venerdì 10 febbraio 2012

DECRESCITA E MIGRAZIONI - MAURIZIO PALLANTE

Il nuovo libro di Maurizio Pallante, Decrescita e migrazioni, è un pamphlet tanto sintetico quanto incisivo, che spiega come le società basate sulla crescita economica a tutti i costi implichino necessariamente una crescita delle migrazioni di una sempre maggiore quantità di persone.

Un tema molto scottante e molto attuale, in cui nella maggior parte dei casi si bada solo alle fasi “finali” di queste problematiche (parlando di accoglienza piuttosto che di espulsione, ad esempio), senza minimamente curarsi delle cause, dell’origine di questi fenomeni.

Un sistema economico fondato sulla crescita del prodotto interno lordo deve aumentare in continuazione il numero dei produttori e consumatori di merci. Di conseguenza deve indurre, con le buone o con le cattive, con la persuasione o con la forza, un numero crescente di contadini tradizionali ad abbandonare l'autoproduzione di beni, cioè l'agricoltura di sussistenza dove la vendita è limitata alle eccedenze, per andare a produrre merci e guadagnare in cambio il denaro necessario a comprarle. Questo passaggio implica l'abbandono delle campagne e il trasferimento nelle città con costi sociali e ambientali elevatissimi. Sociali se si considera, ad esempio, l’impatto fra le diverse culture quando migliaia di persone si spostano in massa dal sud al nord del mondo (o dall’est all’ovest); ambientali se si pensa che oggi più della metà della popolazione mondiale vive ammassata nelle grandi metropoli.

Uno stile di vita non omologato sui modelli consumistici, oltre a migliorare la qualità della vita di chi lo pratica, può contribuire a rimuovere le cause che inducono a emigrare in misura superiore a quanto comunemente si pensi; seppure sia a volte difficile, e delicato, far capire a chi non ha avuto mai niente (materialmente parlando) che la soluzione ai suoi problemi non è l’acquisto di merci, ma che anzi ne è la causa.


Fino a quando dominerà il paradigma della crescita infinita, non si potrà mai arrestare il fenomeno delle migrazioni


In questo breve libro Maurizio Pallante, caratterizzato dalla sua solita indipendenza di pensiero, mostra chiaramente come a livello politico non ci sia nessuna intenzione di arrestare veramente i flussi migratori in corso, nonostante i buoni propositi in alcuni casi o le ridicole o altisonanti proposte per ridurne la portata in altri. Quando sia la destra che la sinistra auspicano (ancora) una società ed un’economia che prevedono la crescita infinita del consumo di merci, si ha bisogno di un numero sempre più alto di “consumatori”.

Fino a quando la crescita infinita sarà il modello economico e sociale propinato a tutte le società del mondo, non si potrà mai dare fine al fenomeno delle migrazioni, nemmeno se si volessero istituire le più feroci ronde da una parte, o se si volesse accogliere chiunque ne faccia domanda dall’altra (entrambe soluzioni impossibili ed insensate).

Fino a quando le società opulente, già eccessivamente caratterizzate da una crescita ipertrofica, vorranno mantenere certi stili di vita, non si potranno permettere di diminuire il numero né di persone dipendenti dal mercato, né di persone per la manodopera a basso costo.

Fino a quando le società cosiddette “povere” vorranno seguire il mito della crescita, non si potranno permettere di continuare a sostentarsi come hanno sempre fatto tramite le loro economie di sussistenza, ma dovranno adeguarsi ad un mercato falsamente libero. E le loro popolazioni, appunto, trasferirsi in massa in quei Paesi nei quali invece l’economia di sussistenza è stata abbandonata da fin troppo tempo.

Migrazioni, crescita, guerre di occupazione per accaparrarsi le risorse, consumismo, inquinamento, possono essere ridotti con uno stile di vita più sobrio e con l’implementazione, quando possibile, dell’autoproduzione di beni.

