrimonio culturale”.</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyO6XZlDt34xdvVGwVN8GI4MLFtOnFvZJDyf1bCEUI7U3imy-YdlCHQKB08jBm6xK_4gkz_LSvxDo4M1BUwtWC7zB3eW_fF7eCVFtJIoAaiM0iRZCqsd5N3VyrLFIdey0thTQMdqMWHzYjWeSn5gEgszaZakGubH0rh3hbWTHEjYpxA3JQMuPF3bBb3w/s619/IMG_20230907_101045.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="464" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyO6XZlDt34xdvVGwVN8GI4MLFtOnFvZJDyf1bCEUI7U3imy-YdlCHQKB08jBm6xK_4gkz_LSvxDo4M1BUwtWC7zB3eW_fF7eCVFtJIoAaiM0iRZCqsd5N3VyrLFIdey0thTQMdqMWHzYjWeSn5gEgszaZakGubH0rh3hbWTHEjYpxA3JQMuPF3bBb3w/w300-h400/IMG_20230907_101045.jpg" width="300" /></a></div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCAM9sZAK00I4dgSazCs7lKF9CnWFdOTMhG-_MiPwU1nMgvhWKI-EeEBHVHbO6HqNMKWGh7zltvRdTI8OnY3M_bIrIatRB-pa7Lb22M-esk-MkYtzE8onGHStHMFBHIXR5dwdVS7l0qNH9rTRKao7bu9anwxmfokW-vAV5KNbltKvamY794VKFBFQa4w/s619/IMG_20230907_100724.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="619" data-original-width="464" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCAM9sZAK00I4dgSazCs7lKF9CnWFdOTMhG-_MiPwU1nMgvhWKI-EeEBHVHbO6HqNMKWGh7zltvRdTI8OnY3M_bIrIatRB-pa7Lb22M-esk-MkYtzE8onGHStHMFBHIXR5dwdVS7l0qNH9rTRKao7bu9anwxmfokW-vAV5KNbltKvamY794VKFBFQa4w/w300-h400/IMG_20230907_100724.jpg" width="300" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">Relazione di Giuliano Cervi:</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"> https://youtu.be/sfgR-RRNHfY?si=2m5C33ppjuGmqxLA</div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<p align="justify" style="font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-35010566777912927972023-07-01T21:22:00.004+02:002023-07-02T08:00:34.136+02:00GATTA/ DAL MEDIOEVO IMMAGINARIO L'AMORE CONTRASTATO TRA LEDA E RAIMONDO<p style="text-align: justify;"><br /></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="font-family: times; margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXLjCr8dBLSkAuZT-FTWwDEaXC8gvtBxzwgTbpjRTuYmftwvvurZ53kNxmZlHrUt_2os156h9WPoXLj0i2IFr-P3qn-mpufm_v2OyLu0aJ8vvyac2XgU7jCN5eu_iNnxig6XXyqZ4unsXTlqvDubgiwFsEqIzjgnUpFx5rwsFCFVhEo4_Xdw-lZro53w/s1600/quadro%20di%20Fabio%20Rota.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1330" data-original-width="1600" height="333" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXLjCr8dBLSkAuZT-FTWwDEaXC8gvtBxzwgTbpjRTuYmftwvvurZ53kNxmZlHrUt_2os156h9WPoXLj0i2IFr-P3qn-mpufm_v2OyLu0aJ8vvyac2XgU7jCN5eu_iNnxig6XXyqZ4unsXTlqvDubgiwFsEqIzjgnUpFx5rwsFCFVhEo4_Xdw-lZro53w/w400-h333/quadro%20di%20Fabio%20Rota.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Dipinto del pittore Fabio Rota: Leda che si trasforma in serpente</td></tr></tbody></table></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><b>Sono quasi scomparse, sui nostri monti, le leggende che narravano di mostri, serpenti, giganti, folletti dispettosi. Poi c’era il diavolo che appariva qua e là, specialmente - da bravo capitalista - nei dintorni o dentro ai mulini. “La commovente vicenda di Leda, figlia di Azzo signore della Gatta, e di Raimondo, figlio del Conte di Vallisnera” è un’antica novella - già pubblicata su Tuttomontagna nel 2011 - che vogliamo riprendere per analizzarne i simboli e i contenuti, i quali riportano, in parte, proprio a quelle figure magiche. </b></span></p><div><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: georgia;"><b><br /></b></span></span></div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMwYp8ZZD-WqGLVpVsZLGSMrfxRkZs2dtCgy9835k3K16k2TTKI9MMwcNZY85etFZycxHApTgmKfvcIr1xfZ1lITjb64lnCaNVAie5lWjglyPLNzPW0-d75KdAG9YtLP8UsWJRNxO2yQQfj-F0FTXA0ra-U2BFYeB76-eW4A3Czh_IT2OSBU1I3i__5A/s1600/Palazzo%20Gatti.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMwYp8ZZD-WqGLVpVsZLGSMrfxRkZs2dtCgy9835k3K16k2TTKI9MMwcNZY85etFZycxHApTgmKfvcIr1xfZ1lITjb64lnCaNVAie5lWjglyPLNzPW0-d75KdAG9YtLP8UsWJRNxO2yQQfj-F0FTXA0ra-U2BFYeB76-eW4A3Czh_IT2OSBU1I3i__5A/w400-h300/Palazzo%20Gatti.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Palazzo Gatti</td></tr></tbody></table></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Ci spiega Fabrizio Fontana, di Civago, che la famiglia Gatti è proprietaria di molti terreni nella zona di Carniana, comune di Villa Minozzo. La terra in questione ha inizio a Carniana e si sviluppa fino al Secchiello; proprio a metà c'è una specie di avvallamento dove sembra nasca un piccolo rio: potrebbe essere quella la sorgente “del Groppo” di cui si narra nella favola? Il Concilio di Trento - e la seguente opera di cancellazione dei culti pagani – debellò quasi del tutto le “superstizioni” rimaste intatte nelle zone più remote. I pochi miti scampati alla cristianizzazione si fusero, in seguito, con le vicende cantate nel Maggio drammatico: episodi su paladini, re, crociate, guerre contro il male, la stessa Matilde di Canossa. Insomma: il Medioevo “immaginario” che un po’ tutti ci portiamo dentro. Come afferma la professoressa Francesca Roversi Monaco: “Il medioevo corrisponde a un esotismo temporale, l’Oriente a un esotismo spaziale”. Perché il passato è come “un paese straniero” e il Medioevo è davvero esotico. Lo dichiarava anche Giosuè Carducci: “Al poeta è lecito, se vuole e può, andare in Grecia e in India nonché in Persia e nel Medioevo”. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikPK_6hPnNmrN4K4jUs23hCqj3o2L4KtgAxIlUHov45BIYH-MLzJ9Gt78xopm-InEVYfvk7IGjyoZbbzgBSZH4yJ-Jy3ihXMWgKfBNHyQMizFLNZ0mvMPz0UdI9t00ri7HItDng2dfqo0RSSdvmnzMocqmF-FN0ypt9LJcwBF5Q0GYHIFvkEyJf6T55A/s2495/Raimondino%20e%20Melusina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1688" data-original-width="2495" height="270" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikPK_6hPnNmrN4K4jUs23hCqj3o2L4KtgAxIlUHov45BIYH-MLzJ9Gt78xopm-InEVYfvk7IGjyoZbbzgBSZH4yJ-Jy3ihXMWgKfBNHyQMizFLNZ0mvMPz0UdI9t00ri7HItDng2dfqo0RSSdvmnzMocqmF-FN0ypt9LJcwBF5Q0GYHIFvkEyJf6T55A/w400-h270/Raimondino%20e%20Melusina.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Raimondo e Melusina</td></tr></tbody></table></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">A proposito dei Maggi, tre sono le ipotesi circa la loro nascita e il loro sviluppo: la prima riguarda il legame tra il Maggio e i riti primaverili ancestrali; la seconda è legata alla lauda medievale, divenuta poi col tempo “Sacra rappresentazione”; la terza - come ben chiarisce il professor Davide Villani in un suo saggio - “...indicherebbe l’origine dei Maggi come frutto della classe dirigente toscana ottocentesca che, per soddisfare il proprio programma etico - politico, innestò tratti morali e ideologici su una rudimentale struttura già appartenente alle popolazioni rurali toscane”. Ma torniamo alla leggenda raccolta nel 1961 da Quinto Veneri e pubblicata sul Resto del Carlino. Intanto, la protagonista è Leda, figlia di un ipotetico Azzo della famiglia Gatti. Azzo è un nome longobardo che, con le varianti Atto, Attone, Azzone, dovrebbe significare “nobile”; Leda ricorda, invece, la bellissima regina di Sparta, sedotta da Zeus - trasformato in cigno - e poi diventata la madre di Elena di Troia. Il toponimo “Groppo” potrebbe altresì derivare dal dialetto “gròp”: collinetta, oppure sempre dal dialetto “gröp”: nodo, nodosità. In quest’ultimo caso ricordiamo che la difterite veniva chiamata “mâl dal gröp” perché chiudeva la gola e strozzava. Nella famiglia Gatti è presente il nome Azzio, che però deriva dal latino Accius o Attius (Azia, della gens Atia/Attia, era la madre di Ottaviano Augusto) e non ha a che fare con Azzo. È proprio Azzio Gatti, nel 2011, a ritrovare e salvare questa favola.<span></span></span></p><a name='more'></a><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9CimgWOAqIkPUQBTfD9-z0PXpZMhYxq_6Nt0Hv_2Brp4K_e7UyP37p963uDYkOI493XtUyI7lQyPMHWiRh0_o7EUKDm04fM7MVrW-VCm23j9cSseLLR-NMOgwL27jrsWecd-QCBUoYd79YWGca1tX8N44u-cgyHWi4XwWPFWhf1uh-P8o_Y-B-r3vHA/s528/drago.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="528" data-original-width="500" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9CimgWOAqIkPUQBTfD9-z0PXpZMhYxq_6Nt0Hv_2Brp4K_e7UyP37p963uDYkOI493XtUyI7lQyPMHWiRh0_o7EUKDm04fM7MVrW-VCm23j9cSseLLR-NMOgwL27jrsWecd-QCBUoYd79YWGca1tX8N44u-cgyHWi4XwWPFWhf1uh-P8o_Y-B-r3vHA/w379-h400/drago.jpg" width="379" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Drago</td></tr></tbody></table></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Il “cattivo” del racconto è un certo Conte di Vallisnera, un vecchio che vorrebbe sposare la bella Leda e che minaccia Azzo: “Se me la darai in sposa, i miei maghi di Pradarena ti aiuteranno ad estendere il tuo dominio fino ai confini del mio; se no …” Azzo non accetta e Leda viene trasformata in serpe dal Mostro dei Rivoni, un drago che infestava le zone del Secchia e del Secchiello, sentinella del regno dei maghi di Pradarena. Leda, però, una volta all’anno, poteva riacquistare sembianze umane e, in quei giorni, compiere prodigi. Il mito della sirena (e fata) Melusina è chiarissimo, in questa parte, anche se rovesciato: Melusina, nella fiaba originaria, era donna per una settimana, poi, per un giorno, si allontanava e ritornava serpente, lavandosi nelle acque di una fonte. Confidando nelle capacità prodigiose di Leda, il Conte di Vallisnera sperava di essere tramutato in un bel giovane del quale lei si sarebbe innamorata. Il sortilegio del Mostro sarebbe caduto e lui avrebbe potuto sposarla. Il padre di Leda, però, decise nel frattempo di andare a chiedere sostegno a Matilde di Canossa; la contessa lo accolse e gli consigliò di farsi aiutare dai paladini perché uccidessero il Mostro dei Rivoni e tutti i briganti (o maghi?) di Pradarena. Azzo obbedì e, magicamente, comparvero Carlo Magno e il paladino Orlando che, però, non riuscirono a trovare né il drago, né i maghi: “Dove è la Croce - concluse Carlo imperatore - il diavolo fugge”. Ed ecco che arrivò re Teodorico dall’Etna, ma anch’egli fallì. A nulla valse persino l’intervento di San Giorgio con la spada sguainata. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhs98_0g1o5-8awGjsJAHZ4h8ztNU34spHqIwGaXCIznbE5Hm-_WfDTpxNk6xrk1fZy-b0vXQ0sqKeETgxhup3OHhvJ2UOsMv8X2vAcUVTc6SH5LSvGvAH1bQ-bXI_PItqMxrsr2zMJwrhgFTGvouAP5hAbtr98dKThyhkY5OI-Y4wxDyzjDiNuyAKrwg/s1700/Paolo_Uccello_San%20Giorgio%20e%20il%20drago.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1301" data-original-width="1700" height="306" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhs98_0g1o5-8awGjsJAHZ4h8ztNU34spHqIwGaXCIznbE5Hm-_WfDTpxNk6xrk1fZy-b0vXQ0sqKeETgxhup3OHhvJ2UOsMv8X2vAcUVTc6SH5LSvGvAH1bQ-bXI_PItqMxrsr2zMJwrhgFTGvouAP5hAbtr98dKThyhkY5OI-Y4wxDyzjDiNuyAKrwg/w400-h306/Paolo_Uccello_San%20Giorgio%20e%20il%20drago.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">San Giorgio e il drago</td></tr></tbody></table></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Figura mitico-religiosa venerata dai Longobardi - ma per influsso bizantino - San Giorgio era il santo guerriero uccisore del drago - simbolo del male - ma, in questo caso dovette battere in ritirata. Un bel giorno, mentre, sotto forma di serpente, Leda strisciava tra erba e cespugli, avvertì che stava mutandosi in donna e, intanto, udì dei lamenti. Si mise a correre finché raggiunse un vallone più in alto, dove trovò un ragazzo sanguinante. “Salvami – la implorò lui - e mio padre, il Conte di Vallisnera, ti darà quanto vorrai”. Anche se, al nome del Conte, Leda rabbrividì, senza esitare un istante di più colpì con un ramo la roccia vicina. Ed ecco che l’acqua sgorgò, lavando via il sangue, mentre le ferite si rimarginavano, e il ragazzo, che si chiamava Raimondo, riprendeva vigore. I due si innamorarono… Raimondo decise pertanto di andare a sconfiggere i maghi di Pradarena e il Mostro dei Rivoni, in modo che Leda restasse per sempre donna e non fosse costretta a sposare il vecchio Conte di Vallisnera. Non fece nemmeno in tempo ad arrivare sull’Alpe che già il capo dei briganti lo colpì, squarciandogli il petto. Nel momento in cui Raimondo moriva, Leda si trasformò in serpente e si attorcigliò al cannello della fonte prodigiosa, formando un nodo (un gröp, in dialetto). Rimase avvinta in quella maniera, finché l’anima sua e quella di Raimondo non s’incontrarono nell’alto dei cieli. Quinto Veneri concludeva così la favola: “Sulla terra era il tramonto: il Mostro dei Rivoni scoppiò dalla rabbia e tutta la montagna fu scossa da uno spaventoso terremoto. Molte fontane seccarono, quella del Groppo continuò a zampillare limpida e fresca. Si disse persino che, al cadere del sole, versasse acque miracolose; ma nessuno poté mai assaporarle, impedito come era da due occhi iniettati di sangue. A nessun patto il Mostro dei Rivoni voleva darsi per vinto”. Alcune figure (come Orlando...) della favola sono prese pari pari dal Maggio drammatico, passando, forse, anche per l’ “Orlando furioso”, dove, nel decimo canto, Angelica, offerta in sacrificio all’Orca, mostro marino, viene slegata dalla roccia da Ruggero a cavallo di un Ippogrifo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWSr_K5geSKFcOKN84EF7jdX7Ax1-86oiq7yggl1umJZmN-V98j591LgzfIj0mXGHcL-rMxjyZ9hTEAEvH054DAB5ncPaVGnwxvTTAe25mgrUv8m748jGRA6-02Qva3tYY4nRU-rBOGPh5vLPhzzS9-T86ZawHC7zVrlw597FE8m1ONUcORTenlAtrPQ/s720/Un%20Maggio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="509" data-original-width="720" height="283" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWSr_K5geSKFcOKN84EF7jdX7Ax1-86oiq7yggl1umJZmN-V98j591LgzfIj0mXGHcL-rMxjyZ9hTEAEvH054DAB5ncPaVGnwxvTTAe25mgrUv8m748jGRA6-02Qva3tYY4nRU-rBOGPh5vLPhzzS9-T86ZawHC7zVrlw597FE8m1ONUcORTenlAtrPQ/w400-h283/Un%20Maggio.jpg" width="400" /></a></span></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Tuttavia, nel nostro caso, Leda è una “donna serpente”, la stessa che, in un racconto di Thüring von Ringoltingen, scrittore svizzero del 1400, è denominata Melusina. Ebbene: per lo scrittore si tratta appunto di una fata e il suo innamorato si chiamava proprio… Raimondino, come quello di Leda. Il luogo in cui le fate vivono è in genere immerso nei boschi, vicino all’acqua e alle rocce. Di sicuro, le fate del Medioevo discendono dalle Parche e dalle ninfe. Il termine “fate” e il vocabolo “fatuae” hanno in comune le divinità campestri legate al dio Fauno (chiamato Fatuus nella religione dei latini). L’acqua ha sempre generato stupore dando vita a leggende e credenze sulle acque miracolose e curative. Per quanto riguarda il drago Mostro dei Rivoni, nella tradizione longobarda soltanto i draghi erano soliti accumulare e vegliare preziosi tesori, e quel mostro vegliava sicuramente i tesori dei briganti. Il drago richiama alla memoria anche il “serpente regolo”, un animale fantastico della tradizione toscana, umbra, abruzzese, sabina e delle Marche. Ma nel folklore c’è un’altra figura simile proprio in Garfagnana, a poca distanza da Pradarena: il “Devasto”. “Si dice che una volta… ci fosse un serpente gigantesco chiamato Devasto… Lo strano animale attraversava la strada di Minucciano e, al suo passaggio, la gente era terrorizzata. Qualcuno sostiene che, ancora oggi, ci si potrebbe imbattere nei suoi figli”. Invece, l’accenno a uno “spaventoso terremoto” potrebbe essere stato aggiunto in seguito e riguardare quello del 1920, che colpì atrocemente il comune di Villa Minozzo. </span></p><p style="text-align: justify;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyXSVLkSurxh_BJXd2g1fkvYWRv954vfLCspmNyDPQ3DlbfO7mavvlPAR-dKECpwZeatmeRAU-hHasKogEDh0tOYP1rcNSUjMW06qVAQKzGIEXNH4yPhoPLWxdxDyBqjN9oBqhg_UxOBhR38bNMxuBsxmJvme1cCpAWgctowN4mjV1p1vX6Z56f-QWTQ/s762/nodo%20di%20salomone2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="570" data-original-width="762" height="239" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyXSVLkSurxh_BJXd2g1fkvYWRv954vfLCspmNyDPQ3DlbfO7mavvlPAR-dKECpwZeatmeRAU-hHasKogEDh0tOYP1rcNSUjMW06qVAQKzGIEXNH4yPhoPLWxdxDyBqjN9oBqhg_UxOBhR38bNMxuBsxmJvme1cCpAWgctowN4mjV1p1vX6Z56f-QWTQ/s320/nodo%20di%20salomone2.jpg" width="320" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Nodo di Salomone</span></td></tr></tbody></table></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Per quanto riguarda la simbologia del nodo, senza stare a scomodare il “nodo di Salomone” o il “tyet”, nodo della dea Iside, accogliamo le suggestive parole del matematico Piergiorgio Odifreddi: “La vita incomincia con un nodo, fatto dall'ostetrica all’ombelico, e continua con nodi quotidiani di ogni genere: alla cravatta, ai lacci delle scarpe, al fazzoletto (…). Alcune categorie di persone annodano per professione: i marinai le vele, i pescatori le reti (…). La vita può anche terminare con un nodo, se si finisce strangolati da un cappio come gli impiccati, dal proprio velo come Antigone, o dalla propria sciarpa come Isadora Duncan. A partire dall'immagine delle Parche, che annodano e snodano il filo del destino, il simbolismo del nodo compare in molte espressioni più o meno metaforiche...” </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"> Era stata Ines, nonna di Azzio Gatti, a ritagliare e conservare l’articolo di Veneri. Azzio aveva poi chiesto all’amico pittore Fabio Rota di condensarne l’immagine su tela: “Il risultato è ora visibile, c’è una linea del tempo, il profilo della montagna che digrada al fiume, che unisce i tempi antichi (rappresentati dalle rive di Secchia) ai nostri giorni (rappresentati dalla nostra casa in Gatta) e su questa linea, in qualche tempo si interseca la vita di Leda, nel momento più triste, quello in cui, a causa della perdita del suo amore, si pietrifica accanto all’acqua che scorre”.</span></p><p style="text-align: justify;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0tq8byp19l9KuJv90Xmm5TKqfIMFmiEugwy9qhLkeXf0FEmHB1TXvsBXcBUPPetdYDDjyMpaH_YAEOhm97IByELz4XE1fPtRci5eZ9i9OrPv8WhjBbJkDU-kzQYyzTgZ5SxGSjVTJUijbE5mMhkipw1vXB-Us_SxTU-PStX4sEcyOthGYzCyLfnT57g/s1016/nodo%20di%20Iside.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1016" data-original-width="953" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0tq8byp19l9KuJv90Xmm5TKqfIMFmiEugwy9qhLkeXf0FEmHB1TXvsBXcBUPPetdYDDjyMpaH_YAEOhm97IByELz4XE1fPtRci5eZ9i9OrPv8WhjBbJkDU-kzQYyzTgZ5SxGSjVTJUijbE5mMhkipw1vXB-Us_SxTU-PStX4sEcyOthGYzCyLfnT57g/s320/nodo%20di%20Iside.jpg" width="300" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Nodo di Iside</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"> </span></p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-84393579946820744122023-06-17T22:18:00.002+02:002023-06-17T22:18:24.672+02:00IL LUPO IN CERCA DELLA CAPRA BIANCA (CHE NON C'È PIU')<p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/ZVltQuDCCWU" width="320" youtube-src-id="ZVltQuDCCWU"></iframe></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><span style="font-size: medium;">Il lupo annusa l’aria. Sul terrazzo naturale, che domina la valle, si perdono le tracce della sua ambita preda, diventata una presenza amica. Guardingo, il predatore si sposta con calma e fiuta ancora; riconosce diverse esalazioni: quelle aspre dei cinghiali, che lì pasturavano poco prima - mamme grufolanti con i loro piccoli dalla schiena striata – e poi un odore particolare che emana una forte energia. Si ferma. <br /> Più in basso, il frastuono dei boscaioli intenti a tagliare gli alberi riecheggia tra i versanti dei monti, sovrastando il gracchiare dei corvi che disturbano una poiana.</span><div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibvgCReLAUcCxoLiK30qFkEu0ryMjY6-JoGnCDTfAiqZsi1_tmHBjoRTJ1Tj9bExBc9zoKmHnKUujIvPwW9kwDVMaJSnzBK5xY9t5x99R0gwyY9K0TUpRkO2r1wilHt675oXgvti4AtDj1Z8JtAv5NabFBivRyakaQuLmXh8JPpD_wevvXXHLRFKY/s720/capra_bianca3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="670" data-original-width="720" height="298" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibvgCReLAUcCxoLiK30qFkEu0ryMjY6-JoGnCDTfAiqZsi1_tmHBjoRTJ1Tj9bExBc9zoKmHnKUujIvPwW9kwDVMaJSnzBK5xY9t5x99R0gwyY9K0TUpRkO2r1wilHt675oXgvti4AtDj1Z8JtAv5NabFBivRyakaQuLmXh8JPpD_wevvXXHLRFKY/s320/capra_bianca3.jpg" width="320" /></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWWgSDGk0hrAfkfZu3nip-mGcO6EVIUO5bkUO4kbuB9gevMxlZp01ej0EhLp3zzMg7Z6F0eozXFw3u2a0RaXwQy1j4wt1VU0rekrSZEtBySxZrWnRtobbjVQGI3HrZEKCe8xPtfBX2VacUpcuTPJIm8Kd6K73ti4mq2OxLmaqNCwL2MDHUrynIzro/s1600/lupo_alberto.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="945" data-original-width="1600" height="236" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWWgSDGk0hrAfkfZu3nip-mGcO6EVIUO5bkUO4kbuB9gevMxlZp01ej0EhLp3zzMg7Z6F0eozXFw3u2a0RaXwQy1j4wt1VU0rekrSZEtBySxZrWnRtobbjVQGI3HrZEKCe8xPtfBX2VacUpcuTPJIm8Kd6K73ti4mq2OxLmaqNCwL2MDHUrynIzro/w400-h236/lupo_alberto.jpg" width="400" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><span style="font-size: medium;"> Sotto l’erba fresca della primavera, il terreno roccioso si fa sempre più duro e spoglio via via che ci si avvicina al precipizio. Il lupo sfrega il naso a terra: no, non è il profumo di lei, della Fata. <br /><br /> Non è quello della faina, non è quello del tasso, non è quello delle aquile. <br /><br /> È l’energia dell’uomo, è l’odore del luparo, anzi: l’odore dei due lupari – per sua fortuna amici - che lui conosce molto bene. Li ha osservati spesso mentre salivano lassù, persino sotto gli acquazzoni autunnali o in pieno inverno, avanzando a fatica sulla neve fresca. <br /><br /> Il loro sentore è una lunga scia che scende giù tra i faggi, perdendosi nel dirupo. <br /><br /> Si dice che i lupi non amino le altezze, e quella scarpata rocciosa, che gli umani chiamano “Porta del diavolo”, disegnata dalle intemperie, fatta di massi e grotte lavorati dal vento, dal ghiaccio e dalle piogge, un po’ lo inquieta. <br /><br /> La sua desiderata preda ci viveva, invece - senza problemi - balzando da una roccia all’altra, come avesse le ali, con la grazia che può avere soltanto una Fata. <br /><br /> La cima secondaria di quel monte, il Ventasso, si chiama “La Grotta delle Fate”. Lassù, secondo la leggenda, due fate pretendevano offerte dai pastori e, se questi non le accontentavano, le greggi rischiavano di finire in fondo ai burroni. Erano fate cattive… <br /><br /> Lei no, lei era una Fata Bianca, libera e in pace con tutti. Una capra scappata al suo pastore, in balìa dei lupi e delle aquile che, tuttavia, aveva scelto di vivere lassù, condividendo il territorio con i suoi possibili predatori.<span><a name='more'></a></span> <br /><br /> Continua a fiutare l’aria, il lupo; è un carnivoro, un cacciatore che ha incantato generazioni di guerrieri, i quali hanno visto in lui l’incarnazione della forza, del coraggio e del realismo senza compromessi.