venerdì 15 giugno 2012

LA TEOLOGIA DI EUGEN DREWERMANN - UN DIO CHE ACCOGLIE E GUARISCE

L’indemoniato di Cafarnao - di Eugen Drewermann

Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise a insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: «Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! lo so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo». E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. (Mc 1, 21-28)

II modo migliore per conoscere il carattere di una religione consiste nel guardare all'effetto che produce quando parla di Dio. C'è un modo di comportarsi in cui la religione forma una parte della vita, un modo in sé bene ordinato, bene amministrato, che apparentemente non reca danno né utilità, ma che in realtà lascia libere, evita, non penetra dall'interno intere parti dell'animo umano, della vita pubblica. Deve essere proprio questo il tipo di religione che più mette a dura prova Gesù e che nel Nuovo Testamento viene combattuto più di tutto: una religione fatta di erudizione scritturale. Essa si tramanda nella paura verso le autorità che amministrano le sacre Scritture. Essa vive del fatto di avere una determinata funzione nell'assegnazione dei ruoli della società, nella distribuzione del potere della vita pubblica. Ma non dispone della forza di rinnovare le persone e, se prendiamo questo vangelo alla lettera, corre il pericolo di diventare complice del male. Perché gli esseri umani non sopportano le divisioni fra dentro e fuori, fra Dio e il mondo, fra tempo ed eternità.


Quando il Nuovo Testamento parla di demoni, noi crediamo di sapere che cosa significhi questa parola, mettendo al suo posto il termine dogmatico di 'diavolo'. Ma in questo modo non si capisce granché, e quindi forse è bene prima di tutto lasciar agire su di noi la manifestazione della malattia di quest'uomo nella sinagoga di Cafarnao. Allora comprenderemo più in profondità quale potere può avere il male nel cuore umano e, viceversa, quale potere dovrebbe avere la religione di ricondurre l'uomo a Dio.

EUGEN DREWERMANN

Un demonio impuro ce lo possiamo immaginare in diversi modi. Ma in un modo solo ci dovremo immaginare una persona che, quando è dominata da un simile demonio, soffre profondamente a causa di se stessa, una persona che è esposta e abbandonata in balìa di ogni sorta di schiavitù. In un individuo così predomina la coazione a sentire, a parlare e ad agire in modo diverso da quello che vuole lui, poiché il suo tremendo segreto è che la sua persona è come impedita, assediata, letteralmente posseduta. Per gli estranei, l'impurità può manifestarsi nel fatto che quell'individuo non si crede capace di nessun reale contatto, fa cose che agli altri appaiono mostruose, si comporta in un modo che fa inorridire tutti gli altri. La gente lo evita e lo respinge, lo chiude in un ghetto e non lo ammette più nella comunità degli altri. Ma prima di ogni altra cosa bisogna che sia quella persona stessa a credersi così, bisogna che sia lei a sentire di essere troppo cattiva, troppo negativa, troppo poco pura per poter osare di esporsi alla vista degli altri e di imporre loro la sua presenza.

