martedì 29 maggio 2012

Vito Mancuso con il Dalai Lama. Di seguito il testo che ha letto per l'occasione.


Dall’aggressività e dalle varie forme di violenza verso la non-violenza attiva e l’amorevole compassione - Udine, 22 maggio 2012, incontro con il Dalai Lama
  1. Onnipresenza della forza e della violenza. Capire quanto la forza e la violenza ci circondano, entrano dentro di noi e giungono a impastare il nostro essere, può essere terribile. Si tratta però del primo indispensabile passo per giungere in modo responsabile alla non-violenza attiva e all’amorevole compassione. Infatti l’azione responsabile procede sempre da una conoscenza fondata e, che lo si voglia o no, la nostra vita ha molto a che fare con la forza e la violenza, al punto che senza di esse noi non saremmo quello che siamo. La storia con le sue innumerevoli vittime ci mostra che la costituzione di stati avviene per mezzo di continue battaglie, con popoli che aggrediscono e sottomettono altri popoli e con i popoli sottomessi che per non scomparire devono a loro volta aggredire. Nonostante le felici eccezioni di India e Sudafrica, sembra proprio che la lezione complessiva della storia sia che in essa nessuno regala niente e che l’uso della forza sia condizione obbligata, se si vuole ottenere di esistere. La medesima logica vale per la politica, la dinamica sociale, l’economia, la cultura. Né vi sfuggono le religioni, con i loro anathema sit, i loro herem, le loro jihad e tutto il sangue che hanno fatto e fanno versare. La violenza emerge persino dai libri sacri, vi sono passi della Bibbia che fanno rabbrividire. E chissà che cosa realmente intendeva Gesù quando una volta disse: “Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Matteo 11,12). Il paradigma scientifico oggi dominante ci insegna a leggere la natura attraversata da ciò che Darwin chiamava struggle for life, lotta per l’esistenza. Consideriamo per esempio semplicemente noi stessi. Siamo qui a riflettere sulla non-violenza e forse alcuni di noi quest’oggi si sono nutriti di carne o di pesce, di vita cui è stata imposta una fine violenta. Altri saranno invece vegetariani, ma i vegetali non sono pur sempre vita? Quando mangiamo una carota o una patata, stiamo sopprimendo un organismo. È noto inoltre il legame tra eros e thanatos, tra l’amore sessuale e la morte, e ogni giorno sui giornali si legge quanta violenza discende dalla sessualità e dalle energie che essa suscita. Per questo chi vuole coltivare la non- violenza attiva ha spesso un regime alimentare strettamente vegetariano e vive la castità. Ma anche nel suo organismo le cellule killer del sistema immunitario sopprimono i microrganismi patogeni: anche nel più convinto non-violento seduto qui tra noi, il sistema immunitario compie fedelmente il lavoro violento per il quale è stato programmato.
  2. Le conseguenze negative. Prendere consapevolezza di tutto ciò, dicevo, può essere terribile. Può condurre a un sentimento rabbioso verso la vita e a una condotta tesa unicamente ad aggredire all’insegna della volontà di potenza: “la logica della vita è la forza e la violenza e io quindi sarò forte e violento”. Tale visione ha avuto nella filosofia di Nietzsche la consacrazione teoretica e nel nazifascismo la consacrazione politica, e alla luce del terzo principio della dinamica di Newton (“a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”) si può essere certi che essa condurrà sempre e comunque alla guerra. La consapevolezza della violenza può far sorgere al contrario un senso di cupa sfiducia verso la vita coltivando l’idea che sarebbe stato meglio non nascere, una visione pessimista dell’esistenza che ha generato in occidente non poche tradizioni religiose (gnosticismo, manicheismo, catarismo) e non poche filosofie (un nome per tutti, Schopenhauer).
  3. Il peccato del mondo”. Io non accetto né l’una né l’altra prospettiva, ma nutro un senso di fiducia verso la vita in quanto capace di bene e giustizia. Ho però a questo punto l’obbligo di rispondere a una
    domanda: conoscendo la logica della forza in cui è radicata la vita, com’è possibile continuare a vivere all’insegna del bene e della giustizia?