</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/w3lsqe1_6nc" width="320" youtube-src-id="w3lsqe1_6nc"></iframe></div><br /><br /> Agli albori della civiltà, il lupo rappresentava il maschio in assoluto, era “il lupo della fertilità”, e anche alcuni Dei erano figli dei lupi. Zeus, per esempio, era un appassionato trasformista: nel suo repertorio di mutazioni vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di “Liceo” era adorato ad Argo. <br /><br /> Zeus è padre di Febo Apollo che, insieme alla sorella Artemide, venne partorito da Latona, trasformata in lupa. E anche il dio Febo Apollo poteva cambiare forma e diventare un lupo. <br /><br /> A Febo Lýkos (lupo) era stato dedicato un boschetto ad Atene, vicino al suo tempio; lì era solito tener lezione Aristotele. Si trattava del “Liceo di Aristotele”, dal quale derivò poi il nome dell’attuale liceo scolastico. Il lupo divenne quindi anche simbolo della sapienza. <br /><br /> E come dimenticare Roma, la città eterna, avente come emblema una femmina di lupo che, con amore materno infinito, allatta due cuccioli d’uomo: Romolo e Remo. <br /><br /> Lupo Alberto (chiamiamolo così) sul ballatoio in alto continua a cercare l’odore della sua amica Capra Bianca. L’olfatto, l’olfatto, è uno dei sensi più acuti dei lupi ed è quello su cui fanno affidamento. Forse anche l’uomo e la donna, ai tempi dei tempi, essendo dei cacciatori in concorrenza con il lupo, avranno avuto le stesse capacità di distinguere gli odori e di leggerne i messaggi?</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKwENz-S5hx55jXbBqUmACxAbi-tJlaqiw-CXXeEEO2gv57_nF5095MBd1yp8ZVNES031W4WycJLbzzutDxrkUeEPGpj8wZdC6TnTBbUw6ZEVIbkEKZZZ9Sb5ogVrH0axdXSHZjyXxACUDKkh2R4QyEeFNolfd5CzOqEhTSGRlXCwe_wL-951uhfE/s750/arton154410.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="350" data-original-width="750" height="186" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKwENz-S5hx55jXbBqUmACxAbi-tJlaqiw-CXXeEEO2gv57_nF5095MBd1yp8ZVNES031W4WycJLbzzutDxrkUeEPGpj8wZdC6TnTBbUw6ZEVIbkEKZZZ9Sb5ogVrH0axdXSHZjyXxACUDKkh2R4QyEeFNolfd5CzOqEhTSGRlXCwe_wL-951uhfE/w400-h186/arton154410.jpg" width="400" /></a></div><div><br /><span style="font-size: medium;"> Dice la psicanalista Clarissa Pinkola Estés in “Donne che corrono coi lupi”: “Ringrazio, infine, l’odore dello sporco buono, il suono dell’acqua libera, gli spiriti della natura che accorrono sulla strada per vedere chi passa. Tutte le donne che sono vissute prima di me e hanno reso il sentiero un po’ più aperto e un po’ più facile.” </span><br /><br /><span style="font-size: medium;"> Ma tra Zeus (in forma di lupo) e le capre c’è un forte legame: Amaltea fu la capra che allattò il dio sul monte Ida, a Creta. La sopravvivenza di Zeus fu così garantita da questa magica capra che, secondo alcune versioni del mito, era essa stessa una ninfa: una Fata.</span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0K2NQQEFTJfm1HlsTlJ5DrwNIwVaWH92qVkbHY2sNXG-CUUGvzt5dS9bU4p47ad12nfJeAk5AIP_KYXManbj60JQp7XLDXm7sBBz2h0Rnwl5pCoqAz8NWEk752deDV0d4f2zuI_JzVLS-x7JogS85ktfolpk0XMoKO1eCCX9yiyLgt10Ml1RsgSM/s275/zeus_amaltea.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="275" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0K2NQQEFTJfm1HlsTlJ5DrwNIwVaWH92qVkbHY2sNXG-CUUGvzt5dS9bU4p47ad12nfJeAk5AIP_KYXManbj60JQp7XLDXm7sBBz2h0Rnwl5pCoqAz8NWEk752deDV0d4f2zuI_JzVLS-x7JogS85ktfolpk0XMoKO1eCCX9yiyLgt10Ml1RsgSM/w400-h266/zeus_amaltea.jpg" width="400" /></a></div><span style="font-size: medium;"><br /> Diventato il re degli dei, Zeus, per ringraziarla, diede un potere alle sue corna: chi le possedeva poteva ottenere tutto ciò che desiderava. Da qui la leggenda del “corno dell’abbondanza”, o cornu copiae – cornucopia – cioè il Corno di Amaltea. <br /><br /> Quando Amaltea morì, Zeus la pose, insieme ai suoi due capretti, tra le stelle del cielo. È nella costellazione dell’Auriga, immaginata dagli antichi come un guidatore di cocchio con in braccio una capra – Amaltea – e i suoi due capretti.</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_s5kpZXifc96laB0puV1gIOzNYnQFrHqmGn6Zj41bG428mNx1pJ4VjrQwoTRcx0YkqJnADkdo81b_60CUOvbCatV01Jo92MLk5XJ4V5eCE2RXFdscSiWEvWeOWEY0WkToVaT5uh5DbzoVSGeOprWOaJgjyEWQxBqawwJnkH1b3IC5JUHX3OJgj-s/s300/auriga1.gif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="234" data-original-width="300" height="312" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_s5kpZXifc96laB0puV1gIOzNYnQFrHqmGn6Zj41bG428mNx1pJ4VjrQwoTRcx0YkqJnADkdo81b_60CUOvbCatV01Jo92MLk5XJ4V5eCE2RXFdscSiWEvWeOWEY0WkToVaT5uh5DbzoVSGeOprWOaJgjyEWQxBqawwJnkH1b3IC5JUHX3OJgj-s/w400-h312/auriga1.gif" width="400" /></a></div><span style="font-size: medium;"><br /> Lupo Alberto annusa l’aria, tende le orecchie in ascolto di un qualsiasi rumore che gli indichi la presenza della sua amica, ma lei non c’è più. <br /><br /> Da tempo, i lupari Umberto e Marco non la vedono né nei filmati delle fototrappole, né sulle balze del monte: macchia bianca perfettamente distinguibile anche dalla Statale 63. <br /><br /> La Fata non c’è più. Non c’è tra i faggi, dove Umberto - un po’ Pollicino - le lasciava i crostini di pane; non c’è sul terrazzo naturale a brucare l’erbetta fresca; non c’è vicino alla “Porta del diavolo”. <br /><br /> Eppure, non può averla predata lupo Alberto, altrimenti non la cercherebbe. <br /><br /> Era una fata anziana che aveva saputo vivere in libertà. <br /><br /> Aveva seguito il suo intuito, come le “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés: “L'intuito femminile, quell’essere sapiente che cammina ovunque una donna cammini, che osserva tutto della sua esistenza e ne commenta la verità con esattezza (…) Quando facciamo valere l’intuito, siamo come una notte stellata: fissiamo il mondo con migliaia di occhi.” <br /><br /> Anziana e libera, la capra fuggitiva si sarà nascosta in qualche anfratto per trasformarsi in qualcos’altro. Può essere che, ora, la Fata Bianca del Ventasso faccia parte di una costellazione in cielo, come la capra Amaltea.</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdp5n2WQvzwCMmSEVKsyPy08NFUC31S_pcPsmTZFQMeGqpD0-GjLMESsf3QFYlJlcM7IaR8zEG-zXxSfnuwdPwF_tZwNKjKYkP7kb8D1YnK_kwv-yCosw_M6WoFKwIq22tRZYPXGQrjuZtwyMROupMgdfmYXBxZHhX46KXBlPN9z7bb1siNQZyjpk/s720/capra_bianca.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="607" data-original-width="720" height="338" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdp5n2WQvzwCMmSEVKsyPy08NFUC31S_pcPsmTZFQMeGqpD0-GjLMESsf3QFYlJlcM7IaR8zEG-zXxSfnuwdPwF_tZwNKjKYkP7kb8D1YnK_kwv-yCosw_M6WoFKwIq22tRZYPXGQrjuZtwyMROupMgdfmYXBxZHhX46KXBlPN9z7bb1siNQZyjpk/w400-h338/capra_bianca.jpg" width="400" /></a></div><br /></div></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-size: medium;">(<i>Video e foto di Umberto Gianferrari, canale YouTube https://www.youtube.com/@UMBERTOGIANFERRARI1)</i></span></div><div><span style="font-size: medium;"><i><br /></i></span></div><div><span style="font-size: medium;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfLa1mQkSPrSR-6FQJXVUzsm41ssvULaGNn0kh_QblWBRIDN-nkTdydaTUvvlRM8lA7YVCFce0OpOY5lwZF_C5CLxO-StrnfsI7xvlFHBlfk-kFul_iPTRHaQGbLx5Zcn11jxYak63ktN4CoDWkVzRR5ys9bef9toKAcVd4i0Fn1zBgP-zeRyWRVk/s720/AQUILE.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="405" data-original-width="720" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfLa1mQkSPrSR-6FQJXVUzsm41ssvULaGNn0kh_QblWBRIDN-nkTdydaTUvvlRM8lA7YVCFce0OpOY5lwZF_C5CLxO-StrnfsI7xvlFHBlfk-kFul_iPTRHaQGbLx5Zcn11jxYak63ktN4CoDWkVzRR5ys9bef9toKAcVd4i0Fn1zBgP-zeRyWRVk/s320/AQUILE.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDyRIoOiGJbxJmUsoX1k7ll_RaafCAPgrxoVF-c4vDmu6dHUdNxSzvs6yKlYo7SnysyKIBuJoj3UX4oy5hNNsFbpOdd2hkjAAIvH18LjM2ESi_oEkeVoK8FmehQnso2Ak5zcJt6XyvUesyorB_Jh665sQfRLZiPrwGUWlSX3P-rMFsGbgyYDqNoNY/s1600/Lupoa3.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="917" data-original-width="1600" height="183" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDyRIoOiGJbxJmUsoX1k7ll_RaafCAPgrxoVF-c4vDmu6dHUdNxSzvs6yKlYo7SnysyKIBuJoj3UX4oy5hNNsFbpOdd2hkjAAIvH18LjM2ESi_oEkeVoK8FmehQnso2Ak5zcJt6XyvUesyorB_Jh665sQfRLZiPrwGUWlSX3P-rMFsGbgyYDqNoNY/s320/Lupoa3.jpg" width="320" /></a></div><br /><i><br /></i></span></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-53610723312572501662023-06-14T11:51:00.002+02:002023-06-14T11:51:18.838+02:00 STORIA DI ZAMPASECCA - PAURA E ATTRAZIONE PER IL LUPO<div class="separator"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcyNj79KDo8mfyMEyzVKA66lmaTsztj1SDqGn0-4EbHDdxuJqojcdX6JGVU3MMZBQexZsXO3WFz0l9SAY6LGdIfjxQR-qXjDohZrlDshN-CnKa7HFb1G14F0hqOClFKcYTJU1PN_wtX4c9fBZTlSq3LXjRpQRNgspKzorSGOlq1vx4jz-Re_iuEKA/s1606/lupo_zampa.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="950" data-original-width="1606" height="236" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcyNj79KDo8mfyMEyzVKA66lmaTsztj1SDqGn0-4EbHDdxuJqojcdX6JGVU3MMZBQexZsXO3WFz0l9SAY6LGdIfjxQR-qXjDohZrlDshN-CnKa7HFb1G14F0hqOClFKcYTJU1PN_wtX4c9fBZTlSq3LXjRpQRNgspKzorSGOlq1vx4jz-Re_iuEKA/w400-h236/lupo_zampa.jpg" width="400" /></a></div><div class="separator"><br /></div> <br /><br /><div><div style="text-align: justify;"><i style="font-size: large;">Le belle immagini di Campari e Gianferrari che riguardano un lupo ferito in via di guarigione</i></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questa è la storia di un lupo zoppo che, quasi sempre di notte, si sposta in un castagneto; soltanto una volta lo si è visto di giorno, fototrappolato con una volpe tra le fauci. Succede che il “luparo” Umberto Gianferrari, tempo dopo, piazza una delle sue fototrappole in un bosco diverso, alla ricerca di altri animali. Quando visiona le immagini, ecco che in una clip compare proprio il lupo claudicante. È come se l’animale fosse andato a cercare il “luparo”, non il contrario. Come mai il lupo passa di lì se nulla c’è da mangiare, niente per lui? È come se riconoscesse un odore, quello di chi ha posizionato la fototrappola e che, forse, percepisce come amico. Si ferma e poi fa qualche passo, quasi a voler ostentare le sue condizioni di salute finalmente migliorate.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Umberto è riuscito a riprenderlo perché, dopo anni di fototrappolaggio, ha capito che è meglio regolare lo scatto della fototrappola sul minuto, e non su qualche secondo: otterrà così filmati senza animali, ma avrà anche belle sorprese come questa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiihItWSNZZouPkzW1VnHHMhdaPCQr21cWOtqt3FqEZyCHNuhXGgwvmliyZ3IK9mfawLN6hbx6k91EZarW4mA_gWWLKVkO5XhHBSyXJLBJ7cl9L8hZvYAorQrNCEXP2uBp3bIra-YICcTQut_bmW1c96reb7p3ID6kX3Q08OUtm-erttj4gGGIH5hY/s1691/lupo_z.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="930" data-original-width="1691" height="220" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiihItWSNZZouPkzW1VnHHMhdaPCQr21cWOtqt3FqEZyCHNuhXGgwvmliyZ3IK9mfawLN6hbx6k91EZarW4mA_gWWLKVkO5XhHBSyXJLBJ7cl9L8hZvYAorQrNCEXP2uBp3bIra-YICcTQut_bmW1c96reb7p3ID6kX3Q08OUtm-erttj4gGGIH5hY/w400-h220/lupo_z.jpg" width="400" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il lupo ferito fa tenerezza; in generale, è un predatore che, quando non spaventa, attira.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Forse perché tra tutti i predatori è l'unico che non troveremo mai in un circo. La sua anima nobile e libera è ciò che, di sicuro, ammiriamo in lui.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Del lupo parla anche, nel suo libro “Mosè”, il poeta Agostino Santini, originario di Valbona di Collagna, purtroppo scomparso nel 2019. Lo fa con uno stile fluido che non vuole lettere maiuscole a intralciare il flusso dei pensieri. Un lupo, il suo, somigliante a una nostra creatura interiore che non sappiamo rendere libera, permettendole – e dandoci – una possibilità di vita autentica: “sono furtivo, trovo sempre il modo di scivolare sulle cose e di non farmi intrappolare da nessuno, sono nato leggero fuggiasco, nomade nel mio territorio, la strada sempre aperta alla possibilità qualunque essa sia, posso decidere anche di lasciarmi prendere o fuggire o solo farmi toccare, vedere, nei boschi, silente mi compiaccio di tanta abilità”. Chissà cosa direbbe oggi Agostino, vedendo che sui media e sui social si parla di lupi in modo sempre più divisivo, tanto da veicolare una disturbante disinformazione?</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU6zzC9851pwQVUaetzRH8XNv-XIfWRgMU9H2hDt8Ae20zuQP6W8rrX_hQWZKKf8hMypI6LHBqlh4mEBsgT0V_2fUudldGkum2mxiFHPA6lg3pp7OARTxUtQ4gZJs8mdTbzANKq5d28QRXKkvWlxxLFXIIlhXRUfPy0g9Wi46s22PAeAj02RnMeQU/s260/lupo_gianferrari3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="206" data-original-width="260" height="317" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU6zzC9851pwQVUaetzRH8XNv-XIfWRgMU9H2hDt8Ae20zuQP6W8rrX_hQWZKKf8hMypI6LHBqlh4mEBsgT0V_2fUudldGkum2mxiFHPA6lg3pp7OARTxUtQ4gZJs8mdTbzANKq5d28QRXKkvWlxxLFXIIlhXRUfPy0g9Wi46s22PAeAj02RnMeQU/w400-h317/lupo_gianferrari3.jpg" width="400" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In questi anni, le belle immagini delle fototrappole di Umberto Gianferrari e Marco Campari ci hanno svelato molto della vita di questi schivi predatori dei boschi; ci hanno mostrato alcuni cinghiali frugare nella neve e poi i lupi fiutare le loro impronte; un tasso e una faina intenti a scavarsi una tana, e i lupi, che, nella notte, si avvicinano cauti e provano a catturare la bestiola. Tuttavia, questa è parente della puzzola – dice Umberto – e ai lupi non garba. Alla fine, sono in tre intorno alla tana, poi quattro, eppure, decidono di lasciar perdere.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Un’altra fototrappola cattura proprio il nostro lupo zoppicante. Non sappiamo se ferito da un altro animale o da un bracconiere; sappiamo, però, che la sua vita, in quelle condizioni, è in pericolo. Il lupo è un cacciatore “inseguitore” di grandi ungulati selvatici, perciò, se viene danneggiata la sua possibilità di camminare, il suo comportamento cambierà.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sarà per forza costretto a trovare altre strategie per sopravvivere, dall’avvicinarsi ai cassonetti dell’immondizia, all’entrare nei centri abitati per cibarsi di cani e gatti. Queste abilità potranno poi essere insegnate e trasmesse agli altri individui. Lo spiega bene il Wolf Apennine Center: la scomparsa per uccisione di uno o più individui importanti per il nucleo familiare può, per esempio, aumentare la probabilità che uno dei lupi si incroci con un cane, creando ibridi, oppure favorire doppie cucciolate all’interno dello stesso nucleo familiare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Allo stesso modo, gli individui che sopravvivono con deficit fisici hanno una ridotta capacità predatoria e una maggior probabilità, come si diceva prima, di sviluppare comportamenti “sgraditi” e potenzialmente pericolosi per gli animali domestici.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQShpV1Z5aWgHeE9KMqY0zo1z_kUe2oLx1VIE_oCtyxrJoXJcYIQNbtq4kSgKfzJLKImjaFak8SEVuLUkkXXTDsZovrx-SmRtoqHfaIwtxxX75YMyq5j4XbxU9GB4nqGITZIB36JwO4JiTJZy_t1YuVZGP4sNYbyAtbKWkwZVxZNlOSfQ-N3DDfPE/s720/agostino.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="484" data-original-width="720" height="269" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQShpV1Z5aWgHeE9KMqY0zo1z_kUe2oLx1VIE_oCtyxrJoXJcYIQNbtq4kSgKfzJLKImjaFak8SEVuLUkkXXTDsZovrx-SmRtoqHfaIwtxxX75YMyq5j4XbxU9GB4nqGITZIB36JwO4JiTJZy_t1YuVZGP4sNYbyAtbKWkwZVxZNlOSfQ-N3DDfPE/w400-h269/agostino.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Agostino Santini</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">“campi il lupo”, dice Agostino, con quella sua prosa senza maiuscole che è poesia: “da lontano guardo con aria di sufficienza chi mi vorrebbe in gabbia, (...) non c'è realmente nessuna esigenza di maggiore velocità, non fatevi ulteriormente rincitrullire, niente di ciò che veramente è importante è cambiato, vivere naturalmente ognuno alla propria andatura, senza rincorrere nulla o chicchessia. la luna, la luna mi manda in visibilio, e così capisco e professo che ogni esplosione naturale vada vissuta com'è, l'amore raro, difficile da incrociare, questo sentimento, però, lui da solo può fermare il mio incessante peregrinare, di solito quello buono ti viene incontro e non teme nulla, si offre. in silenzio ama anche il tuo lupo.”</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Non sappiamo se il bracconaggio riguardi il caso del lupo zoppo fototrappolato da Gianferrari.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgx6ocTWUFNyKs4fdJfuoiXXve3n54HR3WCGPViKgfoVmJaWgq7jU62X3zIUpWtK1s4aLwlajaybhQCR0tZ2tyPpZ1rwC6rIR6-uGobpaYpXnWBZ-ewzexZsTPtlufChp76AdBUj1bggjbWFrNURJy-Qebuz7UmcCaq7wJZP3SQYdiUJbul4WeCXGY/s2000/Umberto_Marco_per_fototrappole.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1391" data-original-width="2000" height="279" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgx6ocTWUFNyKs4fdJfuoiXXve3n54HR3WCGPViKgfoVmJaWgq7jU62X3zIUpWtK1s4aLwlajaybhQCR0tZ2tyPpZ1rwC6rIR6-uGobpaYpXnWBZ-ewzexZsTPtlufChp76AdBUj1bggjbWFrNURJy-Qebuz7UmcCaq7wJZP3SQYdiUJbul4WeCXGY/w400-h279/Umberto_Marco_per_fototrappole.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Umberto e Marco nelle nebbie...</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"> </div></span><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">È invece sicuro che, in determinate circostanze, possono esserci conflitti e lotte tra i lupi stessi, come riporta il filmato ripreso di recente in Abruzzo dalla guida alpina Pietro Santucci. I lupi sono mammiferi territoriali ma, come altre specie, cercano in tutti i modi di evitare lo scontro fisico, rischioso sia per chi attacca sia per chi difende. Proprio per questo, attuano diverse strategie di marcatura e comunicazione intraspecifica per stabilire i confini.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La fine dell’inverno è però un periodo particolare per i nuclei familiari; la coppia dominante entra nella fase riproduttiva: non gradisce la vicinanza di altri lupi e tende ad isolarsi dal resto del nucleo. I giovani, allora, attuano la “dispersione”: partono e percorrono lunghe distanze per andare a formarsi la loro famiglia.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">È durante questi spostamenti che a essi capita di entrare nel territorio di altri lupi, i quali possono reagire violentemente, cacciando l'intruso con le buone e, soprattutto, con le cattive.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ma il lupo non è “cattivo”, fa semplicemente… il lupo. Scrive Agostino: “seguendo il lupo, sulle orme del lupo, le guide ah ah pensano di controllarmi, di reinserirmi di addomesticarmi. (…) nessuno si preoccupa di dare la sveglia al lupo che porta da sempre in sé, (...) a furia di urlare alla libertà non vi frega più nulla di lei (…) convenzioni, falsi moralismi, paure inverosimili, tempi dilatati da inesistenti condizionamenti. dovete, dobbiamo riperderla per capirne l'essenza e tornare a liberare il lupo”</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">A seconda delle epoche, lo sguardo sul lupo è passato dalla curiosità al terrore, dal rifiuto al fascino quasi affettuoso. Tra l'XI e il XIII secolo l'uomo deforestò grandi aree per ottenere terra da coltivare, mettendosi in concorrenza con gli animali che originariamente abitavano il bosco.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il contesto di rivalità uomo belva trasformò l'immagine del lupo: l'uomo si sentì obbligato a tirar fuori la massima ingegnosità per combatterlo. Nell'Ottocento, la scomparsa del lupo stimolò, per assurdo, una caccia ancora più accanita, trasformando l'inseguimento degli ultimi esemplari in un atto mitologico ed eroico.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">All'inizio del XIX secolo c'è stata invece un'inversione: il lupo, nell’immaginario, comincia a essere percepito meno pericoloso perché erano cambiati gli stili di vita e, soprattutto, perché Pasteur aveva messo a punto il vaccino contro la rabbia, della cui trasmissione lupi e volpi erano incolpati.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E oggi? Si va dal grande amore degli ambientalisti, al consenso di molta gente comune, alla preoccupazione - e a volte rabbia (comprensibili) - di pastori e allevatori, alla paura di coloro che abitano nelle periferie delle città, dove il lupo comincia, per i motivi che abbiamo spiegato prima, ad avventurarsi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Come direbbe il poeta Santini, però: “campi il lupo che c'è in ognuno e vi conduca dove volete veramente andare.”</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Intanto, il nostro lupo ferito è in via di guarigione e si ferma davanti alla fototrappola del suo amico “luparo”. “Se lo guardiamo bene”, dice Umberto, “capiamo che non è lì a caccia di cibo, non annusa in terra, non cerca da mangiare... È passato per una visita, per farci vedere che sta meglio, per mostrarci che riesce ad appoggiare la zampa, ma anche per presentarsi alla luce del giorno. E rimane lì, con noi, esattamente per tutto il tempo da me impostato sulla fototrappola... un lungo, meraviglioso minuto.”</div></span><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOr01fPJ_Y4sv_yv3wfR3OI30F6agonyDzfU8wCfCuDnLf_G19oCLkMxDvnn_1QqzEqOTLhjLR-vve8ufj4vr3TqEKox12TTJrS_rZLWTn9DDq_5wWvUHb49kMQPJmEIPiWXbtsjNPB9TWhIoSu6uqNyJjI1KLzimT6vup1hbeaaL9q3p2ayYuMZE/s1536/lupo_zampasecca.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="908" data-original-width="1536" height="236" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOr01fPJ_Y4sv_yv3wfR3OI30F6agonyDzfU8wCfCuDnLf_G19oCLkMxDvnn_1QqzEqOTLhjLR-vve8ufj4vr3TqEKox12TTJrS_rZLWTn9DDq_5wWvUHb49kMQPJmEIPiWXbtsjNPB9TWhIoSu6uqNyJjI1KLzimT6vup1hbeaaL9q3p2ayYuMZE/w400-h236/lupo_zampasecca.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Zampasecca, che forse è femmina, con un amico</td></tr></tbody></table><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-82969473950601113062023-06-12T21:12:00.002+02:002023-06-12T21:14:58.129+02:00PREDOLO/LA VECCHIA CAVA DI PIETRA: I PICIARÌN DEL MONTE BATTUTA<p> </p><p align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;"><i><span style="font-family: Liberation Serif, serif;">Un
lavoro duro e pesante, tra polvere, schegge </span><span style="font-family: Liberation Serif, serif;">e
conseguente silicosi</span><span style="font-family: Liberation Serif, serif;">.
