domenica 18 agosto 2013

SI PARTIVA A PIEDI DA COSTA DE' GRASSI. MA SI PARTIVA

Io, gli Etruschi credevo si fossero estinti. Invece, quando arrivai per la prima volta a Costa de’ Grassi, ne vidi parecchi nella classica posa da sarcofago: semisdraiati, con il capo sostenuto da una mano e il gomito poggiato a terra. Semisdraiati nelle piazzette, nelle aie, agli angoli delle strade. L’impressione fu proprio quella: direttamente dai secoli remoti – e dai libri di storia – gli uomini di Costa si ristoravano discorrendo nell’identica posa dei Romani (o degli Etruschi) sul triclinio (e sul sarcofago).
Emilio, in particolare, giù a Ferdana, all’inizio del paese, aveva corporatura e volto identici a quelli delle antiche statue, oltre alla precisa sistemazione semisdraiata. Ti accoglieva quest’immagine, quando arrivavi a Costa. Insieme alle figure di uomini che camminavano a passi lenti, con la giubba buttata sulle spalle a mo’ di mantello, il cappello di feltro in testa e le mani dietro la schiena, che non se ne vede più di gente camminare così.
Luigi Zannoni, alto, leggermente curvo, magrissimo, piccoli baffetti  e occhi buoni, camminava in quel modo, in silenzio, e sembrava un filosofo in raccoglimento. Per quanto, le mani sul dorso (lasciando il torace non protetto), credo che significhino assenza di paura, apertura, tranquillità. Forse per questo oggi più nessuno cammina così. Forse perché tutti hanno paura.
Ti accoglievano inoltre le pecore: greggi abbondanti di pecore; tante greggi, tante pecore e capre, tanti cani ad accudirle, perché c’erano ancora diversi pastori, allora, in paese.
E le greggi fungevano da decespugliatore bio: i bordi delle strade, le siepi, persino gli improvvisati giardinetti davanti alle case, venivano sistematicamente ripuliti dai denti forti delle capre che strappavano via tutto, rose pungenti comprese.
La presenza di tutti quegli animali brucanti aveva reso obbligatorio recintare tutto il recintabile: campi, orti, cortili delle case; in dialetto si dice “sciòndre” (cingere? Chiudere?).
Così, gli uomini, ogni tanto, partivano armati di “stropetti”, roncola, rami di nocciolo e andavano a controllare le recinzioni dei campi, chiudendo tutti i buchi per impedire alle greggi di esondare ed estirpare fino all’ultimo filo d’erba. E quando succedeva, quando il pastore (fingendo?) non vedeva le pecore penetrare nei campi altrui, erano guai: grandi litigate, anche qualche querela.

CAROLINA E LE ALTRE. BALIE, MIGRANTI, DONNE SOLE DI UN TEMPO CHE FU.

Ma dovevo arrivare a Costa de’ Grassi per vedere una donna condurre una motofalciatrice con la stessa grinta con cui un torero afferra il toro per le corna e lo stende?
Cresciuta in un paesino di campagna – e di montagna, che è qualcosa di ancor più impegnativo – credevo di aver visto le donne svolgere ogni attività possibile, in casa e fuori. Ma guidare una macchina da segare l’erba no, mai.
Le avevo viste nei boschi a sostituire gli animali da soma: come muli a trainare fuori, su pendii a picco, enormi pali di castagno che sarebbero poi stati venduti; uno dei tanti modi per ricavare qualcosa in più anche dal castagneto.
Nei campi, con vanga e zappa, insieme agli uomini, a rivoltare il terreno e frantumare le zolle.
In mano la falce messoria, chine sulle spighe di grano, avevo poi visto le donne mietere, con il sudore che filtrava dal fazzoletto sotto il largo cappello di paglia e le calze pesanti tirate su fin quasi alle ginocchia per difendersi dallo strame affilato.
Che l’immagine serena e giocosa della mietitura dei film e delle rievocazioni degli antichi mestieri fa a pugni con i volti bruciacchiati dal sole, incisi precocemente dalle rughe e segnati dalla fatica; volti subito adulti, perché non c’era possibilità di rimanere adolescenti.
Negli odierni duplicati d’un mondo che non c’è più, l’abbigliamento delle figuranti e antistorico: bluse bianche ben stirate, gonnelloni a fiori, grembiulini di pizzo, cappelli con fiocchi di raso e scarpettine o sandaletti da città.
Nemmeno per andare a messa si sarebbero vestite così, le contadine. Anche perché avrebbero valutato come pacchiani e zingareschi tali indumenti! Il decoro era tutto per i poveri, un tempo. Poveri, ma dignitosi sempre. Non si sarebbero mai fatti fotografare con vestiti in disordine e capelli spettinati.  Di abiti “dalla festa”, in genere, ne avevano uno, ma molto distinto, mentre nei campi si andava con roba pezzata e ripezzata, rammendata, rimediata.
Sempre con il fazzoletto ben stretto sul capo (non come ornamento, ma perché i capelli non assorbissero odori e polvere), le donne erano in stalla, ogni mattina – già alle quattro – e sera, piegate, fin da bambine, a spremere le mammelle delle vacche (e il suono metallico del latte che sprizzava nel secchio era ritmato e veloce, mentre le dita, assorbendo l’umidità, preparavano l’artrite e le deformazioni ossee della vecchiaia tipiche di quasi tutti i contadini).