martedì 6 settembre 2016

ATTENTI AL LUPPOLO

ATTENTI AL LUPPOLO
Nel cortile precipitavano a volume altissimo, come bombe, le notizie del telegiornale, tanto che le galline, atterrite, erano sfollate sui rami d'un sambuco e sbatacchiavano il capo, quasi a volersi sbarazzare di tutto quel trambusto. Lì dentro avrebbero potuto entrarci, sferragliando, un carrarmato, un trattore, una trebbiatrice, e Antonia, la proprietaria, non se ne sarebbe accorta.
Se ne stava seduta all'ombra, proprio come le galline, anche se appariva più calma delle pennute, forse rassegnata; gli occhiali sulla punta del naso, lavorava pizzi e centrini all'uncinetto.
In terra, un cesto colmo di erbe che non avevano l'aria d'essere verdure, anzi: sembravano frutto di una monda dell'orto; erbacce, insomma, che non andavano bene nemmeno per i conigli.
“Oh, Tonia, è scoppiata la guerra?”, disse Beppe, il vecchio sarto zoppo, avvicinandosi a lei.
Tonia non alzò nemmeno il capo, tutta assorta nella conta dei punti, tanto che l'ometto, trascinando la sua gamba malferma, la sfiorò con il bastone. “Oh Beppe! M'avete spaventata! Scusate, ma c'è lei, in casa, ed è un po' sorda, sapete...”
Tonia indicò la porta aperta e poi gridò (perché bisognava gridare per capirsi), “C'è lei: la contessina!”
La contessina, detta anche “mobile antico”, perché era vecchia, ma straricca, dunque di un certo valore come i pezzi d'antiquariato, non era del paese. Tonia e Beppe sì. E se Tonia aveva lavorato a lungo nelle città come bambinaia e cameriera, Beppe, a causa della sua “disgrazia” (la chiamava così, e non se ne vergognava punto), s'era dovuto inventare un mestiere che non fosse quello d'andare a zappare, falciare o rincorrere pecore.
Così, s'era messo ad aiutare la mamma, che era sarta, ed era diventato un sarto fino fino, di quelli capaci di confezionare abiti per ogni occasione. Una delle cose che, tuttavia, gli veniva sollecitata più spesso era quella di 'rivoltare' i cappotti, le giacche, i soprabiti, smontandoli, mettendo all'esterno la parte interna, meno consunta, e ricucendoli.
La contessina, quindi, nonostante il diminutivo, non era giovane. Non era del paese e, sicuramente, non era povera. Però era sorda, completamente sorda.
La contessina era una villeggiante genovese centenaria, danarosa, di famiglia alto borghese, forse pure con un po' di sangue blu. Non s'era mai sposata, diceva di non aver mai avuto (né voluto) un fidanzato, probabilmente non aveva mai nemmeno lavorato e, quasi certamente, l'unica sua gioia era contare i quattrini.
Ora, che ci faceva una gentile centenaria con tanti soldi da potersi comprare tutta Genova in uno sperduto borgo di montagna? Ah, l'aria buona, sì.
Innanzitutto, però, era quel “danarosa” coniugato a “genovese” (risultato: spilorcia) che la portava a passare l'estate lì, tra il cortile di Tonia e quello di Mariarosa, sua dama di compagnia per tutto l'anno.
“Andate, andate a vedere come 'quella' sta davanti alla televisione, Beppe. - disse Tonia - Io sono uscita di casa perché non resisto e aspetto che Mariarosa torni a prendersela per spegnere tutto e riposarmi le orecchie.” Il sarto si avvicinò alla porta e guardò dentro.
La contessina, seduta e piegata a novanta gradi, con il naso quasi sui ginocchi, teneva l'orecchio incollato al televisore e annuiva, scuotendo appena i riccioli grigi sfuggiti alle mollette. Pareva una mantide religiosa, un insetto stecco, tanto era magra e quasi mummificata.