</span><span style="font-family: Liberation Serif, serif;">Cavatori e scalpellini
protagonisti assoluti del luogo. </span><span style="font-family: Liberation Serif, serif;">Maestri
di un mestiere che era un’arte. </span></i></span>
</p><p align="justify" style="font-weight: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><i><span style="font-family: Liberation Serif, serif;"><br /></span></i></span></p>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE3hbDm2AnRM7QgCCCWpLTObHuUyd0Kz65hP7_KYNDR9g83LRwfjQ64DNKlr7R4W1-H-7Jl6xSQ7VjtGEglmc4j0nr6NnnuGD1kxNYWAnNpM4OjDaSZ_ZvgINzqs7gm2vAOO-z1tuHz4-GfCdMwG7poT2FOEehqZf5MvCk-_PqfPFJukF0ssNwj28/s1078/Dario_pozzo_castello_felina.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1078" data-original-width="719" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE3hbDm2AnRM7QgCCCWpLTObHuUyd0Kz65hP7_KYNDR9g83LRwfjQ64DNKlr7R4W1-H-7Jl6xSQ7VjtGEglmc4j0nr6NnnuGD1kxNYWAnNpM4OjDaSZ_ZvgINzqs7gm2vAOO-z1tuHz4-GfCdMwG7poT2FOEehqZf5MvCk-_PqfPFJukF0ssNwj28/w266-h400/Dario_pozzo_castello_felina.jpg" width="266" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Dario Guglielmi e il pozzo restaurato<br /> del castello di Felina</td></tr></tbody></table><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br /></p><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Insieme al legno, la pietra è il materiale più antico usato per abitazioni, luoghi di culto o sepolture, fin dall’ultimo periodo dell’Età del bronzo, intorno al terzo millennio a.C. Più recenti e famosi, gli scalpellini di Salomone (970 al 930 a.C.), di cui si parla nella Bibbia, primo libro dei Re: “Salomone aveva settantamila operai addetti a portare i pesi e ottantamila scalpellini per lavorare sulle montagne (…) Il re diede ordine di estrarre pietre grandi, pietre scelte, per porre a fondamento del tempio pietre squadrate.” Le pagine dell’Antico Testamento traboccano di costruzioni e cantieri, con allegorica enfasi o soltanto per diffondere il sapere pratico dei costruttori. La pietra rimase il materiale preferito dalle antiche civiltà e, nel Medioevo, si trasformò in castelli, chiese, monasteri e palazzi nobiliari. La storia della pietra passa poi per le chiese gotiche, come Notre-Dame, cattedrale di Parigi, innalzata da carpentieri, muratori e scalpellini del XII secolo.</div><div style="text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2xUHEwsxfObM_HUrnktteJ5NlFz9ValTeKOIxl8d7sRpRz_n7OJupoGJNu_K-mR_GDqef2IFKEHRn8UtTk1UskfqnlnQEu51buiEa_5kyip5qJBAQC7-D7LFcGfNBonZlcccHYBwPKgCSZeIsF4VaPabGtpWCSIfbw4Lcm7O97HE_VxDGbb3lgcg/s568/Pietra_della%20Battuta.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="426" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2xUHEwsxfObM_HUrnktteJ5NlFz9ValTeKOIxl8d7sRpRz_n7OJupoGJNu_K-mR_GDqef2IFKEHRn8UtTk1UskfqnlnQEu51buiEa_5kyip5qJBAQC7-D7LFcGfNBonZlcccHYBwPKgCSZeIsF4VaPabGtpWCSIfbw4Lcm7O97HE_VxDGbb3lgcg/w300-h400/Pietra_della%20Battuta.jpg" width="300" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Una delle vecchie cave del Monte Battuta <br />(della famiglia Albertini di Soraggio)</td></tr></tbody></table></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Era un bene essenziale dal quale si ricavava di tutto: mole per arrotare qualsiasi lama, abbeveratoi, pavimentazioni, coperture per i tetti, la “préda” per affilare le falci, acquai, mortai, macine dei mulini, la pietra dell’aia per trebbiare (in uso prima dell’avvento delle trebbiatrici), lapidi delle tombe, acquasantiere. Oltre a ciò, era alla base di una elementare architettura rurale: muri di sostegno, recinti, ripari, ghiacciaie, mulattiere; in questo caso, però, le pietre erano “di campo”, quelle delle “maşére”, o di recupero, assemblate a secco. Nei nostri paesi, per le abitazioni si adoperavano i sassi più accessibili - viste le difficoltà di trasporto - motivo per cui si avviavano cave, quando possibile, nei paraggi dei centri abitati. In questo modo, sorgevano borghi “monocolore” che riproponevano, senza contrasto con il paesaggio, la colorazione delle rocce locali. La pietra del Monte Battuta, in quel di Villaberza, riconoscibile nelle case intorno, è un'arenaria marrone chiaro che, però, una volta tagliata – quindi all’interno - è di un magnifico colore azzurro che la rende unica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiItmywbKM29ENKInle0nvkRhhssBveytB9uffg8AgtEcksTSCbZ-04F3kloGn_dAjUo_77a-RqQBU6_AAjhd_djBjU7hVPmhiL54Q1-oFU00mq-BB6zxE75nksT6M7Ki38YIAqMrmaJqmP_7tKdVjYvTHE1cZ_MS-K-yCGgUfkW3csL2u5-UF1CfI/s833/Zona_cava_Battuta.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="625" data-original-width="833" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiItmywbKM29ENKInle0nvkRhhssBveytB9uffg8AgtEcksTSCbZ-04F3kloGn_dAjUo_77a-RqQBU6_AAjhd_djBjU7hVPmhiL54Q1-oFU00mq-BB6zxE75nksT6M7Ki38YIAqMrmaJqmP_7tKdVjYvTHE1cZ_MS-K-yCGgUfkW3csL2u5-UF1CfI/w400-h300/Zona_cava_Battuta.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Zona della cava dove lavoravano Dino e Dario</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>I piciarìn: Dino “da Flìna Màta”</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">I cavatori e gli scalpellini della Battuta, con i loro strumenti di lavoro, come il cuneo, la mazza, il palanchino, erano i protagonisti del luogo: uomini che alla pietra avevano dedicato l’intera vita. Era musica, era un concerto quando si passava dalla cava, perché con il mazzuolo e lo scalpello era tutto un ticchettio, un suono ritmato ininterrotto. Uno degli scalpellini, a dire il vero, musicante lo era davvero: si tratta di Dino Pignedoli, di Felina Amata (Màta, nella parlata comune) che nella banda musicale di Felina suonava il clarinetto. Reduce dalla guerra in Etiopia, Dino era il nonno di don Maurizio Lusenti, attualmente celebrante e confessore in parrocchia. La cava era a cielo aperto, si estendeva e si approfondiva sempre di più mentre veniva asportato il materiale e cambiava la morfologia dell’area interessata, oggi occupata di nuovo dalle roverelle e dai pini silvestri. La separazione dei blocchi “dal monte”, prima dell’avvento dell’esplosivo, sfruttava i “giunti naturali”, cioè, nel caso di rocce sedimentarie come l’arenaria, le stratificazioni: quelle che i cavatori chiamavano “vene”. Le si apriva con i cunei battuti da una mazza, inserendoli in apposite fessure praticate lungo la superficie da staccare. Nella divisione dei blocchi era poi importante riconoscere il “verso”, identificato per l’arenaria dalle superfici di stratificazione.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;">I pezzi ottenuti venivano in seguito sbozzati e portati a compimento sia per la forma sia per l’aspetto superficiale. La lavorazione delle facce dei conci per muratura doveva essere perfetta sulle superfici di appoggio; le superfici laterali, invece, erano rifinite solo per una ristretta fascia lungo i bordi, mentre il resto restava grezzo.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGu3QLvDeYLk87Oq7pj0hBRXilTvoD6ZN6M07_zG2PQL0GBy-_HRWnowMA52fw8o8qlcGGkOielPNVfsGFUCrZ4INONvGLUz2bAx0drhuFpjbeBlCg-Tq6c-3re03AxPf4wkMlrIcMA_T1E7owf0WZRDgPfpxYdKOxuPm43nh1px46AtHBe20Rm7E/s751/Parte%20della%20vecchia%20cava.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="562" data-original-width="751" height="299" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGu3QLvDeYLk87Oq7pj0hBRXilTvoD6ZN6M07_zG2PQL0GBy-_HRWnowMA52fw8o8qlcGGkOielPNVfsGFUCrZ4INONvGLUz2bAx0drhuFpjbeBlCg-Tq6c-3re03AxPf4wkMlrIcMA_T1E7owf0WZRDgPfpxYdKOxuPm43nh1px46AtHBe20Rm7E/w400-h299/Parte%20della%20vecchia%20cava.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La cava abbandonata com'è oggi</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><br /></b></div><div style="text-align: justify;"><b>Dario Guglielmi, i colleghi e la silicosi</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Altro scalpellino storico della Battuta era Dario Guglielmi. Ce ne parlano le figlie, Mara e Giuliana (che in realtà si chiama Ombra, perché Dario diceva che all’ombra si sta bene!) con il supporto dei nipoti Daniela e Mauro Croci: “Nostro padre prima lavorava come scalpellino alle Grotte di Felina. Dopo la guerra, nel ‘46 -’47 cominciò a scavare alle cave di Predolo, sulla Battuta, con altri tre piciarìn: Dino, Severino e Merli. In quel periodo i sassi erano molto richiesti, perché durante la guerra erano andate distrutte molte abitazioni e stalle. I sassi venivano estratti a mano dal terreno, non si usavano ancora le mine. Quelli molto grossi venivano tagliati con dei cunei di ferro o acciaio e con mazze molto pesanti. La lavorazione non era per niente a caso, ma i tagli dovevano essere effettuati in base alle ‘venature’ del sasso (altrimenti si sbriciolavano); successivamente, venivano squadrati e lavorati per essere utilizzati nei muri o negli angoli delle case. La lavorazione ad angolo veniva effettuata con una punta piatta in modo che, posati sul muro, fossero perfettamente a piombo. Era un lavoro molto duro e pesante perché il sasso in inverno era gelato e in estate molto caldo. Anche il trasporto era faticoso, come lo era raggiungere la cava; infatti, nei primi anni, i piciarìn ci andavano in bicicletta, poi con le moto. Nella cava c’era un vagoncino che si muoveva su un binario e serviva a spostare il materiale. Con pochi attrezzi (punte, punteruoli, cunei, mazze e mazzuoli) uscivano dei veri e propri capolavori. Gli utensili venivano forgiati da Dario con la forgia per lavorare il ferro, il fornello a carbon fossile per riscaldarli fino a farli diventare roventi e, successivamente, poterli battere sull'incudine e risagomarli, affilandoli. Lavorando in cava in quelle condizioni, purtroppo Dario si ammalò di silicosi.”</div><div style="text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5obEzh4mv_gLf4ReQcyyPt1WLhQJ3_O4HjezbZdaU87wNTGT1hvSC05_m77-w8FsqmMRIXhWsnI1ArWsZIi3URCmWYq4jjfg-R3latub2HLAfwKCEZFRcureaoWYyG9SFjAW0JuvqMqbsF_VWis1C7dGcsu6Z-zScICLGtR0OCyhW_KyVfrvdx28/s1298/Dario_moglie.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="973" data-original-width="1298" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5obEzh4mv_gLf4ReQcyyPt1WLhQJ3_O4HjezbZdaU87wNTGT1hvSC05_m77-w8FsqmMRIXhWsnI1ArWsZIi3URCmWYq4jjfg-R3latub2HLAfwKCEZFRcureaoWYyG9SFjAW0JuvqMqbsF_VWis1C7dGcsu6Z-zScICLGtR0OCyhW_KyVfrvdx28/w400-h300/Dario_moglie.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Dario Guglielmi con la moglie</td></tr></tbody></table></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Certo, gli incidenti potevano capitare, innanzitutto agli occhi, per le tante schegge e le polveri (infatti, la protettrice dei piciarìn è Santa Lucia), ma il grande nemico degli scalpellini era proprio la silicosi. Quella polvere finissima che si depositava nei polmoni, conosciuta da sempre, ma che non si sapeva come combattere. Scrive, alla fine del Settecento, Giovanni Targioni Tozzetti, medico naturalista,: “Quando gli scalpellini hanno necessità di spaccare i massi a forza di subbie e di cunei avvertono sempre di versare dell’acqua nella fessura dove forzano i cunei, perché altrimenti volerebbe in alto certa polvere finissima che offenderebbe i loro polmoni.” Dario, nato nel 1911, morì comunque a 93 anni, nel 2004.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3nkmzqADz4qQUBVxiYMntgPoVTJ72WWBF7Lu9B_UQJKzp8SN6YJMe7TDOXvJeaRxlfaQNfAO56yaN_xO66-d69mVZvZStwDlAKnDdyEwCNb0TdBzNzfFc5gYG3fkNl4E5JKlTBj33ThSOpSa3c3Q2J3zZ06BPy_Ma8T84-zKHmH7WGuKkQkMjAro/s726/DinoPignedoli_al_centro_clarinetto.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="726" height="313" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3nkmzqADz4qQUBVxiYMntgPoVTJ72WWBF7Lu9B_UQJKzp8SN6YJMe7TDOXvJeaRxlfaQNfAO56yaN_xO66-d69mVZvZStwDlAKnDdyEwCNb0TdBzNzfFc5gYG3fkNl4E5JKlTBj33ThSOpSa3c3Q2J3zZ06BPy_Ma8T84-zKHmH7WGuKkQkMjAro/w400-h313/DinoPignedoli_al_centro_clarinetto.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Dino Pignedoli (al centro) con il clarinetto</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Alfio Pignedoli, maestro restauratore</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il terreno della cava dove lavoravano i piciarìn era di Alberto Piazzi, il quale lo aveva acquistato una volta tornato dall’America, dove era emigrato tempo prima. Le ultime pietre, in quella vecchia cava, le estrasse (o forse le raccolse) e lavorò, il nipote Alberto Zanni intorno agli anni Settanta.</div><div style="text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZJ-oVYRjc-SidpPwcAqUErGnMsXi_pCBrC_IJMCqoeBBPe-i9HnH02Ez4hvUHxLZgwb3jD3_WMG93auNoAIciL7oGI1QXZij1KCOhcTEAgU5c9A1Ua7U6q_5q8LxxnDukZ3eQnHNZdSyv9f5n60FbfhBPLRme0feurQSORd09c3UTP0EF1PgJAMc/s2000/Utensili_di_Dario.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="2000" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZJ-oVYRjc-SidpPwcAqUErGnMsXi_pCBrC_IJMCqoeBBPe-i9HnH02Ez4hvUHxLZgwb3jD3_WMG93auNoAIciL7oGI1QXZij1KCOhcTEAgU5c9A1Ua7U6q_5q8LxxnDukZ3eQnHNZdSyv9f5n60FbfhBPLRme0feurQSORd09c3UTP0EF1PgJAMc/w400-h300/Utensili_di_Dario.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Utensili di Dario</td></tr></tbody></table></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In quella cava andava a prendere i conci da sbozzare anche Alfio Pignedoli, di Felina Amata, padre della professoressa Cleonice: “Mio padre Alfio, che era amico di Severino, era uno scalpellino: aveva imparato dopo la guerra, andando a giornata a costruire i muri di contenimento delle strade. Era diventato molto bravo, tanto che don Francesco Milani lo volle per il rifacimento dell'abbazia di Marola. L'ultimo restauro che fece fu una delle due pietre alla base del portale d'ingresso del castello di Carpineti, sotto la direzione dell'architetto Cristina Costa. La pietra della Battuta era la sua preferita per le venature grigio chiare e azzurre. La riteneva la migliore. Era un grande conoscitore del taglio, dei pezzi adatti, del verso giusto, tanto che venivano in molti a consigliarsi con lui. Dalla squadratura della facciavista, alle pietre angolari, passò poi a fare pilastri, portali e, infine, soprattutto caminetti. Era molto riservato nel suo lavoro. Quando mio fratello, geologo, gli chiese di insegnargli a squadrare le pietre, si rifiutò dicendogli in dialetto: ‘Alùra, cus’et stüdiâ a fâr?’ Lo riteneva un mestiere faticoso e insalubre che non doveva essere tramandato. Si rifiutò anche negli ultimissimi anni di insegnarne i rudimenti e i segreti ad aspiranti piciarìn. Da un lato era orgoglioso di essere diventato così bravo, tanto da essere ricercato per lavori di restauro, dall'altro si riteneva niente di più di un operaio. Quando io gli chiesi, in occasione della ristrutturazione della casa di famiglia, di non coprire il sasso, lui non mi ascoltò, ma intonacò l'esterno con un'orribile graniglia bianca che, ahimè, resiste tuttora.”</div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKOW_qhUy564ZinZvpZwKNiTaOSeKkEPEiz5Gc0M0lCwvhnMd3aWmXGDSYs6c_rLwOsrCN1DNXUK01v1hmTnqsQ8NVbt9CjXFr2zz5fe_zOD8293zHTpvrhqg9bwXIx4uklExHOtlI3q3ZqllP2hpE-p5wpYLEEdbIyoWdmksqEkrb8WHmyGfYriI/s757/panorama_dalla_cava.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="757" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKOW_qhUy564ZinZvpZwKNiTaOSeKkEPEiz5Gc0M0lCwvhnMd3aWmXGDSYs6c_rLwOsrCN1DNXUK01v1hmTnqsQ8NVbt9CjXFr2zz5fe_zOD8293zHTpvrhqg9bwXIx4uklExHOtlI3q3ZqllP2hpE-p5wpYLEEdbIyoWdmksqEkrb8WHmyGfYriI/w400-h300/panorama_dalla_cava.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Panorama dalla cava</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Nei ricordi di Mauro Croci, le damigiane di vino...</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Non aveva tutti i torti, Alfio Pignedoli: tra le arti minori delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, nate a Firenze tra l’XI e il XIII secolo, ce n’è una che fu a torto sottovalutata, ed è proprio l’arte dello scalpellino. Considerato solo un mero operaio, in realtà era spesso un vero e proprio artista. A Marola, quando nell’abbazia vennero abbattute le sovrastrutture barocche, furono tanti gli scalpellini, i migliori, chiamati a ricostruirla, nelle originali forme romaniche, persino da altre regioni.</div><div style="text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgerRefoD4cinNSGxUxxVOXsotTxfL3eoByBtyEmwa9rwYlfoXHLHGiLGekCFPg7ovyXchms5q9Wi-jJhTyfsUpl3nFA2wAeGD7Epqn0tvOkQkwku7HHYN-yWA-OWLggPxgGGt_acPPyqM2WR6I7w-7wgxlL_YKgTWWLGXuk0kEwztPtej9rM3wWV0/s1120/Mauro_Croci_nipote.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1120" data-original-width="840" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgerRefoD4cinNSGxUxxVOXsotTxfL3eoByBtyEmwa9rwYlfoXHLHGiLGekCFPg7ovyXchms5q9Wi-jJhTyfsUpl3nFA2wAeGD7Epqn0tvOkQkwku7HHYN-yWA-OWLggPxgGGt_acPPyqM2WR6I7w-7wgxlL_YKgTWWLGXuk0kEwztPtej9rM3wWV0/w300-h400/Mauro_Croci_nipote.jpg" width="300" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Mauro Croci con la zia in braccio</td></tr></tbody></table></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Mauro Croci, il nipote di Dario, da bambino seguiva ogni tanto il nonno sulla Battuta, oppure a Predolo, dove, in un piccolo fabbricato tuttora in piedi, c’era la fucina. “In moto, Dario mi portava alla cava. Arrivati a Predolo, passavo il mio tempo a giocare con il mio amico Sante e con altri ragazzi e ragazze che erano in paese. La prerogativa dei piciarìn, forse per la polvere, era quella di bere del vino in modo non esattamente moderato. Il fornitore della cooperativa di consumo di Gombio, mentre passava, si fermava sempre dai nostri amici scavatori lasciando lì una damigiana. In media, quella damigiana durava sette giorni, ma con il lavoro così pesante non erano mai ubriachi: espellevano tutto l'alcool con il sudore. Con Sante, si faceva un po' di tutto: giocare a pallone, andare a nidi… ma il divertimento più grande era fare i dispetti all'Onesta della Bocca. Mi ricordo che una volta le abbiamo mangiato tutte le pere (o prugne?) che aveva messo a seccare al sole. Sono stato in bagno per due giorni…” Racconta Mauro che la fatica dei piciarìn in parte aumentò quando iniziarono a usare l’esplosivo, perché era dal fondo della cava che poi dovevano tirare su i sassi. Da scalpellini diventarono anche artificieri: grande responsabilità, dato che dalla sistemazione della polvere per le mine dipendeva il lavoro successivo.</div><div style="text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJci1thsT-YTAyv3t9wr-z0mc_udlYjsu6M_absjpsCWR-x7oV_vt0xQCDsVx_r__IN7Z91G0BTc1tm_YVOW-igvHMwzYvSQAgsOisK9KLn_Ie_XSuI5Kr2lnvCm-V6QSH_YpMcejZRI4M2wowpP055p7SYKef0SDJB9tYdBKtnSblykAFFVZ0kFg/s833/vagoncino_trasporto_pietre_Battuta.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="625" data-original-width="833" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJci1thsT-YTAyv3t9wr-z0mc_udlYjsu6M_absjpsCWR-x7oV_vt0xQCDsVx_r__IN7Z91G0BTc1tm_YVOW-igvHMwzYvSQAgsOisK9KLn_Ie_XSuI5Kr2lnvCm-V6QSH_YpMcejZRI4M2wowpP055p7SYKef0SDJB9tYdBKtnSblykAFFVZ0kFg/w400-h300/vagoncino_trasporto_pietre_Battuta.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Vagoncino un tempo usato sulla Battuta</td></tr></tbody></table></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">“Questa città l’abbiamo fatta insieme. Voi con le idee e i soldi, noi mettendoci la mano d’opera. Perché le pietre di questo palazzo le avranno tagliate i miei antenati”, disse lo scrittore Tiziano Terzani, discendente da famiglia di scalpellini, riferendosi ai Guicciardini di Firenze. Oggi anche tutti noi dovremmo ricordarcelo entrando in qualsiasi città d’arte, ma ancor di più dinnanzi alle case in pietra dei nostri nonni.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgR-6fV6Uz65f7-6VVNw7SqnGe_m3X71r5kPrQXIccHEZunSoLxaqfjp6L4TML1LnXlwczfNq-3OknougaELwhb-775iiSypjkvrp7wbHgPpCa0IT_9EdLOdU8Kvg5fNAtksmfapxjbKkW90cDexBBDDSYoppAF5X6ZpA_YOzIEawiK4ZPVZv6QsXc/s2000/Forgia_a_carbone_di_Dario.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2000" data-original-width="1500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgR-6fV6Uz65f7-6VVNw7SqnGe_m3X71r5kPrQXIccHEZunSoLxaqfjp6L4TML1LnXlwczfNq-3OknougaELwhb-775iiSypjkvrp7wbHgPpCa0IT_9EdLOdU8Kvg5fNAtksmfapxjbKkW90cDexBBDDSYoppAF5X6ZpA_YOzIEawiK4ZPVZv6QsXc/s320/Forgia_a_carbone_di_Dario.jpg" width="240" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Forgia a carbone di Dario</td></tr></tbody></table><br /></div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgY6VvuwXL577QZZgc-7aGNiVxv_vCq0X2sgG5EfceIvLOpf24fniHVK5-P2u_xKIYrs6oqzdAsLRvI2LrJ2zxzcJ79ECvitJflABv2r8-aoObXC3aEXalyTSxKFAzPvmICWdXqMesVGZzD5zOhij81J3OXoiLh5oFiAmWglRHoEnIlmrGC5OWqTx0/s568/Predolo_dove_era_fucina_Dario.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="420" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgY6VvuwXL577QZZgc-7aGNiVxv_vCq0X2sgG5EfceIvLOpf24fniHVK5-P2u_xKIYrs6oqzdAsLRvI2LrJ2zxzcJ79ECvitJflABv2r8-aoObXC3aEXalyTSxKFAzPvmICWdXqMesVGZzD5zOhij81J3OXoiLh5oFiAmWglRHoEnIlmrGC5OWqTx0/s320/Predolo_dove_era_fucina_Dario.jpg" width="237" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Casotto a Predolo dove era<br /> la fucina dei piciarìn <br /><br /> <br /> </td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div></span>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-62633132334267614932023-04-28T15:38:00.005+02:002023-04-28T15:38:53.567+02:00CERIOLA/LE SCOPERTE DEL CAI A MONTE SASSOSO - UNA FORTEZZA MEDIEVALE VIGILAVA LA VALLE DEL SECCHIA<p> <table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjobStOTJpuH7PfwNT2jVRVThbrXsVU3ORCzH71JoHDEmig7OLWRIiohTyHo8iDC2uHcjO3itzHPePZNgCbitirFZ4EoLdotYQdvaZITB7qiuNiuTTfQCp595uGgJdvY1d4wIitBnVyjJv4_w9aJPVTG8c-zVxJmiwXghZ9Sc5hBt4OHhOPFpDv2DQ/s720/Ceriola_Anna_Losi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="720" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjobStOTJpuH7PfwNT2jVRVThbrXsVU3ORCzH71JoHDEmig7OLWRIiohTyHo8iDC2uHcjO3itzHPePZNgCbitirFZ4EoLdotYQdvaZITB7qiuNiuTTfQCp595uGgJdvY1d4wIitBnVyjJv4_w9aJPVTG8c-zVxJmiwXghZ9Sc5hBt4OHhOPFpDv2DQ/w400-h300/Ceriola_Anna_Losi.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'archeologa Anna Losi presenta i risultati degli scavi</td></tr></tbody></table><br /><i style="font-family: georgia; font-size: large; text-align: justify;">Presentati a Carpineti dall’archeologa Anna Losi i risultati degli scavi. I materiali recuperati consentono con sicurezza di datare questo insediamento al 1200/1300.</i></p><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Si trattava, alla fine, dei resti di un sito fortificato di piena età medievale. L’analisi dei materiali recuperati ha inizialmente consentito agli archeologi di restringere al XII/XIV secolo l’arco cronologico relativo alla vita di questo insediamento. Ad ulteriore conferma di questa ipotesi, c’è stato il supporto offerto dall’analisi per datazione assoluta, con il metodo del radiocarbonio, di un campione di malta proveniente dal crollo, in loco, di una struttura muraria. Lo ha spiegato la dottoressa Anna Losi, archeologa, durante l’incontro che si è tenuto in biblioteca a Carpineti sabato 18 febbraio, quando sono state presentate le ricerche del comitato Sezionale del Cai Reggio Emilia a Monte Sassoso di Ceriola. Presenti, il sindaco di Carpineti Tiziano Borghi, l’assessore Flavia Pigozzi, il presidente del Cai di Reggio Stefano Ovi, e, appunto, l’archeologa Anna Losi. </div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhF7I_ANoimHUgA1UkhTiJVrUj8oKNleEzMSkLPRjBIrjxHah9uDBPkuLLbB0fnavqgV_F5XduXMTDqDF2zzxc_GwkBembVUET7w69CndhEpgI9RFsu_aqE_pcJnB4mp5qWg-NvIxtxmnFtbzHSFLBV4UB6IyeHIxsNdtuiIx3TeFXYGL1fxsgV-1k/s720/ceriola_presentazione.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="324" data-original-width="720" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhF7I_ANoimHUgA1UkhTiJVrUj8oKNleEzMSkLPRjBIrjxHah9uDBPkuLLbB0fnavqgV_F5XduXMTDqDF2zzxc_GwkBembVUET7w69CndhEpgI9RFsu_aqE_pcJnB4mp5qWg-NvIxtxmnFtbzHSFLBV4UB6IyeHIxsNdtuiIx3TeFXYGL1fxsgV-1k/w400-h180/ceriola_presentazione.jpg" width="400" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il Cai ha dato seguito alle ricerche eseguite nel 2020, portando avanti l’attività di prospezione e rilievo a Monte Sassoso. Nel 2021 sono stati aperti due modesti “saggi” (scavi per indagare il luogo) in uno dei quali è stata accertata la presenza di una possente struttura muraria in pietra, da interpretare come fondazione di una torre di avvistamento, realizzata anche con l’aiuto di materiale deperibile (legno e incannucciato). Si tratta sicuramente di un sito fortificato utilizzato, grazie alla sua posizione strategica, come sorveglianza del fondovalle del Secchia, per il controllo del territorio reggiano. Si ignora completamente il nome antico di questa località. Potrebbe essere uno dei tre castelli reggiani dei quali non si conosce la collocazione: Amensiltum, Vallis Brumani o Crovarola. In realtà, Crovarola sarebbe il toponimo che indica il monte dove si trovava il castello sovrastante Talada, ancora abitato nei primi anni del XVII secolo; lo stesso nome viene usato nei documenti degli estensi per denominare proprio il comune di Talada. In quanto al Vallis Brumani, poiché, secondo i documenti che lo nominano, non dovrebbe essere lontano da Selvapiana, potrebbe trattarsi di quella fortificazione che lo storico Arnaldo Tincani situa su Monte Venéra, nella valle del Tassobbio (sicuramente una valle “invernale”, poiché abbastanza buia e soggetta alle nebbie...)