domenica 23 novembre 2014

IL SAPERE PICCOLO - RACCONTI SULLA NUOVA VIA - GARFAGNANA EDITRICE

Il mio ultimo libro, in distribuzione per Garfagnana editrice: http://www.garfagnana-editrice.it/index.php/Distribuzione






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Arrancare verso il Passo di Pradarena respirando il gas di scarico d’un indolente e scoppiettante camioncino
“Trasporto animali vivi” non è esattamente come correre in Formula Uno, ma mi tocca. Volevano un asino? I bambini volevano un somarello vero da accarezzare? Se una si mette in testa di costruire un agriturismo con attività di fattoria didattica, certo che poi deve procurarsi questo benedetto somaro.
Due viaggi fin nel reggiano, sulle colline matildiche, lì a due passi da quattro colli che paiono quattro mammelle d’una cinghiala gigante, sovrastati da due castelli, o forse tre, o forse quattro. Non avevo avuto il tempo di controllare, ma so che sono castelli della Gran Contessa.
Sì, proprio lei: Matilde di Toscana. Donna tosca e tosta come me.
Lì, e solo lì, a Salvarano di Quattro Castella, si trovano tutti gli asini e le asinerie che si desiderano; voglio dire: trovate pure il latte d’asina, che è uguale al latte materno, e poi salumi d’asino, formaggi d’asino e creme di bellezza al burro asinino.
Così li ho poi acquistati, gli asini: ne ho presi due; si faranno compagnia; non potevo rischiare che uno solo, in isolamento, s’ammalasse di depressione. Che dopo avrei dovuto comprargli un animale da compagnia, magari un’oca starnazzante e scagazzante.
Via, dai, camioncino, muoviti! A furia di pigiare il freno, m’è venuto un crampo al piede, ma ormai ci siamo; Borsigliana non è lontana. Il camioncino davanti a me, infatti, rallenta e mette la freccia a sinistra. Mi aspetto che s’avvii per la salita con tutta la spinta possibile, e lo incoraggio pure, apostrofandolo tra me e me con termini irripetibili - e anche un po’sconci - invece no: si ferma.
Non vorrà mica scaricarmi gli asini lì? Accosto e scendo.
Per la miseria! C’è la macchina del prete in mezzo alla strada con una portiera aperta e qualcuno riverso fuori. Sì, sì, è proprio quella del nostro prete.
La riconosco per un adesivo, lo stemma di un coro di alpini, appiccicato dietro. Il nostro prete ha una vera passione per i cori, i balli e la musica molto molto popolare. Diciamo che gli piacciono il ritmo e il rumore, più che altro.
Scendo; è sceso anche l’autista del camioncino, mentre i somari, dentro, fanno i somari: scalciano e ragliano a più non posso. “Oh, ma questo chi è?”, fa l’autista – reggiano purosangue - un pochino impensierito e con una faccia leggermente schifata, “Non mi sembra mica tanto italiano questo qui, sa? Sarà meglio non toccare niente e chiamare la polizia e l’ambulanza, che dice lei?”
Rimango lì come una statua di gesso del presepe serbato nella sagrestia di Borsigliana, tra un organo malridotto e polverosi candelabri, guardo il tipo penzolante dal sedile, esamino l’interno dell’auto, dove alcune bottiglie di vino da messa sono ruzzolate sui tappetini, provo a mettere in fila le cose da fare, prendo il cellulare, penso a chi chiamare, penso a cosa sarà successo, ripenso a chi chiamare, rimetto in fila le cose da fare, noto che una delle bottiglie era aperta e ha disseminato il suo contenuto in giro, respiro odore di vino, poi mi monta dentro una paura tale che non riesco nemmeno a digitare il 113 o il 118.
Gli asini continuano a ragliare a più non posso, irritando i cani dei dintorni - i quali replicano abbaiando come indemoniati - e le galline di un pollaio vicino, mentre l’autista picchia con il pugno contro il camioncino: “E basta, bestiacce! Basta o vengo dentro e dopo vedrete che state zitti!”
È un omino piccolo e grassottello, l’autista, con due baffetti hitleriani, enormi orecchie a sventola e pochi capelli neri incollati dal sudore e dall’unto a una capoccia perfettamente sferica.
Pare un omino di neve, anche per il lungo naso carico di brufoli, rosso come una carota; mi scruta e sbotta: “Ma chi è quest’africano?”
Mi riprendo, osservo l’uomo ferito (o morto?), ma le mie mani insistono a tremare, tanto che fatico - maledetta tastierina da gnomi! - a digitare i numeri sullo smartphone. Però lo identifico senza dubbio alcuno: “È padre Prince Lugard Mensah, il nuovo parroco di Borsigliana. È di origini ghanesi. Il vescovo l’ha mandato qui neanche un anno fa.”
L’omino di neve, autista reggiano di “Trasporto animali vivi”, scuote il capo: “Pensavo che i ghanesi fossero finiti tutti a Reggio, in via Turri, insieme a cinesi e nigeriani. Un prete poi…mah… ac lavuùr con tutta ‘sta gente che viene da fuori, povera Italia a gambe all’aria!”
Finalmente riesco a chiamare sia l’ambulanza sia la polizia. Poi stiamo lì in attesa, mentre gli asini tirano calci dentro al camioncino e pare che si metta pure a piovere.
Però, per la miseria, sarà mica morto, il nostro padre Prince?
Non ho il coraggio di verificare; i morti mi hanno sempre fatto impressione. Anche nelle camere mortuarie mi fa schifo entrare. Tutto quel grigio freddo contornato da fiori puzzolenti mi attorciglia lo stomaco. La morte è proprio brutta. Aspettiamo.
Un tipo così allegro, padre Prince Lugard Mensah, allegro e vivace, giovane, con un fisico da calciatore, aveva portato una ventata di novità e giocondità nell’anziana e striminzita popolazione di queste parrocchie garfagnine. Le vecchiette lo adoravano. Da quando era arrivato lui, pareva che ci fosse la gara a partecipare a più messe e rosari e vespri possibile.
Pareva che le vecchiette si litigassero i primi posti nei banchi in chiesa. Pareva che… bene come lui: la messa, la predica, i rosari, la visita ai malati in ospedale, l’accoglienza ai bisognosi, nessuno mai.
Che fosse “colorato”, padre Prince Lugard Mensah, dopo il primo ruvido impatto, una volta capito che amava il vino, il pecorino e le vecchissime canzoni di chiesa (quelle tipo “Immacolata/vergine bella/ di nostra vita/ tu sei la stella…”), non interessava a nessuno. Era come fosse nato e vissuto da sempre in Garfagnana; uguale uguale.
In conclusione, a messa lì a Borsigliana e nelle altre sue chiese, ci s’andava più volentieri, e c’era chi veniva apposta per lui fin da Piazza al Serchio, o addirittura da Castelnuovo. Anche donne giovani, c’erano, che mai s’erano viste prima così giovani e così pimpanti.