martedì 10 gennaio 2012

Recensione del romanzo "Shemal" - Chimienti editore


Dalla quarta di copertina apprendiamo che l’Autrice, insegnante, vive e lavora a Castelnovo ne’ Monti ed è alla sua prima esperienzacome narratrice. Romanzo, dunque, questo, e romanzo storico, ma che per qualcheverso si lega al libro di Hartman (David Hartman, “Sub specie humanitatis”-Elogio della diversità religiosa- Aliberti editore) avendo al suo centro iltema della diversità: da quella degli ebrei nei secoli perseguitati dal mondocristiano a quella dei nativi americani oggetto di sterminio da parte dei conquistatori.

Il romanzo si svolge infatti sul finire del secolo XV, con la scoperta dell’America e la persecuzione e cacciata degli ebrei dalla Spagna“cristianissima”. Una Spagna in cui imperversa l’inquisizione di Torquemada e dove Elvira, la protagonista centrale della narrazione, come ebrea convertita,e dunque “marrana”, subisce, resistendo però con fierezza, le torture degli inquisitori domenicani, che le vogliono far confessare di “giudeizzare”segretamente benchè battezzata: Una vicenda, quella di Elvira, che comincia in Spagna e si conclude a Roma, dove un Torquemada tormentato da antichi einconfessabili ricordi finisce per salvare dal rogo Elvira e il suo sposo Juan.

A sinistra, Antonio Zambonelli

Questo uno dei fili di una più complessa trama narrativa che ha tra i protagonisti lo stesso Cristoforo Colombo, ed è costellata di dotte citazioni storico-teologiche, con incursioni anche nell’islàm, nonché di rimandi a temi di viva attualità, ivi compresa la condizione della donna, la violenza del potere, la ricerca della ricchezza ad ogni costo.

Talchè si avverte come l’Autrice sappia mettere a frutto una cultura storica ed anche linguistica (citazioni latine, arabe, spagnole) per far lievitare da un lontano passato una più matura consapevolezza rispetto alle sfide del presente.

(Antonio Zambonelli, direttore del notiziario Anpi, esperto in cultura ebraica)