</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQYPc-VdyVasatGjq7MoIJsryxvhgmEnjj4OUBUp4gdWNGHxCKyoW3fHsFkQ1hxn2U0bgFsBuegzB_wB01XEF6QuY26pOe6CgoAXiS491nTQmkJEQIPCxziEth_E1aOzhKwLNYB2mM3w7clTZ5ftCTmYNrI7k5pe5izCRwmdsXQgCf7jj9Y99-mcg/s654/Ceriola_castello.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="421" data-original-width="654" height="258" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQYPc-VdyVasatGjq7MoIJsryxvhgmEnjj4OUBUp4gdWNGHxCKyoW3fHsFkQ1hxn2U0bgFsBuegzB_wB01XEF6QuY26pOe6CgoAXiS491nTQmkJEQIPCxziEth_E1aOzhKwLNYB2mM3w7clTZ5ftCTmYNrI7k5pe5izCRwmdsXQgCf7jj9Y99-mcg/w400-h258/Ceriola_castello.jpg" width="400" /></a></div></div><span><a name='more'></a></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Del monte Sassoso di Ceriola abbiamo già parlato in un precedente articolo e qui vogliamo riprendere alcune testimonianze di persone che lì in paese hanno passato parte della loro vita. La signora Anna Ceccarelli, per esempio, è nata a Ceriola, ma poi all’età di otto anni, con la sua famiglia si è trasferita a Milano: “Sono ritornata ad abitare a Ceriola definitivamente quando ho maturato la pensione. Il “Sassone”, il masso più grosso, (quello che è una piccola Pietra di Bismantova in miniatura) era meta usuale dei ragazzi che salivano fin lassù. Venivano anche dai paesi vicini. Il panorama era meraviglioso e, in basso, sotto il sasso, vi era una specie di balcone (crollato alcuni anni fa) dove si saliva con un po’ di problemi: arrivati su, ci si faceva una foto ricordo. Sul Sassone si accendeva il fuoco l’ultimo dell’anno per bruciare l’anno vecchio e, dal paese di Ceriola, si vedeva bene il falò fiammeggiare nel buio. Il ricordo del fuoco acceso mi è rimasto impresso poiché vi partecipava mio fratello Tino, che ora non c’è più, insieme ad altri ragazzi del paese. Era un posto amato da tutti, anche perché zona da funghi, quindi frequentato. Quei boschi e quei sassi sono stati anche ripari per le donne e i bambini quando Ceriola venne occupata dai tedeschi (e da fascisti italiani che volevano farsi credere tedeschi, così mi diceva mia madre). Posto strategico dato che dall’altra parte del Secchia c’erano i partigiani. Di là c’era anche San Bartolomeo dove avvenne una strage nazifascista. Più in alto del Sassone c’è Lacfurn (Lagoforno, in italiano) quel sasso con la grotta abbastanza ampia. Lì si raccontava avesse passato la prima notte di nozze un uomo di Ceriola con la sua sposa, nel 1920 circa. Si chiamava Beppe ed era un uomo particolare che ricordo bene. Sotto quel sasso ha trovato riparo anche un soldato tedesco che aveva disertato e che gli abitanti dei paesi vicini avevano aiutato fino alla fine della guerra”. La consuetudine di accendere i fuochi per Natale, o Capodanno, o, ancora, a fine Quaresima, è segno di riti antichissimi che, in alcuni luoghi della nostra montagna, si sono protratti almeno fino a metà degli anni Sessanta. Per gli antichi, il fuoco appariva già di per sé o di natura celeste (il fulmine, il sole), o di origine sotterranea (il vulcano), ed era associato ovunque a specifiche divinità. Bisognava sostenere la luce quando le tenebre sembravano avere la meglio, in inverno, per cui si accendevano i falò, così le alte fiamme salivano al cielo nel tentativo di dare man forte al sole. Anche l’episodio dei due sposi, che passarono la prima notte di nozze nella grotta di Lagoforno, potrebbe essere un retaggio di primitivi riti della fertilità collegati al culto delle rocce. Dunque: gli archeologi avranno ancora da indagare questo luogo tanto ricco di tracce che riportano a un passato forse più remoto di quello medievale.</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhM8TXMINrvpN-_Yd9g7woblO_71RwCyp2uF0nXdWOKRkz0lInK9lbt36mg4XSG9vP_fe7fYCqqRIj9VbcIx9jC01CKQMcbEgu32Vnaz7Rh0pY5HqlGJuXOefGOid11MqYpn-pqkcA1GuZQQyyqJfnvvb_RrdrIaBRBWceinT5EjUm8X5guLNM2ID8/s720/Ceriola_pietra.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="520" data-original-width="720" height="289" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhM8TXMINrvpN-_Yd9g7woblO_71RwCyp2uF0nXdWOKRkz0lInK9lbt36mg4XSG9vP_fe7fYCqqRIj9VbcIx9jC01CKQMcbEgu32Vnaz7Rh0pY5HqlGJuXOefGOid11MqYpn-pqkcA1GuZQQyyqJfnvvb_RrdrIaBRBWceinT5EjUm8X5guLNM2ID8/w400-h289/Ceriola_pietra.jpg" width="400" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Un’altra signora, Nadia Nicoli, residente a Milano, racconta: “Il Sassone era meta frequente dei nostri pomeriggi "da zingari". Ricordo che ci perdemmo, una volta, con Filomena... Al ritorno, sbucammo a Ceriola, arrivando dal fosso del Re. Sul Sassone dava i brividi sedersi con le gambe penzoloni nel vuoto, le spalle a Ceriola, dentro gli incavi/poltroncina sul limite della superficie del sasso”. Particolare la testimonianza di Ivana Nicoli, che abita a Genova, e che è l’unica a riferire del senso di pacificazione e quiete che promana dai sassi. Parla di un lutto, la morte improvvisa del caro amico Ruggero, e di come le pietre l’abbiano aiutata a trovare serenità: “Io mi ricordo che mi piaceva da matti andare sul balconcino, e che richiedeva una certa abilità. Un giorno, a Pasqua, era morto Ruggero... io ero angosciata e nel pomeriggio siamo andati al Sassone… ci siamo seduti lì a guardare il cielo e mi sono riconciliata con me stessa e un poco rasserenata”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPUojhngFnzkRRWfifJ_m4RpnYOutNBgBatudb2-yiIEy-NeV-uPRFTsFFJmaxt5nRjSs8_VKiCfYg_TsptzA2g2gBv5-AXzwRM4wc22GnM29NhAnow-qKTahnak2DBbBPXmC-KeDCK5yCHYVLSpd9vkwfWK4bCaK1U4qp9RUJkc2c6uH9eOiAFek/s720/ceriola_cai.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="411" data-original-width="720" height="229" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPUojhngFnzkRRWfifJ_m4RpnYOutNBgBatudb2-yiIEy-NeV-uPRFTsFFJmaxt5nRjSs8_VKiCfYg_TsptzA2g2gBv5-AXzwRM4wc22GnM29NhAnow-qKTahnak2DBbBPXmC-KeDCK5yCHYVLSpd9vkwfWK4bCaK1U4qp9RUJkc2c6uH9eOiAFek/w400-h229/ceriola_cai.jpg" width="400" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Soffermiamoci sulla fortificazione sicuramente medievale: lo spazio a disposizione del “castello” non era esteso né particolarmente agevole, o comunque sufficiente a far ipotizzare che potesse essere utilizzato anche come abitazione. La scelta di occupare un luogo così scomodo, privo di fonti d’acqua sorgiva, ma ideale per la difesa ed il controllo del territorio, non è rara in questo periodo: ci sono altri castelli simili nel territorio reggiano. Dalla relazione del Comitato scientifico del Cai apprendiamo che, nel corso della campagna di ricerche 2021, erano stati rinvenuti alcuni materiali. Tra di essi, vari frammenti di ceramica, resti di forme vascolari “chiuse”, cioè recipienti adatti a contenere alimenti liquidi. Poi una pentola, con orlo rientrante e foro praticato a crudo nel corpo ceramico immediatamente al di sotto dell’orlo. In questo foro passava un manico, quasi sempre in metallo, grazie al quale era possibile la sospensione della pentola sul fuoco per permettere la cottura degli alimenti. Queste pentole si ritrovano esclusivamente a partire dall’età medievale (X secolo): è una forma completamente sconosciuta nel repertorio vascolare romano e tardo romano e rappresenta un adattamento in ceramica di “prototipi” fabbricati in metallo o pietra ollare, materiali più costosi. Troverà la sua piena diffusione dopo l’anno Mille in un’area che si estende tra la pianura lombarda, il Veneto e l’Emilia. </div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjh0Dy4qNUprekUYOWGKn1cSKh8eppDWE8kQogxqrXeTNP7IneRylsMc6U6-fD1YpLguEA3EK00BnRwSAPfqNagO5vN24eL-JOz8MxhuLdg8-I_Gx-5F62B7FGq1q5Kyh3oMyMJEqYrZfTFYaoQ-NhGS2rXNVibxDiF8l7aQYzDTdNtJIXf0S51Rv0/s568/Ceriola_sassoso.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="424" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjh0Dy4qNUprekUYOWGKn1cSKh8eppDWE8kQogxqrXeTNP7IneRylsMc6U6-fD1YpLguEA3EK00BnRwSAPfqNagO5vN24eL-JOz8MxhuLdg8-I_Gx-5F62B7FGq1q5Kyh3oMyMJEqYrZfTFYaoQ-NhGS2rXNVibxDiF8l7aQYzDTdNtJIXf0S51Rv0/w299-h400/Ceriola_sassoso.jpg" width="299" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Documentata da due esemplari è una seconda tipologia di pentola, con corpo ovoidale, breve labbro rettilineo e orlo squadrato. Anche questa forma riguarda lo stesso areale e lo stesso arco temporale. Una seconda forma ceramica è costituita dal catino - coperchio, forma comune in scenari di età alto medievali, ma che ritroviamo già a partire dall’età romana. Veniva utilizzato come fornetto (trasportabile) per la cottura degli alimenti sopra le braci, richiamando, per aspetto ed utilizzo, il “testo” da pane ancora oggi utilizzato in Liguria e in Lunigiana (“testaroli” deriva da “testo”, ma anche “staroli”, crepes di acqua e farina tipici di Talada). Altri ritrovamenti che contribuiscono alla datazione del sito sono una fibbia di bronzo, due chiavi e una moneta (“denaro scodellato”) in argento emessa dalla zecca di Milano, a nome dell’imperatore Federico I Barbarossa, tra il 1163 e il 1167. In uno degli ultimi giorni dello scavo del 2022, è stato invece portato alla luce un campanello in bronzo di epoca romana, un “tintinnabulum”, probabilmente un portafortuna. Più campanelli formavano, con il “fascinus” di forma fallica, un sonaglio che, azionato dal vento, agiva come oggetto apotropaico davanti all’ingresso delle abitazioni. L’oggetto potrebbe essere stato portato lì dalla necropoli romana di Gatta, oppure… sul Sassoso c’è ancora da scavare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJlKPrgMQ2ry4PxkIibqXGgC8zzZOl8P1qILA-4lGPn4jQNivsjGjbnblsF4IWsJhxZGaSJASmXpr9KnknW7kC-PUUjiKbY24Re22k0GZSL905YcVpqp57vIM_D1Cdi4ge3CCcRzmq6fKWj4Ldl7XaDCUySjTnzDTn55ZSKvVSzgbQ4wRINTD08_Y/s550/campane-e-campanellii-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="370" data-original-width="550" height="269" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJlKPrgMQ2ry4PxkIibqXGgC8zzZOl8P1qILA-4lGPn4jQNivsjGjbnblsF4IWsJhxZGaSJASmXpr9KnknW7kC-PUUjiKbY24Re22k0GZSL905YcVpqp57vIM_D1Cdi4ge3CCcRzmq6fKWj4Ldl7XaDCUySjTnzDTn55ZSKvVSzgbQ4wRINTD08_Y/w400-h269/campane-e-campanellii-1.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Campanelli romani</td></tr></tbody></table><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1Yyvo0xw0ARb5UIHANGsNb87RPta5cnAANjRaeLFjKHcPuXBnahZUjZ7hg-8gNyta2Jl_NCUkCa0bk88OflaH0lSRqxnMgvXz5Qar2hboQyEl1u7E6EPZMtsadd9buJz_ufFhNqDT9H4POtRtf1f5fo1j0GnVtCOiRTTcXYQWCkgtmc-ffMp7ULQ/s962/campane%20e%20campanellii-3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="962" data-original-width="550" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1Yyvo0xw0ARb5UIHANGsNb87RPta5cnAANjRaeLFjKHcPuXBnahZUjZ7hg-8gNyta2Jl_NCUkCa0bk88OflaH0lSRqxnMgvXz5Qar2hboQyEl1u7E6EPZMtsadd9buJz_ufFhNqDT9H4POtRtf1f5fo1j0GnVtCOiRTTcXYQWCkgtmc-ffMp7ULQ/s320/campane%20e%20campanellii-3.jpg" width="183" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Tintinnabulum apotropaico</td></tr></tbody></table><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-27669359102720613932023-04-15T23:42:00.000+02:002023-04-15T23:42:14.698+02:00SERPENTI, CAPRE, ERBE E APPARIZIONI - L'IMMAGINARIO FOLKLORICO NEI MIEI LIBRI<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/dIYChgIar3Y" width="320" youtube-src-id="dIYChgIar3Y"></iframe></div><br /> <p></p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-69087063053327020812023-04-15T17:52:00.000+02:002023-04-15T17:52:26.113+02:00CORSI DI ITALIANO NELLA MONTAGNA REGGIANA -2012<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/U2lKsrC1IYc" width="320" youtube-src-id="U2lKsrC1IYc"></iframe></div><br /> <p></p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-45059434391801819142023-04-15T13:55:00.001+02:002023-04-15T13:55:05.384+02:00CORSI DI ITALIANO SULLA MONTAGNA REGGIANA - ANNO 2010<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/kdZyyBOGmhE" width="320" youtube-src-id="kdZyyBOGmhE"></iframe></div><br /> <p></p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-80314797010697322582023-04-15T11:40:00.002+02:002023-04-15T13:56:01.536+02:00SULLE SPALLE DELLE DONNE- LA LANTERNA DI DIOGENE<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/NvhNBwaD-ZE" width="320" youtube-src-id="NvhNBwaD-ZE"></iframe></div><br /> <p></p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-39265672478924119532023-03-10T18:52:00.002+01:002023-03-10T20:59:09.259+01:00DAL MEDIOEVO ATTRAVERSO I SECOLI - CASA FERRARI DI GOMBIO, EPOPEA DI UNA FAMIGLIA <p> </p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRMOHD30sxF57kqwzp5QWUAQxtbVb3A1bosjZHF6U3L0Xfq2J6AxSUZnFKY6z78YGCMWwjODdMI6AP1HVbWR9QLlhhDNJoXWEXXJ_UbqJfU90YrSQ9dbyWoxnNRII8sh1hKmU0JZ1ELXIiJx4PIcKW-M9qqgYlBz29R25CdXq_kxE9BR_O-Ra0b7Y/s1263/casa_ferrari.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="1263" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRMOHD30sxF57kqwzp5QWUAQxtbVb3A1bosjZHF6U3L0Xfq2J6AxSUZnFKY6z78YGCMWwjODdMI6AP1HVbWR9QLlhhDNJoXWEXXJ_UbqJfU90YrSQ9dbyWoxnNRII8sh1hKmU0JZ1ELXIiJx4PIcKW-M9qqgYlBz29R25CdXq_kxE9BR_O-Ra0b7Y/w400-h180/casa_ferrari.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Casa Ferrari di Gombio</td></tr></tbody></table><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br />La conca di Casa Ferrari di Gombio, proprio vicino al dirupo agghiacciante che precipita verso Rio del Monte, ha sempre avuto un microclima ideale per il frumento, le piante da frutto e l’uva da vino; l’insieme, con i campi coltivati digradanti nella vallata, dava, un tempo, l’impressione di prosperità. Oggi comunica soltanto isolamento e abbandono. La Pietra di Bismantova veglia il paese da sud, mentre il Monte Castello, in buona parte franato, s’innalza a nord ovest. Sembra sia del 1196 la prima citazione del “castrum”, ma il castello vero e proprio verrà eretto solo in seguito e - quale dipendenza di Rossena - sarà asservito alla famiglia dei Da Correggio; prima, però, con tutte le terre di Gombio, appartenne ai conti Da Palude, già stanziati nella rocca di Crovara dal 1267. Casa Ferrari nasce come pertinenza del castello, oppure come “Domus Ferrariorum”, luogo gestionale della famiglia. Ancora fino agli anni sessanta, una via saliva dal Mulino Zannoni per Monte Castello e raggiungeva Casa Ferrari; procedeva in seguito verso Soraggio e, poco prima, si biforcava per Gombio. Più avanti, a “Fontana morta”, svoltava verso Montecastagneto e il Monte Battuta, passando per “La Marsöla”. Proprio il toponimo “Battuta” potrebbe nascere da queste vie “battute” da greggi, merci e persone. Vie che collegavano la Val d’Enza e la Val Tassobbio, ma anche Parma, con Felina e Castelnovo ne’ Monti, oltre che con i mulini lungo i vari rii. Quello dei Ferrari era sul Rio Maillo: “al mulìn di Frēr”. Si chiama Ferrari anche il monte che divide Soraggio da Gombio e, tra Casa Ferrari e Soraggio, c’è un campo livellato dal nome eloquente: “Pian Mercato”. Su un sentiero che scendeva verso la chiesa di Gombio, passando per “Grögn Tórt”, nella “Büşa di Gāi” (in longobardo gahagi ‘bosco sacro recintato’) un giorno morì un parente di don Mailli, parroco di Montecastagneto, cadendo nel fosso con il suo cavallo. Una casata antica, con un passato facoltoso, i Ferrari; lo denotano il “palazzo” con stemma gentilizio e l’oratorio, ora sconsacrato, dedicato prima alla Madonna della Ghiara, come quello di Legoreccio, poi a san Vincenzo Ferrer, come - a Gombio – quello dei Copellini. Un altro oratorio/santuario, antecedente il 1700, intitolato a santa Elisabetta, si trovava invece in un luogo chiamato “La Maestà”: le donne vi si recavano a pregare per diventare madri. Crollato, venne poi ricostruito a Soraggio. Ma chi erano questi Ferrari e che ascendenza avevano? C’è chi pensa a soldati spagnoli disertori o ai familiari di san Vincenzo Ferrer (predicatore, nel 1403, in Piemonte e in Lombardia); ipotesi, quest’ultima, di don Walter Aldini. Si tratta, tuttavia, di congetture senza un riscontro documentale. Ne azzardiamo invece un’altra, grazie ai documenti forniti dallo storico Giuseppe Giovanelli e da lui già in buona parte divulgati. <br /></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEih3hobf1wbcs33C7DXCv_1xRAfDOORDN8KxWSVPG68cUq-6_TuOXfMDgMcnHi5ULf6-rANYBDbsZy5AXHxpvBD9tEGb2CXUmOWWDEMVZTW6GunAppfLYM_byQtxtgwAtgy-iv4lbGMms19ilEhhWSllRVIWWWE3Gya4FDZwkkhFBBAKEAbCqJ_mco/s1263/Castello_gombio.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="568" data-original-width="1263" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEih3hobf1wbcs33C7DXCv_1xRAfDOORDN8KxWSVPG68cUq-6_TuOXfMDgMcnHi5ULf6-rANYBDbsZy5AXHxpvBD9tEGb2CXUmOWWDEMVZTW6GunAppfLYM_byQtxtgwAtgy-iv4lbGMms19ilEhhWSllRVIWWWE3Gya4FDZwkkhFBBAKEAbCqJ_mco/w400-h180/Castello_gombio.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Monte Castello, dove sorgeva, appunto, un castello</td></tr></tbody></table><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"></span><div><br /><b style="font-family: georgia; font-size: large;">Ferrarius, signore di Groppo e Brigenzone </b><br /><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Nelle pergamene custodite nell’Abbazia di Marola, il nome “Ferrarius” indica varie persone, ma soltanto una ha a che fare con Gombio. Siamo nel 1175 - Matilde è morta da soli 60 anni - e un certo Ferrarius di Brigenzone decide di partire per Costantinopoli. Per quali motivi, non ci è dato saperlo. Ciò che è sicuro, riportato da una “Carta testamenti”, è che prima di partire fece – appunto – testamento. Un signorotto di Groppo e Brigenzone, dunque, appartenente a una casata di militi del vescovo di Reggio, forse in passato vassalli degli Attonidi (stirpe di Matilde di Canossa). La fortezza di Brigenzone era sul rilievo dove ora si trova la chiesa di Cola. Insieme al fortilizio di Groppo, il castello di Brigenzone controllava la valle di Rio Maillo e dell’Atticola, quindi il transito da Parma verso la Lunigiana e la Garfagnana. Qualcuno asserisce che la fortezza appartenesse ai Da Palude già ai tempi di Ferrarius, ma non è così. I Da Palude, ramo dei Gandolfingi (da “wulf”, “lupo” in longobardo), il cui principale esponente fu Arduino, capitano di Matilde, provenivano da zone paludose della pianura, tra Fabbrico e Reggiolo. Verranno in possesso del castello molto più tardi e Ferrarius non è quindi della loro dinastia.<span><a name='more'></a></span></span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5dQ6Nw5EkM_wZDUYPPaj07KtY4Fm5CO19aCUNC2vmzX5ZSc_4CDE5M8WzNsSx-KpHX4yoDU_kLrCZQ6dJtEtpLyl3BzMeg556yqbPczDbLJYjE1eWzoVgH3eKnvxaizQei-YFN0aXvYe3UnjvxSHe-DHi2J41B0W9zZP0Uk-kuYW6NYtgxgo9ONM/s329/stemma_ferrari.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="326" data-original-width="329" height="317" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5dQ6Nw5EkM_wZDUYPPaj07KtY4Fm5CO19aCUNC2vmzX5ZSc_4CDE5M8WzNsSx-KpHX4yoDU_kLrCZQ6dJtEtpLyl3BzMeg556yqbPczDbLJYjE1eWzoVgH3eKnvxaizQei-YFN0aXvYe3UnjvxSHe-DHi2J41B0W9zZP0Uk-kuYW6NYtgxgo9ONM/s320/stemma_ferrari.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Stemma dei Ferrari</td></tr></tbody></table></span><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsuEUjwz-J-HZKMPvmkLIXdB36JJ7N2SEdchYEehCnx6PFNs5qb70OLnvmZZvq5Xui64Wtq4-NTSuJ2UghFA069SFXNdvTymwwp4nXWa1HTnXxTXOHiGfThPiS_OcmoXwMbGamI_kmWLyAPLSF2LIBAVtDM56_o324JBMqWiyPUawdR80RwQB8u3o/s625/palma%20di%20gerico.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="625" data-original-width="329" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsuEUjwz-J-HZKMPvmkLIXdB36JJ7N2SEdchYEehCnx6PFNs5qb70OLnvmZZvq5Xui64Wtq4-NTSuJ2UghFA069SFXNdvTymwwp4nXWa1HTnXxTXOHiGfThPiS_OcmoXwMbGamI_kmWLyAPLSF2LIBAVtDM56_o324JBMqWiyPUawdR80RwQB8u3o/s320/palma%20di%20gerico.jpg" width="168" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Palma di Gerico</td></tr></tbody></table><br /><br /><br /><b style="font-family: georgia; font-size: large;">La partenza per Costantinopoli </b><br /><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Ferrarius ha molti beni sparsi tra la montagna e la pianura. Lui stesso si definisce di famiglia “romana”, pertanto bizantina. Sui monti, ha decine di proprietà ovunque, compreso il terreno detto “gomblisi”, cioè gombiese, di Gombio. Da altri documenti, sappiamo di case e beni in Reggio, terreni a Saliceto, Bagnolo, Sabbione, Rivalta… Una parte del testamento riguarda i servi: Ferrarius ha infatti i suoi “servi di masnada” che vivono in un non ben identificato “Montealbano”. I servi di masnada, spesso con i familiari, erano schiavi assegnati a compiti servili e militari sui quali era possibile disporre alla stregua di merci. Altri servi del Ferrarius sono quelli dediti alla “casa maritale”. Il signore era sposato con una “domina”, di nome Bestiaria, del potente casato dei Da Savignano, o Savignani, (sul Panaro). Non risulta che i due abbiano avuto figli, ma Ferrarius ne aveva già uno, frutto di una relazione illegittima, al quale aveva dato il suo stesso nome. Nell’agosto 1175, Ferrarius parte per Costantinopoli; prima, però, fa testamento “per l’anima sua e dei parenti”, lasciando i beni dotali alla moglie e gran parte del suo patrimonio al cenobio di Marola, con l’obbligo, per i monaci, di mantenere il figlio ancora bambino. Inoltre, concede la libertà agli schiavi purché servano la moglie finché vivrà. Sennonché, a Costantinopoli si concludeva, proprio in quel periodo, una guerra tra i Bizantini e Venezia, iniziata nel 1171. Dopo accordi stretti da Venezia con Federico Barbarossa e poi con Guglielmo II dei normanni di Sicilia, l’imperatore bizantino Manuele si era dovuto piegare alla pace. Ferrarius avrà saputo di questa guerra? Scrive lo storico Arnaldo Tincani: “Viene lecito supporre che Ferrario fosse andato in pellegrinaggio a Costantinopoli nell’impossibilità di raggiungere la Terra Santa (…) Molti pellegrini, taluni in veste ‘mercantile’, facevano sosta a Costantinopoli e quivi trovavano un vasto repertorio di reliquie, vere o false che fossero, di matrice palestinese o, più genericamente, di provenienza orientale”. In più, la chiesa di Cola è dedicata a Quirico e Giulitta, due santi allora venerati a Costantinopoli. Viene da pensare che Ferrarius avesse qualche interesse di tipo commerciale (compravendita di reliquie?) da quelle parti.</span></div><span><!--more--></span><span><!--more--></span><span><!--more--></span><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdOWM0LXBbvPKUnNKjyX1lwYq50URgttoesJjbcjdGETnG__ZyVae6sJLhMTEpZlOsmbKaal1gbvl0u-cDK85pnaTGDYd8lR-w61eCLP72ol2CmzQGVrFrUTmOf2DoQsu6pqPMutJC9AwozVWxy9wPTQcyf2Rg2Ly8fBRuJKxyBwVP7Qm9W71muFA/s2048/don%20domenico.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1152" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdOWM0LXBbvPKUnNKjyX1lwYq50URgttoesJjbcjdGETnG__ZyVae6sJLhMTEpZlOsmbKaal1gbvl0u-cDK85pnaTGDYd8lR-w61eCLP72ol2CmzQGVrFrUTmOf2DoQsu6pqPMutJC9AwozVWxy9wPTQcyf2Rg2Ly8fBRuJKxyBwVP7Qm9W71muFA/s320/don%20domenico.jpg" width="180" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Atto di morte di don Domenico Ferrari</td></tr></tbody></table><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4na-j5C_DRIxrLawzTEWOgckpgcqosmCVpovtgp77MgSJ1Jjjfz_d9vF9dLqj4JIe_MJ6uWyUZpeAZmzAMVzSA5FHWp9rxbn3VpN-jj-3GMA_YcOm3pXDDZfo_8usBoS57sNNyCkkZgiW51jTXmmGJg0ZFaEDxgysTjFncXYfKX1IVBoTQQPMtgo/s720/palazzo_ferrari_vecchio.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="522" data-original-width="720" height="290" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4na-j5C_DRIxrLawzTEWOgckpgcqosmCVpovtgp77MgSJ1Jjjfz_d9vF9dLqj4JIe_MJ6uWyUZpeAZmzAMVzSA5FHWp9rxbn3VpN-jj-3GMA_YcOm3pXDDZfo_8usBoS57sNNyCkkZgiW51jTXmmGJg0ZFaEDxgysTjFncXYfKX1IVBoTQQPMtgo/w400-h290/palazzo_ferrari_vecchio.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Palazzo Ferrari</td></tr></tbody></table><br /><b style="font-family: georgia; font-size: large;"> La morte e la causa contro la moglie </b><br /><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Ciò che sappiamo, sempre dalle carte di Marola, è che Ferrarius era poi deceduto nemmeno dieci anni dopo la partenza: lo attesta una carta del 1184. Donna Bestiaria, rimasta vedova, sposò allora Arduino di Tabellano (Suzzara). A questo punto, donò parte dei beni ereditati dal marito defunto alla chiesa di Marola, riservandone per sé e per il coniuge l’usufrutto, e distruggendo i testamenti che avrebbero potuto avvantaggiare i propri fratelli Da Savignano. La rilevanza di tutti i beni posseduti dal Ferrarius emerge da una causa che venne poi dibattuta tra i parenti di lui e l’Abbazia. Nella causa entrò anche Rodolfo da Bismantova (ramo collaterale della famiglia longobarda Dalli), che reclamava per sé parte della proprietà. Chiudeva la raccolta delle testimonianze Alberto da Banzola. La sentenza, a favore dell’abate di Marola, venne pronunciata dal giudice Rogerio di Guastalla su mandato del legato imperiale Enrico da Lutra: Heinrich von Lautern dominus Luzzarie et Guastallae, vicario imperiale di Federico I e Enrico VI. In una delle carte, c’è la deposizione di uno dei testimoni al quale viene chiesto di confermare se fosse a conoscenza dei possedimenti di Ferrarius a Saliceto, Bagnolo e Sabbione, e se Ferrarius li avesse dati in pegno più volte al “normanno”, e se detenesse, questo “normanno”, l’usufrutto per il Ferrarius… Ora: il “normanno” in questione era l’appellativo di un signore della pianura, o si trattava dei normanni di Puglia? Ferrarius era forse stato imprigionato dai baroni normanni, prima di riuscire a imbarcarsi per Costantinopoli? Leggenda vuole che nel 1089 la stessa cosa fosse accaduta alla contessa Matilde. </span><br /><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-93hDf778kdFZxk24C9qI6YsAomTietDi4ILzW7n5-G_mLRC5iYkGUtE8CW0iSjw0Gut3aGFud6OAshX0j6RVXeSlqEDmAcqB7ASGR1-qZysXH40UtRbGOJDY4aElKP8YUllWiUOQ3gspP9C0ke85VWGMXaJxglBQ1lOHiWxeouSvlxtxCbVDIQI/s2048/camillo.