Quando fecero il loro ingresso a
San Piero a Grado, dalle parti di una millenaria pieve in quel di Pisa, la
popolazione uscì in strada, prima incredula, poi divertita, e cominciò ad
applaudirli. Dopo ben quarantun anni, era la prima volta che, dal 1926 (data
della loro partenza da Genova per l’Argentina), Terzo e Rosalba Rubertelli
tornavano in Italia. Scesi all’aeroporto di Pisa, invece di prendere un taxi,
avevano optato per una delle carrozze trainate dai cavalli di solito usate dai
turisti. Con quello spettacolare mezzo, si presentarono perciò alla porta di
Palmira Santini, la sorella di lei, da anni residente con la famiglia a San
Piero a Grado.
In quella casa, ben incorniciata
ed esposta, c’era la fotografia del loro imbarco. Palmira non aveva mancato,
nel corso degli anni, di indicare al suo figlioletto quei due viaggiatori piccoli
piccoli, con il braccio alzato: gli zii d’Argentina che salutavano da lassù,
sul transatlantico Giulio Cesare.
Rosalba era nata a Valbona di
Collagna nel 1902, figlia del pastore Luigi e di Domenica Santini, i quali si
erano poi trasferiti a Predolo di Villaberza, luogo di sosta nella transumanza
verso il mantovano, dove erano via via nati gli altri figli.
Terzo Antonio, invece, era nato a
Gombio, allora nel comune di Ciano d’Enza, martedì 26 settembre del 1905,
figlio di Attilio e di Emma Tommasi, ed era stato battezzato solo sette ore più
tardi dal parroco don Enrico Mailli.
Terzo e Rosalba erano partiti dopo
il matrimonio, celebrato da don Battista Zini il 6 maggio del 1926 nella chiesa
di Villaberza. L’Argentina era un miraggio, la possibilità di una vita migliore
che già altri emigranti della montagna avevano inseguito.
Un certo Egidio Ferrari, fratello
dei due partigiani di Casa Ferrari che poi vennero trucidati nel ’44 sul Monte
Battuta, era partito anni prima e, dai racconti dei parenti, pare che laggiù
facesse il “vaquero”, praticamente il cow boy.
Forse, i due novelli sposi
avevano preso contatto con lui? O con qualche altro conoscente? Anche un
Pedroni, di Soraggio, era finito laggiù e non s’era mai rivisto, esattamente
come il Ferrari.
Presa la decisione, preparati i
documenti, i due giovani raggiunsero Genova.
C’è chi racconta che, in attesa
della partenza, gli sposi si fossero fermati in una bettola del porto, dove li
avrebbero derubati di tutti i soldi. Cosa abbastanza consueta in quel contesto.
Comunque, alla fine, salparono.
La nave era la stessa su cui, tre
anni dopo, si sarebbero imbarcati i nonni paterni e il padre - allora
ventunenne - di papa Francesco.
In Argentina, già da decenni, gli italiani avevano formato
associazioni e dato vita a giornali con i quali cercavano di costruire oasi di
italianità. Le celebrazioni per le feste civili italiane spesso vedevano una quantità
di bandiere tricolore tanto grande da far sembrare Buenos Aires una città italiana.
Già nel 1895, infatti, su 663.864 abitanti ben 181.361 erano italiani.