Oggi abbiamo imparato a capire a grandi linee come diventino possibili simili stati d'animo, come possa succedere che uno cessi di vivere in prima persona e si rigiri in continuazione nello stesso circolo vizioso, inibito e prigioniero e sempre in balìa delle stesse paure e angosce. Si tratta di forze plasmanti che già nell'infanzia provvedono a che una persona che cresce non possa diventare diritta, non possa decidersi a essere se stessa e quasi con metodo venga impedita nel vivere ciò che in essa potrebbe vivere.
Un bambino ha sentimenti che cozzano contro la resistenza dell'ambiente. Gli possono dire che non potrà raggiungere questo o quest'altro, come lui vorrebbe. Ma gli possono anche proibire proprio di avere simili sentimenti. E in tal caso egli imparerà a temere gli impulsi naturali che si muovono in lui, prima per paura della punizione dei genitori, e poi per paura di se stesso.
E alla fine questo bambino comincerà a demonizzare se stesso e a dire di essere cattivo perché continua a sentire dentro di sé determinati sentimenti e determinati impulsi. Da quel momento comincerà la possessione diabolica, l'automatismo della distruzione psichica, il meccanismo della paura interiorizzata. Uno finirà col non sapere più per quali sentimenti, per quali moti di desiderio si demonizza, si evita e si odia. Alla fine, l'unica cosa che saprà sarà di essere detestabile, degno di denigrazione, in breve, un mostro. Aumenterà la convinzione di non essere un uomo, bensì il suo contrario, la convinzione che, invece di dire 'sì', può dire soltanto 'no', e che, invece di conoscere la vita, può conoscere solo la morte. Nel Nuovo Testamento un individuo siffatto viene detto impuro, perché lo hanno disabituato a tutto quello che potrebbe contraddistinguerlo come persona. Eccolo sbocciare, ed è un ragazzo o una ragazza, e subito questo significa: «Impuro, perché pericoloso, perché seducente, diabolico, peccaminoso e demoniaco!». Cresce e vorrebbe pensare da solo - e di nuovo ciò significa: «Ribelle, pericoloso, mostruoso, minaccioso, quindi peccaminoso, diabolico!». È possibile portare con metodo un essere umano al punto che tutto quello che in lui potrebbe essere bello e grande alla fine sia buttato via. Ma la mente di una persona non è vuota, viene occupata da pensieri che non la lasciano più libera e tutti quanti questi pensieri parlano la propria lingua, in continuazione, meccanicamente.
È così che dovremo intendere il fatto che quest'uomo grida nella sinagoga, ma non è lui a parlare, bensì una collettività, come se portasse dentro di sé tutta un'armata di forze e di poteri avversi, che sanno presentarsi soltanto in formazione chiusa. Anche questa è una cosa che conosciamo. Nella relazione reciproca è forse il sintomo meno appariscente, ma proprio per questo più diffuso, e rivela sempre un modo di vivere che non è vita. Proprio nel punto in cui potremmo e dovremmo parlare di noi stessi nel modo più personale, soggettivo, appassionato, profondo, perché così acquisterebbero efficacia i nostri sentimenti personali, i nostri pensieri personali, proprio in questi momenti si inserisce la paura e cambia il linguaggio. Allora il discorso non è più su noi stessi, sulla nostra persona, bensì si abbandona a forme standard, come 'si' fa, cosa 'si' deve fare, come è universalmente giusto, in breve, ciò che dicono gli altri. E sempre bisognerà accettare la conclusione che è proprio questo stile nella relazione reciproca che porta sulla terra lo stregamento delle anime, la possessione diabolica delle menti, e cioè il fatto che non ci 'si' interessa con quale persona 'si' ha a che fare, il fatto che 'uno' non fa che parlare con 'uno'. Alla fin fine non c'è più un Io che osi uscire, ci trinceriamo dietro al generale, e questo è il linguaggio abituale con cui ci relazioniamo fra di noi, un giocare a nascondino nel generale, un perdersi in luoghi comuni, un continuo evitarsi come persone, e nel mezzo tutto il potere della paura.
