mercoledì 9 gennaio 2019

LA STORIA DI TERZO E ROSALBA - QUANDO I MIGRANTI ERAVAMO NOI

Quando fecero il loro ingresso a San Piero a Grado, dalle parti di una millenaria pieve in quel di Pisa, la popolazione uscì in strada, prima incredula, poi divertita, e cominciò ad applaudirli. Dopo ben quarantun anni, era la prima volta che, dal 1926 (data della loro partenza da Genova per l’Argentina), Terzo e Rosalba Rubertelli tornavano in Italia. Scesi all’aeroporto di Pisa, invece di prendere un taxi, avevano optato per una delle carrozze trainate dai cavalli di solito usate dai turisti. Con quello spettacolare mezzo, si presentarono perciò alla porta di Palmira Santini, la sorella di lei, da anni residente con la famiglia a San Piero a Grado.
In quella casa, ben incorniciata ed esposta, c’era la fotografia del loro imbarco. Palmira non aveva mancato, nel corso degli anni, di indicare al suo figlioletto quei due viaggiatori piccoli piccoli, con il braccio alzato: gli zii d’Argentina che salutavano da lassù, sul transatlantico Giulio Cesare.
Rosalba era nata a Valbona di Collagna nel 1902, figlia del pastore Luigi e di Domenica Santini, i quali si erano poi trasferiti a Predolo di Villaberza, luogo di sosta nella transumanza verso il mantovano, dove erano via via nati gli altri figli.
Terzo Antonio, invece, era nato a Gombio, allora nel comune di Ciano d’Enza, martedì 26 settembre del 1905, figlio di Attilio e di Emma Tommasi, ed era stato battezzato solo sette ore più tardi dal parroco don Enrico Mailli.
Terzo e Rosalba erano partiti dopo il matrimonio, celebrato da don Battista Zini il 6 maggio del 1926 nella chiesa di Villaberza. L’Argentina era un miraggio, la possibilità di una vita migliore che già altri emigranti della montagna avevano inseguito.
Un certo Egidio Ferrari, fratello dei due partigiani di Casa Ferrari che poi vennero trucidati nel ’44 sul Monte Battuta, era partito anni prima e, dai racconti dei parenti, pare che laggiù facesse il “vaquero”, praticamente il cow boy.
Forse, i due novelli sposi avevano preso contatto con lui? O con qualche altro conoscente? Anche un Pedroni, di Soraggio, era finito laggiù e non s’era mai rivisto, esattamente come il Ferrari.
Presa la decisione, preparati i documenti, i due giovani raggiunsero Genova.
C’è chi racconta che, in attesa della partenza, gli sposi si fossero fermati in una bettola del porto, dove li avrebbero derubati di tutti i soldi. Cosa abbastanza consueta in quel contesto. Comunque, alla fine, salparono.
La nave era la stessa su cui, tre anni dopo, si sarebbero imbarcati i nonni paterni e il padre - allora ventunenne - di papa Francesco.
In Argentina, già da decenni, gli italiani avevano formato associazioni e dato vita a giornali con i quali cercavano di costruire oasi di italianità. Le celebrazioni per le feste civili italiane spesso vedevano una quantità di bandiere tricolore tanto grande da far sembrare Buenos Aires una città italiana. Già nel 1895, infatti, su 663.864 abitanti ben 181.361 erano italiani.