martedì 24 dicembre 2013

COMBATTERE PER L'ACQUA A LIGONCHIO NEL VENTENNIO - DONNE RESISTENTI

Articolo pubblicato su Tuttomontagna dicembre/gennaio 2013/2014




Era stato definito “meschinissimo”, il luogo dove avvenne il fattaccio; era stato dipinto come “freddo e povero, ricco soltanto di armenti” da Filippo Re. Lassù, in alto, a quei tempi, in effetti più che persone c’erano animali. C’erano, più o meno, cinque, seimila pecore, oltre alle mucche e ai maiali: una popolazione di bestie capace di tosare a zero le erbe e i cespugli del crinale, ma anche bisognosa di acqua per abbeverarsi. Una situazione economica di agricoltura e allevamento, dove i sudati frutti del lavoro erano scarsi, non corrispondenti all’immenso sforzo speso per produrli. Veccia, grano, segale, castagne, ostinatamente ricavati dai pendii scoscesi di rilievi quasi alpini, erano insufficienti per permettere una giusta prosperità. Tra gli abitanti, gli uomini – i maschi adulti – erano pastori che praticavano la transumanza, abbandonando a casa, in autunno, le donne, i vecchi e i bambini. Ecco: se non si parte da questo complesso di elementi, è impossibile capire la ribellione, negli anni Venti, delle donne di Ligonchio. La rivolta e la battaglia per l’acqua. Bisogna proprio partire dal fatto che quelle donne erano venute su ben addestrate a gestire da sole le incombenze di casa e della campagna per buona parte dell’anno; in autonomia, con la supervisione del “nonno” (il più vecchio della famiglia), si occupavano, da sempre, dei lavori primaverili nei campi, come la raccolta delle pietre e il trasporto del letame; con le sole loro forze riparavano le siepi, accudivano le vacche nella stalla, mungevano, facevano nascere i vitellini. Donne, in qualche modo, padrone di sé e abituate a prendere decisioni che potevano significare vita o morte per gli animali o per i loro cari. Toccava a loro decidere; non potevano contare sul marito o sui fratelli. Cresciute così: aspre e forti come la montagna, in famiglie numerose, in case misere, dove in una sola camera dormivano anche quattro o cinque persone, senza bagno, senza acqua corrente, avevano sviluppato una saggezza, una coscienza dei loro doveri e diritti, una capacità di sopportazione e resilienza uniche. L’acqua c’era, e tanta, lì intorno: la zona compresa tra il Cusna e il passo del Lagastrello è una delle più piovose d’Italia. C’erano i ruscelli, lì intorno. Acqua preziosa, innanzitutto, proprio per le bestie. Difficile comprenderlo, oggi, ma era dalle pecore, dalle vacche e dai maiali che si poteva ricavare il cibo per vivere, e gli animali richiedevano molta acqua. Niente acqua, niente cibo, in conclusione. Bisogna partire da questo per addentrarsi a fondo nelle motivazioni dei fatti che sconvolsero Casalino di Ligonchio nel dicembre 1928. “Sono tutte imputate di ribellione alla forza pubblica, - scrisse dopo il processo il giornale ‘Il Solco Fascista’ -  per impedire che la società idroelettrica dell’Ozola eseguisse i lavori di immissione delle acque del Rio Samagna nel canale di derivazione… le suddette donne, che si erano all’uopo riuninte, armate di bastoni, usavano minacce ai carabinieri, che avevano loro ingiunto di allontanarsi, ed avevano tentato financo di disarmare della sciabola il tenente Lella Vito, di Castelnovo Monti…”

Ma cos’era successo? Una ribellione di donne in pieno Ventennio fascista sui nostri monti? E com’è che una notizia tanto grande e tanto grave non ebbe poi, in seguito, nessuna eco? E chi l’ha recuperata, questa notizia? L’artefice della riscoperta è Esterina Fioroni di Casalino di Ligonchio, insegnante della scuola primaria con la passione della ricerca storica locale, non nuova ad approfondimenti di eventi del passato. Nel dvd “Acqua chit ven”, il documentario di Marco Mensa ed Elisa Merenghetti, prodotto da Ethnos, Esterina racconta i fatti emersi da questa sua ultima indagine.

martedì 3 dicembre 2013

HOLBA - MIO RACCONTO PUBBLICATO SUL LIBRO "NOVE GALLINE E UN GALLO" ED. CDL (GIANLUCA BORGATTI)



Holba, ovvero: d’odore non si muore.



Adam pubblica ogni giorno immagini su facebook. Di Parigi, di lui davanti alla tour Eiffel, sorridente, con i più strani copricapi in testa e dei cinturoni da cow boy che più kitsch non si può.
E commenta in francese. Finalmente.
Adam ce l’ha fatta. È arrivato dove voleva e ora studia, in Francia, in un liceo professionale.
Tuttavia, a me pare di vederlo ancora lì, in classe con gli altri, appiccicato al termosifone, a soffrire in silenzio, come me, per lo strano, terribile odore che, in alcuni momenti, ci soffocava.
Non saprei come rendere l’impressione del sentirsi morire per un odore troppo forte; il bisogno di spalancare le finestre anche se fuori la temperatura è sotto zero; il sapore acre in gola e il naso che si chiude e nemmeno riesci a sternutire.
Si potrebbe definire “effetto stalla”. Diverse ore rinchiusi in una stanza ed ecco che aumenta il calore e aumentano gli effluvi. Niente da fare.
Nonostante i saponi e i deodoranti, il corpo umano suda. E puzza. Così, l’impressione di morire soffocati per un odore intollerabile tocca non solo i bovari che lavorano con le trecento vacche di uno "stallone" (grande stalla, non un cavallo maschio!), ma anche gli insegnanti.
...a destra, Adam
Perché bisogna ammetterlo: l’“effetto stalla” riguarda pure i bambini. L’intervallo a scuola è uno di quei mirabili momenti olfattivi, quando i piccoli mostri rientrano e si mettono seduti, spazzandosi la cioccolata dalla bocca (o l’unto di gnocco, pizza e patatine) e impiastricciandone i banchi. Un odoraccio sgradevole di cibo ciancicato, di scarpe da ginnastica, di mani sporche e capelli sudaticci; un odore che va acutizzandosi via via che i piccoli mostri crescono e via via che aumentano e si diversificano i loro ormoni. Per diventare stomachevole in quinta, alle soglie della pubertà ormai ampliamente anticipata.
Però, senza l’ “holba” l’effetto stalla è niente.