Dalla prima presentazione di Shemal alla Biblioteca Rosta Nuova di Reggio Emilia


Antonio Zambonelli

Anche a Reggio, presso i chiostri degli Stalloni, o chiostri di san Domenico, c’era il convento dei domenicani e c’era la sede del tribunale della santa Inquisizione. La chiesa di san Domenico è in piazza san Domenico, tutto il complesso che c’è attaccato ha subito delle modificazioni nel tempo, ma all’interno ci sono ancora i chiostri antichi: lì c’era la sede del tribunale della santa Inquisizione. E gli archivi sono pieni, anche per quel che riguarda Reggio, di vicende molto simili a quelle raccontate in questo libro. Solo che, fin qua, quasi nessuno si è occupato di questi aspetti per quanto riguarda la realtà reggiana, voglio dire della diocesi reggiana.
A Reggio gli ebrei erano circa un migliaio, vivevano proprio solo in centro città, in via san Rocco, in tutte le vie che scendono verso la via Emilia. Durante la fine del ‘600 si apre il ghetto, prima erano sparsi per la città. Erano continuamente tartassati perché si convertissero, perché diventassero cristiani. E per farli diventare cristiani, per esempio, avevano l’obbligo a turni, a squadre, di andare in duomo una volta alla settimana per ascoltare delle violente prediche che frati predicatori di vario genere facevano loro per indurli a convertirsi. Gliene dicevano di tutti i colori: ci sono ancora le tracce delle prediche che venivano fatte. Nell’archivio capitolare si trovano documentazioni di questo tipo. A Reggio ci sono i documenti della comunità ebraica, è uno degli archivi più ricchi d’Italia, poi ci sono gli archivi della curia, ai quali, però, è complicato avere accesso. Tuttavia, se uno si legge con attenzione anche i libri di uno storico cattolico come Sandro Spreafico, molto onesto e scrupoloso, libri della storia della Chiesa che riguardano il ‘700, ci sono degli accenni a vicende come quelle dei battesimi forzati. Lui magari li mette in forma interrogativa, con quel suo modo che ha di fare delle interrogazioni, che ci fanno capire che la risposta è sì, ci sono stati i battesimi forzati, ci sono state le persecuzioni. In duomo ci sono anche le celle dove imprigionavano i preti, quelli che sbagliavano, e ci sono gli atti dei processi ai preti…Sui processi dell’Inquisizione sono usciti molti libri che riguardano il Veneto o altre zone d’Italia, processi alle streghe. Era il braccio secolare che si occupava della condanna a morte, non la Chiesa. Questo è interessantissimo, perché è lo stesso atteggiamento che hanno avuto, da un certo punto in avanti, i nazisti nello sterminio degli ebrei. Non doveva più essere il soldato nazista delle SS, che si sporcava le mani, a spingere gli ebrei nelle camere a gas. Dovevano essere degli altri ebrei, i Kapò. Uno dei quali è sopravvissuto, abita a Roma, è venuto anche a Reggio; aveva 17 anni all’epoca. Dovevano essere loro stessi a sporcarsi le mani. I tedeschi dovevano vigilare e basta, in distanza. Dare l’ordine e rimanere con le mani pulite. Dopo i primi massacri fatti nell’oriente europeo, in Ucraina eccetera, i soldati tedeschi andavano in crisi di fronte ai macelli fatti all’aperto (trentamila ebrei ammazzati nei pressi di Kiev all’inizio dell’aggressione avevano creato un clima spaventoso). Quindi il meccanismo è simile: il tedesco è puro, è di razza ariana, e non deve sporcarsi le mani. E lì c’è qualcosa…il braccio secolare…senza spargimento di sangue…bruciarli col fuoco, perché così non c’è spargimento di sangue. A Reggio c’è stato un famoso processo ad una strega, ce ne sono stati diversi, ma ce n’è uno in particolare, Gabrina degli Albeti, la più famosa. Dal suo nome è nato un sodalizio di storiche, pensatrici femministe che si è intitolato a lei. A volte gli Ebrei venivano fatti convertire forzosamente; ci furono anche a Reggio casi di sottrazioni di bambini alle famiglie ebraiche perché si diceva che una domestica, per esempio, l’aveva battezzato di nascosto. E se il bambino è battezzato non può più rimanere presso la famiglia ebraica  finchè non sugga col latte materno la perfidia giudaica, dice testualmente in latino curialesco il documento dell’epoca. Anche da noi, nella nostra realtà sono accadute cose simili a quelle raccontate in questo libro. Il quale libro mi ha colpito anche per la struttura intrigante, perché ci si potrebbe estrapolare tutta una serie di notizie e costruire un saggio storico: sulla condizione degli ebrei, della donna, sulla misoginia che ha caratterizzato una certa epoca e che dura ancora. Tutto inserito in un romanzo, il quale è costruito con una struttura da sceneggiatura di film. C’è questo veloce passaggio di situazioni. Si parte dal deserto, da questo Malfante, banchiere nel deserto del Sahara in cerca dell’oro, e poi si salta a tutt’altra situazione in un altro posto del mondo. E così via. Questi passaggio sono, direi, molto cinematografici in senso moderno. Sono salti che ti spiazzano leggermente, ma che poi attirano ancora di più l’attenzione. La costruzione del romanzo è interessantissima. Poi, per fare sempre l’eretico, volevo dire un’altra cosa. Mi pare che in un punto si parli di questa femminilità così tenera che c’è nel personaggio della ragazza marrana perseguitata, Elvira; c’è tenerezza e, ad un certo punto, si parla anche della maternità di Dio. E’ un concetto che può sembrare strano ma, per saltare a tempi recentissimi, un papa, papa Luciani, papa per trenta giorni, disse: “Dio è padre e madre”e un grande ebraista