domenica 17 aprile 2016

"PIETRO DEI COLORI" - NUOVA EDIZIONE "TRA LE RIGHE LIBRI"

http://www.ibs.it/code/9788899141424/albertini-normanna/pietro-dei-colori.html

Disegno di copertina di Sara Davalli


Di lui non si sa nulla. C’era soltanto la sua firma sul trittico di Rocca di Soraggio: “Et pictus fuit p. me Petrus de Talata”, nient’altro. Anche quella firma, in seguito, è andata persa.
Che poi “Talata” debba corrispondere a “Talada”, piccola borgata della montagna reggiana, è solamente una supposizione, o forse una deduzione, vista la relativa vicinanza delle due località e il loro essere appartenute al Ducato Estense. Niente ci assicura che sia davvero così.
Si tratta di luoghi in qualche modo rimasti arcaici, immersi nei boschi, uniti da strade tortuose, comunque disagevoli pure oggi, nonostante l’asfalto, soprattutto con il ghiaccio e la neve dei lunghi inverni.
Luoghi accomunati dalla passione degli abitanti per le leggende, le strane apparizioni di fate, folletti, diavoli, streghi e streghe, serpenti alati, uomini e donne – mediconi - capaci di curare con le parole, le preghiere, le segnature e misteriosi intrugli di erbe.
Luoghi un tempo abitati da popoli veneranti divinità in buona parte muliebri, come si riscontra nella vicina Lunigiana, dove i ritrovamenti delle statuette di antiche dee madri la confermano come terra mistica, consacrata a divinità femminili. Divinità legate alla luna e al suo culto.
Le madonne di Pietro hanno tutte volti lunari e tutte ricordano, in qualche maniera, le antiche raffigurazioni della dea Iside con il sacro figlio Horus in braccio.
Di Pietro non si sa nulla; per lui parlano le sue opere: Il trittico di Borsigliana “Madonna col Bambino tra i Santi Prospero e Nicola”, noto nella storia dell’arte toscana anche per un furto e un tentativo di esportazione illegale;

DONNE DI TERRA E ORIZZONTI - 8 MARZO IN SENATO

https://www.radioradicale.it/scheda/468999/conferenza-stampa-donne-di-terra-e-di-orizzonti-agricoltura-fra-tradizione-e
Dice un canto tradizionale lombardo: “La storia di queste montagne è scritta su mani di donna che han lavorato la terra. E la terra si porta nel cuore”
Io porto nel cuore la mia terra e sono grata di possedere un sapere umile delle mani che da lei discende; una conoscenza ereditata, che va dal saper cucinare, alla cura degli esseri viventi, all’uso di ago e filo. All’aggiustare ciò che si rompe, compresi i rapporti, invece di buttarli via. Anche la cura delle relazioni è una sorta di rammendo, o se volete, di faticoso impasto, come quello del pane, e le donne contadine di un tempo ne erano le depositarie. Erano loro a tenere in piedi le famiglie, erano loro a rattoppare i vuoti, gli strappi di uomini lontani per lavoro, per guerre, per morti precoci. Ricuciture dolorose che ho ben conosciuto nei racconti delle donne della mia famiglia e che mi porto dentro, situazioni che ho poi ritrovato in altre donne oggi in cammino per il mondo. Donne in piedi, resilienti, dignitose.
Vengo da un mondo dei campi in cui si sapeva che sporcarsi è necessario per realizzare qualcosa, per ottenere un risultato. Accudire piante e animali (ma anche un vecchio o un bambino) significa sporcarsi, ma educa al senso della cura; è anche capire il valore della vita e del cibo, e imparare a rispettarli. È comprendere tutta la fatica che sta dietro a ciò che mangiamo. Poi, insegna a darsi dei limiti nel consumo. Perché dallo sporco buono del lavoro si può passare a quello pericoloso delle discariche e delle terre dei fuochi o delle malattie per eccesso di cibo.

C’era un rispetto, un tempo, nelle culture contadine, che metteva chiari confini, nell’uso delle risorse: mai devastare, mai prendere tutto, pensare al domani, ripiantare dove si tagliava, lasciare le giuste matricine nel bosco. Lavorare insieme, cooperare (com’era nelle latterie sociali del Parmigiano) era indispensabile: i nostri vecchi non sarebbero mai sopravvissuti altrimenti. Questo portava coesione, socialità all’interno dei paesi e delle famiglie, pur in mezzo alle diatribe e ai litigi; aiutava a reggere il conflitto, a dirimere le discordie, per il bene comune.

Vengo da un mondo in cui davvero “si mangiava il territorio”: quasi tutto ciò che finiva sulla tavola arrivava dai nostri campi e noi e la terra eravamo fatti delle stesse sostanze. Un mondo scritto su mani di donna che han lavorato la terra. In tutti i miei libri, anche nell’ultimo dedicato a Matilde di Canossa, protagoniste sono le donne e le loro lotte, le loro mani, il loro cuore connesso alla vita e alla terra.
Amo la terra su cui sono, il mio corpo è fatto della sua sabbia”, dicevano i Seminole. È utopia pensare di riconnettere vita umana e natura in una agricoltura più rispettosa del creato? Forse, e concludo, citando Galeano: “a questo serve l’utopia, a camminare”:
Grazie per questa bellissima giornata.