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1152" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-93hDf778kdFZxk24C9qI6YsAomTietDi4ILzW7n5-G_mLRC5iYkGUtE8CW0iSjw0Gut3aGFud6OAshX0j6RVXeSlqEDmAcqB7ASGR1-qZysXH40UtRbGOJDY4aElKP8YUllWiUOQ3gspP9C0ke85VWGMXaJxglBQ1lOHiWxeouSvlxtxCbVDIQI/w225-h400/camillo.jpg" width="225" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Camillo Ferrari</td></tr></tbody></table><br /><b style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /> Gioano Ferrari, capostipite. Don Domenico, l’artista </b><br /><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Nei registri di battesimo, la famiglia Ferrari compare agli inizi del 1500; d’altra parte, fu il Concilio di Trento (1545-1563) a prescrivere che i parroci registrassero gli atti dei sacramenti e delle sepolture. Gioano Ferrari sposa Isabetta, e, tra il 1560 e il 1579 avranno nove figli. È lui il capostipite. Non sappiamo, però, se discendente dal figlioletto di Ferrarius da Brigenzone. Il bambino, una volta cresciuto, era diventato un frate laico del monastero di Marola, cui aveva lasciato tutti i beni. Potrebbe, tuttavia, aver generato figli in precedenza. Non sappiamo nemmeno quando e se i Ferrari fossero rientrati in possesso di tutte le loro terre. Le proprietà erano infatti passate ai Da Palude nel 1188, per poi subire la devastazione, nel 1318 e negli anni subito precedenti, delle spedizioni del Comune di Reggio contro gli stessi conti Da Palude, all’interno delle guerre tra il Comune (guelfo) e i Da Palude (ghibellini, ma, anzitutto, briganti). Il “palazzo” Ferrari venne terminato nel 1677, quindi 359 anni dopo quell’evento. Probabilmente, sono i quattro pronipoti maschi di Gioano a edificarlo. Una delle pronipoti, Maria, nel 1630 sposa Domenico Todeschi; il cognome indica un’origine germanica e lo si ritrova anche a Soraggio e a Boastra. La provenienza potrebbe essere questa: tra il 1526 ed il 1527, migliaia di Lanzichenecchi, con le vivandiere al seguito, erano transitati per la pianura e, come riporta Guicciardini, avevano deviato per i monti di Parma (non lontano da Gombio...). La meta era Roma, ma, forse, alcuni fuggirono verso le terre “gomblisi”. Anche il cognome di Jacoma Scarenzi, che sposa Bernardino Ferrari nel 1684, sembra di origine tedesca. Poi, a proposito di spagnoli disertori, ci furono i mercenari sguinzagliati da Carlo V e successori, di cui si ricordano razzie a Bibbiano e, nel 1557, a Cadelbosco di Sopra. Nella famiglia Ferrari furono tanti i religiosi; uno è don Domenico, nato nel 1730 e ordinato sacerdote nel 1760, dopo aver studiato dai Gesuiti a Reggio. Abile scaglionista, continuerà le sue attività artistiche anche dopo l’ordinazione, lasciando opere sparse in varie chiese. Sono suoi anche i magnifici pavimenti in cotto della chiesa di Gombio. Domenico ha una vita movimentata e muore all’ospedale di Busseto nel 1805. L’arte della lavorazione dell’argilla era tipica della zona; a Soraggio, durante uno scavo, comparve il contorno di quella che pareva una fornace: la fossa dove le donne sciacquavano i panni, presente lì in passato, si chiamava “Furnaşeta”.</span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz1JhAIO9OU_oaFXZJ3Uwc5qgcNVDZ822vRW5NTw5MkfQX7h8s0sfwVd0TEhQQbtBjD4MmPKibCrUxKiIQpONIQ1s7icsPLGzTkm6E33RYeX3nVTswdwG3CRAGbGKe62Su6q4_wMDRJI29qFgIbzhkkMdFJJqctW_FJGY73GwPMY4fT7uM8mBEhfI/s3968/case%20ferrari%20e%20in%20alto%20soraggio.JPG" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="2976" data-original-width="3968" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz1JhAIO9OU_oaFXZJ3Uwc5qgcNVDZ822vRW5NTw5MkfQX7h8s0sfwVd0TEhQQbtBjD4MmPKibCrUxKiIQpONIQ1s7icsPLGzTkm6E33RYeX3nVTswdwG3CRAGbGKe62Su6q4_wMDRJI29qFgIbzhkkMdFJJqctW_FJGY73GwPMY4fT7uM8mBEhfI/w400-h300/case%20ferrari%20e%20in%20alto%20soraggio.JPG" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Casa Ferrari in basso</td></tr></tbody></table><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEip5g_Q-ixSwnmTdbnjzd63SjQxssfqF4pCtTDLdbcKk1mwJ6OaJRHdNX0p5nR4QxiRld2I8FeRO5VkHRMAmuXqhLnzijOoo1COAxvoq7a7PxRqoL81Gyc6By_dzlEjFpSH7Usnyr-PNBuBVc6iLA9sN3xC2Ccik6At7fH0wO86f7CkKEPbOnYyZEQ/s2048/gianfrcamill.jpg" style="font-family: georgia; font-size: large; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1152" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEip5g_Q-ixSwnmTdbnjzd63SjQxssfqF4pCtTDLdbcKk1mwJ6OaJRHdNX0p5nR4QxiRld2I8FeRO5VkHRMAmuXqhLnzijOoo1COAxvoq7a7PxRqoL81Gyc6By_dzlEjFpSH7Usnyr-PNBuBVc6iLA9sN3xC2Ccik6At7fH0wO86f7CkKEPbOnYyZEQ/s320/gianfrcamill.jpg" width="180" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Camillo e il cugino Gianfranco</td></tr></tbody></table><br /><br /><b style="font-family: georgia; font-size: large;"> I simboli dello stemma. I martiri della Resistenza </b><br /><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Tornando al “palazzo”, notevole è il portale di pietra arenaria, con lo stemma intagliato e la data. Uno scalone porterebbe ai piani superiori, ma lo stabile è ora pericolante. Chi sessant’anni fa era bambino ha potuto vedere, guidato da Camillo Ferrari - bimbo anche lui – le decorazioni sulle pareti interne, mentre ascoltava il racconto di una grotta (i resti di una ghiacciaia?) nascondiglio dei “ribelli” antifascisti e di due soldati: un americano e un inglese. Per aver aiutato i partigiani, i cugini Ettore e Mario Ferrari, insieme a Nello Maroni, moriranno mitragliati dai nazifascisti sulla Battuta il 3 aprile 1944; solo Olievo Ferrari riuscì a salvarsi, mentre il paese venne incendiato. Nello stemma della famiglia c’è un leone “illeopardito”, o “passante di guardia”, con la testa di profilo e la coda rivolta in fuori. Poi, tre stelle a sei punte con raggi ondulati - che potrebbero significare tre castelli/proprietà o tre rami della famiglia - e, sulla stella di mezzo, qualcosa che sembra una palma di Gerico, simbolo del pellegrinaggio a Gerusalemme. Se così fosse, potrebbe trattarsi di un riconoscimento per Ferrarius da Brigenzone, il pellegrino che, cinquecento anni prima la costruzione del palazzo, voleva raggiungere Costantinopoli, dove forse non era mai arrivato e da dove, in ogni modo, non era mai ritornato. </span></div><div><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqC07D0TJua7HcIFne43SV0s11-zfXYPw535N4k2wXAwIzWzo4hPzprWu-2HYUMcmTnSofxTLIjK4WvNOzPoU69eBfOm4lxoeVnfgrlm9fYdEbRDfLuA_nAEsGWrK72woUcaXDfJDC0tjbcbFaTx3gprpegLtz3p5Z6MJl9rZ3jwNy27fcNvijEzM/s2040/battuta4.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1148" data-original-width="2040" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqC07D0TJua7HcIFne43SV0s11-zfXYPw535N4k2wXAwIzWzo4hPzprWu-2HYUMcmTnSofxTLIjK4WvNOzPoU69eBfOm4lxoeVnfgrlm9fYdEbRDfLuA_nAEsGWrK72woUcaXDfJDC0tjbcbFaTx3gprpegLtz3p5Z6MJl9rZ3jwNy27fcNvijEzM/w400-h225/battuta4.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Monumento ai martiri della Resistenza sulla Battuta</td></tr></tbody></table><br /></span><br /><br /><br /> <br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br />normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-46133075156883444992023-02-27T18:20:00.005+01:002023-02-27T18:23:06.908+01:00ADALGISA, LA RAGAZZA CON LA COLLANA DI NOCCIOLE <p> </p><span style="font-family: verdana; font-size: medium;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkUrsNboh7DF_sHm2Kai71_EWL83CUQPbwzSlzrWi40vAGpEXZe_3tF51IRdt9Go-oR77DXfWgZcxAxGqqfqjM2SldzYioAQDGqrEyh30hJKif8jNBr-UYMSGdnOr7gOYnZbwadmd6qqyEVFKtLBJbH_eh7Oc_eZt5nHyWRwlNUeG_W1awXDnt4MM/s960/adalgisa%20nonna%20simona.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="956" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkUrsNboh7DF_sHm2Kai71_EWL83CUQPbwzSlzrWi40vAGpEXZe_3tF51IRdt9Go-oR77DXfWgZcxAxGqqfqjM2SldzYioAQDGqrEyh30hJKif8jNBr-UYMSGdnOr7gOYnZbwadmd6qqyEVFKtLBJbH_eh7Oc_eZt5nHyWRwlNUeG_W1awXDnt4MM/w399-h400/adalgisa%20nonna%20simona.jpg" width="399" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Al centro, Adalgisa Raffaelli</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;">Adalgisa Raffaelli era una bellissima ragazza dallo sguardo fiero, spalle dritte, capelli raccolti a scoprire un viso dall’ovale perfetto. Figlia di un pastore, era nata a Vaglie di Ligonchio nel 1898 ed era cresciuta a formaggio e polenta – sicuramente anche a castagne e prodotti dell’orto - una dieta che, in ogni modo, non doveva essere così sbilanciata, visto l’ottimo aspetto fisico. In famiglia erano in tanti fratelli, uno morì poi giovanissimo al fronte, durante la prima guerra mondiale. Adalgisa sapeva che, a quei tempi, per una donna le opzioni erano poche: o ti sposavi, o tentavi di andartene lontano a trovare un lavoro. Scelse la seconda e, poco più che adolescente, da Vaglie partì per Genova. Racconta Simona Sentieri, una nipote: “Oggi, gli italiani che emigrano lo fanno in aereo; allora, ci si incamminava per stradine e carraie e si arrivava in luoghi sconosciuti: altra regione, altra provincia. Anche mia nonna si avviò a piedi con alcune donne del paese per raggiungere Genova. Per fortuna, trovarono un passaggio dalle parti di Aulla - o poco prima - su una corriera che le portò fino in città. Una volta, varcare i confini tra province o tra regioni erano già trovarsi all’estero. Da quegli angoli di mondo ignoti, ci si portava a casa oggetti e usanze che qua non si conoscevano. Era una meraviglia, una sorpresa. Oggi, magari, andiamo in India e acquistiamo le sete indiane, oppure più nemmeno quelle. Il territorio, allora, era davvero piccolo e, se si andava oltre i confini conosciuti, era per trovare lavoro, ma c’era anche il desiderio di imparare… di migliorarsi.”</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjdrYP1r5-3Z2Kz2W-O7-A-OrDASzl9yG4ffkQlHml2I4mHQUhCzgdb4DBeaDmqlH_DrpGLykz25-neHIzUXBS4m_Zs-9W_QpB049QCu6z3gEEruiqbKzlB5MUtyHbTGDCmY-KN5dydakLMzD74c-KcGMhZPryDXfIuzqgAdowwI67xlVlJTXDd4E/s960/corriere.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="960" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjdrYP1r5-3Z2Kz2W-O7-A-OrDASzl9yG4ffkQlHml2I4mHQUhCzgdb4DBeaDmqlH_DrpGLykz25-neHIzUXBS4m_Zs-9W_QpB049QCu6z3gEEruiqbKzlB5MUtyHbTGDCmY-KN5dydakLMzD74c-KcGMhZPryDXfIuzqgAdowwI67xlVlJTXDd4E/w400-h300/corriere.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Corriere per il Cerreto ferme a Felina</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Le corriere attraverso il crinale</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dal volume “Radici”, che raccoglie le genealogie di quello che fu il comune di Collagna (oggi facente parte del comune di Ventasso), nel saggio curato da Pier Giorgio Ferretti, è scritto che, fino alla sostituzione con quello automobilistico - dopo il 1912 circa - il servizio pubblico di trasporto posta e passeggeri (dapprima gestito dallo Stato, poi da appaltatori privati) era effettuato da una corriera a cavalli, detta “Posta dei Cavalli” o, più semplicemente, “postale”. Il viaggio di andata verso la Toscana, destinazione Aulla, aveva inizio con la diligenza Reggio - Castelnovo ne' Monti, gestita per il tratto montano dagli Zurli, impresari e albergatori castelnovesi. Partenza dalla stazione in città alle ore 5.30 del mattino, sia d'estate sia d'inverno, secondo l'orario ufficiale delle corriere dell'anno 1906. Per raggiungere Aulla si impiegavano trenta ore, anche perché ci si doveva fermare per i tre cambi dei cavalli. All’ultima stazione, sul percorso Reggio – Aulla, una notte del 1900, mentre si recava a Fivizzano per consultare dei manoscritti, vi dormì “malamente” anche il poeta Giosuè Carducci, in preda ai fumi dell'alcol; nel dopo cena aveva trovato bevitori di toscano più resistenti di lui. In realtà, per chi abitava a Cerreto e dintorni, era più comodo scendere verso la Toscana e raggiungere le città toscane o liguri che raggiungere Reggio.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuxvR2NY8Vz-5gpO-fdS9P0i6fpUWl-1qGWKTyazqR-ZCet4CELIO1-afmd8raO67xKKUFNYpdMGwhYXQJqKy6hPzUiPl6j4D1rnZzc-Pn1GGyK4Fp7zXYedfpvXRCvGAAkZvs0Xxo7JCgA1tYz8v_2YpxKEjRgCcPpNPr5cFDdOhtBrtwrbzH2cU/s640/corriere2.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="411" data-original-width="640" height="258" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuxvR2NY8Vz-5gpO-fdS9P0i6fpUWl-1qGWKTyazqR-ZCet4CELIO1-afmd8raO67xKKUFNYpdMGwhYXQJqKy6hPzUiPl6j4D1rnZzc-Pn1GGyK4Fp7zXYedfpvXRCvGAAkZvs0Xxo7JCgA1tYz8v_2YpxKEjRgCcPpNPr5cFDdOhtBrtwrbzH2cU/w400-h258/corriere2.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Corriere a Castelnovo</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Il diploma da infermiera</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Adalgisa, a Genova, venne ospitata da una famiglia di lontani parenti genovesi. Ancora, Simona Sentieri - oggi affermata pittrice e poetessa - ci parla di lei: “La nonna si mise a studiare e divenne un’infermiera professionale. Di questo andava fiera, diceva che aveva superato l’esame con il risultato di 28 su 30, e ciò per lei era qualcosa di eccezionale. Non era analfabeta, aveva imparato a leggere e scrivere, ma aveva fatto tutto da sola, quindi, riuscire a diventare infermiera diplomata non era stata cosa da poco. Di solito, le donne che emigravano andavano a servizio, a fare le “serve”, oppure a balia; lei, invece, era riuscita a diventare infermiera. Il suo camice lo ha conservato nell’armadio fino alla morte, avvenuta a 84 anni. Questo perché ci diceva che aveva la speranza di vedere una di noi diventata infermiera o dottoressa, e allora le avrebbe passato quel camice. Ce lo mostrava, lo lisciava con le mani, poi lo rimetteva nell’armadio come fosse un vestito da sposa. Raccontava anche che, purtroppo, a volte, nell’ospedale dove lavorava, le ragazze carine e semplici come lei si trovavano a dover tener testa alle avance dei medici. Non c’erano dottoresse, le sole altre donne in ospedale erano le suore, per cui capitava che qualche dottore facesse il cascamorto con le infermiere. Ci riferiva di aver saputo di tresche tra giovani ragazze e medici sposati. Purtroppo, quello era un modo per divenire, allo stesso tempo, l’infermiera, la segretaria e l’assistente del dottore, assicurandosi il posto a vita. Di fronte a uno sgarbo di uno di questi medici, lei si ribellò e si licenziò.”</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiig-Kl_4JpzE-H7aXJO1DH8H11wlvhwyqHO6YLVRqg7ppYtdRviZUfl1B22R9JOVCRW07i91mxDEceSXn-NlflgI_yGddjcDXQhLV3iVb39RhZ0aedF2HhafgFIYxvbjibt25gkXMXTK4YjtZQW-8I0bNRLwuuG8W-XzLUfhZIapVwO-o2MK_n-Ko/s841/genova.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="841" data-original-width="527" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiig-Kl_4JpzE-H7aXJO1DH8H11wlvhwyqHO6YLVRqg7ppYtdRviZUfl1B22R9JOVCRW07i91mxDEceSXn-NlflgI_yGddjcDXQhLV3iVb39RhZ0aedF2HhafgFIYxvbjibt25gkXMXTK4YjtZQW-8I0bNRLwuuG8W-XzLUfhZIapVwO-o2MK_n-Ko/w251-h400/genova.jpg" width="251" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>L’incontro con Giovanni e l’acquisto dell’albergo</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La giovane cominciò a lavorare “in proprio”, andando in giro in città, dove la chiamavano, a fare le iniezioni. Poi, un giorno, alla fiera di San Giuseppe - che si tiene anche oggi a Bolzaneto e dove era andata a ballare - conobbe un bel ragazzo di Cerreto Alpi. “Mio nonno era nato nel 1894, si chiamava Giovanni Adeodato Sentieri ed era scalpellino; faceva anche il calzolaio ma, anzitutto, lavorava la pietra e io conservo ancora cose sue veramente belle” ci spiega Simona. “Dicevano tutti che avesse una mano sopraffina, infatti faceva i bolognini e le coperture dei muretti in pietra scolpita a mano. A Genova era andato a lavorare nei cantieri stradali ed era diventato presto capomastro di una delle squadre. I nonni si conobbero a quel ballo, si innamorarono poi decisero di tornare al paese.” Questo, però, significava inventarsi una nuova attività. Si imbatterono nell’albergo della Gabellina che, fino a quel momento, era stato gestito dagli Zavattini (sì: la famiglia di Cesare). Comprarono l’albergo pagandolo poi nel corso degli anni, assumendosi il rischio di un enorme sacrificio economico. Sempre dal volume “Radici”, recuperiamo queste notizie. La Gabellina, un tempo chiamata “Capanna”, doveva il nome alla caserma con la funzione di gabella per l'esazione del pedaggio, costruita intorno al 1832, da Francesco IV, Duca di Modena, sulla “Strada Militare di Lunigiana”. La sorella di Cesare Zavattini, Tina, nel 1930, a Cerreto Alpi sposò Clemente Sentieri, uno dei fratelli di Giovanni Adeodato, e questo legò per sempre il famoso scrittore e soggettista cinematografico al paese. Ma quando gli Zavattini presero in affitto il locale, il “pianzano” Cesare portava ancora i pantaloni corti e come cameriere dicono lasciasse molto a desiderare.</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnYN2NGJbno0M-DU0AywS94AL-UaXBeOZnGFqZUOf0IcM_BO2rYjj9_mdYEWqpJhRXZ3xLtqyKFUm86jDbgSfmBwCq13OHP6oINeTLztvSSW1brdoZqtRmSVRO7Fl6ArKVH2aWX-Jp-oPmCltE7v_D4nvs6OPsRoql6D8p3-zYdbY3H2K1-GcqQeY/s687/gabellina.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="466" data-original-width="687" height="271" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnYN2NGJbno0M-DU0AywS94AL-UaXBeOZnGFqZUOf0IcM_BO2rYjj9_mdYEWqpJhRXZ3xLtqyKFUm86jDbgSfmBwCq13OHP6oINeTLztvSSW1brdoZqtRmSVRO7Fl6ArKVH2aWX-Jp-oPmCltE7v_D4nvs6OPsRoql6D8p3-zYdbY3H2K1-GcqQeY/w400-h271/gabellina.jpg" width="400" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>La Resistenza e la paura</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Era molto intraprendente, Adalgisa, era una donna “avanti” e nell’albergo teneva lei i fili di tutto: dell’organizzazione, dei dipendenti. Durante la Resistenza, nascose dei partigiani nelle soffitte, mentre di sotto venivano le squadre dei tedeschi e si mettevano a tavola. Anche i suoi due figli, Alfredo (poi stimato professionista molto conosciuto in montagna) e Piero, erano partigiani. Lei li nascose tante volte e tante altre diede da mangiare ad altri partigiani. L’Adalgisa non chiudeva mai la porta in faccia a nessuno. Rimase vedova molto giovane, perché il marito morì a soli 45 anni, e non si risposò mai più. Continua Simona: “Mio nonno morì d’infarto. Era stato messo al muro per una notte intera insieme ad altri uomini: erano le finte fucilazioni che facevano i tedeschi per estorcere i nomi dei luoghi dove erano nascosti i partigiani. Nessuno parlava, non li uccidevano ma li torturavano, fingendo di fucilarli. Continuavano fino al mattino. Mio nonno, da quella notte non si riprese più. Cominciò a indebolirsi, a essere stanco, a patire per qualsiasi cosa; è poi morto, finita la guerra, per ‘debolezza di cuore’. Restò mia nonna, ovviamente con l’aiuto dei figli e delle loro famiglie, ad amministrare ogni cosa. L’albergo continuò ad avere molto successo: venivano villeggianti dalla Toscana, dalla Liguria e alcuni anche dal reggiano. E salivano con i carri, i cavalli e le corriere. Infine, mia nonna decise di affittare la struttura e tutta la famiglia si trasferì a Castelnovo, dove mio padre continuò a dedicarsi alla sua professione.”</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiB5BGOUulgv0cTKhof9OkWYGcLLxHO3rUtUpjSywtodJGFIOL13SS5Xo53ldHqIrCuc72_Sav_35qmFngw313reWks6RyJ4MyXgrXa9G8GuxaSzlgqEMnYiZmet0ELYjn7t6rqHmvAQVydoKw7koSBwK7KLHWCuuRKVQEFXoBKzCYW2o0qwWtEK04/s1150/gabellina2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="790" data-original-width="1150" height="275" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiB5BGOUulgv0cTKhof9OkWYGcLLxHO3rUtUpjSywtodJGFIOL13SS5Xo53ldHqIrCuc72_Sav_35qmFngw313reWks6RyJ4MyXgrXa9G8GuxaSzlgqEMnYiZmet0ELYjn7t6rqHmvAQVydoKw7koSBwK7KLHWCuuRKVQEFXoBKzCYW2o0qwWtEK04/w400-h275/gabellina2.jpg" width="400" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Le collane di nocciole</b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La foto di Adalgisa (al centro) con le amiche e con le collane di nocciole era stata scattata a Genova, alla festa di San Giuseppe. Da quelle parti, durante le sagre, le fiere e i mercati, si vendevano, appunto, le “reste”, collane fatte con le nocciole. C’era l’usanza, tra i giovanotti, di regalarne una alla fidanzata che se la metteva al collo come significato di buon augurio per un felice matrimonio e come pegno d’amore. A proposito di questa consuetudine, è giusto ricordare Caterina Campodonico, donna nata nel 1804 a Genova in una famiglia poverissima. Dopo essersi separata dal marito ubriacone, per sopravvivere aveva fatto la venditrice di canestrelli e collane di nocciole. Caterina un giorno si ammalò gravemente e scoprì, con sgomento, che i parenti volevano appropriarsi dei suoi denari. Una volta guarita, pensò di far loro un bello scherzo. Commissionò allo scultore Lorenzo Orengo una statua in cui investì tutto ciò che aveva, chiedendo di essere ritratta con le “reste” e i canestrelli. Ora la statua è là, al Cimitero di Staglieno, a perenne memoria. Tornando ad Adalgisa, Simona conclude: “La nonna ci aveva insegnato a fare le collane di nocciole, ma qui era difficile trovarne a sufficienza e abbastanza grosse. Lei aveva imparato a fare le ‘reste’ a Genova e aveva mantenuto l’usanza anche nell’albergo della Gabellina. Così, ordinava i sacchi di nocciole facendoli arrivare dalla Liguria, insieme ad altri generi alimentari come la farina, che, di solito, giungevano, per comodità, dalla parte toscana del versante e non dal reggiano. Quando arrivavano le sue clienti genovesi, regalava loro le ‘reste’ per riconoscere la sua appartenenza anche alla Liguria.” Ma le “reste” avevano anche un altro significato. Nel 2017, papa Francesco era al santuario della Madonna della Guardia, dove pranzò con i rifugiati, i detenuti e i senza fissa dimora. l rettore del santuario gli regalò una grande collana di nocciole, in ricordo di quelle che, un tempo, ogni pellegrino riceveva in dono per rifocillarsi.</div><div style="text-align: justify;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijqRpPLvbxLflkomp5OlAvZAoKSumixgU-WGp0swwDOsQjh5KdgvfLrH_G5QN29DGxv1gZ-KMKiDawgr1u52lFuSrFtoXhjJcsfmZJGSjK-Jem_Zq6jeg2ulTVxboqId49FFwZbU2Uw0p3ymHWcO02H0yFdQ8bxDXQODDmVXIBGglUXyRLyjDGJEI/s999/Caterina%20Campodonico_cimitero_Staglieno.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="999" data-original-width="514" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijqRpPLvbxLflkomp5OlAvZAoKSumixgU-WGp0swwDOsQjh5KdgvfLrH_G5QN29DGxv1gZ-KMKiDawgr1u52lFuSrFtoXhjJcsfmZJGSjK-Jem_Zq6jeg2ulTVxboqId49FFwZbU2Uw0p3ymHWcO02H0yFdQ8bxDXQODDmVXIBGglUXyRLyjDGJEI/w206-h400/Caterina%20Campodonico_cimitero_Staglieno.jpg" width="206" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Caterina Campodonico, cimitero di Staglieno</td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-43165389712374578992023-01-06T22:59:00.001+01:002023-01-06T22:59:23.873+01:00MI STAI A CUORE: TESTIMONI DI VITA E DI FEDE - IL LIBRO DI FABIANA GUERRA<p><i>Maestra in montagna negli anni Novanta, Fabiana collabora con il settimanale diocesano la Libertà. Dalla sua rubrica è nato questo libro.</i></p><p><i><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0r_IudqY_iggsMQH7zC-nSVWFjR7fA15q_mIaDXbmkDShCJENOqvGpdVnlvTXTKizlD6DGMk-6MVX-7c2-jWXrWqVyDUam9KazUta2LdIyRNs7KcxSTUhB5bpvCM0Fez4n9bgSj5ciKD4d8DfamrbYkkg92KgsRzym3CPC13HF7QO-rtkdCbtod8/s1600/fabiana1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1066" data-original-width="1600" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0r_IudqY_iggsMQH7zC-nSVWFjR7fA15q_mIaDXbmkDShCJENOqvGpdVnlvTXTKizlD6DGMk-6MVX-7c2-jWXrWqVyDUam9KazUta2LdIyRNs7KcxSTUhB5bpvCM0Fez4n9bgSj5ciKD4d8DfamrbYkkg92KgsRzym3CPC13HF7QO-rtkdCbtod8/w400-h266/fabiana1.