e biblista (anche grande islamista) ha tradotto la bibbia in francese dall’ebraico e, quando si dice Dio misericordioso, in ebraico si dice letteralmente “uterino”, ebbene: lui l’ha tradotto con la parola francese “matrissienne”, da “matrice” “utero”. Lui ravvisa, in questa parola ebraica dell’antico testamento un’indicazione di maternità, oltre che di paternità nella figura di Dio. Concezione del divino che ha avuto espressione niente meno che in un papa, papa Luciani. Una cosa che da laico mi interpella. Elvira ha una cultura ebraica in senso antropologico: aveva ereditato delle abitudini delle quali, però, non conosceva la ragione, dalla nonna, come il lavacro del corpo, come il non mangiare il maiale. Poi, invece, la sua forza è molto cristiana: in certi momenti tira fuori il vangelo, il Cristo che è Amore. E’ interessante la conservazione della memoria delle parole avvenuta tra gli ebrei, gli ebrei marrani. C’è un bel libro autobiografico di quello che fu il rabbino capo di Roma, Elio Toaff, erroneamente indicato come il rabbino capo d’Italia, quando non esiste il rabbino capo d’Italia. In un suo libro racconta della guerra, dei partigiani, poi dice che, nel dopoguerra, andò in Olanda per un incontro con altri rabbini, e che si presentarono a lui, nell’albergo dov’era, dei calabresi emigrati là. I quali gli dissero che erano ebrei, anche se erano ufficialmente cattolici. Erano discendenti di quei marrani cacciati o convertiti a forza nella Calabria del 1492. Avevano mantenuto memoria delle parole, delle preghiere, attraverso i secoli. Questi, poi, sono rientrati, si sono riconfermati nell’ebraismo, dopo che i loro antenati, più di 400 anni prima, si erano convertiti per non subire persecuzioni. Ci sono stati degli ebrei, in Spagna, che sono ricordati nella memoria ebraica ancora oggi, come coloro che hanno santificato “il Nome”, con la maiuscola, accettando la morte piuttosto che convertirsi. Come i martiri: testimoniare la propria fede fino all’effusione del sangue. Moderno, il romanzo, in questi piani che passano di qua e di là, ma che ha anche una struttura astutamente costruita come i romanzi di fine ottocento, non è spregiativo se dico come il feuilleton. Questi personaggi che partono uno di qua e uno di là, e poi ci sono gli incontri, i riconoscimenti, il ritrovarsi. Anzi, alla fine si ritrovano tutti. Il Malfante che prima era in mezzo al deserto del Sahara, Elvira che ha subito quel che ha subito per farla confessare, il suo sposo che si era perso di vista…Si ritrovano tutti in Italia, a Roma. Anche questo è molto bello, è voluto, non è una cosa casuale, è costruito. Si sente che è una citazione…quasi come Umberto Eco: quando costruisce i romanzi dice: “Vi faccio vedere come si costruisce un romanzo.” Ha uno schema e lo riempie di contenuti. A me è parecchio piaciuto questo libro, e immagino che per chiunque possa essere occasione, se non altro, per godere la lettura. Qui dice, Franco Porsia, che più che il valore letterario…insomma, fa un ragionamento di questo tipo. Ma sentendo la lettura che ne ha fatto la nostra amica attrice, si sente come anche la scrittura sia, invece, letterariamente piuttosto sostenuta. A me hanno colpito certe descrizioni: il vento che lavora le dune del deserto, oppure questa descrizione di Roma con le pecore che vanno a pascolare…Sembra quasi di leggere certe pagine di viaggiatori del ‘600 che passavano dall’Italia , vedevano questa Roma e l’hanno descritta vari personaggi importanti. Sono pezzi, secondo me, pregevolissimi di prosa, anche da antologia che si possono tirar fuori, come il vento che si lavora le dune, questa carezza che passa su dune che hanno forme quasi femminili, di rotondità. Lo trovo un libro che si legge “utilmente” per più versi. Godibile dal punto di vista letterario e che induce delle non banali curiosità per capire meglio, poi, e approfondire certe cose che saltano fuori qui dal punto di vista storico e che riguardano la condizione ebraica, la condizione della donna, che riguardano quel tempo lontano e che riguardano anche l’oggi.  A vantaggio della Chiesa bisogna dire che è durato a lungo l’antigiudaismo un po’ crudele, nei secoli, ed è, tutti lo sanno, il Concilio vaticano secondo che dice basta con l’accusa di deicidio. L’accusa di deicidio, cioè l’essere colpevole della morte di Dio, gravava sul capo di tutti gli ebrei fino alla fine dei tempi. Il concilio vaticano secondo, dopo quella tragedia spaventosa che è stata la shoà, la distruzione degli ebrei d’Europa, ci hanno riflettuto, hanno detto che era ora di finirla con questa storia degli ebrei deicidi. C’è un bellissimo libro del cardinal Agostino Bea, scritto mentre c’era il concilio in corso, che argomenta, in parole semplici: “Saranno stati colpevoli quei 25, 30, 50, 60 che hanno detto sì, uccidete lui e non il ladrone, saranno colpevoli gli altri duecento, ma anche altri ebrei che erano là in giro per quella terra e non ne sapevano nulla, e soprattutto i discendenti di quegli ebrei, non possono essere considerati colpevoli. Non si può ereditare quella colpa in quel modo.” La Chiesa dice basta con l’antigiudaismo, e Giovanni XXIII fa togliere dal rito romano la preghiera pro perfidos judeos , perché si convertano i perfidi giudei. Non a caso il papa attualmente regnante ha poi chiesto perdono per delle cose che dei cristiani hanno fatto. Andava detto, perché la Chiesa non è più come allora, tant’è che abbiamo dei sacerdoti come don Eugenio. 



