venerdì 28 aprile 2023

CERIOLA/LE SCOPERTE DEL CAI A MONTE SASSOSO - UNA FORTEZZA MEDIEVALE VIGILAVA LA VALLE DEL SECCHIA

 

L'archeologa Anna Losi presenta i risultati degli scavi

Presentati a Carpineti dall’archeologa Anna Losi i risultati degli scavi. I materiali recuperati consentono con sicurezza di datare questo insediamento al 1200/1300.

Si trattava, alla fine, dei resti di un sito fortificato di piena età medievale. L’analisi dei materiali recuperati ha inizialmente consentito agli archeologi di restringere al XII/XIV secolo l’arco cronologico relativo alla vita di questo insediamento. Ad ulteriore conferma di questa ipotesi, c’è stato il supporto offerto dall’analisi per datazione assoluta, con il metodo del radiocarbonio, di un campione di malta proveniente dal crollo, in loco, di una struttura muraria. Lo ha spiegato la dottoressa Anna Losi, archeologa, durante l’incontro che si è tenuto in biblioteca a Carpineti sabato 18 febbraio, quando sono state presentate le ricerche del comitato Sezionale del Cai Reggio Emilia a Monte Sassoso di Ceriola. Presenti, il sindaco di Carpineti Tiziano Borghi, l’assessore Flavia Pigozzi, il presidente del Cai di Reggio Stefano Ovi, e, appunto, l’archeologa Anna Losi. 


Il Cai ha dato seguito alle ricerche eseguite nel 2020, portando avanti l’attività di prospezione e rilievo a Monte Sassoso. Nel 2021 sono stati aperti due modesti “saggi” (scavi per indagare il luogo) in uno dei quali è stata accertata la presenza di una possente struttura muraria in pietra, da interpretare come fondazione di una torre di avvistamento, realizzata anche con l’aiuto di materiale deperibile (legno e incannucciato). Si tratta sicuramente di un sito fortificato utilizzato, grazie alla sua posizione strategica, come sorveglianza del fondovalle del Secchia, per il controllo del territorio reggiano. Si ignora completamente il nome antico di questa località. Potrebbe essere uno dei tre castelli reggiani dei quali non si conosce la collocazione: Amensiltum, Vallis Brumani o Crovarola. In realtà, Crovarola sarebbe il toponimo che indica il monte dove si trovava il castello sovrastante Talada, ancora abitato nei primi anni del XVII secolo; lo stesso nome viene usato nei documenti degli estensi per denominare proprio il comune di Talada. In quanto al Vallis Brumani, poiché, secondo i documenti che lo nominano, non dovrebbe essere lontano da Selvapiana, potrebbe trattarsi di quella fortificazione che lo storico Arnaldo Tincani situa su Monte Venéra, nella valle del Tassobbio (sicuramente una valle “invernale”, poiché abbastanza buia e soggetta alle nebbie...)


Del monte Sassoso di Ceriola abbiamo già parlato in un precedente articolo e qui vogliamo riprendere alcune testimonianze di persone che lì in paese hanno passato parte della loro vita. La signora Anna Ceccarelli, per esempio, è nata a Ceriola, ma poi all’età di otto anni, con la sua famiglia si è trasferita a Milano: “Sono ritornata ad abitare a Ceriola definitivamente quando ho maturato la pensione. Il “Sassone”, il masso più grosso, (quello che è una piccola Pietra di Bismantova in miniatura) era meta usuale dei ragazzi che salivano fin lassù. Venivano anche dai paesi vicini. Il panorama era meraviglioso e, in basso, sotto il sasso, vi era una specie di balcone (crollato alcuni anni fa) dove si saliva con un po’ di problemi: arrivati su, ci si faceva una foto ricordo. Sul Sassone si accendeva il fuoco l’ultimo dell’anno per bruciare l’anno vecchio e, dal paese di Ceriola, si vedeva bene il falò fiammeggiare nel buio. Il ricordo del fuoco acceso mi è rimasto impresso poiché vi partecipava mio fratello Tino, che ora non c’è più, insieme ad altri ragazzi del paese. Era un posto amato da tutti, anche perché zona da funghi, quindi frequentato. Quei boschi e quei sassi sono stati anche ripari per le donne e i bambini quando Ceriola venne occupata dai tedeschi (e da fascisti italiani che volevano farsi credere tedeschi, così mi diceva mia madre). Posto strategico dato che dall’altra parte del Secchia c’erano i partigiani. Di là c’era anche San Bartolomeo dove avvenne una strage nazifascista. Più in alto del Sassone c’è Lacfurn (Lagoforno, in italiano) quel sasso con la grotta abbastanza ampia. Lì si raccontava avesse passato la prima notte di nozze un uomo di Ceriola con la sua sposa, nel 1920 circa. Si chiamava Beppe ed era un uomo particolare che ricordo bene. Sotto quel sasso ha trovato riparo anche un soldato tedesco che aveva disertato e che gli abitanti dei paesi vicini avevano aiutato fino alla fine della guerra”. La consuetudine di accendere i fuochi per Natale, o Capodanno, o, ancora, a fine Quaresima, è segno di riti antichissimi che, in alcuni luoghi della nostra montagna, si sono protratti almeno fino a metà degli anni Sessanta. Per gli antichi, il fuoco appariva già di per sé o di natura celeste (il fulmine, il sole), o di origine sotterranea (il vulcano), ed era associato ovunque a specifiche divinità. Bisognava sostenere la luce quando le tenebre sembravano avere la meglio, in inverno, per cui si accendevano i falò, così le alte fiamme salivano al cielo nel tentativo di dare man forte al sole. Anche l’episodio dei due sposi, che passarono la prima notte di nozze nella grotta di Lagoforno, potrebbe essere un retaggio di primitivi riti della fertilità collegati al culto delle rocce. Dunque: gli archeologi avranno ancora da indagare questo luogo tanto ricco di tracce che riportano a un passato forse più remoto di quello medievale.