Ma era viva e in perfetta salute, nonostante la dieta alquanto bizzarra e all'insegna del risparmio a tutti i costi. Lesinava su tutto, la contessina, compresa l'acqua. Così, dove lavava le verdure, poi ci lavava la sottoveste, poi i piatti e, infine, usava quell'acqua per bagnare i fiori.
O l'insalata. In un riciclo perfetto. E si era inventata una pizza confezionata non con la farina, ma con il pane raffermo, che bagnava nell'acqua e stendeva in uno stampo appena (ma poco poco) unto d'olio. Solo lo stomaco di Mariarosa poteva resistere al quel terribile menù di guerra.
Non era demente, la contessina, c'era ancora con la testa, e controllava regolarmente, al telefono, l'andamento delle sue azioni in borsa e i conti bancari. Tuttavia, qualche giorno prima aveva combinato un gran pasticcio che aveva gettato nello sconforto Mariarosa e tutto il paesello. Si era messa a dire che le avevano rubato degli orecchini di diamante.
“Ma come, - l'aveva sgridata Mariarosa – avete portato qui dei diamanti? Ma scherzate? Non li avevate in cassaforte, a casa vostra?” Per alcuni giorni, tutti s'erano industriati a cercare quei diamanti ovunque: dal pollaio, all'orto, ai sottovasi dei gerani, alle scatole del filo e degli aghi da cucire, ma... niente, degli orecchini nessuna traccia. E se li avessero rubati le gazze? Per non parlare delle cornacchie. E se li avessero mangiati le galline?
Poi, alla contessina venne in mente che lei aveva portato a Beppe, il sarto, un soprabito da rivoltare, e che, forse, prima di partire da Genova aveva cucito gli orecchini proprio in quell'indumento, tra la fodera e la stoffa. Però non si ricordava con certezza.
Eh, la memoria cominciava a farle brutti scherzi, doveva mangiare più scatole di sardine, che contengono fosforo, diceva. E prendere un po' di mannite, per far funzionare l'intestino e depurarsi, che se non si va in bagno tutti i giorni la testa va in confusione.
Così aveva spedito Mariarosa a controllare Beppe. Lui c'era rimasto male, perché aveva già scucito tutto il soprabito, ma non aveva trovato nulla di nulla e ora temeva di non essere creduto.
Per questo era salito da Tonia. A causa di quei diamanti scomparsi, non dormiva più. Gli ci mancava di aggiungere disgrazia a disgrazia.
“Si sa niente degli orecchini?- chiese Beppe a Tonia, mentre la contessina, sempre piegata in due e sorretta dal suo bastone, usciva di casa per andare incontro a Mariarosa, comparsa giusto in quel momento. “Niente...”, rispose Tonia.
Spenta la televisione, anche le galline scesero dal sambuco e ripresero a becchettare beate.
Poi, la contessina afferrò il cesto e, a braccetto della sua dama di compagnia, si avviò verso casa: “Andiamo a fare la frittata con queste erbe, c'è anche il luppolo, sapete?”, disse.
Quando, più tardi, la trasportarono fino all'ambulanza, la contessina delirava e vomitava e Mariarosa, che la frittata non l'aveva mangiata, strepitava: “Vedeva la Madonna nel lampadario, ti rendi conto, Tonia?”
Era successo che, dopo cena, la contessina aveva iniziato a dire che c'era un'immensa luce nel lampadario e che dentro c'era la Madonna. Si era anche drizzata, la gobba era sparita e, se Mariarosa non l'avesse bloccata, sarebbe salita sulla sedia per abbracciare l'apparizione.
Mariarosa aveva chiamato il Pronto Soccorso. Nel cesto, i resti delle erbette: pan di serpe aveva mangiato la contessina! E forse pure un po' di stramonio. Però si sarebbe salvata.

Mariarosa, allora, guardò meglio in direzione dell'ipotetica Madonna: appesi tra le gocce di vetro del lampadario penzolavano e brillavano loro, gli orecchini di diamante.

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