venerdì 26 novembre 2021

CATERINA CHE SPOSO' LA LIBERTA' - VIOLENZA SULLE DONNE

 

Ci rifletteva, Caterina, mentre attizzava il fuoco, china sul paiolo agganciato alla catena.

Ne aveva parlato poche ore prima con Cesara, una vagabonda di Cavatore che girava a vendere le sue mercanzie.

«Quel cretino del re!» Era sbottata l’amica. «E ora, come faccio?»

«Bella famiglia, quella dei Savoia, Cesara. Hai sentito le dicerie che continuano a girare sull’erede di re Carlo Alberto?»

«Quelle dell’incendio?»

«Ma sì! Raccontano la storia di suo figlio salvato da un incendio, ma si dice anche che, invece, sentimi bene, eh! Si dice che il bambino sia morto…»

«Lo so, lo so, Caterina, tu hai ragione. E dicono che l’abbiano rimpiazzato con un altro, un figlio di chissà chi… parlano di un macellaio di Firenze».

«Certamente! Così, alla scomparsa di Carlo Alberto, ci ritroveremo, come re, il bastardo di un beccaio, te ne rendi conto, Cesara?»

«Loro fanno ciò che vogliono, cara mia. Però… dicono che quel macellaio sia diventato improvvisamente ricco e abbia allargato la bottega». Sospirò e si ravviò i capelli, poi continò: «Invece, io, cara mia, mi devo tenere un marito buono a nulla perché quell’altro buono a nulla di Vittorio Emanuele ha cancellato il divorzio! E a Cavatore, in collina, cosa vuoi: raccolgo nocciole, allevo due conigli, qualche gallina, ma se non girassi a vendere – e a fare le fatture, a segnare le malattie - non camperei».

Si faceva accompagnare dal figlio più piccolo, Cesara, mentre aveva lasciato a casa le bambine grandi per attendere alle faccende domestiche e al padre nullafacente. Il bimbetto, di sei anni, l’aiutava a vendere le mercanzie: filo da cucire, matasse di lana, frutta secca e collane di nocciole tostate. Dormivano nei fienili, nelle capanne, nelle stalle, spostandosi da un paese all’altro; lei, in testa il fagotto con la merce, e il bambino che le stringeva la mano. Nient’altro.


Non avevano nemmeno le mutande, che era roba da ricchi. Quando le veniva “il marchese”, la donna si adattava usando pezze di lino fermate con spille da balia. Ma era così magra che passava mesi senza vedere un goccio di sangue. Anche Caterina per mesi e mesi non aveva avuto le “sue cose”, tanto che pensava di essere incinta. Invece no: era solo la fame.

Cesara era ancor più sfortunata, avendo i figli da tirar su. Come darle torto se si disperava. In Piemonte la legge sul divorzio l’avevano abrogata sul serio e ora, l’amica, quel suo marito doveva sopportarlo fino alla morte. La sua o quella di lui. Caterina rimestava la polenta e cercava di frenare le lacrime. Si fermò e si soffiò il naso: non poteva rischiare che il moccio cadesse in quel cibo, l’unico che avrebbe mangiato anche lei. Sicuro che, al consorte, invece, avrebbe volentieri sputato nel piatto. Si pulì le mani nella sottana e riprese a mescolare. Non si poteva più divorziare, le aveva detto Cesara.