mercoledì 27 marzo 2013

RECENSIONI "SULLE SPALLE DELLE DONNE" GARFAGNANA EDITRICE

Entrare nelle storie narrate da Normanna Albertini, è come planare dolcemente sui ricordi e sulla bella e serena vita di un tempo … e poi, magicamente, lasciarsi trasportare nei luoghi deliziosi di un’infanzia felice.  quasi dimenticato si viveva tutti insieme ripudiando la solitudine. Era così nella vita nei campi, e nel vissuto quotidiano delle famiglie. Un tempo sano e allegro in cui nessuno chiudeva a chiave la porta della propria casa. Magari si parlava solo in dialetto ma era proprio questa lingua, dal sapore antico, a favorire il dialogo tra le diverse generazioni. Come dice l’autrice, “il filo della narrazione che univa, nutrendole come un cordone ombelicale, una generazione all’altra e al futuro”. Forse siamo ancora in tempo per salvare queste preziose testimonianze da fare nostre e trasmettere ai nostri figli. E’ questo il grande insegnamento che traggo dai bei racconti di Normanna Albertini. Un libro che emoziona con la dolcezza della nostalgia. Un romanzo che sa di buono muovendo i passi da una cultura, quella contadina, che merita di essere riscoperta dalle giovani generazioni.
“Sulle spalle delle donne” non è un monumento al femminismo, bensì un delicato racconto di storie vissute da donne all’interno di contesti familiari caratterizzati da profondi e significativi rapporti umani. Sono le memorie di una bambina di campagna, oggi apprezzata scrittrice. L’avvio del romanzo è dedicato all’acqua, bene puro e prezioso dal sapore unico e inconfondibile. Nelle seducenti pagine di Normanna Albertini ho trovato spalle forti; quelle femminili che trasportavano l’acqua dalle fontane alle modeste dimore di un tempo. Donne abituate al lavoro, alle fatiche; donne che gestivano famiglie con semplicità ma con grande buon senso. Con piacere, ho incrociato la vicenda di Camillo; fortunato perché aveva il suo asino. Con essa, storie di animali, di vita povera ma, al tempo stesso, dignitosa e vera. L’autrice ci mostra come possa apparire distante tutto ciò della caotica e spesso solitaria vita moderna. Che nostalgia nel ripercorrere i ricordi legati all’aia, come quella di Predolo. Molti di noi ricordano l’aia come luogo, nei piccoli borghi, di incontro, di giochi collettivi, di gioia e sane risate. Un vissuto comune prematuramente scomparso … quando le nonne, degne di grande rispetto, erano nonne per tutti i bambini. Mi lascio coinvolgere dalla scrittura di Normanna Albertini al punto da percepire l’odore del pane fatto in casa; un rito antico come magia di vita … un ripetersi, nel tempo, di continua rinascita. Chiudo gli occhi per sognare ed ecco, come d’incanto, il profumo del vino che vive e cresce nelle vecchie cantine … la vite, femmina, pronta a sposare l’albero. Il romanzo di Normanna Albertini non è mai scontato; è semplice, diretto e ripropone spaccati di vita mai dimenticati e proposti, ora, con un inevitabile senso di silenziosa nostalgia. E’ storia vera, palpabile; vissuta da chi ha fatto la storia recente. Sono le emozioni del cuore ripresentate con il delicato tocco di una penna attenta e corretta, come quella dell’autrice. Con un sereno sorriso che indirizzo al mio passato, riscopro la bellezza dei boschi, le raccolte delle castagne e dei funghi, le scuole e i maestri del tempo che fu. Una leggera malinconia mi accompagna durante tutta la lettura del libro; uno scoprire e riscoprire continuo di insegnamenti preziosi che, a stento, vivono nel nostro presente. Forse un tempo c’era una sana povertà, si parlava con fatica in italiano, si vedeva poco (o niente) la televisione, si viveva in case non riscaldate dai termosifoni: potrebbero apparire, ad una superficiale ed errata lettura, situazioni di vita arretrata. In realtà non è e non sarà mai così, se pensiamo che in quel mondo felice e quasi dimenticato si viveva tutti insieme ripudiando la solitudine. Era così nella vita nei campi, e nel vissuto quotidiano delle famiglie. Un tempo sano e allegro in cui nessuno chiudeva a chiave la porta della propria casa. Magari si parlava solo in dialetto ma era proprio questa lingua, dal sapore antico, a favorire il dialogo tra le diverse generazioni. Come dice l’autrice, “il filo della narrazione che univa, nutrendole come un cordone ombelicale, una generazione all’altra e al futuro”. Forse siamo ancora in tempo per salvare queste preziose testimonianze da fare nostre e trasmettere ai nostri figli. E’ questo il grande insegnamento che traggo dai bei racconti di Normanna Albertini. Un libro che emoziona con la dolcezza della nostalgia. Un romanzo che sa di buono muovendo i passi da una cultura, quella contadina, che merita di essere riscoperta dalle giovani generazioni.

