A lei, Maria, l’uomo parla in dialetto. Riportiamo la struggente preghiera in italiano, ma come non pensare a Bernadette Soubirous che, con “Quella là”, “Aquèro”, discorreva in patois, il suo dialetto?
“Buona sera, Maria. / Voi siete piena di grazia,/ io son pieno di malvasia. Voi avete una corona di rose/perché un branco di disgraziati/vi ha ammazzato il figlio in croce./ lo sono da solo, qui in terra,/ da quel giorno che una fucilata /ha ammazzato mio figlio in guerra./lo e voi siamo qui che ci facciamo consolazione/una sera dopo l'altra/cercando di dare un po' di perdono./Voi si vede bene che l'avete già fatto / ma io ancora non ci sono riuscito / e forse per questo dicono che sono matto./ Ma credetemi Madonnina mia, / che è pur dura da fare/tutte le sere questa brutta via./ Vi saluto, Maria”.
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Gianun |
Giovanni Borghi: povertà e impegno politico
Cercando informazioni sul quel poveruomo, grazie ad Anna Maria Morotti, di Saccaggio, siamo risaliti a Laura Borghi, la quale vive in Liguria fin da ragazzina. Scopriamo così la storia di suo nonno Gianùn e, a intuito, il motivo che lo induceva a fermarsi a bere all’osteria. In più, comprendiamo perché non mancasse mai, prima di rientrare a casa - nonostante fosse un socialista anticlericale, sia pure rispettoso del papa! - di confidarsi con la Madonna di Palareto. È una storia di immensa miseria, di guerre che avevano segnato Giovanni anche nell’animo; dell’ultimo conflitto mondiale che aveva visto una orrenda strage a Saccaggio. Ed è probabilmente un ragazzo del paese, ucciso dai nazifascisti proprio davanti a casa di Gianùn, dopo essere stato attirato in un tranello , quel “figlio ammazzato” di cui il poveruomo parla; non figlio suo, ma figlio del paese, figlio di tutti: un ragazzo... È una storia di povertà, la sua, ma anche di desiderio di giustizia, oltre che di un amore infinito per la propria donna: Brigida. Grandi occhi scuri, belle gote, labbra piene e capelli folti, crespi, Brigida era la moglie di Gianùn. Per tutta la vita Giovanni la definì non “mia moglie”, ma “la mia principessa”. E fu lui ad occuparsene quando la demenza la obbligò a stare chiusa in casa.
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Cartolina dal fronte |
Laura Borghi, i nonni e la guerra
Laura, che il nonno chiamava “bionda”, così lo ricorda: “I miei nonni erano già anziani, o forse era il loro aspetto poco curato a ingannare. Del nonno risaltavano gli enormi baffi all’ingiù, il suo camminare dinoccolato, il cesto al braccio, mentre mia nonna, che aveva una demenza, stava sempre a letto. Nonna Brigida usciva solo di notte: in paese non c’erano pericoli e non disturbava. Mio nonno, essendo impegnato in politica come socialista, andava per i paesi a tenere comizi nelle piazzette o lungo le strade. Lo vedevo parlare, parlare per ore… era un oratore, un vero comiziante”. Il fatto di sangue che riguarda il ragazzo trucidato davanti a casa di Gianùn lo ha ben descritto Elena Bonini, figlia di Lidia Pellegrini e nipote di quel ragazzo: “Era quasi l’alba del 30 agosto 1944, a Saccaggio, piccolo borgo arroccato sull’Appennino reggiano. (...) Arriva da lontano un delatore, travestito da compagno di lotta, con il fazzoletto rosso al collo. Arriva senza far rumore, senza chiasso e bussa alla porta di Luigi Pellegrini e Olimpia e dei loro dieci figli. (…) Sapeva quale era il suo compito perché agli ordini di guerra bisogna ubbidire. ‘Bussano alla porta’, dice Luigi. Olimpia si sveglia di soprassalto. ‘Marino dov’è?’ ‘Nel suo letto’.‘Non aprire’, dice Olimpia. Ma sono suoi compagni, sono i partigiani. Hanno il fazzoletto rosso al collo. ‘Mamma, devo andare, sono i miei compagni. Devo andare’, dice Marino e si veste in fretta. Mangiano e bevono, si alzano ed escono. Marino li segue sbucciando un uovo sodo, varca la soglia di casa, avvicina l’uovo alla bocca, ma il traditore gli punta la pistola alla fronte e spara. La madre dietro di lui tenta di sorreggerlo, ma Marino cade a terra in un lago di sangue. Il dolore e le urla della madre svegliano il piccolo borgo. Il traditore spara ancora. Maria si avventa contro gli assassini, cade a terra colpita. Stessa sorte tocca a Mirella, tredici anni, per aver tentato di salvare la sorella Maria. Il corpo senza vita di Marino giacque per giorni e giorni sotto il sole cocente di agosto, sotto i grandi occhi azzurri della madre, scortato giorno e notte da due camicie nere con i fucili puntati: ‘Guai a voi se toccate questo corpo. Deve marcire qui. È il corpo di un maledetto bastardo’.”