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Fabiana con il vescovo Christian Carlassare</td></tr></tbody></table></i></p>Fabiana Guerra è nata a Cadelbosco di Sopra, più precisamente a Villa Argine, e ha insegnato anni fa in Asta, qui in montagna: era al suo primo incarico annuo come docente. Dalla pianura ai monti, in un paesino che nemmeno sapeva esistesse. L’abbiamo intervistata perché è uscito in questi giorni il suo secondo libro, “Mi stai a cuore”, per le Edizioni San Lorenzo e, come montanara “adottiva”, non potevamo che chiederle di raccontarsi. “Era dicembre, nevicava così tanto che sono l'unica di tutta la famiglia a essere nata in casa! Fu il mio nonno paterno, con carro e cavallo, ad andare a prelevare il dottore e l'ostetrica. Erano contadini semplici, i miei; ci trasferimmo presto, infatti, quando nacque mia sorella, eravamo già a Gavassa, poi a Bagnolo e, infine, a San Prospero Strinati”. È lì che Fabiana riceve la prima Comunione. Ha solo otto anni, ma le bastano per capire che da grande vorrà fare la maestra. Ha sicuramente le idee chiare. A suo tempo, si iscriverà all'Istituto magistrale Matilde di Canossa, poi conseguirà anche il diploma della Scuola magistrale a Correggio. In realtà, era stata la madre a iscriverla, perché lei era uscita piuttosto demotivata dalle medie, percepite come pesanti e vuote.<div><br /><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGrf5Fu3keJvoaT71Q5LKBheRwifTXVvh14uYSIiQmAVTRpQVusCT3TzuoYPMiXDKMFS2OOXj5lNCia7TcWn1yWk59GABYPwJoGkL5_y-6rrUYZoPxy1cy9EbrkeXirhmmv6Ihu1TrY8qEkHpHcembJUTBAAEskuNnX_D36oO28WovEmZwwEBqzrw/s729/libro_fabiana.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="729" data-original-width="500" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGrf5Fu3keJvoaT71Q5LKBheRwifTXVvh14uYSIiQmAVTRpQVusCT3TzuoYPMiXDKMFS2OOXj5lNCia7TcWn1yWk59GABYPwJoGkL5_y-6rrUYZoPxy1cy9EbrkeXirhmmv6Ihu1TrY8qEkHpHcembJUTBAAEskuNnX_D36oO28WovEmZwwEBqzrw/w274-h400/libro_fabiana.jpg" width="274" /></a></div><br />“Ho insegnato da subito, pur essendo iscritta al primo anno di Magistero a Bologna, poi ho lasciato l'università, perché la sede di lavoro era lontana e in un tempo pieno. Finalmente, fui chiamata dal Provveditorato per un incarico in montagna, in Asta, vicino a Febbio; era una scuola materna ed era un incarico annuo. Non sapevo dove fosse Asta, ma nemmeno Febbio. Telefonai al parroco per cercare un alloggio sul posto. <span><a name='more'></a></span>Il parroco era don Creardo Cabrioni a cui ho dedicato, senza alcuna esitazione, tutto il libro. Con lui è stato facile stringere un rapporto fraterno perché si poneva davvero così, anche se aveva un anno in più di mio padre. Potrei scrivere un nuovo libro su di lui, ma non sono pronta. È presto. Gli ho scritto soltanto, per ora, una lettera di saluto quando è scomparso, pubblicata sul settimanale La Libertà.”</div><div><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbmtfcRZnRJRQC6lfi2gnW_1mXmcdZYgvVBMV4tJNZGJRF_HUZoJsjCBP43zemqGFX7PME9wkZzFtSDqRvCglGLlyzy72IJSmC2J_cOVFuacakeGV7OogBjseUgoW5cNOYA6mDNdnWLp-QNuu-Ah8I2aqD4-OZfJcBG3GadhtpFnUJkLkiOzdymig/s774/creardo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="774" data-original-width="567" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbmtfcRZnRJRQC6lfi2gnW_1mXmcdZYgvVBMV4tJNZGJRF_HUZoJsjCBP43zemqGFX7PME9wkZzFtSDqRvCglGLlyzy72IJSmC2J_cOVFuacakeGV7OogBjseUgoW5cNOYA6mDNdnWLp-QNuu-Ah8I2aqD4-OZfJcBG3GadhtpFnUJkLkiOzdymig/w293-h400/creardo.jpg" width="293" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Don Creardo Cabrioni</td></tr></tbody></table><br />Fabiana ha frequentato anche il biennio filosofico allo Studio Domenicano a Bologna e, in quel contesto, le si è aperto un mondo. A Reggio ha seguito i corsi di liturgia e cristologia e ha insegnato, inoltre, religione dalla materna alle medie. “Ho conosciuto la scuola e le sue tante problematiche per una buona fetta di età, ma ho percepito anche la sete di spiritualità dei nostri bambini/ragazzi.” <br /><br />Le chiediamo quando è cominciata la sua passione per la scrittura: “In seconda elementare la maestra mi chiamava ‘la mia poetessa’. Sarà una dote, credo. Sono parente di Tonino Guerra... ma l’ho saputo da mio padre solo quando il poeta, scrittore e sceneggiatore, è morto. Scrivere permette di riflettere e poi esprimere quello che hai maturato e vuoi condividere. Con La Libertà collaboro da più di un decennio. Il direttore, Edoardo Tincani, mi ha dato spazio e fiducia, fino ad affidarmi una rubrica settimanale da gestire in autonomia. L'ho chiamata “Tutto incluso” e, da quegli articoli, praticamente è scaturito il mio secondo libro (il primo libro è “Testimoni di luce”). Sono stata attratta molto presto dai testimoni della fede o... della vita. Li ho scelti a istinto, guardando la vita, sempre. Non quella ideale, ma quella reale. E ciò comprende anche me. Mi piacciono tutti, dal più piccolo, come Lisa, al più grande... che però, magari, è uno dei defunti che sorride dal Cielo. Nell'ultimo libro, insieme ad alcuni scomparsi, ci sono testimoni vivi e vivaci. Il primo è il vescovo Christian Carlassare, che ha accettato di scrivere la prefazione e che aveva subito un attentato venti giorni prima dell’intervista. La sera del 25 aprile 2021 mi stava inviando, da Rumbek, in Sud Sudan, le foto a corredo dell’articolo; due ore dopo gli hanno sparato. Un regalo, questa amicizia, che è cresciuta in profondità, leggerezza, serietà e condivisione. Solo Dio può fare cose così belle! Bella, proprio bella! E impensabile.” <br /><br />Fabiana appartiene all' “Ordo virginum” (consacrate laiche) da dodici anni e afferma che ciò la fa sentire libera; non c'è nessun voto di obbedienza, ma è richiesta una maturità, umana e spirituale, sempre in evoluzione. A Reggio non c’è la possibilità di una vita comunitaria, per cui il rischio di autoreferenzialità o divisioni è alto. “Siamo molto diverse e di certo qualche incontro con il vescovo o un suo delegato non basta per crescere nella comunione, nella confidenza reciproca o nella vera e reale condivisione di vita che, invece, ci farebbe bene.” Intanto, Fabiana attende una risposta, possibilmente positiva, alla domanda per l’iscrizione all’albo dei giornalisti pubblicisti.<div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiM1c2oaC_IpjOxjwoWF0z6-8-dGHIexagj8c5lQEAEGV2lGEIkHfgv3fge099TszdpIk4zjcGu3ekUvG_79gKuqOWL2MUjqL9X73ldMuk3lWgHCFb9fm6uZG3AuaS7fkZ2bjr6cp87tdnkfudXWmHM3mtHqw5kPbUJ-fUzy2reYsPnesNdbUkMso/s1628/fbiana3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1628" data-original-width="1278" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiM1c2oaC_IpjOxjwoWF0z6-8-dGHIexagj8c5lQEAEGV2lGEIkHfgv3fge099TszdpIk4zjcGu3ekUvG_79gKuqOWL2MUjqL9X73ldMuk3lWgHCFb9fm6uZG3AuaS7fkZ2bjr6cp87tdnkfudXWmHM3mtHqw5kPbUJ-fUzy2reYsPnesNdbUkMso/w314-h400/fbiana3.jpg" width="314" /></a></div><br />Certo, quel suo “Mi stai a cuore” ricorda tanto l’ “i care” di don Lorenzo Milani, il contrario del “me ne frego”, così in voga ancora oggi. <br /><br />“Se posso o me lo permettono, entro empaticamente nelle sofferenze e gioie degli altri. Credo che parliamo troppo e siamo poco concreti nella carità verso chi ci è prossimo. Tutti. Nel mio viaggio in mezzo a tante persone ho individuato quelli che ho soprannominato ‘i cristiani teorici’; lo dico sorridendo, ma purtroppo è la verità. Sono quelli dei mille incontri e riunioni, che hanno la risposta a tutto, ma... prova a chiedergli un favore!” Tra i testimoni inseriti nel libro c'è anche chi ha scelto di vivere in montagna, e Fabiana, che sui nostri monti è stata per qualche anno, ha pensato più volte a un ritorno… Chissà. Per quanto riguarda i progetti futuri, ora è la promozione del libro che la impegnerà per un po’; libro che si può richiedere alle Edizioni San Lorenzo di Reggio Emilia.</div><div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxiJSw2tChDQjneaa1TGRv2fOFDCTTTfqU0q1Bagi_T7H5hFb5bYfLmpldFLIUgvlfcCTIAbGoktAoMKKxvxpuN-3NA0XBBv6pS0rZq1Jj_yLBQ11ZC9IjcgiqbYIJsaCVQ8grB36VVvMF7fBjY12CatE8IWwMi18D1SeVUBVO6VZDVWmbRYoqERU/s960/fabiana2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="677" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxiJSw2tChDQjneaa1TGRv2fOFDCTTTfqU0q1Bagi_T7H5hFb5bYfLmpldFLIUgvlfcCTIAbGoktAoMKKxvxpuN-3NA0XBBv6pS0rZq1Jj_yLBQ11ZC9IjcgiqbYIJsaCVQ8grB36VVvMF7fBjY12CatE8IWwMi18D1SeVUBVO6VZDVWmbRYoqERU/w283-h400/fabiana2.jpg" width="283" /></a></div><br /> <br /><br /></div></div></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-70129921450625141022022-12-26T10:56:00.000+01:002022-12-26T10:56:03.045+01:00<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVhPCY_uvBmcXIiCskWdPjd4Jk97IbVqesTBLu2XESeWMohXP1EQ1OF16166Irjxmsy_jPyu-i-nNjz909-TWsMw1OPDQAMdgSRThQFKrDQnDGfkYnWkeeorCEBo0YSz_NgOcLVMlORa3ZtrYNpQs2kxruRYw1ogeH-XQF4YeloCRa8RuK3cpBvms/s1600/montanaro.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVhPCY_uvBmcXIiCskWdPjd4Jk97IbVqesTBLu2XESeWMohXP1EQ1OF16166Irjxmsy_jPyu-i-nNjz909-TWsMw1OPDQAMdgSRThQFKrDQnDGfkYnWkeeorCEBo0YSz_NgOcLVMlORa3ZtrYNpQs2kxruRYw1ogeH-XQF4YeloCRa8RuK3cpBvms/w400-h300/montanaro.jpg" width="400" /></a></div><br /><p><i style="font-family: georgia; font-size: large; text-align: justify;">Una raccolta appartenuta al nonno di Cesare Datteri con tante notizie sulla montagna reggiana tra il 1905 e il 1909</i></p><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Passando in rassegna i vari temi trattati – dalla propaganda elettorale, all’educazione socialista del popolo, a pagine di letteratura (Lev Tolstoj), a informazioni riguardanti i vari consigli comunali o le cooperative di consumo, l’occhio cade su una “corrispondenza” da Felina del 21 giugno 1908. Vi si racconta di un priore arrabbiato per le poche entrate delle questue a Fariolo e a Magonfia, roccaforti del “dominio socialista”. Ma il “corrispondente” di questo quindicinale non si ferma lì: “C'è l'altra parte, che, pur avendo una fede religiosa, pur osservando i comandamenti cosiddetti di dio e della chiesa, nutre una forte avversione al prete moderno, perché in lui non vede più il ministro di una religione qualsiasi, il soccorritore dei bisognosi, il padre amorevole di tutti gli abitanti di un dato paese, il difensore dei poveri; ma il capo di una setta che serve soltanto agli scopi di pochi privilegiati, lo strenuo propugnatore degli interessi dei signori, il nemico potente e terribile nelle lotte elettorali, il galoppino di tutte le grandi armate capitalistiche. È troppo naturale che i preti combattano con maggior accanimento quelli che, socialisti o no, lasciano che il prete faccia come meglio crede, coloro che non si curano di chiesa, quantunque contro questi il prete non abbia nessuna ragione di sbraitare, perché in fin dei conti da essi è lasciato in pace. Sono quelle mezze tinte di fedeli per metà ch'egli deve combattere, quella gente che è sempre là in chiesa a rompergli le scatole, per poi criticarlo se falla o se agisce da quel prete che noi abbiamo sopra descritto.”</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><b>“Il Montanaro”</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Erano conservati con cura nella casa del padre di Cesare Datteri, i fogli del quindicinale “Il Montanaro”, periodico socialista della montagna reggiana. Si tratta di una raccolta che va dal 1905 al 1909 e che, sfogliata, rivela informazioni, aneddoti, nomi e cognomi di persone che riguardano un po’ tutti i comuni montani. Colpisce il linguaggio apertamente anticlericale, impudente, assolutamente lontano dal “politicamente corretto” in uso oggi. Ma che provenienza hanno questi fogli conservati con tanta cura? <span><a name='more'></a></span>Ce ne parla il signor Cesare: “Mio padre era Alessandro Datteri (conosciuto come Franco), nato nel 1930 a Monchio di Felina da Cesare e Costanza Ganapini. A metà degli anni trenta, la famiglia si trasferì a Castelnovo, dove suo padre aveva ottenuto un posto da portalettere, in qualità di invalido della prima guerra mondiale. Purtroppo, nel 1936 mio nonno morì per l'aggravarsi delle ferite di guerra e sua moglie rimase vedova con cinque figli, di cui la maggiore di 16 anni e la minore di solo 5. Le fu assegnato il posto del marito, in quanto vedova di guerra, e così riuscì a mandare avanti la famiglia. Mio padre crebbe a Castelnovo e frequentò le persone del mondo di sinistra del tempo; divenne comunista e partecipò alla Resistenza - per quello che gli consentiva la giovane età - con qualche azione di piccolo sabotaggio nei confronti delle truppe tedesche allora di stanza a Castelnovo, mentre suo fratello, più grande, fu un partigiano combattente. Finita la guerra, dopo qualche anno di lavoretti da manovale (aveva la licenza elementare) subentrò a sua madre nel lavoro di postino (come orfano di guerra), si sposò e, nel 1957, nacqui io, poi, nel 1962, nacque mia sorella Fiorella. Mio padre lavorò sempre in posta, frequentò le scuole serali, conseguì la licenza media inferiore e partecipò a un concorso interno, diventando così impiegato allo sportello. Andò in pensione nel 1991 e, nel 1992, morì all'età di 62 anni. È sempre stato comunista e penso che mio nonno fosse socialista. Il materiale l’ho trovato tra la sue carte e l'ho inserito nei fogli di plastica dopo la sua morte, ma non mi ricordo se lui me ne avesse parlato prima e non so come lo possa avere avuto. Mio padre frequentava gli ambienti ‘colti’ della sinistra Castelnovese (notaio Rubini padre e figlio, il dottor Campanini, che, se non ricordo male, fornì i primi libri per creare la biblioteca comunale di Castelnovo), per cui potrebbe essere questa la provenienza della raccolta, ma sono solo mie supposizioni”. </span><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Cesare Datteri ha studiato a Castelnovo, poi a Bologna, dove si è laureato nel 1981 in “Scienze della produzione animale”. Ha lavorato come tecnico alla Confederazione Italiana Agricoltori di </span><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Castelnovo fino al 1989, poi è stato trasferito a Reggio, dove vive tutt’ora con la sua famiglia. Molto conosciuta in montagna la sua mamma, Ave Rosati, per tanti anni cuoca della scuola materna e ora in una casa di riposo vicina ai figli. “Avendo la mamma qui, non abbiamo più necessità di venire in montagna, ma la frequentiamo da ‘turisti’ perché abbiamo ancora amici lì, anche se non ci viviamo più, e ci piace l'ambiente appenninico”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6q6fDWvhkBFasYhaf1jdX4lpRQuNRFehjeHFP7aRblj-WcHlHWOxs71K-xFr0Rk3C8BfJVyQ11wVRvxVJxwF_VJFuuYW6ZfswpF5yD1NIk4QYFeXCzv2WHuJXUrpqzljamh_t_GogRDnCgS7rKi2f8PHdw8dZnTm-VkTVnhGC4kOiRnLzzghV3Bc/s800/C.%20Prampolini_foto_1906.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="571" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6q6fDWvhkBFasYhaf1jdX4lpRQuNRFehjeHFP7aRblj-WcHlHWOxs71K-xFr0Rk3C8BfJVyQ11wVRvxVJxwF_VJFuuYW6ZfswpF5yD1NIk4QYFeXCzv2WHuJXUrpqzljamh_t_GogRDnCgS7rKi2f8PHdw8dZnTm-VkTVnhGC4kOiRnLzzghV3Bc/w285-h400/C.%20Prampolini_foto_1906.jpg" width="285" /></a></div><br /><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><b>Camillo Prampolini a Carpineti</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Il partito socialista era nato il 14 agosto 1892 a Genova, su iniziativa dei delegati delle sezioni del Partito operaio, delle leghe socialiste e di quelle sindacali, le quali avevano abbandonato i lavori del congresso nazionale del Partito operaio, dove aveva prevalso la corrente anarchica. Dopo essersi riuniti in separata sede presso il padiglione della Società dei Carabinieri Genovesi (il corpo dei fucilieri garibaldini), avevano dato vita, in un primo momento, al “Partito dei lavoratori italiani”. L’anno seguente, al congresso di Reggio Emilia, il nome era stato cambiato in “Partito socialista dei lavoratori italiani” e, nel 1895, al congresso di Parma, in quello di “Partito socialista italiano”. Il distacco dei socialisti dagli anarchici aveva segnato l’inizio di un nuovo corso politico. Su “Il Montanaro” che porta la data del 24 settembre 1905, si ricorda, in un trafiletto, che Camillo Prampolini, aderendo all’insistente invito dei socialisti della montagna, il sabato successivo sarebbe arrivato a Castelnovo ne’ Monti per tenere una conferenza, poi, nel pomeriggio della domenica, avrebbe parlato a Carpineti. Tutti sappiamo che grande figura sia stato Prampolini e quanto fosse dunque importante quell’evento. Al congresso di Genova dell’agosto 1892, infatti, dove la delegazione reggiana era tra le più numerose, Prampolini aveva sostenuto la controversia con gli anarchici; l’apprezzamento nei suoi confronti fu enorme e confermato dalla scelta di Reggio Emilia come sede del secondo congresso nazionale. Inoltre, gli venne conferito l’incarico di relatore sulla questione politica. Ma, tra i socialisti italiani di quel periodo, c’era qualcuno - diventato poi più tristemente famoso di Prampolini - che avrebbe in seguito preso un’altra strada. Il 9 luglio 1902, un giovane maestro elementare, Benito Mussolini, era infatti giunto in Svizzera per sfuggire al servizio militare obbligatorio. A Pieve Saliceto di Gualtieri, nella bassa reggiana, era stato supplente in una classe elementare, ma la supplenza non gli era stata rinnovata per via della relazione intrecciata con una signora il cui marito era sotto le armi. A Losanna venne arrestato per vagabondaggio il 24 luglio 1902. Rimesso in libertà, vivacchiò lavorando come manovale o garzone e cominciò e farsi notare quale agitatore socialista, conferenziere e pubblicista del giornale “L'Avvenire del lavoratore”, organo dei socialisti italiani in Svizzera. Venne arrestato ancora nel 1903 e consegnato alle autorità italiane. Tutti e due nati politicamente come socialisti, Prampolini e il futuro Duce, tutti e due giornalisti pubblicisti, ma con un futuro completamente divergente.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUEVdQou6M9H52QB-vxgeuJdGLNW2DVn2oSGJq1H2cU4LO7UZmn0WXzwUZp_H-7cOXB5OWcZuVEL8mVY3_lGC13oqRRlBcWFx0p0dkxChCiF593905DqpO2hk-5UG2o5h9ARbiyakXbZnSdvnCiTPhfGhFyCn-VNchIfASIEk0Y9EySTRg_CqGuhc/s1498/montanaro2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1340" data-original-width="1498" height="358" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUEVdQou6M9H52QB-vxgeuJdGLNW2DVn2oSGJq1H2cU4LO7UZmn0WXzwUZp_H-7cOXB5OWcZuVEL8mVY3_lGC13oqRRlBcWFx0p0dkxChCiF593905DqpO2hk-5UG2o5h9ARbiyakXbZnSdvnCiTPhfGhFyCn-VNchIfASIEk0Y9EySTRg_CqGuhc/w400-h358/montanaro2.jpg" width="400" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><b>“Anticlericalismo a fatti”</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;">Ogni numero del quindicinale è costellato da forti invettive contro la religione; in particolare, sono riportate battaglie a suon di lettere tra i socialisti e l’Azione Cattolica. Emerge la figura di Ugo Manfredi, felinese, che è segretario della federazione collegiale socialista di Castelnovo ne’ Monti: “È certo che se tutto dipendesse da loro, se gli aiuti dovessi attenderli dalla combricola sleale e camorristica che opera in nome di una religione cristiana, aspetterei un pezzo. Ma io rido dell'inguaribile bagolomania di certi individui; continuo sereno ed imperturbabile la mia strada, punto curandomi dei lazzi carnevaleschi dei miei denigratori chiercuti o no, e lascio che la vil razza malnata, gridi, gesticoli, s'arrabbi e possa in un tempo non molto lontano godersi uno stipendio uguale a quello da me percepito quale Segretario collegiale. Chissà, se fosse allora possibile trovare il tempo per contar tante balle?!” Nella rubrica “Anticlericalismo a fatti”, si riportano, invece, gli eventi che testimoniano come il socialismo stia prendendo piede a discapito della religione, come nel caso di funerali o matrimoni civili: “Domenica scorsa si sono riuniti in matrimonio, ricorrendo unicamente al Sindaco, la giovane Caterina Giansoldati, figlia dell'amico nostro Enrico, col compagno Emiliano Giovannelli. È questo il primo matrimonio contratto nel nostro paese col solo rito civile, e noi nel mentre esterniamo ai novelli sposi il nostro più vivo compiacimento e gli auguri più fervidi di felicità, li additiamo come esempio a quanti, pronti a sbraitare il loro anticlericalismo a parole, calano poi vergognosamente i calzoni alla prova dei fatti, offrendo miserevole esempio di incoerenza e di viltà.” E ancora: “Funerale civile. Alla casa Cantoniera posta al Rio Faggie lungo la strada di Valle d'Enza, in Comune di Vetto, è morto lunedì, dopo sole ventiquattro ore di malattia, il bracciante Rossi Ermenegildo, d'anni 47, dimorante a Rivalta. La salma seguita da tutti gli operai addetti al lavoro, in forma puramente civile fu trasportata al Cimitero di Crovara, ove, a nome della Cooperativa Braccianti di Reggio, della Camera del Lavoro e degli operai presenti, disse sentite parole il compagno Parmeggiani, Consigliere della Cooperativa Braccianti, porgendo alla cara salma l'ultimo saluto. Le popolazioni dei gruppi di case, attraversati dal mesto corteo, guardavano con maraviglia questa cosa nuova di un funerale che si compiva dalla pietà dei compagni di lavoro e di lotta senza l'intervento e le preghiere prezzolate del prete e le vibrazioni seccanti delle campane. Ma abbiate pazienza, o buoni montanari! A poco a poco vi abituerete anche a questo, ed i vostri figli convinti che, purché crescano onesti e buoni, Dio non può avere bisogno di intermediari colla loro retta coscienza, anch'essi faranno a meno del prete.”</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Si era ancora lontani dalla “terribile bufera”, “carneficina”, “inutile strage” (Benedetto XV) che si abbatté poi sull’Europa nel 1914; non ci si immaginava né la rivoluzione sovietica, né l’avvento del fascismo, tanto meno quello del nazismo con il suo carico di orrori. Non ci si immaginava un’altra guerra… Alla luce degli eventi odierni, la rilettura di vecchi periodici come “Il Montanaro”, che si presentava così: “Noi facciamo la rivoluzione non colle armi ma colla parola; noi non predichiamo la guerra, ma l’amore, ma la giustizia...” è davvero consigliabile.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeNpLITuxGM1Gs25Zs3rNd7GvGS926VtJUYBrIaSOf42ctyA1RXefQfLSMg1WcHY9dfpRlcy11m_yAkVxZNoY--n_OIAtNl3PBwvtbHwyd5AaD_CLebJIQhhHvTE1q-4InGEgU69_BTcT-asTdaRrDtVOiAwUHnwYmNoLy4nYdN2vpXaWabBiIGrQ/s960/cesare_datteri.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="720" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeNpLITuxGM1Gs25Zs3rNd7GvGS926VtJUYBrIaSOf42ctyA1RXefQfLSMg1WcHY9dfpRlcy11m_yAkVxZNoY--n_OIAtNl3PBwvtbHwyd5AaD_CLebJIQhhHvTE1q-4InGEgU69_BTcT-asTdaRrDtVOiAwUHnwYmNoLy4nYdN2vpXaWabBiIGrQ/w300-h400/cesare_datteri.jpg" width="300" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Cesare Datteri</td></tr></tbody></table><br /><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia; font-size: medium;"><br /></span></div>