È infinitamente grande che Gesù non tolleri questo tipo di religione che, sia per impotenza, sia per un falso senso di tranquillità, è forse consenziente nel lasciar sussistere le zone di disumanità. Nella sinagoga di Cafarnao, alla comparsa di Gesù, si manifesta l'assoluto aut aut, quando Gesù vuole che le persone vivano autonomamente, e di conseguenza si vede costretto a fare emergere la paura rivolgendo all'interessato la parola, andandogli incontro, toccandolo. Agli occhi di Gesù non è possibile, agli occhi di Dio non è permesso lasciare che un essere umano sia abbandonato alla prigionia delle paure e delle angosce come un animale ammaestrato. Per Gesù è importante che le persone vengano ricondotte a Dio nella loro libertà, nella loro bellezza, nella inconfondibilità della loro persona. Sono proprio loro che sono pensate.
Ciò che si svolge quindi nella scena di questa sinagoga ce lo dovremo immaginare spesso come un evento che si protrae per anni: le persone cominciano a essere trascinate di qua e di là, proprio alla lettera, e non sanno a chi andar dietro - alla paura che hanno loro insegnato oppure alla fiducia che potrebbe cominciare, al potere del passato oppure all'orizzonte del futuro, a tutti quelli che stanno loro intorno e che le tengono prigionieri oppure a quell'unico che si è loro avvicinato. Un interminabile qua e là, un andare avanti e indietro, un continuo segnare il passo, scossi dall'orrore e dall'attesa. È terribile questa immagine della paura che prorompe, dello sconvolgimento, dell'estraneità, del raccapriccio di tutti gli altri, e non è evitabile. Non è evitabile neppure il lungo urlo di questo ossesso. È necessario affinchè i demoni se ne vadano.
Di solito nessuno vuole udire ciò, non le grida di dolore, non le proteste, non le sorde voci dell'infanzia, che parlano una lingua da tempo alterata, apparentemente disordinata, ancora confusa e caotica. È meglio tapparsi le orecchie, ancor meglio tappare all'altro la bocca, meglio di tutto sigillare la fonte del suo cuore. Ma non è giusto davanti a Dio che le persone restino abbandonate in questo modo alla loro miseria.
La cosa sorprendente è questa: è la prima volta che Gesù agisce pubblicamente, e accade in questa maniera assoluta e coraggiosa, diversa da quella degli scribi. È la prima volta che non solo la parola di Dio viene annunciata in parole, ma che la realtà si tramuta e le persone vengono toccate in modo tale che ogni residuo di paura affiora, passa attraverso le membra e viene superato. Non è una cosa facile e semplice, ma sicuramente sulla terra non c'è nulla di più meraviglioso e miracoloso del vedere che gli uomini sono capaci di cogliere la possibilità e di afferrare una mano protesa. Ci possono essere ancora molte cose sepolte nell'anima di una persona - un primo rintocco della libertà la chiamerà, per quanto furtivo e nascosto.
«Che cosa significa questo?» si chiede la gente nella sinagoga di Cafarnao. Il vangelo di Marco pensa che abbia avuto inizio un tempo nuovo, né più né meno, che abbia avuto inizio una nuova epoca nella quale gli esseri umani sanno in modo definitivo di non appartenere a nessun altro se non a Dio solo. Se voi chiedete quindi: «Che cos'è il diavolo e che cos'è diabolico?», dovremo dire così: tutto ciò che, a seguito della paura, fa attaccare le persone a dei fuscelli all'intorno e le abbandona in balia di poteri che non sono Dio. Si segue allora una logica contraria a quella della creazione, si viene trascinati in un processo di distruzione sempre più profonda.
Bisogna scegliere fra Dio, che ci vuole come persone, e un potere che in certo qual modo esiste soltanto nel collettivo, che consiste nello sfilacciare la personalità dell'individuo fino a renderlo irriconoscibile, fino a distruggerlo, fino a raggiungere il fatto sconvolgente che un essere umano comincia a credere e a dire: «Sono troppo impuro per vivere». Allora forse si tocca nel modo più profondo il mistero del demonio: un potere che vuole solo essere completamente puro, che vuole tutto affatto buono, affatto perfetto, cristallino, e che alla fine non si lascia dietro nient'altro che distruzione, dissoluzione e odio di sé.
Fra l'infinita tolleranza di Dio, la sua bontà e la sua pazienza ad accompagnare questa creazione, passo per passo, e la volontà antitetica di volere un mondo puro, chiaramente ordinato, governato in modo rettilineo, è fra questi due spiriti che bisogna scegliere.



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