Don Eugenio Morlini

La pagina che mi ha inquietato abbastanza è quella dove appare il popolo manovrato, diremmo ora “dai media”, un popolo che diventa persecutore, che diventa cattivo, violento. E che a un gesto di Torquemada, questo grande inquisitore, il potente di questo potere indemoniato qual era l’inquisizione allora, si calma, se ne va ed Elvira e Juan sono liberati dal rogo. A me questo popolo mi angustia ancora di più proprio perché non riesco, data la mia esperienza di vita, non riesco a vederlo così. Mi ribello. Quando arriva Cristoforo Colombo, perché è ambientato in quel tempo, arriva finalmente, dopo mesi di viaggio e sofferenza alla terra che battezza Hispaniola, l’America, trova questo popolo di Indios, che sono pacifici, accoglienti. D’altra parte, una parentesi, nelle risposte di questa Elvira, ebrea discendente di ebrei, alle domande dell’inquisitore, una delle risposte forti che viene proprio dalla cultura ebraica, è la preoccupazione per la “persona”, E’ un dibattito molto moderno, viene da Aristotele, ma è moderno. Noi parliamo del “materiale” e dello “spirituale”, distinguiamo queste cose, separiamo, sezioniamo la persona, invece lei risponde varie volte facendo appello alla persona, al valore della persona. Ora, gli Indios hanno molto di questo. Dicono addirittura che gli Indios siano discendenti di Ebrei. Nella loro cultura, nella loro forma religiosa avevano l’attesa di un messia, avevano il valore della persona, avevano cose che si ritrovano molto nella cultura ebraica. Allora questo popolo di Indios che è accogliente, gli Indios che accolgono coloro che arrivano, sono proprio manovrati, sfruttati da tutta la ciurma di Cristoforo Colombo. Di fatto parlano di sei milioni di Indios ammazzati solo in Brasile, quindi sono molti di più. Quindi è stato un macello. Anche questa cosa di battezzare sia gli Indios e anche i neri in seguito al traffico degli schiavi… dovevano essere battezzati perché il certificato di battesimo era il titolo di proprietà dello schiavo. Un nero o un indio che non fosse battezzato era libero. Dovevano essere battezzati, il proprietario aveva il certificato di battesimo e diceva:”questo è mio!”. Commercio…vende, compra. E ancora la violenza su questo popolo, un popolo che ha rifiutato la schiavitù, ha sempre rifiutato la schiavitù. E ci hanno rimesso la pelle. Ecco perché fa star male il popolo completamente manovrato. Allora mi chiedo, siccome questo è un romanzo moderno, che riproduce le cose attuali, adesso la nostra gente è manovrata? E’ una domanda che faccio a chi ha scritto. Non la vedo così. Poi ancora la battuta finale: c’è tutta questa forza di questa donna, Elvira, della femminilità, di questo Vangelo che appare ogni tanto più nelle espressioni, nel modo di comportarsi del marito, di Juan. Lui è andato con Cristoforo Colombo e si è inorridito per come Cristoforo Colombo pensava le cose. E certe espressioni di Malfante, che era andato anche lui alla ricerca dell’oro nel centro Africa, poi là aveva imparato chissà quali cose, per cui alla fine riappare con delle riflessioni che sono interessantissime, che hanno il sapore un po’ della cultura dei sufi musulmani, almeno è presentato un po’ così. Allora queste forze, queste minoranze molto minoranze, però che sono forze che resistono, resistono al potere. Il potere: allora erano alleati i re cattolici con il “potere della verità” e la ricerca dell’oro; per me più disastroso di quello non ci poteva essere nient’altro! Adesso, secondo me, non siamo in questa situazione. Io chiederei all’autrice di scrivere un altro romanzo con delle prospettive migliori! Le minoranze di oggi, dove le troviamo? Questo popolo che è manovrato dai media eccetera, è soltanto manovrato o ha una sua resistenza? Dove troviamo il senso della resistenza, oggi, che riesca a scalfire, non solo come un momento di amore, come l’angoscioso momento di amore, io lo chiamo, ma come la proposta liberante da questo potere che anche oggi è molto forte? Quei nove anni vissuti con il movimento della riconciliazione in Kossovo-dopo la guerra scatenata dalla Nato ha affossato tutto- era un’esperienza bellissima. Quella del Sudafrica…l’esperienza brasiliana, secondo me è interessantissima, è un cammino inarrestabile. Di fatto non ci sono mai state grosse sommosse in Brasile, però è un popolo che avanza, fino ad avere un presidente che poi durerà poco, però, di fatto, è stato eletto da un popolo povero, che ha fatto dei cammini in un’esperienza democratica dove la dittatura ha sempre dominato. In un’esperienza nonviolenta. Secondo me ci sono nel mondo dei popoli che non si lasciano manovrare dagli interessi del potere.   