Stefano Carnicelli


lunedì 25 marzo 2013

I PRIMI SETTE GIORNI DI PAPA FRANCESCO

PREMESSE E PROMESSE SULLA RIFORMA DELLA CHIESA.
 www.adista.it

37089. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Il consenso degli italiani verso il papato è schizzato in men che non si dica dal 47% (dicembre 2012) al 62%: «Sono bastate poche parole e un nome, Francesco, che di per sé è un programma», osserva Famiglia Cristiana (23/3), che riporta i dati di un’inchiesta affidata a Demopolis in base alla quale, sintetizza il settimanale, «l’83% degli intervistati esprime fiducia nell'attuale papa, (il 95% dei cattolici e il 61% dei non cattolici); il 58% crede nella sua capacità di contribuire a un rinnovamento della Chiesa, toccati per il 72% e il 67% dalla sua semplicità e spontaneità e dal linguaggio vicino alla gente».
Numeri che dimostrano quanto dev’essere forte il desiderio di cambiamento nella Chiesa, a testimonianza della percezione corretta o meno fra i fedeli, stante Benedetto XVI, di un immobilismo improduttivo se non deleterio per la comunità cattolica.
La speranza di novità (o, potremmo dire, la fiducia inossidabile in questa novità, come dimostrano i commenti sulle pagine facebook di Adista) è fondata su gesti e parole di papa Francesco apprezzati da tutti per semplicità, amicizia, familiarità, compresi in un arco di tempo che raggiunge a malapena la settimana; e che non denotano solo uno stile, ma sostanziano un pensiero e una prassi che non potranno rimanere senza conseguenze, pena una schizofrenia di comportamento che sarebbe ingiustificabile e insensata e un’ambiguità, un’ambivalenza che potrebbe richiamarci un ancora non chiarito passato (v. notizia successiva). Fra i gesti, su uno in particolare vogliamo soffermarci: Bergoglio ha voluto accanto a sé, durante la cerimonia di intronizzazione, il 19 marzo, un ospite speciale, il cartonero Sergio Sanchez – un povero che vive appunto raccogliendo cartoni – che ha fatto accomodare vicino ai rappresentanti del governo argentino, fra i suoi familiari. Il commento di Sanchez è stato: «Non potevo credere di essere lì a soli quattro metri di distanza da lui, nei posti dedicati alla sua famiglia. Poi ho capito: la sua famiglia siamo noi, tutte le persone povere che ogni giorno lavorano per strada in Argentina».
Poveri e giornalisti
E se le parole hanno un senso, quelle sulla povertà pronunciate nel discorso ai giornalisti il 16 marzo – «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!» – potrebbero essere foriere di cambiamento a tutti i livelli ecclesiastici, a partire dal Vaticano. Anche per quanto riguarda i poveri, cui la Chiesa egli auspica dedita, si vedrà quale sarà la prassi futura. L’attenzione di Bergoglio finora è stata di stampo caritatevole, non politico.
Comunque, nell’ambito di questo incontro con i media, va segnalato anche un riconoscimento ai giornalisti, i quali l’avranno accolto con soddisfazione e sollievo; soprattutto dopo essere stati accusati nei giorni del Conclave dalla Segretaria di Stato e da p. Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa, di «maldicenza», «disinformazione», «calunnia» (v. Adista Notizie n. 9/13). Papa Francesco li ha ringraziati «per le fatiche di questi giorni particolarmente impegnativi», invitandoli «a cercare di conoscere sempre di più la vera natura della Chiesa e anche il suo cammino nel mondo», assicurando loro «che la Chiesa, da parte sua, riserva una grande attenzione alla vostra preziosa opera»: essa «necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo».