venerdì 30 settembre 2022

LE MEDICHESSE: GUARIRE CON I SEGNI E CON LA PAROLA


La vocazione femminile alla cura: gli studi dell’antropologa Antonella Bartolucci ispirano una mostra. Tradizioni arcaiche, tramandate nei secoli e ancora presenti nel nostro territorio, illustrate attraverso le opere d’arte


La mostra d’arte si terrà a Casina agli inizi di settembre, nelle sale della biblioteca comunale “Sincero Bresciani”. Il titolo, “Le Medichesse”, riporta a quella realtà di guaritrici, soprattutto anziane, che curavano diversi malanni fisici e pure quei disagi nascosti spesso dissimulati; curavano l’essere umano, unità corpo, mente e spirito, attraverso segni, preghiere e simboli. Diciamo che le “medgûne”, in assoluta buona fede e nei limiti di ciò che ereditavano come “dono”, fin dall’alba dei tempi si sono fatte carico della salute di ogni comunità. All’interno dell’esposizione artistica, il 3 settembre, ci sarà una conferenza nella quale di ragionerà proprio su questi antichi metodi di cura. L’idea della mostra, già presentata nel 2019 alla Rocca Estense di San Martino in Rio, è di Claudia Bianchi, del gruppo culturale Artisticamente. Si tratta di dipinti che propongono il tema delle curatrici, trattato da ogni artista in modo diverso: “Non abbiamo chiarito scientificamente il perché di queste cure, non è nostro compito, ma è un argomento misterioso e affascinante e ogni pittrice lo ha delineato dal proprio punto di vista”. L’associazione Artisticamente (una ventina di componenti) è nata proprio grazie a Claudia Bianchi nel 2014. Il simbolo adottato è una civetta, animale sacro alla dea Atena, metafora di saggezza, sapienza e intelligenza. Claudia è di Guastalla, ha alle spalle un bagaglio di studi pedagogici a indirizzo psicologico uniti ad altri di pittura, tra cui un corso tenuto da Carlo Ferrari sulla tecnica classica della velatura. È insegnante, collabora con diverse gallerie ed espone da tempo in Italia e all’estero.

A Casina, insieme a Claudia, sarà Antonella Bartolucci, antropologa di San Martino in Rio, a parlarci delle segnature, delle malattie che con esse venivano curate, di alcuni procedimenti specifici, della donna legata all’arte della cura. “Le streghe buone”, il suo libro edito da Aliberti nel 2016, è frutto di oltre vent’anni di ricerche sulle medichesse. Ci saranno poi alcune guaritrici a rivelare frammenti della loro conoscenza; ci sarà la dottoressa Ameya Gabriella Canovi che parlerà di malattia e guarigione da un punto di vista psicologico; si converserà inoltre di immaginario magico in Appennino e, tra un intervento e l’altro, ogni pittrice illustrerà il proprio quadro. Il tutto sarà coordinato da Italo Garavaldi.

Trotula de Ruggiero, medica dell’anno Mille


Per secoli, le donne sono state incaricate di guarire, medicare e occuparsi della salute della collettività. Furono loro le prime medichesse (mediche) nella storia. Sono le antesignane degli infermieri, farmacisti, ginecologi, pediatri, alchimisti, chimici. Si sono occupate di seguire gravidanze e parti, di migliorare la fertilità delle donne, hanno coltivato e imparato a usare erbe medicinali. Hanno trasmesso le loro conoscenze ed esperienze - in segreto - di generazione in generazione. E se Asclepio era il dio della medicina, queste erano le sue figlie: Igea, la salute; Panacea, l’incarnazione della guarigione universale e onnipotente per mezzo delle piante; Iaso, che aveva ereditato il potere della guarigione e Acheso che ne sovrintendeva il processo; poi Egle, madre delle Grazie, e Meditrina, la guaritrice. La medicina fa parte del patrimonio delle donne, dunque, appartiene alla loro storia e al mito, ne è eredità ancestrale. Il termine “medica” venne utilizzato per Trotula di Ruggiero, vissuta nel XI secolo, contemporanea di Matilde di Canossa. “Medica” e non “medichessa” si diceva in latino: fino al XV secolo inoltrato, in latino e nelle lingue volgari, “medico” si declinava sia al maschile, “medicus”, che al femminile “medica”. Trotula de Ruggiero fu la più famosa delle “mulieres salernitanae”, dame della scuola medica di Salerno, dove la scienziata studiò, si laureò e insegnò. Fu autrice di trattati di medicina che mostrano inconsuete conoscenze in campo ginecologico ed ostetrico. Nonostante fossero firmati con il suo nome, nelle trascrizioni successive questo fu trasformato nel maschile “Trottus”, forse perché non si reputava che una donna potesse avere simili competenze. Trotula fu recuperata come legittima autrice delle sue opere solo nell’Ottocento. La medica “mulier salernitana” conosce i bisogni delle donne, ascolta le loro richieste, si rende promotrice di una medicina per le donne in assoluto laica, priva di qualsiasi influenza morale o religiosa. Colpisce la modernità, che potremmo definire “di approccio olistico”, di Trotula, la quale, mille anni fa, sosteneva che la salute non deve essere intesa come assenza di malattie, ma come una situazione di benessere psicofisico complessivo della persona.

Le segnatrici: curare con le mani e con i segni


Nel 1862, scrive nel suo libro “La sorcière” lo storico francese Jules Michelet: “Per mille anni l'unico medico del popolo fu la ‘strega’… la massa di ogni stato, e si può dire il mondo, non domandava parere che alla ‘Saga’ , o donna saggia...” Da un lavoro della ricercatrice etnografica Luciana Nora nel territorio carpigiano, emerge che più di tre secoli di Inquisizione, uniti agli attacchi da parte della medicina e cultura ufficiali, non hanno sradicato il fenomeno di queste pratiche rituali. Significativi, a tale proposito, appaiono gli atti di un processo del Tribunale dell’Inquisizione del marzo 1734, tenutosi a Modena, contro Anna Astolfi, di cinquant'anni, rea confessa di scacciare “il mal delle doglie” attraverso la seguente formula: “In nome di Dio sia e della Vergine Maria, vi metta prima la sua man che io la mia, in nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, sto male non passi da qui d’innanzi. Prego Dio e la dolce Vergine che se son doglie, se ne vadin via.” Ad accusarla sono le stesse donne che a lei erano ricorse, incapaci di sottrarsi al senso di colpa derivante dalla loro trasgressione: la donna doveva assolutamente “partorire con dolore”! La medicina popolare, mutata, ridotta a spettro della sua essenza, è comunque sopravvissuta. Il fatto poi che in prevalenza si tratti di guaritrici, afferma Luciana Nora, induce i più a ritenerla sottocultura da “donnette”. Viene da chiedersi, invece, chi fossero, chi siano queste figure: le medichesse. Se, cioè, la loro saggezza sia tale da aver compreso il senso profondo dei limiti, dei bisogni individuali e collettivi della natura umana. Bisogni riassunti per simboli in rituali molto complessi, come il “levare al simiot”, senza il bisogno di inveire su qualcuno o maledirlo ma – piuttosto - riconciliandone le componenti. Una saggezza che evitava quindi il pericolo di sanare una situazione a scapito di un’altra. L’aspetto che più colpisce nelle segnatrici è la loro carica vitale, la serenità, l’ottimismo, la generosità, la forza d’animo. Si tratta di persone fornite di una forza interiore speciale, di un vero carisma, per cui, oltre ad aiutare chi le interpella, sono in grado di suscitare fiducia, incoraggiare, rasserenare.