Un’altra signora, Nadia Nicoli, residente a Milano, racconta: “Il Sassone era meta frequente dei nostri pomeriggi "da zingari". Ricordo che ci perdemmo, una volta, con Filomena... Al ritorno, sbucammo a Ceriola, arrivando dal fosso del Re. Sul Sassone dava i brividi sedersi con le gambe penzoloni nel vuoto, le spalle a Ceriola, dentro gli incavi/poltroncina sul limite della superficie del sasso”. Particolare la testimonianza di Ivana Nicoli, che abita a Genova, e che è l’unica a riferire del senso di pacificazione e quiete che promana dai sassi. Parla di un lutto, la morte improvvisa del caro amico Ruggero, e di come le pietre l’abbiano aiutata a trovare serenità: “Io mi ricordo che mi piaceva da matti andare sul balconcino, e che richiedeva una certa abilità. Un giorno, a Pasqua, era morto Ruggero... io ero angosciata e nel pomeriggio siamo andati al Sassone… ci siamo seduti lì a guardare il cielo e mi sono riconciliata con me stessa e un poco rasserenata”.


Soffermiamoci sulla fortificazione sicuramente medievale: lo spazio a disposizione del “castello” non era esteso né particolarmente agevole, o comunque sufficiente a far ipotizzare che potesse essere utilizzato anche come abitazione. La scelta di occupare un luogo così scomodo, privo di fonti d’acqua sorgiva, ma ideale per la difesa ed il controllo del territorio, non è rara in questo periodo: ci sono altri castelli simili nel territorio reggiano. Dalla relazione del Comitato scientifico del Cai apprendiamo che, nel corso della campagna di ricerche 2021, erano stati rinvenuti alcuni materiali. Tra di essi, vari frammenti di ceramica, resti di forme vascolari “chiuse”, cioè recipienti adatti a contenere alimenti liquidi. Poi una pentola, con orlo rientrante e foro praticato a crudo nel corpo ceramico immediatamente al di sotto dell’orlo. In questo foro passava un manico, quasi sempre in metallo, grazie al quale era possibile la sospensione della pentola sul fuoco per permettere la cottura degli alimenti. Queste pentole si ritrovano esclusivamente a partire dall’età medievale (X secolo): è una forma completamente sconosciuta nel repertorio vascolare romano e tardo romano e rappresenta un adattamento in ceramica di “prototipi” fabbricati in metallo o pietra ollare, materiali più costosi. Troverà la sua piena diffusione dopo l’anno Mille in un’area che si estende tra la pianura lombarda, il Veneto e l’Emilia. 


Documentata da due esemplari è una seconda tipologia di pentola, con corpo ovoidale, breve labbro rettilineo e orlo squadrato. Anche questa forma riguarda lo stesso areale e lo stesso arco temporale. Una seconda forma ceramica è costituita dal catino - coperchio, forma comune in scenari di età alto medievali, ma che ritroviamo già a partire dall’età romana. Veniva utilizzato come fornetto (trasportabile) per la cottura degli alimenti sopra le braci, richiamando, per aspetto ed utilizzo, il “testo” da pane ancora oggi utilizzato in Liguria e in Lunigiana (“testaroli” deriva da “testo”, ma anche “staroli”, crepes di acqua e farina tipici di Talada). Altri ritrovamenti che contribuiscono alla datazione del sito sono una fibbia di bronzo, due chiavi e una moneta (“denaro scodellato”) in argento emessa dalla zecca di Milano, a nome dell’imperatore Federico I Barbarossa, tra il 1163 e il 1167. In uno degli ultimi giorni dello scavo del 2022, è stato invece portato alla luce un campanello in bronzo di epoca romana, un “tintinnabulum”, probabilmente un portafortuna. Più campanelli formavano, con il “fascinus” di forma fallica, un sonaglio che, azionato dal vento, agiva come oggetto apotropaico davanti all’ingresso delle abitazioni. L’oggetto potrebbe essere stato portato lì dalla necropoli romana di Gatta, oppure… sul Sassoso c’è ancora da scavare.

Campanelli romani

Tintinnabulum apotropaico







1 commento:

  1. La relazione archeologica, già di per sé sola estremamente avvincente, viene arricchita in modo insuperabile dai toccanti racconti “accessori“ della popolazione locale, perfettamente intrecciati all’ordito della narrazione scientifica principale.

    RispondiElimina