<p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-5651862652207549972022-11-22T16:17:00.003+01:002022-11-22T16:17:56.989+01:00SUI SENTIERI DELLA PAROLA - PER UNA LETTURA ORGANICA DELL'ANTICO TESTAMENTO<br /><br /><span style="font-size: medium;"><i>Un testo necessario e semplice per inoltrarsi nella lettura dell’Antico Testamento, ma anche uno strumento robusto e sicuro come uno scarpone.</i></span><div><span style="font-size: medium;"><i><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqy859flJg1QrpL6C4joEKcZTPcElj-zCUQ7Xr4CfVuHaJjGu4-PLZkhfRgE0pEdoGh_1q1uFW5aa6CBwys0w4E5_HRwQnySf-B_L5_Ljov5RDHqMrJIOH6AxJP52oqVngds4g94yi8HF9l6vzjgUHVfLQidBxy6TsqDwLTfbcP51RZz6T0r6jJP4/s720/Don_Pier_Luigi_brasile.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="405" data-original-width="720" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqy859flJg1QrpL6C4joEKcZTPcElj-zCUQ7Xr4CfVuHaJjGu4-PLZkhfRgE0pEdoGh_1q1uFW5aa6CBwys0w4E5_HRwQnySf-B_L5_Ljov5RDHqMrJIOH6AxJP52oqVngds4g94yi8HF9l6vzjgUHVfLQidBxy6TsqDwLTfbcP51RZz6T0r6jJP4/w400-h225/Don_Pier_Luigi_brasile.jpg" width="400" /></a></div><br /></i><br />C’è tanto dell’esperienza missionaria dell’autore, in questo libro; c’è tanto delle Comunità Ecclesiali di Base brasiliane, a partire dalla citazione di Dom Pedro Casaldaliga nella quarta di copertina, dove si ricorda la “teologia del ciclostile”. <br /><br />In Brasile, don Pier Luigi Ghirelli, nativo di Leguigno di Casina (RE), arrivò come missionario Fidei Donum nel 1970: all'età di 28 anni, il sacerdote sbarcò a Rio de Janeiro, dopo aver navigato per tredici giorni, per vivere la nuova esperienza missionaria, e vi restò fino al 1989; là ebbe modo di portare a termine i suoi studi di teologia e filosofia – che affiorano nitidamente nel testo - ma, soprattutto, ebbe l’opportunità di potersi immergere in tipologie di analisi, lettura, studio critico della Bibbia inediti e innovativi. Il contesto sociale e politico era quello di una dittatura e, in quello scenario, i sacerdoti cattolici iniziavano a muoversi cercando le modalità più efficaci contro la dittatura. All'inizio degli anni '70 il rapporto tra Chiesa e Stato si stava già deteriorando, il regime si stava indurendo parecchio e i cattolici che si opponevano al governo erano oggetto di persecuzioni. Quando “padre Pedro” arrivò in Brasile, per operare in Bahia, il carattere della chiesa popolare era vivido, e i bisogni del popolo trovavano risposte nella religione, nella Bibbia. <br /><br />Una nuova esegesi a partire dal “popolo”. Quell’esegesi di cui parlerà poi Benedetto XVI in un suo testo: “Dobbiamo imparare nuovamente che essa (la Bibbia) dice qualcosa a ognuno e che è stata donata proprio ai semplici. In questo do ragione a un movimento nato nell’ambito della teologia della liberazione che parla di “interpretazione popolare”. Secondo questa linea il popolo è il vero proprietario della Bibbia e perciò il suo vero esegeta.” (Il Sale della terra, San Paolo 2005) <br /><br />Il cammino di padre Pedro è da subito segnato da conflitti con i politici locali che ubbidivano al regime militare. Dalla fine degli anni '60, una parte della Chiesa cattolica si era impegnata contro le azioni criminali dei militari, mentre il governo aveva praticamente dichiarato guerra a tutti coloro che erano contro il regime. Il conflitto si intensificò dopo il 1970, quando le Comunità Ecclesiali di Base cominciarono a svolgere un lavoro più attivo all'interno della società, rispondendo agli interessi locali, la terra, il lavoro, le lotte per l’istruzione, i trasporti ecc… La maggior parte del clero inviato dalla Diocesi di Reggio Emilia era allineato con le idee della Teologia della Liberazione e i sacerdoti combattevano insieme alle classi popolari. Don Ghirelli (per tutti padre Pedro) cercò di vivere la Teologia di Liberazione nella pratica quotidiana: fu difensore della Riforma Agraria e la questione fondiaria fu una delle sue principali lotte; tutto questo anche preparando opuscoli, periodici, offrendo corsi ed evangelizzando per aiutare la gente comune a uscire dai pregiudizi in relazione alle strutture di potere. Il sacerdote ha dovuto però affrontare conflitti con altri sacerdoti e vescovi brasiliani che non erano d'accordo con il suo modo di evangelizzare e con politici locali allineati con l'ordine prevalente in quel momento. Negli ultimi anni della sua attività a Irecê, il religioso mosse forti critiche agli amministratori locali, cercando sempre di far capire al popolo l'importanza del voto per emanciparsi; per questi e altri atteggiamenti, Pier Luigi Ghirelli nel 1985 fu espulso dalla Diocesi di Irecê su richiesta dell'allora sindaco della città, Heldebrando Seixas e del vescovo locale Edgar Gouveia, che inviarono una lettera a Roma sostenendo che il sacerdote non evangelizzava adeguatamente la comunità locale. La partenza di don Pier Luigi generò grande commozione popolare. Solo il 23 luglio 2018 ebbe, finalmente, il riconoscimento per tutto ciò che aveva fatto per la città: a Irecê, oltre alle attività religiose, padre Pedro aveva infatti stimolato il movimento cooperativo e fu perciò insignito del titolo di cittadino onorario su proposta di tutti i consiglieri comunali.</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrwjdlKM_lNNF1DzwHFu9jzFrO8Qsaf6Wy2qPIdmZ_kIPtzxuyvl0c2mFvux-E5jbqXySdV9u1zOEbX4tbTPTNN1PlvRjhVlxSMQZbYvkmx2lC3oAsBOIYkTtXV9XvQgZqPxew9RAftq6i-FvMJMlV9tNeQcJ6cmay-ZFfDbyioUCD7bIDlGbcpVc/s625/Sentieri_parola.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="625" data-original-width="454" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrwjdlKM_lNNF1DzwHFu9jzFrO8Qsaf6Wy2qPIdmZ_kIPtzxuyvl0c2mFvux-E5jbqXySdV9u1zOEbX4tbTPTNN1PlvRjhVlxSMQZbYvkmx2lC3oAsBOIYkTtXV9XvQgZqPxew9RAftq6i-FvMJMlV9tNeQcJ6cmay-ZFfDbyioUCD7bIDlGbcpVc/w290-h400/Sentieri_parola.jpg" width="290" /></a></div><br /><span><a name='more'></a></span><br /> Ma torniamo agli inizi, a quando maturò la sua idea di scrivere una guida per leggere la Bibbia. <br /><br />È in mezzo a un campo bruciato dal sole e dall’ostinata siccità, in Bahia, che il sacerdote incontra un giovane a cavallo; si chiama Gratiston e gli chiede: “Padre, mi impresta una Bibbia?” Ci riflette un po’, don Ghirelli, poi lo accontenta. Dopo alcuni mesi, Gratiston gliela restituisce: in mezzo ci sono tanti foglietti che segnano i passi da lui ritenuti importanti. Già da quel momento, padre Pedro, come lo chiamava la sua gente, sente il bisogno di elaborare, per la lettura dei testi sacri, una guida molto semplice, un “navigatore satellitare” - per dirla in termini moderni - alla portata di tutti. <br /><br />Altra situazione simile a quella con Gratiston, l’autore la vivrà poi sulle colline reggiane: questa volta è un signore appena andato in pensione a rivolgergli la stessa richiesta: “Nell’ottobre 2016, Alberto, a Montecavolo, mi saluta: ‘Don, sono andato in pensione e ho deciso di leggere la Bibbia’. ‘Bravo! Complimenti!’. Dopo un mese lo vedo entrare in fretta, quasi sbuffando, nel mio studio: “Don, non ci capisco niente!”. <br /><br />La Bibbia è probabilmente il libro più influente che sia mai esistito, ma è anche il “Libro dei Libri”, di notevoli dimensioni. Non esiste un’altra raccolta di scritti che abbia esercitato una così grande influenza nello sviluppo di tutto il mondo occidentale e che abbia avuto una simile, vasta diffusione. Tuttavia, non è una lettura agevole: c’è da comprendere la disposizione dei libri biblici nella loro concezione storica, prima di interrogarne la risonanza nella vita quotidiana. Inoltre, noi siamo persone del ventunesimo secolo, con una mentalità lontanissima da quel mondo e da quelle parole, per cui abbiamo bisogno di capire il mondo, il linguaggio e i tempi in cui nacquero le Scritture. <br /><br />Se poi leggiamo la Bibbia per la prima volta, ci deve essere chiaro che non comprenderemo ogni dettaglio e non noteremo tutti i collegamenti rilevanti. Ma mentre continuiamo a leggere, la nostra comprensione si approfondirà. <br /><br />Ecco dunque ritornare nel sacerdote, con la richiesta del suo parrocchiano Alberto, il desiderio di scrivere qualcosa che aiuti tutti a inoltrarsi nei “sentieri della parola” senza perdersi d’animo. <br /><br />Un testo che sia una guida da usare insieme alla Bibbia, fruibile anche dalle persone con pochi studi alle spalle. Come poi è per la maggior parte dei battezzati, che non hanno una formazione teologica convenzionale e non sanno certo leggere il greco, l’aramaico o l'ebraico, ma nemmeno il latino o l’italiano accurato. <br /><br />Racconta don Pier Luigi: “Dal 1971 ho sognato uno strumento semplice, facile, economico da offrire a Gratiston, ad Alberto e a tanti altri che desiderano leggere la Bibbia. Nella campagna di Wagner (Bahia-Brasile), durante la celebrazione della Messa, un contadino dichiara davanti a tutti: ‘Ho letto tutta la Bibbia. Ho impiegato 5 anni, 8 mesi e 21 giorni!’. ‘Bravo! Complimenti!’. “Ma cosa avrà capito?” penso dentro di me. Mi metto alla ricerca nelle librerie. L’offerta è ricca, vasta, molteplice. Percepisco che il problema è sentito da tanti e si cerca di dare una risposta. Ho acquistato e letto vari volumi: belli, bellissimi, affascinanti. Però sono volumi di 400 o 500 pagine e il linguaggio non è semplice. Posso offrire ad Alberto un libro di 500 pagine per avviarlo alla lettura della Bibbia? Sarebbe come rompere le gambe a un ragazzo, pieno di entusiasmo, che si prepara a correre la maratona. Ci sono anche volumetti più popolari: ho tentato di diffonderli, ma non ho percepito risultati. Ho deciso di mettermi al lavoro con l’intenzione di estrarre da tutti questi bei volumi di introduzione alla Bibbia gli elementi essenziali e presentarli con linguaggio semplice. Cammin facendo, mi sono accorto che semplice per semplice qualcosa di complicato sempre rimane. Spero di offrire uno scarpone utile ad Alberto e a qualche altro intraprendente e coraggioso che desidera entrare nel mondo antico della Bibbia.” <br /><br />Attualmente, don Pier Luigi Ghirelli è collaboratore nell’unità pastorale di Puianello – Vezzano e risiede a Paderna. Ha al suo attivo diverse importanti ricerche e pubblicazioni di carattere storico e altre riguardanti le missioni diocesane. <br /><br />Il libro lo scrive, alla fine, soffermandosi per ora solo sull’Antico Testamento, ci impiega due anni (giusto quelli della pandemia) e lo intitola “Sui sentieri della parola” (Edizioni San Lorenzo). <br /><br />In copertina, una ragazza si dirige verso un monte; ha lo zaino in spalla e ai piedi due scarponi. “Lo scarpone – dice il don - è un calzare robusto, essenziale, abbraccia le caviglie e per questo dà sicurezza nei sentieri complicati di montagna. Questa guida alla lettura del Primo Testamento vuole essere uno strumento robusto, essenziale che sostiene la fiducia del lettore nel cammino dentro gli antichi libri biblici”. <br /><br />Alcune belle illustrazioni di Eleonora Grasselli impreziosiscono l’opera, insieme alla prefazione di don Filippo Manini. Il linguaggio è volutamente semplificato, i testi aiutano a evitare una lettura puramente mitologica, proponendo alcuni elementi basilari della esegesi moderna. Non si parte dalla Genesi (che compare solo a pagina 73), ma dalla distruzione di Gerusalemme (586 a. C.), evento catastrofico per la fede del popolo ebraico, e si arriva ad affrontare le Scritture seguendo l’ordine dei libri dell’ultima stesura. <br /><br />Il titolo riprende l’idea del “cammino”, che nella Bibbia è sempre luogo privilegiato dell'incontro: con sé stessi, con gli altri, con Dio. Scoprire l’Antico Testamento significa poi acquisire conoscenze di storia, cultura, lessico e terminologia utili, in seguito, per entrare nella lettura del Nuovo Testamento. “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri” (Sal 25 [24],4) <br /><br />Quasi tutti i capitoli sono corredati da riassuntive, accurate schede di approfondimento storico, filologico, antropologico: viene spiegato, per esempio, il significato simbolico dei numeri o delle lettere dell’alfabeto ebraico, il significato della vocabolo “profeta”, il concetto di “messia”... <br /><br />E se il capitolo dedicato al libro dell’Esodo ha per titolo “Dio libera gli oppressi”, il volume si chiude con il capitolo “Roma padrona”: la città imperiale che, nell’Apocalisse, Giovanni di Patmos collegherà al “potere”, a Babilonia la grande. <br /><br />Roma, una “prostituta” che rappresenta qualsiasi “impero”, centro dell’idolatria del potere in ogni epoca. Roma, che comprendeva la provincia turbolenta di Palestina, dove i romani mantenevano un esercito agguerrito; territorio di genti occupate, crocefisse. Luogo e tempo di sofferenza, in cui, tuttavia nacque, visse e svolse la sua missione “Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1, 1) <br /><br />Come si esprime un autore dei primi secoli, l'Antico Testamento portava nel suo “utero” Cristo: “Lex Christo gravida erat…” ed è con queste parole che don Pier Luigi conclude il suo scritto. <br /><br />Le note confortanti che poi inserisce alla fine di alcuni capitoli (anche camminando in montagna ci si rincuora reciprocamente...) sono un invito a non scoraggiarsi davanti a quelle che sembrano contraddizioni e a proseguire comunque la lettura: “Il vero volto di Dio è quello che ci ha fatto conoscere Gesù: Padre amoroso che aspetta e accoglie tutti nel suo gregge. Quello presentato nel libro dei Numeri è un dio immaginato e voluto da qualcuno di quell’epoca antica, per far valere una sua idea integralista”. <br /><br /> Il libro sarà presto disponibile nelle librerie fisiche o digitali o direttamente acquistabile dal sito delle Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia. edizionisanlorenzo@gmail.com</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMEH1P9ZnYB7C12mKFrs8GFRRM0QbfvFfCX340ssrPkd-CFLYhjuq1UQ1AHtEj4oRrelPmi9oLNO8aPD86Iag08E4LRH8DDMLa3JCudSBnPp2_zP5WFjNTalxRL9QhCIkkfMywKM1ZhyLQTfEk_4a8OzL2pt4_3Wk4VoNNodgzBc6lfkrM5oPctvw/s625/PE_PEDRO.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="625" data-original-width="469" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMEH1P9ZnYB7C12mKFrs8GFRRM0QbfvFfCX340ssrPkd-CFLYhjuq1UQ1AHtEj4oRrelPmi9oLNO8aPD86Iag08E4LRH8DDMLa3JCudSBnPp2_zP5WFjNTalxRL9QhCIkkfMywKM1ZhyLQTfEk_4a8OzL2pt4_3Wk4VoNNodgzBc6lfkrM5oPctvw/w300-h400/PE_PEDRO.jpg" width="300" /></a></div><br /><div><br /></div><div><br />
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-33312063999273955322022-09-30T14:54:00.002+02:002022-09-30T14:54:34.231+02:00LE MEDICHESSE: GUARIRE CON I SEGNI E CON LA PAROLA<p><br /></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><i>La vocazione femminile alla cura: gli studi dell’antropologa Antonella Bartolucci ispirano una mostra. Tradizioni arcaiche, tramandate nei secoli e ancora presenti nel nostro territorio, illustrate attraverso le opere d’arte</i></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><i><br /></i></span><span style="font-size: large;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDgTjj9zkou-auS0SXS8f61C-dpXekNmTEOe7askQd92JFKDZWZY1Abq-kw9_-WbXYiiA6Hc_nNTfiPhXLIojOAqNjILLUGqK5PVFs4yvdanr5GSgqqOOgRhzxvmtsoaSR7mglq7fOMhaCKgM4cpTEKx6IAh86vZW4Cl_4eheWOCLW3aAkiOOoC_U/s2048/le%20streghe%20buone_2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1372" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDgTjj9zkou-auS0SXS8f61C-dpXekNmTEOe7askQd92JFKDZWZY1Abq-kw9_-WbXYiiA6Hc_nNTfiPhXLIojOAqNjILLUGqK5PVFs4yvdanr5GSgqqOOgRhzxvmtsoaSR7mglq7fOMhaCKgM4cpTEKx6IAh86vZW4Cl_4eheWOCLW3aAkiOOoC_U/s320/le%20streghe%20buone_2.jpg" width="214" /></a></div></i></span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La mostra d’arte si terrà a Casina agli inizi di settembre, nelle sale della biblioteca comunale “Sincero Bresciani”. Il titolo, “Le Medichesse”, riporta a quella realtà di guaritrici, soprattutto anziane, che curavano diversi malanni fisici e pure quei disagi nascosti spesso dissimulati; curavano l’essere umano, unità corpo, mente e spirito, attraverso segni, preghiere e simboli. Diciamo che le “medgûne”, in assoluta buona fede e nei limiti di ciò che ereditavano come “dono”, fin dall’alba dei tempi si sono fatte carico della salute di ogni comunità. All’interno dell’esposizione artistica, il 3 settembre, ci sarà una conferenza nella quale di ragionerà proprio su questi antichi metodi di cura. L’idea della mostra, già presentata nel 2019 alla Rocca Estense di San Martino in Rio, è di Claudia Bianchi, del gruppo culturale Artisticamente. Si tratta di dipinti che propongono il tema delle curatrici, trattato da ogni artista in modo diverso: “Non abbiamo chiarito scientificamente il perché di queste cure, non è nostro compito, ma è un argomento misterioso e affascinante e ogni pittrice lo ha delineato dal proprio punto di vista”. L’associazione Artisticamente (una ventina di componenti) è nata proprio grazie a Claudia Bianchi nel 2014. Il simbolo adottato è una civetta, animale sacro alla dea Atena, metafora di saggezza, sapienza e intelligenza. Claudia è di Guastalla, ha alle spalle un bagaglio di studi pedagogici a indirizzo psicologico uniti ad altri di pittura, tra cui un corso tenuto da Carlo Ferrari sulla tecnica classica della velatura. È insegnante, collabora con diverse gallerie ed espone da tempo in Italia e all’estero.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">A Casina, insieme a Claudia, sarà Antonella Bartolucci, antropologa di San Martino in Rio, a parlarci delle segnature, delle malattie che con esse venivano curate, di alcuni procedimenti specifici, della donna legata all’arte della cura. “Le streghe buone”, il suo libro edito da Aliberti nel 2016, è frutto di oltre vent’anni di ricerche sulle medichesse. Ci saranno poi alcune guaritrici a rivelare frammenti della loro conoscenza; ci sarà la dottoressa Ameya Gabriella Canovi che parlerà di malattia e guarigione da un punto di vista psicologico; si converserà inoltre di immaginario magico in Appennino e, tra un intervento e l’altro, ogni pittrice illustrerà il proprio quadro. Il tutto sarà coordinato da Italo Garavaldi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Trotula de Ruggiero, medica dell’anno Mille</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBeWucGDwOCUXWwJeK9HWYUEA_Oq2NoN1C-g2resxILBhryTP4Pg3VBI5MSOtvNR8oJNevna_6W896SGAXg0XpfcNU0PAV_hHjdP3vUDVlAFuDxzxX3pwM_uNcZTnfZlOLXIeXHZZqfiC1sjT-w-6B_6pU-14kF9qsF1jmEh_ufkQn9uan6wVKnzI/s1440/trotula%20de%20ruggiero_medica.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="708" data-original-width="1440" height="157" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBeWucGDwOCUXWwJeK9HWYUEA_Oq2NoN1C-g2resxILBhryTP4Pg3VBI5MSOtvNR8oJNevna_6W896SGAXg0XpfcNU0PAV_hHjdP3vUDVlAFuDxzxX3pwM_uNcZTnfZlOLXIeXHZZqfiC1sjT-w-6B_6pU-14kF9qsF1jmEh_ufkQn9uan6wVKnzI/s320/trotula%20de%20ruggiero_medica.jpg" width="320" /></a></div></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per secoli, le donne sono state incaricate di guarire, medicare e occuparsi della salute della collettività. Furono loro le prime medichesse (mediche) nella storia. Sono le antesignane degli infermieri, farmacisti, ginecologi, pediatri, alchimisti, chimici. Si sono occupate di seguire gravidanze e parti, di migliorare la fertilità delle donne, hanno coltivato e imparato a usare erbe medicinali. Hanno trasmesso le loro conoscenze ed esperienze - in segreto - di generazione in generazione. E se Asclepio era il dio della medicina, queste erano le sue figlie: Igea, la salute; Panacea, l’incarnazione della guarigione universale e onnipotente per mezzo delle piante; Iaso, che aveva ereditato il potere della guarigione e Acheso che ne sovrintendeva il processo; poi Egle, madre delle Grazie, e Meditrina, la guaritrice. La medicina fa parte del patrimonio delle donne, dunque, appartiene alla loro storia e al mito, ne è eredità ancestrale. Il termine “medica” venne utilizzato per Trotula di Ruggiero, vissuta nel XI secolo, contemporanea di Matilde di Canossa. “Medica” e non “medichessa” si diceva in latino: fino al XV secolo inoltrato, in latino e nelle lingue volgari, “medico” si declinava sia al maschile, “medicus”, che al femminile “medica”. Trotula de Ruggiero fu la più famosa delle “mulieres salernitanae”, dame della scuola medica di Salerno, dove la scienziata studiò, si laureò e insegnò. Fu autrice di trattati di medicina che mostrano inconsuete conoscenze in campo ginecologico ed ostetrico. Nonostante fossero firmati con il suo nome, nelle trascrizioni successive questo fu trasformato nel maschile “Trottus”, forse perché non si reputava che una donna potesse avere simili competenze. Trotula fu recuperata come legittima autrice delle sue opere solo nell’Ottocento. La medica “mulier salernitana” conosce i bisogni delle donne, ascolta le loro richieste, si rende promotrice di una medicina per le donne in assoluto laica, priva di qualsiasi influenza morale o religiosa. Colpisce la modernità, che potremmo definire “di approccio olistico”, di Trotula, la quale, mille anni fa, sosteneva che la salute non deve essere intesa come assenza di malattie, ma come una situazione di benessere psicofisico complessivo della persona.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Le segnatrici: curare con le mani e con i segni</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqANX5jQs9uncNc40kJ2hmVyFc5mCYc7BlNNFYoVrYOBCXx4_3fWz_XkoMy6S3V2amLDOsLTwAxjdk8nQPwLI3ObiaS-PB0MSHiTy6E_ZYYpq-MWJvNm9tMU35NEl54dBvEAYAKHbcyE1qdjKyksh6tyfqnyySuxnpLZUXhFzgN0sz3LxhA-LisKY/s1024/segnatura-1024x906.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="906" data-original-width="1024" height="283" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqANX5jQs9uncNc40kJ2hmVyFc5mCYc7BlNNFYoVrYOBCXx4_3fWz_XkoMy6S3V2amLDOsLTwAxjdk8nQPwLI3ObiaS-PB0MSHiTy6E_ZYYpq-MWJvNm9tMU35NEl54dBvEAYAKHbcyE1qdjKyksh6tyfqnyySuxnpLZUXhFzgN0sz3LxhA-LisKY/s320/segnatura-1024x906.jpg" width="320" /></a></div></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel 1862, scrive nel suo libro “La sorcière” lo storico francese Jules Michelet: “Per mille anni l'unico medico del popolo fu la ‘strega’… la massa di ogni stato, e si può dire il mondo, non domandava parere che alla ‘Saga’ , o donna saggia...” Da un lavoro della ricercatrice etnografica Luciana Nora nel territorio carpigiano, emerge che più di tre secoli di Inquisizione, uniti agli attacchi da parte della medicina e cultura ufficiali, non hanno sradicato il fenomeno di queste pratiche rituali. Significativi, a tale proposito, appaiono gli atti di un processo del Tribunale dell’Inquisizione del marzo 1734, tenutosi a Modena, contro Anna Astolfi, di cinquant'anni, rea confessa di scacciare “il mal delle doglie” attraverso la seguente formula: “In nome di Dio sia e della Vergine Maria, vi metta prima la sua man che io la mia, in nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, sto male non passi da qui d’innanzi. Prego Dio e la dolce Vergine che se son doglie, se ne vadin via.” Ad accusarla sono le stesse donne che a lei erano ricorse, incapaci di sottrarsi al senso di colpa derivante dalla loro trasgressione: la donna doveva assolutamente “partorire con dolore”! La medicina popolare, mutata, ridotta a spettro della sua essenza, è comunque sopravvissuta. Il fatto poi che in prevalenza si tratti di guaritrici, afferma Luciana Nora, induce i più a ritenerla sottocultura da “donnette”. Viene da chiedersi, invece, chi fossero, chi siano queste figure: le medichesse. Se, cioè, la loro saggezza sia tale da aver compreso il senso profondo dei limiti, dei bisogni individuali e collettivi della natura umana. Bisogni riassunti per simboli in rituali molto complessi, come il “levare al simiot”, senza il bisogno di inveire su qualcuno o maledirlo ma – piuttosto - riconciliandone le componenti. Una saggezza che evitava quindi il pericolo di sanare una situazione a scapito di un’altra. L’aspetto che più colpisce nelle segnatrici è la loro carica vitale, la serenità, l’ottimismo, la generosità, la forza d’animo. Si tratta di persone fornite di una forza interiore speciale, di un vero carisma, per cui, oltre ad aiutare chi le interpella, sono in grado di suscitare fiducia, incoraggiare, rasserenare.<span><a name='more'></a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Segnare con le croci e ‘infornare’ i bambini</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiz9QmRMjWBX6ZIERdhP-Rg1czRuvsUIGf3KJtU5ilEv48tsdZy0JpImsKl3OHYVFgjwpWeodY4vBwebKviW1Y2q4BqYTeo8pRaGiY2QV725FqELl6VsKw4AYc9ZBtZ0vwyuuLCoKgVdrG6NaWyYtdOc2xfhdMAyk-xT7H7VGwqslRLWP27FW_aHRY/s831/mani_segnatrice.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="831" data-original-width="564" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiz9QmRMjWBX6ZIERdhP-Rg1czRuvsUIGf3KJtU5ilEv48tsdZy0JpImsKl3OHYVFgjwpWeodY4vBwebKviW1Y2q4BqYTeo8pRaGiY2QV725FqELl6VsKw4AYc9ZBtZ0vwyuuLCoKgVdrG6NaWyYtdOc2xfhdMAyk-xT7H7VGwqslRLWP27FW_aHRY/s320/mani_segnatrice.jpg" width="217" /></a></div></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Sempre dalla ricerca effettuata a Carpi, ma le cui testimonianze si ritrovano simili ovunque, ecco la segnatura del “Fuoco di Sant’Antonio”; la segnatrice racconta: “Non è che guariscono subito in tre volte che vengono qui; no, se ‘la tirano’ a lungo (la malattia ). Mia madre diceva così: ‘Lo devi segnare con tante croci, però stai più alla larga di dove c'è il male, perché il male non deve uscire da dove fai il segno tu… deve restare dentro… non soffrono, dopo va via il dolore, ci diminuisce’ . Ci sono di quelli che vengono e sono tutti rovinati, perché hanno delle croste, ci viene la vescica… invece segnando, il dolore non lo sentono più.” Impariamo da “La condizione contadina e l'esperienza del sacro”, Centrostampa- Comune di Carpi, 1982, una delle pratiche per guarire “al simiot”: “Mia madre guariva i bambini quando avevano "al simiot". Poverini, ci si seccava la pelle attaccata alle ossa, diventavano magri, magri e arrivavano a morire. Mia madre ci andava e con l'olio fine li ungeva e ci staccava la pelle, faceva tre "alvador" [lieviti] poi li lavava con l'acqua dei lieviti. Metteva il lievito a bagno nell'acqua e poi quell’acqua la usava per lavarli, poi li infornava tre volte, il forno era appena caldo. Qui a Fossoli c'era solo mia madre… sapeva le parole, sapeva tante orazioni… [interviene la figlia]: Anche mia zia lo sapeva fare, li infornava dopo che aveva tolto il pane dal forno, prendeva la pala del frumento ci metteva sopra il bambino con un panno, poi si legava perché non cadesse, sopra lo coprivano con un altro panno perché non si scaldasse troppo, poi lo infornavano per tre volte com'era lungo il manico della pala, diceva delle parole e guarivano...” Dice la ricercatrice Luciana Nora: “È come se la vita venisse rimpastata. L'introduzione del bambino nel forno, dove l'impasto diventa pane, per associazione riproduce la permanenza pre/natale nel grembo materno dove l'embrione “lievita” fino ad essere un individuo compiuto. La definizione corretta di questo rituale è “levare al simiot” e non curare o guarire come alcuni informatori, indotti dalle domande, qualche volta hanno usato, e questo riporta ancora alla rappresentazione della nascita, collega la figura della donna che “leva al simiot”, e che può ricevere in compenso un pane, a quella della levatrice.”</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">A quando risalgono questi riti e tecniche che sono giunti fino a noi? A tempi certamente molto remoti, quando l’elemento magico religioso aveva un ruolo importante. Ancora oggi, in certe popolazioni definite “primitive” la figura dello sciamano (o sciamana) unisce in sé le due funzioni: quella religiosa e quella terapeutica. Probabilmente, l’incanto del rito eseguito da una personalità carismatica, che prende “in carica” l’ammalato e intercede per lui, mette in moto, in quest’ultimo, meccanismi psicosomatici di cui è difficile valutare la portata, senza dubbio enorme.