mercoledì 27 gennaio 2021

GLI SPIRITI DEL LEGNO DI ROBERTO GIORGINI - THE WOOD SPIRITS A CASALE DI TALADA



C’è un’antica leggenda, “The Wood Spirits”, che ha origine tra gli abitanti delle foreste primordiali. Parla degli esseri che le abitavano e che potevano rapire chi vi entrava.

Tuttavia, nei boschi vivevano anche gli spiriti buoni degli alberi, capaci di proteggere dal male. Così, prima di spingersi nell’intrico delle selve, gli uomini bussavano su un albero per risvegliarne lo spirito, in modo che li tutelasse. Si passò in seguito a intagliare queste figure nei tronchi e a sistemarle in casa, o davanti alle fattorie, come salvaguardia e benedizione.

Gli spiriti del bosco avevano facce antiche, barbute, ascetiche.

A Casale di Talada, dove abita, li sbalza adesso Roberto Giorgini, scultore autodidatta. Senza alcun dubbio, quei volti corrucciati un po’ gli rassomigliano. “Veramente, la mia barba è ottocentesca”, precisa lui, “mi piacciono le cose retrò: fosse per me, guiderei un’auto d’epoca e mi vestirei come in quel periodo.”

Nato nel centro storico di Castelnovo ne’ Monti (già i suoi bisnonni erano lì), il suo legame con l’Ottocento e le barbe rinascimentali è concreto perché, guarda caso, la sua abitazione si trovava nella via intitolata a Carlo Franceschini, il grande carbonaro di Burano, più precisamente a “Porta Martana”. “Franceschini” fu anche il nome di battaglia da partigiano dell’onorevole Pasquale Marconi.

I volti scolpiti da Roberto ricordano un po’ Rasputin e un po’ i rivoluzionari cubani, ma lui scansa abilmente la provocazione e replica: “Il titolo Wood Spirits viene da mia cugina Paola che, fino a due anni fa, viveva negli Usa. Aveva visto i miei barbuti e mi aveva rivelato che erano identici, appunto, alle sculture in legno usate là a protezione delle tenute agricole. I miei barbuti, se proprio devo accostarli a qualcuno… insomma: tra i rivoluzionari cubani e Rasputin, preferisco i primi!”


Roberto iniziò a lavorare da adolescente con il padre, decoratore imbianchino. Lavorare con un genitore è sempre impresa delicata. Per lui, pian piano, divenne a tal punto impraticabile da spingerlo a cercare un’attività altrove.

Alla fine, la trovò in una piccola fabbrica vicino al Casino di Castelnovo. Ha poi lavorato anche come muratore, ma ora vorrebbe vivere di scultura. È la sua passione, nata per caso, ma che da un po’ di tempo sta cercando di tramutare in un vero mestiere, con risultati piuttosto soddisfacenti.

“Un bel giorno, rividi un amico di mio nonno, un anziano falegname di Scandiano. Non lo incontravo da tanto tempo. Fu lui a riconoscermi; tra le altre cose, mi disse che intagliava il legno. Aveva già più di ottant’anni. Andai a trovarlo e lui mi mostrò come fare alcuni intagli, poi mi fece provare. Tornato a casa, azzardai una scultura della Pietra di Bismantova in altorilievo. Mi uscì piuttosto bene, tanto che decisi di continuare. Regalai quella Pietra a uno dei miei migliori amici, con la speranza che non la bruciasse. Dopo due o tre anni, mi ritrovai tra le mani un travetto di legno da carpentiere, di quelli usati per le armature, e ci intagliai un elfo molto stilizzato. Il risultato mi piacque e mi invogliò a proseguire, anche se tanti mi dicevano di farne un hobby soltanto e di cercarmi un lavoro.”

giovedì 7 gennaio 2021

IL PALO CLESSIDRA E IL CERVO RE - STORIE VERE DAL BOSCO DAL CIELO E DAL FIUME

 


La forma è ormai quella di una sorta di clessidra, opera di qualche strambo intagliatore.

A pensarci bene, potrebbe trattarsi, invece, di un busto stilizzato di donna, con il giro vita ridotto a pochi centimetri.

Oppure, ricorda un utensile per la filatura, una rocca, o due punte di fuso messe una sull’altra.

E, magari, le Parche, le tre divinità che un tempo controllavano il destino, saranno intente a filare lì a due passi, in qualche cavità della Pietra di Bismantova. D’altra parte, di qua è passato l’Alighieri, il quale le cita nel XXI canto del Purgatorio.

L’oggetto riporta alla mente persino due matite. Una che esce dalla terra e l’altra che la bacia, raccogliendone l’energia da trasmettere al cielo. O viceversa.

Da vicino, però, l’enigmatico manufatto appare mangiucchiato, come una mela ridotta a torsolo dai denti di un ghiro. Ma possono dei ghiri scolpire in quel modo un robusto palo del telefono?

Riescono, se s’impegnano, a demolire le travature delle case, ma perché avrebbero dovuto rosicchiare un palo inutile (per loro) tutto solo in mezzo a un campo?


“Sì, ci ho visto anche dei ghiri”, rivela Umberto Gianferrari, l’investigatore naturalistico (un po’ James Bond, un po’ Konrad Lorenz), che esplora i dintorni avendo sempre a portata di mano, sulla jeep, una scala telescopica, e che, inerpicatosi su quella, ha piazzato una fototrappola proprio sul palo/clessidra/matita, ormai stuzzicadenti.

“Ho visto cervi maschi, poi le femmine, con o senza piccoli; ho visto i caprioli, i tassi, i cinghiali, le volpi… tutti a strofinarsi su questo legno”.

La zona ricorda certe epopee celtiche, forse per la luce dorata che pervade i boschi, il verde irlandese dell’erba, gli affioramenti dei gessi triassici, i ginepri carichi di coccole, dietro ai quali ti aspetti, da un momento all’altro, di veder spuntare un elfo.

C’è invece un bambino, vicino al palo, e pare Pinocchio che dice al suo alter ego di legno: “Com’ero buffo, quand’ero burattino!” È il piccolo Leonardo Campari, detective naturalistico in erba, figlio del grande amico di Umberto.

Intorno, qualche ripa rosso scuro o verde oliva di ofioliti, rocce eruttive figlie di antichi vulcani marini. Era il fondo del mare, questo, e lo si avverte: si percepisce ancora l’energia delle onde tutt’intorno. Poi c’è il fiume, più in basso, con il suo gorgoglìo modulato, il Secchia che al mare sta scorrendo e che porta con sé un po’ di montagna e un po’ di questo incanto.

Siamo, infatti, ai piedi della Pietra, in un versante di campi coltivati e boschi di roverelle, digradante, con garbo, verso l’ampio alveo del fiume.