domenica 22 maggio 2022

LULSETO DI VETTO/NEL BOSCO SACRO DELL’ “ÛLSA” - LA PIETRA INCISA E LA DIVINAZIONE DELLE ROCCE



Nel bosco, sorpassata una conca sulla destra - forse una cava di pietre in disuso - è il verde oliva di una pianta insolita ad accogliere i visitatori. In inverno, quando le roverelle sono spoglie, è lei che si fa notare. È come se facesse da guida verso il “santuario” dei petroglifi. Cresce lì, ai bordi del sentiero, spunta dalle fessure sui massi e nello spazio tutt’attorno; ha radici tenaci, fiorellini bianchi e un’aria mediterranea, quasi fossimo su scogli antistanti il mare. Invece siamo in mezzo ai monti, nella valle del Tassaro, non lontano dal torrente Enza nel comune di Vetto. L’acqua dunque c’è, più in basso, e doveva esserci anche lì, perché resta qualcosa che pare un pozzetto, un incavo dove le foglie umide, nonostante non piova da mesi, indicano una sorgente. Sono, questi, i territori dei conti Da Palude, il cui primo feudatario, Guido, morì in Terrasanta nel 1202, durante la terza crociata.


La pianta delle scope 




Gróm, óls, ólsa, ûles, ûls, ûlsa sono i nomi dell’erica nel dialetto della montagna reggiana. In altre zone d’Italia viene chiamata urxe, uxe, úrscia, uexie, ulice, ulsi, ma anche, semplicemente, scùa: scopa. Il nome del monte Lulseto, quindi, deriva chiaramente, da ûlsa, la pianta delle scope. E la scopa (di saggina o altro) da sempre è collegata alle superstizioni e a tradizioni arcaiche. Le scopine augurali che si regalano a Natale dovrebbero spazzare via le sfortune, per esempio. Il fatto poi che, spazzando, si tolga la sporcizia, ne aumenta il simbolismo. I druidi usavano scope di erica per purificare gli altari ed è a questo che si deve, forse, il suo significato di portafortuna. È un simbolo legato anche ai riti della fertilità, culti che risalgono al neolitico: se ne ha traccia in nord Europa fino alla cristianizzazione di quelle terre. Un culto simile era praticato a Roma nei Lupercali a opera dei sacerdoti del Faunus Lupercus. Questi, con delle fruste fatte di cinghie di cuoio, ma anche con fastelli di rametti, praticamente scope, propiziavano la fertilità del terreno e delle donne colpendoli quando la natura rinasceva, cioè circa a metà febbraio. L’erica arborea ha la capacità di resistere agli incendi, infatti in molte zone veniva usata per pulire il forno dalle braci prima di cuocere il pane; durante un incendio, se la parte aerea viene bruciata, la parte basale e sotterranea, la "radica" con cui si producono le pipe, resiste e produce nuovi getti. I botanici dicono che quando ci si trova davanti a un ericeto a erica arborea, non c’è bisogno di indagini storiche o analisi specifiche: si può facilmente immaginare che la zona sia stata più volte incendiata (per ricavarne pascolo?) e il suolo gradualmente inacidito.