A me piace tantissimo la Chiesa, perché le porte della chiesa non fanno santi nessuno. Qui uno entra con tutti i drammi, i furti che ha fatto, gli assassini, può entrare in chiesa liberamente, nessuno lo caccia fuori. Vuol dire che non è una Chiesa che è slegata dalla realtà, ma che è incarnata, è dentro a tutti i conflitti, a tutte le cose in cui l’uomo è dentro. E nella Chiesa io trovo Gesù Cristo e trovo il Vangelo. Per cui, lì, io sono sempre messo in discussione nelle mie azioni. Quindi ho sempre la possibilità di fare un passo avanti. Per tornare agli indios, si pensava che gli indios e i neri non avessero l’anima, quindi potevano essere commercializzati, venduti, comprati…C’è addirittura un gesuita (santo) che nel 1560 fa dei discorsi dove difendeva la natura umana e l’anima degli indios …tanto per dire un po’ com’era la situazione allora, le cose che circolavano allora. E Bartolomè de Las Casas si è ribellato. Ogni chierico doveva avere come mantenersi dappertutto, in qualsiasi parte del mondo, e là nelle Americhe doveva avere una piccola fattoria con gli schiavi che lavoravano per lui, per mantenerlo. Lui si è ribellato a questa situazione. E ha chiesto alla corte di Spagna di liberare gli indios che aveva nella sua fattoria, di considerarli fratelli. Fu poi richiamato in Europa per questo, e in Europa, in Spagna, ha cominciato a predicare difendendo la libertà degli indios e dei neri. In seguito è tornato ancora nelle Antille ed ha speso tutta la sua vita in difesa dei fratelli indios. A quei tempi era proprio un profeta, nessuno pensava ciò che pensava lui. La cosa che vorrei rimarcare, rifacendomi al romanzo, e che mi sembra molto importante, è il fatto della cultura di questa Elvira. Elvira conserva la sua cultura ebraica, ed è interessante, perché è ciò che le dà forza, che le permette di resistere. Almeno io la leggo così. Di fatto, nell’esperienza brasiliana, la cultura è una cosa molto importante. Sono stati proibiti fino al 1977/78, quando io ero in Brasile, i culti africani per i neri; sono stati proibiti e se uno li esercitava, le leggi erano severe, si veniva presi e messi in galera. Questo ha portato a mascherare le proprie fedi originarie, le proprie culture, con un vestito cattolico. Per cui ci sono gli spiriti animasti dei neri che hanno preso i nomi dei santi cattolici; facevano la festa di santa Barbara, invece era lo spirito del fuoco. Ciò ha permesso agli schiavi neri di vivere con speranza, perché quando sono stati liberalizzati i culti, hanno cominciato a celebrarli addirittura con delle parole africane originarie. E la persecuzione era stata micidiale. Non erano state solo due o tre generazioni…ma 400 anni. E’ venuto fuori proprio lo spirito di queste religioni, di queste fedi animiste. Vuol dire che la cultura, almeno in quel che io ho capito, è più forte di tutte le dittature, di tutti gli eserciti… Mi ha fatto piacere vedere che la cultura ebraica in Elvira, seviziata e martoriata, viene fuori e le dà una forza enorme. Lancio anche un messaggio: sono convinto che oggi dobbiamo proprio puntare molto sulle culture, sulle loro differenze, sui loro valori, permettere un dialogo tra loro. E una nuova speranza viene proprio dal dialogo tra le culture. E i profeti come Bartolomè de Las Casas, secondo me, sono quelli che preannunciano quello che avverrà dopo: facendo appello al Vangelo come lui faceva, davvero noi possiamo far camminare l’uomo nella sua libertà, nella sua dignità. L’uomo che è immagine di Dio.

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