    Se la vita è lotta, chi non vuole lottare ma entrare in comunione con gli altri viventi in amorevole compassione, non è necessariamente un illuso? Nel rispondere a questa questione si gioca il senso dell’esperienza spirituale. Cerco di precisare ancora meglio la questione: se la vita è aggregazione, è possibile aggregare senza aggredire? è possibile aggregabilità senza aggressività? è possibile aggregazione senza aggressione? Nel Vangelo compare uno strano concetto: “il peccato del mondo”. Giovanni il Battista vede passare Gesù e dice: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Non “i peccati” del mondo, come banalizza la liturgia della Messa, ma “il peccato” del mondo. Che cosa indica questo strano concetto? Io vedo in esso la necessaria dose di forza e di violenza per rendere possibile l’aggregazione del mondo, sia in quanto natura, sia in quanto storia, economia, società. Allora la domanda diviene: è possibile essere mondo senza essere peccato? Oppure, per essere senza peccato, è inevitabile non essere più mondo?
  4. Distinguere forza e violenza. Ho detto all’inizio che capire il ruolo della violenza nella vita è il primo indispensabile passo per giungere in modo responsabile alla non-violenza attiva e all’amorevole compassione. Compio ora un passo fondamentale: la distinzione tra forza e violenza. La violenza, come indica il nome, è violazione: essa non è originaria, è parassitaria, per esistere ha bisogno di qualcosa che la precede. Ciò che la precede è la forza. La forza è originaria, la violenza no. La forza, nella quadruplice forma a noi conosciuta (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole), è ciò che consente all’energia di non essere caos ma lavoro, capacità di compiere lavoro. La forza è la grande matrice del mondo. Se noi esistiamo, se la vita è apparsa e si è evoluta, se le nostre menti possono pensare e giudicare, è grazie alla forza che inserisce logos (o se preferite, dharma) all’interno del caos. La forza è principio di organizzazione. La violenza invece è violazione di tale principio, nel senso che usa la forza non a favore dell’organizzazione generale del sistema ma per favorirne una parte, quindi creando squilibrio e portando al caos. Il risultato della violenza infatti è sempre il disordine. C’è quindi un uso della forza che non è violento e ce n’è un altro che è violento. L’uso non violento della forza non vìola, ma al contrario serve l’equilibrio dinamico del sistema. Ne viene, a mio avviso, una conseguenza importante: se coltivare la non-violenza significa sostenere sempre e comunque l’assenza di forza, si tratta, a mio avviso, di un errore, perché la vita, senza la forza, non è. Non-violenza deve essere piuttosto esercizio giusto della forza, esercizio che non vìola ma crea coesione, che combatte il caos sempre minaccioso, che nutre il delicato equilibrio della vita.
  5. Amorevole compassione e amore del prossimo. In questa prospettiva emerge il senso della compassione, cioè della passione-con, della comunione con la passione altrui. Essendo la vita impastata dalla forza, alla passione e al patire non è possibile sfuggire. Volenti o nolenti, se viviamo siamo soggetti alla forza e quindi esposti al patire. L’amorevole compassione buddhista e l’amore cristiano del prossimo rimandano entrambi al patire-con, al portare i pesi gli uni degli altri, al vivere a livello interpersonale la legge fondamentale della relazione mediante la forza all’insegna dell’armonia ed escludendo ogni violazione-violenza. In questo senso Giovanni il Battista vedendo passare Gesù dice: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Ecco cioè chi, pur essendo mondo, non è tuttavia peccato; ecco chi vive e insegna la possibilità di aggregazione senza la minima aggressione. Io sono sicuro che se avesse visto passare il Buddha, oppure Sua Santità il Dalai Lama, avrebbe potuto dire la stessa cosa, perché anche in loro si dà una modalità di essere mondo, cioè di essere forza, da cui è assente ogni traccia di violazione-violenza. Essere mondo senza essere peccato; essere forza senza essere violenza; essere forza come amore e come amorevole compassione: io non conosco nulla di più sublime e di più luminoso per cui spendere la vita.


Lunedì 28 Maggio,2012 Ore: 18:25

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