Si può fare molto per risolvere da subito i nostri problemi. E nostri vuol dire di tutti i popoli, sia “ricchi” che “poveri”, o presunti tali.

Questo volume, “Decrescita e migrazioni”, si legge facilmente nonostante la complessità dei temi trattati. E soprattutto fornisce delle immediate "risposte", pur nella sua sinteticità, alle problematiche epocali in questione.

http://www.terranauta.it/a1114/le_recensioni_di_terranauta/decrescita_e_migrazioni.html


DECRESCITA - RIPENSARE IL MONDO

di Maurizio Pallante, Luca Salvi

Un mondo sta crollando. Crescita zero, recessione, inflazione, stagnazione, disoccupazione, precarietà, incertezza, default, spread, bund, Btp. Questo è il deprimente vocabolario della crisi che si legge sui giornali e si ascolta ogni giorno in TV. Queste parole vengono versate come sale sulle ferite aperte dei cittadini che vivono la crisi sulla loro pelle. Crollano gli indici di borsa e aumenta la depressione, non solo dell’economia ma delle persone che perdono la fiducia nel futuro e, nei casi più tragici, anche la voglia e la forza di vivere. Può succedere a chi perde il posto di lavoro e a chi vede andare in fumo i risparmi di una vita e non sa che futuro potrà dare ai suoi figli. Come non cadere in depressione, guardando in TV i politici che annunciano, con facce da funerale, nuove manovre “lacrime e sangue”, tutte tasse, tagli e sacrifici per rilanciare la crescita? E’ la fine di un’era e di grande illusione collettiva. Negli ultimi trent’anni, grazie alla pubblicità e al frenetico sviluppo dei mass-media, abbiamo subito un autentico lavaggio del cervello ed è avvenuta una vera e propria mutazione antropologica. Si è passati dall’homo sapiens-sapiens all’homo consumans. Ci hanno illuso, e noi ci siamo lasciati illudere, che la crescita sarebbe durata all’infinito e che più cose avessimo comprato, posseduto e consumato e più noi saremmo stati felici, ma così non è stato.
Numerosi studi di socio-economia, condotti sulla società americana, la più ricca, avanzata, spendacciona e consumistica del mondo, hanno evidenziato il “paradosso della felicità”: soddisfatte le necessità primarie, oltre ad un certo livello, con l’aumento della ricchezza diminuisce la felicità. Perché con l’aumento della ricchezza tende ad aumentare anche l’egoismo, l’individualismo, la diffidenza e lo stress e diminuisce il tempo da dedicare agli altri, alla famiglia e alle relazioni sociali. Tutti noi abbiamo quotidiana esperienza di quanto sappiano essere generose le persone di condizioni sociali medio-basse. Spesso chi più ha meno dà, senza nulla togliere a chi sa condividere le proprie ricchezze con gli altri, ma questa più spesso è l’eccezione e non la regola. D’altronde, se i ricchi e super-ricchi fossero tutti un po’ più generosi, non ci troveremmo a questo punto. Abbiamo creato una società e “un mondo diviso in due stanze: in una si spreca, nell’altra si crepa” (Benedetto XVI). Al piano basso c’è una stanza piena di poveri, affamati e anche un po’ arrabbiati. Al piano alto c’è una stanza dotata di ogni comfort dove vive una elìte di ricchi o benestanti, spesso depressi e stressati per la paura di perdere il loro benessere. Infatti sempre più persone stanno scendendo al piano basso e le mutate condizioni generano maggior depressione oppure rabbia. Tutto questo mentre l’edificio trema per le continue scosse di terremoto in borsa e rischia di crollare lasciando solo desolazione e macerie. Non si può continuare a negare l’evidenza: l’attuale sistema economico-finanziario è giunto al capolinea e sta fallendo perchè non è più sostenibile sia dal punto di vista sociale che ambientale. Non è possibile una crescita infinita in un mondo finito. La nostra impronta ecologica sul pianeta è insostenibile e stiamo varcando il punto di non-ritorno. Le misure messe in atto per rilanciare la crescita (tagli, tasse e sacrifici) non sortiranno alcun effetto perché è come