domenica 28 giugno 2020

RECENSIONE DI "PERCEZIONE IMPERFETTA DEI PERICOLI" - POESIE NEL TEMPO DEL "GRANDE CONTAGIO"


“Finito di stampare al tempo del grande contagio, nel mese di aprile dell’anno 2020”, così si legge nell’ultima pagina della raccolta di poesie di Normanna Albertini, opera fresca di stampa.
Sicuramente un azzardo - tutto era già praticamente fermo, librerie e distributori – far uscire un libro in questo periodo, ma la casa editrice Tralerighe, di Andrea Giannasi, ha deciso di continuare, di non fermarsi e di far uscire tre libri su tre temi differenti. Uno è questo.
Sotto il titolo “Percezione imperfetta dei pericoli”, troviamo due sillogi poetiche (anzi: quasi tre), che l’autrice ha scritto nel corso di qualche anno. La prima, “Nel soffio materno della terra”, ha ottenuto una menzione speciale al “Premio nazionale Ossi di seppia 2019”, oltre che essere giunto in finale al “Festival della scrittura 2019” di Venezia. Poesie che trattano del rapporto conflittuale, spesso trasformato in una vera e propria guerra, dell’essere umano con la natura, o meglio: contro la natura. Accanto a liriche in versi liberi, ci sono poesie che riprendono la metrica e la struttura del sonetto, del madrigale, delle canzoni. “Cercavo la poesia perfetta e giusta”, dice l’editore nella postfazione, “e alla fine ho trovato ottanta pagine di poesie ‘sbagliate’. Di figure private, taglienti, a tratti impressionanti, indecise, con una potenza unica. Qui non c’è la maestria della poetessa di professione – come se ne vedono tante in giro che sfornano libri precisi con poesie pulite, perfette, senza una figura fuori luogo – ma c’è la vera poesia. Quella che emerge dalle cicatrici e dalle rughe”. La seconda silloge si intitola Rovine ed è nata dall’incontro dell’autrice con le belle fotografie di Emanuela Rabotti, una dei volontari che operano ai castelli di Canossa e Rossena.

“IL VOLO DI MELUSINA” INTERVISTA DI ANDREA GIANNASI EDITORE



Torna in libreria con una raccolta di racconti. Secondo lei questa frase le si addice: "Normanna Albertini è una scrittrice di crinale, con un piede avanti e uno indietro, con una mano verso l'altro e una stretta, come per custodire una terra difficile, che però è unico elemento e destino dell'uomo. Quella terra che è alla fine proscenio di ogni sua storia".

Sì, mi ci ritrovo: “I piedi bene dentro la propria terra e la testa tra le nuvole, magari fino a sfiorare la luna”, avrebbe detto Giuseppe Pederiali, grande scrittore di Finale Emilia.
Io, però, diversamente da lui, pur essendo emiliana, sono montanara. I narratori d’Appennino credo abbiano peculiarità ben riconoscibili. La montagna è terra difficile, è margine, distanze, solitudini. In montagna s’impara subito a intuire più che a vedere, regolando lo sguardo verso e oltre i rilievi, fino al mare, fino alla pianura. S’impara a immaginare l’oltre. S’impara a salire e scendere, con ritmi sinuosi, circolari, lenti, sia che si cammini a piedi, sia che si usi un mezzo di trasporto. E, intanto, si ha il tempo per pensare. S’impara a non perderlo, il tempo, perché l’inverno è lungo e perché la vita sociale finisce con il declinare del giorno. In montagna s’impara a fare i conti con la scarsità o assenza dei servizi, con le depredazioni continue in favore della pianura e della città, con lo spopolamento inarrestabile, con la crescente eliminazione degli spazi di cittadinanza, con il presagio continuo della rovina e della fine, del deserto. Chi vive in Appennino (e scrive) sa considerare e osservare i dettagli, la diversità, la varietà, le differenze, sia pure in spazi tanto ridotti. Pluralità di luoghi ed esseri umani. Entra nella storia arcaica del territorio, richiamata da castelli, pievi, ruderi, borghi, evocata dai suoni di dialetti che serbano reminescenze di antiche lingue, celebrata dai piatti di una cucina più o meno povera, ma sempre gustosa. Il narratore d’Appennino, in fondo, è smaliziato: non crede alla presunzione di chi si erge a ombelico culturale del mondo, perché ne riconosce la profonda ignoranza, tipica di chi concepisce la propria realtà come l’unica, quella giusta, votata al profitto, quella da imporre. Quella ratificata dal potere. È vero: in ogni mia storia c’è la terra e c’è la montagna. Poi c’è il cammino, l’andare e il tornare, quello che, per millenni, ha caratterizzato gli abitanti dei monti. Lo sapevano, loro, che non esiste un solo modo di vivere, un solo universo, un solo modello culturale. Sapevano che camminare e incontrarsi è il destino dell’uomo. Camminare, incontrarsi, suonare, cantare, mangiare insieme. Ridere. Altrimenti non è vita.



Chi è Melusina che dona il titolo a questo libro?

IL FIGLIO DI LINDA - LA VITA BREVE DI SILVIO D'ARZO (Recensione)

A fianco di Linda, si cammina per una Reggio post unitaria, dove ancora si respira il Risorgimento e dove, via via, fanno la loro comparsa lo spirito socialista di Camillo Prampolini e i primi segnali di un pericoloso nazionalismo. Linda è venuta al mondo nel 1882, in via Mura di Porta Castello, da Agostino Comparoni, nato a Castelnovo ne’ Monti nel 1841, e Maria Rossi, di Reggio Emilia.
La neonata, in realtà, viene battezzata come Rosalinda, ma preferirà poi farsi chiamare “Linda”, ritenendolo un nome più agile e moderno. La bambina ha radici in quel di Cerreto Alpi, dove il nonno Andrea si guadagnava da vivere come guardia daziaria, prima di spostarsi con la famiglia a Castelnovo per meglio seguire i propri affari.
A fianco di Linda, ormai ragazza, che perde la madre a dieci anni e il padre a ventidue – restando con la sorella maggiore Ida - ci si immerge nella vita di una città dove gli avvenimenti del mondo si inseriscono e toccano da vicino la vita delle persone.
Come la guerra, la terribile Grande Guerra che sconvolge tutto, con il suo contorno di dolore e disagi. Fin dagli inizi, fin da quando ancora ci si divideva tra interventisti e neutralisti (com’era Prampolini), la guerra fa da sfondo alle vicende delle due sorelle che, intanto, lavorano sodo per mantenersi. Si definivano “irredentisti” coloro che volevano entrare nel conflitto armato, come si trattasse della continuazione del Risorgimento, non potendosi considerare compiuta l’unità nazionale e conquistate le “terre irredente”. A Reggio, quasi certamente, Linda seguì con apprensione il comizio del socialista irredentista Cesare Battisti al politeama Ariosto, sfociato in tumulti e repressione con due morti e molti feriti.
La sorella Ida vedrà poi partire il fidanzato Francesco per il fronte, dal quale non tornerà mai. Intanto, in città arriva il colera e le due giovani si impegnano in iniziative assistenziali coordinate da Viginia Guicciardi Fiastri, scrittrice, e dal suo “Comitato di preparazione civile”. Per Linda, un incontro importante quello con la dinamica e colta signora della borghesia reggiana, come fondamentale sarà l’incontro con Giovanni Zibordi, riformista turatiano, originario di Padova e arrivato a Reggio nel 1904, convinto che la città fosse “il principale laboratorio di vita socialista”.