Il cesto dell’ovarolo
Quel giorno, era stato il presidio GNR di Felina, comandato dal vice brigadiere Fogliani, a circondare il paese, poi, lo stesso brigadiere, travestito da partigiano, aveva incontrato Giovanni Borghi (Gianùn), il cui figlio Carlo era partigiano, e si era diretto a casa di Marino Pellegrini. Seguirono gli arresti, la strage, l’incendio delle case. E quel “figlio” del paese lasciato a decomporsi sotto il sole per giorni a pochi metri dall’abitazione di Gianùn. Oggi scenderebbero in campo gli psicologi per aiutare a elaborare il trauma; allora c’era solo da pensare a sopravvivere. Il cesto che Gianùn portava sempre al braccio era, infatti, la sua bottega: dentro c’erano le uova e la verdura che andava a vendere nei borghi vicini. Aveva solo il pollaio e una mucca, non aveva terreni agricoli, dunque si arrangiava con questi piccoli commerci o scambi: uova in cambio della farina, per esempio. Laura dice di aver visto i nonni sempre molto poveri: “Le mucche in realtà erano due, una era del nonno, una di mio zio Daniele, quindi vendevano anche il latte…”. Dovendo occuparsi della moglie malata, Gianùn non poteva lavorare in modo stabile e rimediava cercando solo, in qualche modo, di procurarsi il cibo. Nel camino, attaccato alla catena, Gianùn teneva costantemente un paiolo di rame dove buttava di tutto, dalla verdura alla frutta; in quel modo, cucinava degli strani minestroni. Quindi: galline, uova, latte, frutta quando era la stagione giusta e minestroni: una economia di pura sussistenza.
Emigrare per uscire dalla miseria
Quando i genitori di Laura decisero di lasciare Saccaggio, lei aveva quattro anni. Il papà Carlo, che in paese si dava da fare come bracciante, aveva trovato lavoro all’isola d’Elba e, poiché i figli erano tre e migliorare la situazione economica restando lì era impossibile, si trasferirono. Uno dei fratelli di Laura restò fino a dodici anni con gli zii, mentre lei e l’altro fratello finirono in collegio a Genova. Dati i tempi, pur con la durezza propria del caso, il collegio permise a Laura di studiare e di ricevere una formazione anche etica che le consentì di evitare, poi, le “insidie del mondo”. Ogni estate ritornava a Saccaggio, ancora oggi suo luogo del cuore. La accoglieva l’amata zia, la quale, però, cercava di tenerla lontana dai nonni, dato che Gianùn aveva ormai un problema serio con l’alcool. Se ci si riflette, probabilmente l’abuso di vino era l’unico modo per anestetizzarsi e rimuovere i traumi dovuti a una realtà troppo angosciosa. D’altra parte, Giovanni era stato uno dei pochi giovani tornato vivo dalle trincee della “Grande guerra”… E chissà quanti “figli”, quanti ragazzi aveva visto morire accanto a lui!