cercare di rianimare un moribondo a bastonate. I politici, corresponsabili della crisi sia perché hanno lasciato che la finanza prendesse il sopravvento, senza porre alcuna regola o limite alle speculazioni, sia perché hanno creato l’immenso debito pubblico, sono patetici e anche un po’ ridicoli perché fino all’ultimo hanno cercato di negare o esorcizzare la crisi (sapevano da anni quello che sarebbe accaduto) e ora non hanno la più pallida idea di come uscirne. Allora fermiamoci un momento a riflettere e cerchiamo di far entrare un barlume di luce dentro questa fitta coltre di depressione. D’altronde, arrivati a toccare il fondo, abbiamo due scelte: metterci a scavare e lasciarci seppellire dalle macerie oppure alzare la testa, tornare a pensare con la nostra testa sena seguire il “pensiero unico” e cercare un via d’uscita dal baratro in cui ci siamo ficcati per tornare “a riveder le stelle”. Perché, come recita un proverbio indiano reso celebre dall’omonimo libro dello scrittore Dominique Lapierre, “ci sono sempre mille soli dietro alle nuvole”. Allora cerchiamo di sgombrare un po’ di nubi e cerchiamo qualcuno di questi mille soli. Per uscire dalla crisi serve una nuova visione, un radicale cambio di mentalità, un salto di paradigma culturale.
Non si può pensare di risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare senza adottare nuovi strumenti culturali e nuove categorie di pensiero e di azione. Non si può più pensare nemmeno in termini di crescita e sviluppo sostenibile, perchè siamo sempre all'interno dei vecchi schemi, sia pure in una logica più "umana" o di semplice riduzione del danno. Per uscire dalla crisi bisogna passare dalla società della crescita infinita e insostenibile a quella della decrescita felice e sostenibile. Bisogna cioè costruire, mediante scelte individuali e collettive, una nuova economia capace di creare valore economico in modo socialmente e ambientalmente sostenibile con l'obiettivo di ridurre l'utilizzo di combustibili fossili, il consumo di materie prime e la produzione di rifiuti. Bisogna ridurre il superfluo, gli sprechi e la nostra impronta ecologica. Da ciò deriva la necessità e l’opportunità di creare nuova occupazione in attività quali l'agricoltura biologica, il risparmio energetico, il recupero di materiali, la produzione di energia da fonti rinnovabili. Bisogna impostare una nuova politica economica e industriale in grado di creare occupazione di qualità e riavviare un nuovo ciclo economico. Alcuni semplici esempi concreti: ristrutturare l'intero patrimonio edilizio esistente secondo criteri di efficienza energetica, puntare sulla microcogenerazione diffusa di energia, investire in tecnologia e ricerca in campo energetico e ambientale. Tale nuova economia richiede una riforma radicale della finanza, che dovrà necessariamente diventare etica, ovvero attenta alle conseguenze sociali e ambientali dell’agire economico. Ma soprattutto richiede un profondo ripensamento individuale e collettivo, una revisione della nostra scala di valori, deformata da trent’anni di pensiero unico neoliberista. Richiede di tornare a pensare al plurale, riscoprire l’altro, riscoprire la bellezza delle relazioni, perché “non si può essere felici da soli” (Raoul Follereau). Capire che la qualità della vita non dipende dal PIL e che i valori veri sono quelli che non sono quotati in borsa e proprio per questo non si svalutano mai, anzi valgono sempre di più, perché divenuti merce rara. Se riusciremo a ripensare al nostro modo di stare al mondo, di produrre e di consumare, potremo guardare al futuro con maggior ottimismo perché abbiamo un grande patrimonio cui attingere, che affonda nella nostra storia e nella nostra cultura umanistica. Scopriremo così che con meno si può vivere meglio ed essere tutti più felici.

Maurizio Pallante, presidente MDF
Luca Salvi, circolo MDF di Verona

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