giovedì 14 febbraio 2013

Benedetto XVI - Intervento di Ettore Masina sulla decisione del papa di lasciare il pontificato

Ha aperto nella storia del nostro tempo inedite possibilità
LETTERA 155 11 febbraio 2013

di Ettore Masina
Quando mi è giunta la notizia delle dimissioni di Benedetto XVI mi è tornata alla mente un’immagine disegnata tanti anni fa da Dino Buzzati per una rivista milanese di cui mi occupavo. Mostrava l’interno di un’immensa chiesa, deserta. Fra le colonne della navata, selva inquietante di pietra e di ombre, la figura esile, poco più di un filo d’inchiostro, di un vescovo – o forse proprio di un papa, le braccia levate al cielo. Il titolo della figura, mi disse Buzzati, era: “Solitudine”. E adesso il mio sentimento (sentimento prima ancora che pensiero) davanti alla straordinaria - e, per un cattolico, sconvolgente - vicenda di Joseph Ratzinger è di solidarietà. Del tutto imprevedibilmente sento come mia la sofferenza per la solitudine profondissima di un personaggio fra i più importanti della nostra epoca, al quale avevo cercato di portare rispetto ma che non amavo e da cui mi ero sempre sentito lontano.
Per otto anni milioni di persone lo hanno chiamato padre (anzi: padre santo), eppure, secondo quanto andiamo sapendo, nessuno ha condiviso come un figlio la sua “scandalosa” drammatica decisione. Egli stesso, del resto, sembrava rifiutare quelle che nella sua veste di tutore severissimo della dottrina potevano essere considerate tentazioni mondane. Venivano a vederlo grandi folle (turisti che amavano effigiarlo come un papa-re in mezzo al rutilante splendore delle guardie svizzere, contadini di remoti villaggi dell’Est travolti dall’ irripetibile avventura dei pellegrinaggi low-cost, Cavalieri di Colombo, suore pigolanti e missionari di vita eroica); lui cercava di accontentarli come poteva, ma non riusciva a spezzare la cortina di gelo che lo teneva lontano dalla storia. Invecchiando, come spesso succede ai vecchi, aveva assunto un aspetto un po’ femminile e le sue scarpette rosse erano diventate oggetto di calembour. Talvolta più che un pastore come Paolo VI o un guerriero come Wojtyla, più che un leader, sembrava un intellettuale di quelli che vengono definiti con bonario rispetto topo di biblioteca. Il suo incedere si sgranava in piccoli passi anche nei riti liturgici più solenni, sbiadendone la maestosità. I suoi discorsi erano spesso difficili per linguaggio e significato.. Lui se ne rendeva conto e, su richiesta dei cerimonieri, cercava di assecondare le richieste dei fedeli: erano usciti così dalle sacrestie di San Pietro i paramenti più preziosi, le mitre più imponenti, i mantelli più suntuosi, e un giornalista irriverente scrisse che sul trono della sua seigneurerie Benedetto XVI somigliava al mitico re Eldorado.
Non credo sia stata soltanto mia la sensazione che comunque non riuscisse a farsi amare, come sinceramente avrebbe voluto. Ratzinger faceva parte delle elites più esclusive della nostra epoca: grande teologo, grande scrittore e forse anche grande mistico; ma, come la gente delle elites (non soltanto vaticane) suscitava l’impressione che i poveri - anche quando li difendeva con l’esercizio acuminato della ragione e la profondità della meditazione - rimanessero per lui delle astrazioni. Per questo li aveva dolorosamente colpiti e fatti colpire quando le loro avanguardie avevano osato leggere il vangelo in maniera inedita, maturando nelle loro lotte per la giustizia una preziosa competenza teologica per la costruzione del Regno: “Gesù esultò e disse: io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”. ( dal vangelo di Luca). Da questo punto di vista si può dire che Benedetto continuò a gestire con la rigidità del suo predecessore la crisi disastrosa del cattolicesimo latino americano. L’atteggiamento ondivago a proposito della canonizzazione del vescovo Romero ne è un aspetto evidente.
Il suo pontificato fu costretto al logorio derivante da fenomeni nuovi o emersi da una più o meno compiacente oscurità curiale. La pustola della pedofilia, l’impasse del rapporto fra grandi religioni, lo scandalo continuato della presenza dello Ior accanto alla tomba di Pietro, la lettura minimalista del Concilio con le concessioni ai lefebvriani palesi e occulti, le piccole (o grandi?) congiure fra cortigiani hanno imposto a Ratzinger notti insonni e giorni opprimenti. Si può giudicare variamente la risposta che egli ha dato a questi inediti accadimenti. Per quanto mi riguarda, oggi è viva in me l’ammirazione per questo vecchio: con la sua decisione certamente sofferta e coraggiosa si è rifiutato di consentire che il mito dell’onnipotenza pontificia prevalesse ancora una volta sui limiti della persona umana con esiti disastrosi e ha aperto nella storia del nostro tempo inedite possibilità.



Giovedì 14 Febbraio,2013 Ore: 16:54

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