La bambina è tornata
“ Chove, chuva chuverando/ lava a rua do meu bem...” Il cielo color
cenere di Salvador, di un bigio vivace, increspato, delicato e tenero come la
fragranza e la mollezza della terra umida, è scucito e si spalanca in uno spicchio
turchino sulla linea del tramonto. “Scendi,
pioggia a catinelle/ lava la strada del mio ben...” intonano i bambini in
girotondo nella prima pagina di un romanzo di Jorge Amado, lo scrittore simbolo
della Bahía. Nel cuore di Maria, quell’immagine è la più genuina
rappresentazione della bellezza innocente, colorata, dolce e sensuale di quel
paese. Una grazia che sente sua, lei, piccola e minuta, i grandi occhi neri e
il sorriso delizioso a illuminarla. Lei, che potrebbe essere un personaggio di Dona Flor e i suoi due mariti, Gabriella garofano e cannella, Teresa Batista stanca di guerra. Le
hanno sempre detto che somiglia così tanto, ma così tanto a Sonia Braga, l’attrice
più cara allo scrittore. Come era arrivata sull’Appennino, lei, così nera di
capelli e di pelle? Una storia lunga. Maria ci ripensava, qualche anno prima; passeggiava
sotto i portici di Bologna, a due passi dall’Università, e ci ripensava.
L’aveva sempre saputo, era cosa normale. La mamma aveva sempre risposto alle
sue domande. L’aveva sempre saputo. In ogni modo, verso i diciassette anni,
aveva cominciato a sentire quel profondo desiderio. Incontenibile. Era scoppiato
tutto a Parigi, a casa del cugino Emanuele. Li aveva ascoltati, lui e la moglie
straniera, Celia, parlare in quella dolce, musicale lingua e qualcosa le si era
acceso dentro. Un fuoco. Incontenibile, furioso, malinconico: “saudade”! Era
tornata a casa, ma quel fuoco bruciava, bruciava. “Saudade”! Sì, l’aveva sempre
saputo che era stata adottata, ma la voglia di scoprire di quale carne e sangue
fosse realmente impastata ora si faceva sempre più grande, insopportabile. Basta,
doveva partire, varcare l’Oceano. Certo, Maria aveva ascoltato i racconti della
mamma riguardo alla sua nascita e alla sua adozione; una storia bella e amara
allo stesso tempo, con un sottofondo di mistero. Quella zia suora, sorella del
padre adottivo, un giorno, di là dall’Oceano, aveva raccolto la confessione di
una signora che le aveva riferito delle difficoltà di una ragazzina incinta. La
suora e la giovane con la pancia grossa grossa, stretta in una maglietta
striminzita, si erano poi trovate per caso sull’autobus e l’adolescente aveva manifestato
il desiderio di portare avanti una gravidanza che, invece, “qualcuno” non
approvava. Perché?
La suora aveva raccontato che non
si trattava della solita storia di indigenza, di famiglia disgregata, di
violenza. Allora, quale poteva essere stato il motivo? Perché l’avevano
abbandonata?
Intanto, in Italia, una famiglia aveva
inoltrato domanda di adozione e, a un mese dalla nascita, Maria aveva già
respirato l’aria leggera dei monti italiani. Bruciava dentro, però, la saudade;
bruciava un sordo richiamo di sangue. Partì, al fine, partì. Doveva
incontrarla: lei, la ragazzina dalla pancia grossa grossa nella maglia troppo
stretta.
Ma quanto è bello il cielo del
Brasile? Quanta luce in più? Quanto è vasto, profondo, immenso? Maria è in quel
luogo da una settimana, dovrebbe essere felice, dovrebbe sentire il cuore
aprirsi al sollievo e svuotarsi da quel fuoco che brucia, invece no. Tutto le
dà fastidio, perché tutto è diverso dall’Italia, tutto è giù di posto, non
funziona niente! Non funziona la doccia, spesso non c’è acqua, quella calda poi
non se ne parla. E le file interminabili ovunque, e gli autobus in ritardo... in
ritardo? Macchè: non hanno proprio orario! Normale, poi, imbattersi in un
pullman affondato per metà in un’enorme buca colma d’acqua in mezzo alla strada,
con i passeggeri che scendono e non ci fanno una piega. E poi la gente che ti
parla, che non ti ignora mai. Non riesce a passare in mezzo alla folla senza
che qualcuno la interpelli. La credono una di loro: pelle e volto bahiano,
niente da fare. Non li sopporta. Alla fermata dell’autobus, si accende una
sigaretta: ‘Figlia mia, non fumare, ti fa male!’, le fa una vecchietta con
l’aria di soffrire per lei. Basta. Questo occuparsi continuamente l’uno
dell’altro la innervosisce. Sbotta, la manda a quel paese e lei: ‘Come sei
nervosa! Non essere nervosa!’. Accidenti! Vivere nello scompiglio, nel
disordine, e poi quell’indolenza e disorganizzazione
che la sua educazione occidentale, la sua precisione ed efficienza emiliane
rigettano con tutte le forze! Mio Dio: perché era venuta in Brasile?
Eppure,
nell’intimo, qualcosa ribolle e sembra volersi finalmente liberare. Si mette in
viaggio in cerca della ragazzina che le aveva dato la vita, e dei suoi segreti. Arriva in una cittadina sperduta e,
mentre dorme in albergo, un fratello di quella ragazzina, quindi uno zio,
incredibilmente la viene a cercare: “Sapevo che saresti tornata. Da piccolo
dissi al nonno che tu eri viva e che un giorno ti avremmo riabbracciata. Il
nonno mi diede un sacco di botte e io non parlai mai più di te.” Un attimo, e
si trova a casa della nonna: secca secca, il volto grinzoso, alza le mani al
cielo e piange di gioia: la bambina era tornata. Tutti la aspettavano, tutti
sapevano che sarebbe tornata. È un miracolo e il giorno dopo si radunano per
festeggiarla, anzi: per portarla in trionfo. Scopre di avere dei fratelli; sono
loro ad avvertire la madre, che è a lavorare lontano, in un altro Stato. Quella
madre ora sposata con un uomo ricco, quella madre che nasconde chissà quale
segreto. La vede, per la prima volta, la ragazzina dalla pancia grossa grossa, ma
la vede in foto, lì, a casa della vecchia nonna dal volto di rughe nere. È
bianca, la sua mamma, bellissima e bianca, con lunghi capelli neri lisci. La
sente chiedere di lei al telefono, chiede com’è: “E’ bella, è bella”,
rispondono i fratelli. Un pezzo della sua vita che le mancava ora è lì; ne è felice.Una
felicità amara, un misto di malinconia, desiderio, paura. Cosa fare? Il fuoco brucia
ancora, dentro. Dolore e tanto sgomento. Perché sua madre l’ha lasciata? Perché
lei e non i suoi fratelli? Davvero vuole saperlo?
Ma quanto è magnifico il cielo
del Brasile. Quanto chiarore, nuvole e sole in più. Quanto è vasto, profondo,
immenso, il cielo di Bahia.
Maria, dall’aereo, osserva
Salvador, là in basso. Piove.
Ora no, non poteva incontrarla,
la ragazzina dalla pancia grossa grossa; serviva tempo, ancora tempo. Ma
sarebbe tornata. “Scendi, pioggia a
catinelle/ lava la strada del mio ben…”
Maria canta e il fuoco dentro,
piano piano, diventa respiro fresco dei monti d’Italia.
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