venerdì 15 luglio 2022

L’ANNO SENZA ESTATE, CARESTIA E TIFO A PONTONE - 1817/ CENTO MORTI REGISTRATI NELLA PICCOLA PARROCCHIA


 


Il documento ci arriva dagli archivi parrocchiali. Si tratta di una nota rinvenuta nel libro di battesimo di Pontone, risalente al 1825 e vergata da don Giovanni Zobbi, rettore della parrocchia dal 1815 al 1834. Nell’annotazione si parla di morti, di carestia e pure di un’epidemia: “Nota il dì 16 maggio 1825 qui in Pontone vi erano oncie quattro di neve ed il Villaprara di S. Pietro oncie sette, e più. È pure da notare che nell’anno 1815-1816-1817 fù una continua carestia, onde nel 1817 perirono di fame circa cento persone in questa parrocchia di Pontone; si trovavano per le strade moribondi, e morti per le boscaglie divorarti dai cani e dalle fiere. Più si solevò una malatia a cui li medici diedero il nome di tifo, ed anche di questa perirono molti non solo poveri, ma anche benestanti. Molti altri per il vivere insalito, o male a proposito morirono poi nel 1818 tempo di abbondanza.”

Fino a duecento anni fa, la fame era ancora uno spauracchio per tutti i Paesi europei. Le risorse alimentari erano scarse e la gran massa della popolazione raggiungeva appena il livello di sussistenza. Le carestie provocavano migliaia di morti e, in genere, derivavano dal cattivo tempo, o da epidemie e guerre che comportavano la devastazione dei campi e l’impossibilità di seminare e raccogliere le messi. Sempre dall’Archivio diocesano di Reggio Emilia, ecco una pagina del registro dei defunti di Vezzano del 1817, dove, al numero 87, 28 febbraio, è registrato: “Massimiliano di Domenico Campani e Margheritta Ricci di 48 anni morto ob debilitatem et fame consumptus” (per debolezza e consumato dalla fame).

È solo uno dei tanti esempi. Nel biglietto collocato sulla stessa pagina si legge: “Nel giorno 17 gennaio alle ore 7 antemeridiane Donna ritrovata morta. In questa parrocchia di Vezzano in luogo detto la Rocca sulla Strada che guida alla Vecchia è stata ritrovata morta come si tiene di fame e di freddo, ho usata diligente ricerca chi ella fosse e di qual Patria, ma non enimi riuscito di venirne a cognizione, mentre nessuno mi ha saputo darne informazione, io per me son d’opinione ch’ella fosse Toscana, ella fu trasportata in questa casa Pretoria perché fosse visitata, ma siccome simili casi accadono frequentemente or quà or là per le critiche circostanze di carestia. Così senz’essere visitata è stata, premesse le solite esequie, tumulata in questo Parrocchiale cimitero il giorno 19 mese suddetto. Fabbiani Girolamo Rettore”

Ma cos’era successo? Perché una carestia durata tutti quegli anni e poi il tifo?


Il vulcano, Napoleone e Frankenstein

Il 10 aprile 1815, il vulcano Tambora – nelle Indie orientali olandesi, oggi Indonesia - esplose e le sue ceneri si diffusero nell’atmosfera in quantità tale da oscurare il sole, raffreddando la Terra di diversi gradi. “L’ultima grande crisi di sussistenza del mondo occidentale” fu l’effetto dell’eruzione, secondo lo storico John Post. Solo nell’Impero russo vi fu un aumento delle temperature medie e si verificarono condizioni positive per le attività agricole. Dal punto di vista storico, vi sono in Italia pochi riscontri sulla crisi economico-sociale del 1815-1817 in quanto è quasi dimenticata; rimangono invece i documenti di natura sanitaria di quei medici che cercarono di arginare l’epidemia di tifo che ne seguì. Negli archivi parrocchiali e comunali vi sono poi le pagine con i nomi dei morti. La nostra montagna era sotto il dominio estense e il Duca si impegnò per fronteggiare la situazione, vietando l’esportazione del frumento, acquistandone delle quantità all’estero e organizzandone lo smistamento a prezzi calmierati, mentre ne fu garantita a titolo gratuito la distribuzione agli indigenti. Sicuramente, le misure non furono adeguate per i bisogni di tutti. Il racconto dell’eruzione del Tambora e delle sue conseguenze lo ritroviamo più avanti nella ricostruzione di Henry ed Elisabeth Stommel, nel volume dal titolo “Volcano Weather: The Story of 1816, the Year Without a Summer”. La cenere del vulcano rimase sospesa nell’atmosfera per molti anni, riducendo la quantità di radiazione solare. Gli effetti furono tragici. Le condizioni climatiche anomale portarono a gelate estive che segnarono il 1816 come “L’anno senza estate”, con la perdita dei raccolti estivi ed autunnali: questo determinò una terribile crisi alimentare. L’esito finale della carestia fu poi una vasta epidemia di tifo petecchiale di cui fecero le spese soprattutto i ceti meno abbienti. “La prima delle tre ondate di freddo fuori stagione si abbatté sul New England nelle prime ore del 6 giugno in direzione est. Il freddo e il vento durarono fino all’11 giugno, lasciando sul terreno da 8 a 15 centimetri di neve. Una seconda gelata colpì le stesse zone il 9 luglio, una terza e una quarta il 21 e il 30 agosto, proprio quando stava per incominciare il raccolto delle colture già due volte devastate. Le ripetute gelate estive distrussero tutte le granaglie e tutti gli ortaggi a eccezione di quelli meno sensibili al freddo”