Serata sul lavoro femminile alla festa della Biasola (RE) - 16 giugno 2012
Apertura: Canti “Son la mondina son la sfruttata”
“Senti le rane che cantano”
Video: Proiezione in sottofondo delle foto delle mondine (Filmato)senza musica
Narratore
mia mamma mi diceva che… i mal di testa feroci che cominciarono in risaia, quand’aveva solo 14 anni, non l’hanno più abbandonata per tutta la vita. Acqua sotto, spesso acqua sopra, piegate, nella tensione continua, nella fatica disumana.
Erano quasi tutte ragazzine, allora. Alcune, di soli tredici anni, partivano per la prima volta, spensierate. Salivano all’alba su quel lungo treno-bestiame che le raccoglieva attraverso le campagne padane. Era, di solito, il 24 maggio. La sera tardi erano già in Piemonte, a Novara, a Vercelli. Venivano a prenderle alla stazione, con i carri, e poi via, verso le cascine, per quaranta, quarantacinque interminabili giorni. Sempre in gruppo, nel lavoro, nel canto, nella vita. Nello stanzone dormivano in venti (ma, a seconda delle dimensioni, anche in cinquanta o sessanta), coi fili per la biancheria stesi a raggiera tutt'intorno, c'era il pagliericcio da riempire di fieno e da cucire grossolanamente, delimitandolo a un'estremità con quella cassetta in legno che, per la mondina, era tutto: valigia, armadio, tavolo, cassaforte, rifugio, casa.
Sveglia alle 4.30, al più tardi alle 5: il caposquadra passava tra i pagliericci addormentati tirando più o meno scherzosamente i piedi ancora stanchi. Seguiva una rapida lavata nella fredda acqua della roggia, il fosso vicino alla cascina. Gli uomini direttamente impegnati nella monda del riso erano pochi: si trattava soprattutto di "cavallanti", circa quattro o cinque ogni cinquanta donne.
Mondine e cavallanti raggiungevano le terre bagnate, distanti anche mezz'ora di cammino, e lì iniziavano la giornata di lavoro che durava dalle otto alle dodici ore, spesso superando "inavvertitamente" la soglia sindacale.
Il lavoro era duro veramente. Nelle varie "quadre" o "piane", misurate in pertiche, in cui venivano suddivise le risaie, le donne, da sei o sette fino a dodici, si disponevano in file parallele. Così, a testa in giù, in mezzo all'acqua anche al ginocchio, fino a pomeriggio inoltrato, a mondare il riso,
Di tutti i tipi, erano gli animali: innanzitutto, bisce. Venivano afferrate, dalle più coraggiose, per la testa, fatte roteare due o tre volte in alto e poi scagliate all'indietro.
E c'erano tafani; i cervi d'acqua grandi come una noce, con vere e proprie corna; i sòregh, i topini d'acqua, che facevano il nido nel riso e che, mondando, si finiva per cogliere con la mano.
E la mariètta? La mariètta e il fa prèst, appena un po' più grande, erano insidiosi, invisibili come i pappataci; il loro morso, rapidissimo tra le dita affaticate, "faceva quasi perdere la ragione",
Per gli inevitabili bisogni fisiologici si faceva un passo indietro o lateralmente; non si poteva uscire dalla fila, non era permesso
"Sta' giù, piegati!", brontolavano le più vecchie, che la miseria ottocentesca aveva forse costretto a piegarsi non solo nel corpo.
I sacrifici quotidiani si prolungavano nel mangiare: scarso, ai limiti della sussistenza. Riso e fagioli, fagioli e riso. Per cambiare, maccheroni e riso. 1 kg. di riso al giorno, verso il '50, era anche l'aggiunta alla paga, da portare a casa. Volendo, si poteva comprare qualcosa da mangiare ma era un orgoglio, oltre che una necessità, tornare a casa con la "campagna" tutta intera.