Comiziante e poeta
Gianùn non solo teneva i comizi, ma sapeva anche verseggiare, aggiustando qualsiasi frase con la rima, quindi i figli oggi pensano che quella “preghiera” sia nata da questa sua abitudine e abilità. Da una intervista a don Raimondo Zanelli del 19 marzo 1994, apprendiamo altri particolari su questo personaggio: “Gianùn da Sacagg è una figura tipica che va ricordata insieme a questa maestà. Era un tipo originale, una figura caratteristica, ma un buon uomo anche se, per queste sue idee socialiste aperte, lo chiamavano Prampolini. Gli facevano fare dei discorsi improvvisati che diventano poi delle comiche. Era un uomo di sentimenti buoni, anche cristiani. Raccontano di questo Gianùn che, quando si sposò, portò sua moglie a Santa Maria Maddalena, sopra Saccaggio, dove c'è una grotta naturale chiamata, in dialetto, ‘e lac Furne’, cioè Lago Forno, vicino al luogo
dove si venerava Santa Maria Maddalena. La leggenda racconta che santa Maria Maddalena sarebbe andata a fare penitenza lì dentro. Qualcuno anche dice che il culto di santa Maria Maddalena abbia sostituito un rito a Venere o a qualche altra divinità femminile pagana. Lui avrebbe portato la moglie lì, la prima notte di matrimonio, in un letto di foglie, dicendo: ‘Ecco, o Teodora (in realtà si chiamava Brigida), questa è la tua dimora’. I suoi discorsi improvvisati, strafalcione su strafalcione, erano una commedia. Dicono che alla Gatta era montato su un muretto e aveva iniziato il discorso dicendo: ‘Popolo ignorante della Gatta, volta il culo al Secchia e a me la faccia’. Un'altra volta, nel sagrato della chiesa di Felina, gli hanno chiesto di fare un discorso e gli hanno detto: ‘Parla anche in latino’. E lui avrebbe detto, a un certo punto del dicorso: ‘Et sussipì et in sussipé, et in triste minì’. Il popolo avrebbe detto: ‘Che cosa vuole dire, Gianùn?’ E lui: ‘Vuol dire: la morte è una ben triste malattia!’
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Grotta del Lagoforno |
La maestà di Luigi Zanelli
Sempre dall’intervista a don Raimondo: “Proprio a metà di quella che è detta ‘La Costa di Palareto’, in una posizione panoramica, c'è un quadrivio: la strada appunto che scende da oltre il monte, dalla vallata del Secchia, e va verso Felina e poi verso Castelnovo ne' Monti; la strada che giungeva dalla chiesa parrocchiale di Felina e, attraverso Ramusana, portava a Pontone. Un tempo Pontone confluiva moltissimo su Felina. Il luogo degli acquisti dei suoi abitanti era soprattutto Casa Perizzi, dove c' era un grosso centro di macellazione dei maiali e i poveri vi andavano a prendere il sangue perché costava poco. Insomma, c' era tutto un via e vai che rendeva il quadrivio una posizione felice. Un tempo, poi – siamo nel secolo scorso –, tutti questi terreni che circondano il quadrivio erano proprietà di un certo Luigi Zanelli, il quale ha voluto costruire questa maestà, per sua devozione. Accadde nell'anno 1885, come, se non sbaglio, è indicato nella data nella parte superiore della maestà stessa. Sotto invece c'è quella scritta, comune a molte altre maestà del felinese: ‘Fermati o passegger, il capo china, saluta Maria del Ciel Regina’.”
Oggi, la via è percorsa soprattutto da chi sale fino alla panchina gigante del Fosola, ignaro della storia dei luoghi e dei suoi abitanti e del perché persino un socialista anticlericale come Giovanni Borghi sentisse il bisogno di fermarsi a pregare Maria.
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