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Le ultime segnatrici</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiair-ws_ky-rLPLp5HHNqrJ6NIRBxh_mVxsyOzJfk-5UUuOwP3JeT7hkvdzQmii0JIq3yj4cEA0bdUuJHBIIshQ7q9agixqtAiDoCOa6am25DdpfAn47_ukUMcQFMh7zugKgKh9JL-0jW84COJuKnbv1qsw2lplCvNl1gpD6icXDr_WCTtIaCBgb4/s1500/segnare.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="996" data-original-width="1500" height="212" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiair-ws_ky-rLPLp5HHNqrJ6NIRBxh_mVxsyOzJfk-5UUuOwP3JeT7hkvdzQmii0JIq3yj4cEA0bdUuJHBIIshQ7q9agixqtAiDoCOa6am25DdpfAn47_ukUMcQFMh7zugKgKh9JL-0jW84COJuKnbv1qsw2lplCvNl1gpD6icXDr_WCTtIaCBgb4/s320/segnare.jpg" width="320" /></a></div></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel 2012, “ReggioINchieste” intervista Elvira Incerti, segnatrice di Albareto di Canossa. Erano ormai poche le segnatrici reggiane (ricordiamo “la Rinciolla” e poi Maddalena Viani) e molte cercavano di tramandare le loro formule segrete a persone più giovani. Elvira aveva curato la stomatite per mezzo secolo, usando la pianta del giunco e una preghiera in dialetto. L’intervistatore chiede a Elvira se la segnatura ha a che fare con la religione e lei risponde: “Io lavoro sulla religione; le parole nascoste sono sulla religione… della Chiesa, insomma, religiosi...” Nessuna superstizione: semplicemente fede, devozione popolare. In una ricerca di Isabella Riccò, “Guaritori tradizionali nel territorio parmense: un’indagine etnografica”, si legge: “Tutte le altre componenti, che comprendono gestualità, simbologia e utilizzo degli oggetti, sono chiaramente percepibili dal paziente. Le parole no, sono pronunciate in modo da essere riservate, inaccessibili, segrete. Durante le interviste sono emersi dati interessanti. Innanzitutto, su undici guaritori (in maggioranza donne) solamente due non pronunciano alcun genere di parole. Dei restanti nove ho rilevato tre differenti categorie: chi fa uso di preghiere cattoliche canoniche, chi fa uso di altre formule verbali e chi fa uso di entrambe. Alcuni guaritori, pur non rivelandomi con esattezza le formule, mi hanno riferito che vi è una frequente evocazione dell’elemento acqua. Quest’ultima potrebbe essere intesa sia in relazione alla medicina greca, che curava mediante l’equilibrio degli umori, sia all’acqua benedetta o al rituale del battesimo. Alcune formule rievocano Gesù o i Santi. Tutto sommato, anche sotto questo aspetto si evidenzia quindi l’ambivalenza del rituale, in continua oscillazione tra un mondo cristiano connaturato da secoli nella nostra cultura e un sostrato tradizionale che continua a emergere.” In definitiva: le figlie del dio della medicina Asclepio (o Esculapio) sono ancora tra noi e hanno le fattezze delle ultime segnatrici.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Testo presente nel catalogo "Le figlie della luna"</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijTiysEfPM2TIllHBr8Zf6khIOrfsvC57jJ3JNWpiaool4zHR_KRMD9qP3M2QaT-gRjHBxWQezRIF60EDy8popWFNevr0aqrgTuRihIWvXu0T7j8cICL89zaLzE_L8ckr3aj2goNDDaDyglX0IuxzBPJPYSLo6LXpx7yiY8-vFxWrsRxy31EiAPA8/s1600/Reggia_Caserta_Diana_03-09-08_f04_FATE.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1054" data-original-width="1600" height="211" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijTiysEfPM2TIllHBr8Zf6khIOrfsvC57jJ3JNWpiaool4zHR_KRMD9qP3M2QaT-gRjHBxWQezRIF60EDy8popWFNevr0aqrgTuRihIWvXu0T7j8cICL89zaLzE_L8ckr3aj2goNDDaDyglX0IuxzBPJPYSLo6LXpx7yiY8-vFxWrsRxy31EiAPA8/s320/Reggia_Caserta_Diana_03-09-08_f04_FATE.jpg" width="320" /></a></div></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ci sono le fate, sui monti. O forse c’erano, insieme ad altre creature. Insieme al serpente con la corona da re in testa (giurano di averlo visto in uno dei laghi del Cerreto), insieme alla “Burda” che stava nei pozzi, alla capra/strega “Barbantana”, allo “Sgnifro”, folletto dei boschi (quante volte vi hanno chiamato “sgnéfre”, da bambini, se eravate dispettosi?), al Buffardello, altro folletto abitante, però, il crinale. Poi c’era il diavolo che appariva qua e là, soprattutto - da buon capitalista - nei dintorni o dentro ai mulini. E c’erano le apparizioni di santi e sante, soprattutto di sante: la Madonna, a Bismantova, oppure su un ginepro a Cavandola (ma qui la bimba che la vide finì, per un periodo, in manicomio: la fame e la malnutrizione sono il più potente allucinogeno) e Santa Maria Maddalena, che sul Ventasso dormiva sotto una grossa pietra.</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgA3iT89Q1Uxr8kg3744r0vYcxmaAz2KGFkvJ0_ma-C__CsdbivKG-Kaju6jl6gviX8Sv5mt9VTrd_TVF0ydB9XChhJTT1HCPL-F8ARpE5m8QvVzFoxMjXyaH7QZzdKsgQCm29dga4jKb-AGz4d0floD8Je5cM921UKrfTFF3euU0z5QLuT_lLRtYw/s960/Maria_maddalena_chiesa_Villaberza.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="720" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgA3iT89Q1Uxr8kg3744r0vYcxmaAz2KGFkvJ0_ma-C__CsdbivKG-Kaju6jl6gviX8Sv5mt9VTrd_TVF0ydB9XChhJTT1HCPL-F8ARpE5m8QvVzFoxMjXyaH7QZzdKsgQCm29dga4jKb-AGz4d0floD8Je5cM921UKrfTFF3euU0z5QLuT_lLRtYw/s320/Maria_maddalena_chiesa_Villaberza.jpg" width="240" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La Maddalena che era stata persino sul Monte Valestra e a Saccaggio di Carpineti. Anche Santa Elisabetta, cugina di Maria, era apparsa a un pastorello, seduta su una quercia, in quel di Soraggio di Gombio. Le fate vivono “in t’el fade”, su uno dei versanti del Ventasso, dove alcune pietre incise testimoniano i culti pre romani dell’acqua e delle cime, e in altri luoghi, come Monte Ca’ di Viola, tra Costa de’ Grassi e Frassinedolo. Dalle rocce di “in t’el fade”, sopra Busana, vicino a quella che viene definita “Porta del diavolo”scende il rio Riccò, le cui acque, un tempo, muovevano le ruote di un un mulino. Può darsi che quei luoghi (come il “ballatoio delle fate” dalle parti di Montemiscoso) fossero gli spazi dove, anticamente, venivano accesi i fuochi per comunicare tra villaggi, pratica che forse si è conservata nei falò di fine carnevale di molte vallate. Ad esempio, nella valle del Tassobbio. Può darsi che le fate vestite di bianco fossero le druidesse che presiedevano ad antichi riti… poi cancellate dall’occupazione romana e, più tardi, dai culti cristiani. Le pietre, i massi, le vette, gli alberi erano, per i nostri progenitori, espressione della divinità. La vetta delle montagne un grande tempio. Dalla pietra delle montagne nasceva l’acqua, la fertilità. Ogni fonte, sorgente, fiume, pozzo era luogo sacro e taumaturgico, con caratteristiche proprie. La grotta all’interno della montagna era come l’utero femminile, era il rifugio, il sacro.</div><div style="text-align: justify;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQ3GZsdqnNbkzM9LuFbE65u3d9w43_B0iaLDz03NakVKccqt_3H-tTd369riuGgTNT1gRnF8wooOogVrbdW8AMA5kdTjitZa5_xUokiqYu6uhk5rAi8ZdiifMLI38ukNwdqWE2JxkLq08Jx4C7VbpmyaT2QytAKWtZKeXV24WfVvECQg2t3BMOE00/s550/serpente_regolo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="550" data-original-width="440" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQ3GZsdqnNbkzM9LuFbE65u3d9w43_B0iaLDz03NakVKccqt_3H-tTd369riuGgTNT1gRnF8wooOogVrbdW8AMA5kdTjitZa5_xUokiqYu6uhk5rAi8ZdiifMLI38ukNwdqWE2JxkLq08Jx4C7VbpmyaT2QytAKWtZKeXV24WfVvECQg2t3BMOE00/s320/serpente_regolo.jpg" width="256" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div style="text-align: justify;">Quella del serpente è storia che ritorna, sempre uguale, di qua e di là dal crinale: è sempre lei, la Dea. I culti delle “dee madri”, custodi delle molte sorgenti anche terapeutiche (fonti termali) esistenti nelle zone abitate dai Liguri (e dagli altri popoli italici), con l’avvento del cristianesimo diedero del filo da torcere alla Chiesa che si impegnò per estirparli.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dei Liguri Plinio scrisse: “Utilizzavano le sorgenti di acque calde e le annoveravano come divinità”. Per lo storico Le Goff: “Buone o cattive, le fate si sono, da sempre, chinate sulle nostre culle. Esse raccolgono una triplice eredità: quella delle tre parche, le "Tria Fata", quella delle "Fatuae" (poi diventate le ninfe) dell'antichità, e quella delle divinità madri di numerose religioni protostoriche, in particolare celtiche.”</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div> <div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span>
<p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-112273016930981246.post-66945967960037644862022-08-18T09:05:00.002+02:002022-08-18T09:09:42.269+02:00TRACCE DELL’OCCUPAZIONE FRANCESE A PUIANELLO - 1799/AL PASSAGGIO DELLE TRUPPE NAPOLEONICHE, CIVILI TORTURATI E FUCILATI<div class="separator"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOe5tM8Le2Ze07cOFvp48oWBYz-gvBygpk_6eMvpDmnZfPu647o52mj7Y3j9FIQJz0MhzVtOGkNBWxPtcgXjyWlwkQ1EPwf1qAdqpWGE5Mm0oTymLnq1sFhCOnqkBiAQmsZnKUGYa4HcCWWrDuOdVKDqgUv1ZYU-rsyHm8BU0g7FiiXnlYq_Q6PTA/s1280/fanteria_napoleone.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOe5tM8Le2Ze07cOFvp48oWBYz-gvBygpk_6eMvpDmnZfPu647o52mj7Y3j9FIQJz0MhzVtOGkNBWxPtcgXjyWlwkQ1EPwf1qAdqpWGE5Mm0oTymLnq1sFhCOnqkBiAQmsZnKUGYa4HcCWWrDuOdVKDqgUv1ZYU-rsyHm8BU0g7FiiXnlYq_Q6PTA/w400-h225/fanteria_napoleone.jpg" width="400" /></a></div><div class="separator"><br /></div><span style="font-size: medium;">Si narra che a Reggio tutto sia cominciato nel 1796 per un cespo d’insalata; qualche mese prima, il 2 marzo, Napoleone era stato nominato comandante dell'armata d'Italia e l’11 marzo era partito per invadere la penisola. A Reggio, il 20 di agosto, un granatiere del duca Ercole III volle comprare dell’insalata da un’erbivendola in piazza San Prospero, ma si intestardì a pagarla solo due bolognini. L’erbivendola non accettò il sopruso. Fu la miccia che innescò la rivolta: il popolo si sollevò e, la mattina del 21 agosto, Reggio fu finalmente “liberata” dagli Estensi. <br /><br />“I bravi abitanti di Reggio hanno scosso il giogo della tirannia di loro iniziativa…” dichiarò Napoleone Bonaparte. In piazza Duomo venne eretto l’albero “della Libertà” (un gelso) e il 29 agosto vide la luce la “Repubblica Reggiana”. In seguito, il Bonaparte la soppresse, trasformandola in semplice “municipalità” e si costituì la repubblica Cispadana, comprendente Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, poi, con il trattato di Tolentino, in essa confluirono anche la Romagna e, successivamente, la Garfagnana, Massa e Carrara. Pochi mesi dopo, per volontà di Napoleone, la Cispadana e la Transpadana si fusero con la Repubblica Cisalpina. A novembre la nostra regione fu suddivisa in sette dipartimenti: Crostolo, con capoluogo a Reggio; Panaro, con Modena; Reno, con Bologna; Alta Padusa, con Cento; Lamone, con Faenza; Rubicone, con Rimini; Basso Po, con Ferrara. Erano dunque arrivate, in Italia, con Napoleone, “Liberté, Égalité, Fraternité ” e la popolazione aveva accolto i francesi come liberatori? <br /><br />Non fu del tutto così. L’ostilità verso il regime napoleonico crebbe senza sosta e fu un dato diffuso nei ceti popolari, soprattutto a causa della destrutturazione della società e dell’economia: uno stravolgimento che, in realtà, aveva aumentato difficoltà e miseria. Inoltre, secondo ciò che riportano anche alcuni documenti reperiti negli archivi parrocchiali, nella nostra zona ci furono violenze sui civili da parte dei francesi, come, per altro, nel resto d’Italia. <br /><b><br /><br /> Puianello e La Vecchia: fucilazioni e torture </b><br /><br /> È lo storico Giuseppe Giovanelli ad aiutarci nella lettura, traduzione e analisi delle seguenti note redatte in latino nel 1799 dall’arciprete Domenico Fioroni. Ci spiega Giovanelli: “Vezzano era il punto di ingresso delle vie per la montagna. Ciò significava gente di passaggio e osterie piene di viaggiatori che attendevano, ogni giorno, il momento giusto per passare la Campola. Nelle osterie e nello stallo scoppiavano litigi e, nel guado, sia del Crostolo che della Campola, c’era chi affogava (anche qualche felinese). Proprio per evitare questi due guadi, la strada antica saliva stando il più possibile alla sinistra della Campola, guadandola dove il restringimento del letto e l’acqua bassa rendevano più facile e sicuro attraversare.” <br /><br /> Non sappiamo perché siano stati catturati, uccisi e persino orribilmente torturati – torture del tutto simili a quelle delle guerre odierne - gli uomini di cui parla don Fioroni, forse per pura fatalità o forse perché scambiati dai francesi per fiancheggiatori delle truppe imperiali austriache? Queste le annotazioni sui registri: <br /><br />“32. 1799. Defunti <br /><br />Giorno dodici giugno 1799 <br /><br />11. Geminiano Vedriani di Montalto, mentre fuggiva nei boschi di proprietà delle Monache Bianche*, alla Costa, fu colpito a morte da fucilate delle Truppe Galliche e il suo corpo è stato portato in questa chiesa cadavere dopo quattro giorni in questa chiesa è stato tumulato davanti ad Angelo Medici e Giovani Baricca. (* Dovrebbe trattarsi delle monache carmelitane di Santa Teresa di Reggio).” <br /><br />“Giorno tredici giugno dell’anno 1799. <br /><br />Lorenzo figlio (...) Lolli di Montalto e Pellegrino Bedeschi di Viano sono stati catturati dalle truppe galliche presso il Crostolo in località chiamata La Vecchia e sono stati condotti in questa parrocchia e in particolare davanti alla finestra della casa delle sorelle Rosa e Giuseppina Volpi, Le loro flebili voci e le urla si ascoltavano dal Cielo, tuttavia in terra sono stati giudicati senza misericordia e colpiti con sei pallottole in testa hanno reso la loro anima a Dio, e i loro corpi sono stati sepolti in questa chiesa davanti ad Angelo Medici e Giovanni Baricca. Dopo aver celebrato le esequie private ecc. Giorno di grande e amara tristezza. Meglio se non fossero nati. <br /><br />G. Domenico Fioroni Arciprete” <br /><br />“Giorno tredici giugno 1799 <br /><br />13. Giacomo figlio di Francesco Bonacina e Pietro figlio di Antonio Bertoli, ambedue della Parrocchia di Rivalta, presso la Vasca sono stati fermati dalle truppe Galliche, Polacche e Cisalpine, e da loro catturati a causa dell’aquila imperiale trovata sul capo e condotti per la pubblica strada a Puianello, e ritornando quindi indietro fino alla Forche . . . . crudelmente e ferocemente colpiti con le spade e tagliate le dita dei piedi, e cavati gli occhi, in una casa del detto luogo (le Forche) e in particolare nel campo a oriente della casa di loro proprietà sono stati lasciati semivivi, sanguinanti, castrati hanno pazientemente consegnato la loro anima, e i corpi il giorno seguente sono stati sepolti in questa chiesa davanti a Giovanni Baricca e Giuseppe Cola. <br /><br />Io Gian Domenico Fioroni arciprete di questa chiesa anche se queste miserabili circostanze sono avvenute lontano dalla parrocchia, dopo ho scritto su questi avvenimenti perché siano custoditi a memoria dei posteri. Il numero delle truppe sunnominate accampate parte in Vezzano, parte in questa parrocchia per lo spazio di sedici ore, cioè dalle ore 4 pomeridiane delli 12 sino alle 9 mattutine delli 13 corrente con la peggio (...) ed il sacco dato alle sostanze di questi abitanti, furono da ottomila circa e due mila e due mila di queste erano accampate in questa mia canonica e colle. Lascio a voi pensare qual sarà stato il danno arrecatomi.”<span><a name='more'></a></span> <br /><br /><br /><b> Le truppe imperiali austro russe </b><br /><br /> Con l’arrivo di Napoleone, furono aboliti i titoli nobiliari, le livree, gli stemmi gentilizi, furono soppressi i feudi, eliminata qualsiasi giurisdizione privilegiata degli ecclesiastici e ogni loro esenzione fiscale, liberalizzati gli scambi commerciali. Ciò avvenne insieme alle requisizioni di guerra e all’imposizione - sulle rendite e sui patrimoni dei cittadini - di contributi in denaro e vettovaglie, che danneggiarono l’economia e alimentarono lo scontento. La vendita dei beni ecclesiastici andò a vantaggio dell’ex nobiltà e della ricca borghesia, anche grazie ai legami sociali con gli uomini di governo. Non fu realizzata alcuna riforma agraria, invece, che andasse a vantaggio della piccola proprietà. In alcune zone dell’Emilia si costituirono allora vere e proprie bande di “insorgenti”, e, in tutti i casi, la repressione fu durissima. Nell’ultimo documento di cui sopra, si parla di una “aquila imperiale trovata sul capo” dei due prigionieri, dunque i francesi potrebbero aver pensato a due fiancheggiatori delle truppe austro russe. Ma cosa ci faceva l’esercito imperiale austriaco in Italia? Era semplicemente coinvolto in una delle guerre “di coalizione” combattute da Napoleone. Il 10 ottobre 1797 i francesi avevano appoggiato una rivolta in Valtellina e la Repubblica Cisalpina era riuscita a prendere il controllo di Campione d'Italia e della Valtellina dai Grigioni, formando la Repubblica Elvetica. Ma la Svizzera, all'epoca, faceva parte del Sacro Romano Impero, con Vienna come capitale, e la Russia era alleata con l’Austria che, fedele ai propri doveri, inviò un esercito per liberare i territori elvetici occupati. Furono gli austriaci a chiedere che le armate austro-russe venissero guidate dal generale russo Aleksandr Suvorov. Le stesse milizie, affiancate dalle bande di “insorgenti”, dilagarono poi in Italia, anche in Emilia, sconfiggendo solo provvisoriamente le truppe “galliche”. <br /></span><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjs81wE1rdQ9EIksN26m85mb3LHZXYYaNWPfcv_gt7CW4S07LiEzd3vojOx_xrMJHvgy7JfX70t1NPaH8OPY_Us2mpXjTAv1URkjK4YPSd6-7BgJ31V_QhlTq3gNW5PLyhpzCAf0kZXi71KLoxKEGg33WO3crXQ7awICAYJKdgDpTMKaOYdMMQu9uc/s1600/fucilazione.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjs81wE1rdQ9EIksN26m85mb3LHZXYYaNWPfcv_gt7CW4S07LiEzd3vojOx_xrMJHvgy7JfX70t1NPaH8OPY_Us2mpXjTAv1URkjK4YPSd6-7BgJ31V_QhlTq3gNW5PLyhpzCAf0kZXi71KLoxKEGg33WO3crXQ7awICAYJKdgDpTMKaOYdMMQu9uc/w400-h300/fucilazione.jpg" width="400" /></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><span style="font-size: medium;"><br /><b> Le insorgenze anche in montagna? </b><br /><br /> Sempre il professor Giovanelli riporta queste notizie: “Una vecchia strada, in parte ‘cava’ che portava direttamente da Cavola a Cerè Marabino, era chiamata "la via dei francesi". Secondo quanto raccontato dalla gente, questa sarebbe la ragione: durante il periodo della rivoluzione (o occupazione?) francese, erano giunti sul luogo dei soldati francesi che maltrattavano la popolazione, soprattutto cercavano di approfittare delle donne. Un gruppo di cereliani, quindi, tese loro un’imboscata in un punto nascosto e isolato. Al passaggio di quei soldati, ne uccisero due. Per rappresaglia, i francesi incendiarono poi il paese di Cerè. Tradizione confermata da don Raimondo Zanelli. Poi, c’è l’uccisione di altri soldati francesi a La Magompia di Felina. Nell’immediato dopoguerra (1945-1946) nell’abbattere un muro interno di una casa vennero rinvenuti due cadaveri in uniforme francese. Avevano commesso soprusi e violenze sulla gente del posto, perciò erano stati uccisi e murati perché nulla restasse di loro. Alla scoperta dei cadaveri, nulla si disse per paura che, stante la guerra, gli abitanti della casa avessero noie. Gli scheletri vennero nuovamente fatti scomparire. Informazione di don Artemio Zanni, chiamato a dare loro una benedizione sommaria.” La vittoria di Napoleone sugli austriaci a Marengo, il 14 giugno 1800, rese nuovamente i francesi padroni d'Italia e a nord fu ripristinata la Repubblica Cisalpina (dal 1802 chiamata Repubblica Italiana). In realtà, l’intero ex Ducato era in subbuglio: a Sant’Ilario sedici soldati francesi vennero bastonati dai contadini in una osteria, per esempio, mentre a Bagnolo e a Scandiano furono abbattuti gli alberi della libertà. Oltre ai cambiamenti sociali ed economici e alle nuove tasse, ciò che spingeva a ribellarsi era la coscrizione obbligatoria (pro Napoleone) degli uomini, che dovevano essere equipaggiati e finanziati dalla loro circoscrizione. <br /><br /> Ne parla Savino Rabotti a proposito di un rogito datato 2 aprile 1805: “Colla presente seppure privata scrittura, … qualmente il sig. Antonio Rabotti e di lui fratello Michele di Donadiolla, Comune del Rebecco, dipartimento del Crostolo, sborsarono e diedero in tante buone e regali monete la somma e quantità di Gigliati zecchini n° quarantaquattro da L. 45 reggiane, parte nell’annata della carestia anno 1801 e l’altra nell’anno 1804 per il pagamento di un cambio per l’armata della coscrizione, nella prima sborsarono li due Rabotti Gigliati venti e nella seconda Gigliati ventiquattro”. La coscrizione militare rappresentò sia il più diffuso strumento di controllo dei ceti popolari, sia un fattore di disgregazione sociale e una crescita di marginali, renitenti e disertori. La diserzione fu una forma di opposizione a uno Stato sentito estraneo e ostile. <br /><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyd7dVhlFIl9IVqFNz8N4USyFe47WZ56FhxZTFn5sK6kQ25eeWcxi4h51qMM6ZEGh9_oaHUhCx_5pNevNxY_68QcN8bV0sU8_sapyvn-wmQIZ95Wf4kbkGfARyrWX71QIRDiztObYF5DfSNFyiLHmAkyfETqYDE8fqG2rwXiOR-YDGtiSlzKuV4LA/s600/carta%20di%20sicurezza.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="355" data-original-width="600" height="236" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyd7dVhlFIl9IVqFNz8N4USyFe47WZ56FhxZTFn5sK6kQ25eeWcxi4h51qMM6ZEGh9_oaHUhCx_5pNevNxY_68QcN8bV0sU8_sapyvn-wmQIZ95Wf4kbkGfARyrWX71QIRDiztObYF5DfSNFyiLHmAkyfETqYDE8fqG2rwXiOR-YDGtiSlzKuV4LA/w400-h236/carta%20di%20sicurezza.jpg" width="400" /></a></div><br /><b><br /> San Napoleone e la propaganda </b><br /><br /> I fermenti nei Dipartimenti del Panaro e del Crostolo, in Emilia, nei primi mesi del 1803, vanno messi in relazione anche all’istituzione della “carta di sicurezza” (carta che permetteva ai cittadini maschi sopra i 15 anni di circolare liberamente), una tra le norme che colpiva di più i lavoratori migranti, tantissimi in quel periodo. Un moto di rivolte, fra il dicembre del 1805 e il febbraio del 1806, interessò l’arco appenninico bolognese, parmense e piacentino. Molti provvedimenti napoleonici colpirono, in Appennino, la struttura familiare di tipo patriarcale, la cui economia si basava sulle piccole proprietà e lo sfruttamento degli usi civici, soprattutto pascoli e boschi. Il malcontento popolare sfociò in forme di resistenza passiva e di boicottaggio: dal rifiuto da parte dei parroci di cantare il “Te Deum” in onore di Napoleone, al mandare i figli nelle scuole statali, alla diserzione da parte dei fedeli delle messe dei “novelli sacerdoti” che avevano giurato sugli “articoli gallicani”, al portare le coccarde con il tricolore francese; non per niente, per la bandiera italiana si scelse, forse per contestazione, il verde al posto del blu e un primo tricolore verde, bianco e rosso sventolò a Fariolo di Felina ottanta giorni prima della data ufficiale di Reggio. I felinesi si erano arrabbiati con il loro feudatario, Conte Chiodini, che aveva soppresso le confraternite trasformandole in “Opera Pia” laica, con relativo incameramento dei beni. Il 7 settembre 1803, dopo quello francese del 1801, era stato firmato il Concordato italiano (che però entrò il vigore solo il 1° giugno 1805). In quello spazio di tempo, Napoleone vi inserì arbitrariamente articoli che ridussero di numero tutti gli ordini religiosi e i conventi, assegnando al demanio i loro beni. Il ricavato delle vendite fu versato al “Monte di Napoleone”, costituito per estinguere il debito pubblico. L’introduzione del culto di San Napoleone - santo mai esistito – festeggiato il 15 agosto, attingeva volutamente alle forme della tradizione liturgica cattolica. Il catechismo del 1806 venne pensato dagli estensori fedeli a Napoleone come strumento di propaganda e di adulazione verso l’imperatore. Insieme con le pastorali dei vescovi, con i “Te Deum” per le vittorie, con Saint-Napoleon, doveva tenere a freno le moltitudini rurali, su cui il governo non aveva troppa presa, e piegarle al pagamento dei tributi e alle leve necessarie per la guerra perpetua. E, nell’insieme, riprendendo le parole dell’arciprete di Puianello, don Domenico Fioroni: “Lascio a voi pensare qual sarà stato il danno…” per le piccole comunità dei nostri paesi.</span><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgK-4ly4hhEDzJL-j7rS8Qzhe2GkSEMz8PovCF79sZ3yl8Cxk-C96XKDhSHNEM4AUKvDp3r3bMbf0p1UhjIMiKybNMIjM-HiCOnt0XoUersCZ8HiVpwmG1i_bCcg5we_HKSTbYnccyAQLYYcPhah-u5R41RunSZSPFiiwMW_OFq34VUVHMf95UZcdg/s463/saintNapoleon.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="463" data-original-width="300" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgK-4ly4hhEDzJL-j7rS8Qzhe2GkSEMz8PovCF79sZ3yl8Cxk-C96XKDhSHNEM4AUKvDp3r3bMbf0p1UhjIMiKybNMIjM-HiCOnt0XoUersCZ8HiVpwmG1i_bCcg5we_HKSTbYnccyAQLYYcPhah-u5R41RunSZSPFiiwMW_OFq34VUVHMf95UZcdg/w259-h400/saintNapoleon.jpg" width="259" /></a><span style="font-size: medium;"><br /></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /></div>normannahttp://www.blogger.com/profile/09869448223562683090noreply@blogger.com2