L’ultima scoperta di Umberto Gianferrari, frutto di mesi di appostamenti. Un rapace raro, che si nutre di serpi e che, dall’Africa sub sahariana, arriva in Italia per nidificare
Di serpenti piumati, oppure di uccelli con coda di serpe, è piena la mitologia di tutte le genti del mondo. Anche sui nostri monti sono stati rilevati strani avvistamenti di rettili con ali; per esempio, a Montemiscoso: “Dopo che il Barbarossa lo distrusse (si parla di un castello) per andare ad abitare il castello di Nigone, si dice che ogni notte, verso mezzanotte, dai ruderi si staccassero dei serpenti alati, chiamati "serpenti galli", con sulla testa una cresta trasparente che custodiva una preziosissima gemma. Si dice che uno di essi sia stato preso sulla Sparavalle. È una leggenda che i vecchi affermano essere verissima...”

Sul crinale, come poi in Toscana, si racconta anche del “regle”, mezza serpe e mezzo uccello. Il sospetto che i nostri antichi progenitori avessero visto un rapace in volo con un serpente tra gli artigli, o nel becco, e avessero fuso i due animali in uno, creando, appunto, un rettile alato, è più che plausibile.
L’aquila dei serpenti
La domanda è: ci sono rapaci che catturano serpi? Certamente, e il più grande, quello che somiglia a un’aquila - ma più chiara e biancastra - è il falco biancone. Con circa 5900/14000 coppie in Europa, i bianconi sono veramente rari. Il suo nome latino, “Circaetus”, deriva dal greco “kirkos”, “falco”, e “aëtos”, “aquila”, mentre l’aggettivo “gallicus” fa riferimento alla Francia, forse perché, migrando dall’Africa, il biancone passa per Gibilterra e poi per la “Gallia”.
A “caccia” fotografica del biancone è andato, per mesi, in luoghi dove “an gà va gnân la vùipa a far campàgna”, il nostro studioso di avifauna Umberto Gianferrari, e l’antefatto è questo: “Circa un anno fa ero dalle parti di Villaberza con la mia macchina fotografica da 24 ingrandimenti ottici, quando ho visto, in lontananza, un biancone volare con un rettile enorme tra gli artigli. Avrei voluto fotografarlo, ma era troppo distante, troppo in alto, quindi ho rinunciato, dandomi, come obiettivo, quello di riprovarci. Alcuni amici fotografi, in quel periodo, mi suggerirono di acquistare una Nikon Coolpix P 1000, più adatta a quelli come me… Cioè, a quelli che hanno il piacere di fare una foto per documentare ciò che vedono, senza pretendere che sia la foto del secolo. Tuttavia, una fotocamera con tanti ingrandimenti ottici consente di catturare immagini discrete anche senza avvicinarsi troppo al soggetto. Alla fine, mi hanno convinto e l’ho comprata. Questa Nikon ha 125 ingrandimenti: più di 5 volte la macchina che avevo prima. Il biancone, che avevo osservato in cielo con il rettile penzoloni, mi era rimasto nel cuore, così mi sono dato da fare per cercare di fotografare sia lui sia il rigogolo (anche quest’ultimo difficilissimo da riprendere)”.
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Umberto Gianferrari in appostamento |
Il falco biancone: un aliante
Di aquila (probabilmente un biancone), in volo con un serpente tra le grinfie parla Omero nell’Iliade: il rapace era solitamente inviato da Zeus come segno. In quel caso, però, fu un presagio funesto, infatti, mentre i Troiani avanzano per difendere le navi, apparve quest’aquila con un serpente vivo tra gli artigli, solo che il rettile si girò e la addentò, così: “… via lo gittò pria che al nido tornasse, né li potè recarlo per darlo ai suoi figli in pastura, e così noi… non torneremo in pace, dai legni sul nostro cammino”. Zeus aveva in quel modo indicato ai Troiani la loro la disfatta.
I falchi, in generale, esprimono la capacità di guidare gli altri, perché dall’alto vedono bene qual è il cammino. Cercarli, potrebbe comunicare il bisogno di una guida sicura. Forse per questo Umberto era tanto attratto dal biancone? “Di lui mi attirava il fatto che sia più ‘parente’ delle aquile che dei falchi, e poi la sua apertura alare lo rende un volatore incredibile, in grado di fare tappe migratorie da 100 km ciascuna. Per darvi un’idea, se l’aquila reale arriva a pesare 7 kg e ha due metri e mezzo di apertura alare, il biancone ha quasi due metri di apertura alare e soli 2 kg di peso. Ciò ne fa una sorta di aliante che vola sulle correnti termiche senza quasi battere le ali.”
Una lunga ricerca
In ogni caso, Umberto era in cerca del biancone fin da marzo, perché quello è il periodo in cui, dal Sahara, il falco arriva in Italia, dove nidifica. Come abbiamo detto, sono pochi, sono rari, quindi trovarli è difficoltoso. Un amico di Umberto, poco prima di Pasqua, gli aveva riferito di aver visto un rapace che volava con una biscia tra gli artigli, poi scivolata e caduta sulla strada; aveva pensato a un biancone, di cui aveva sentito parlare, anche se, sia lui, sia Umberto, negli anni precedenti, da veri inconsapevoli, lo avrebbero ‘battezzato’ come “poiana”. “Tutti noi tendiamo a semplificare, a non crearci troppi problemi quindi: c’è un rapace là in alto che vola? Ha delle dimensioni importanti? Non può essere un gheppio, dunque sarà una poiana. Invece, usando più accuratezza, si può scoprire che si tratta, a volte, di un biancone. Questo se si guardano certi particolari… perché i dettagli sono sempre fondamentali”.
Ha inizio qui una storia commovente con un finale doloroso, però, che mai Umberto si sarebbe aspettato.
Finalmente il nido
Era stata una poiana a indicare, suo malgrado, il nido del biancone, e grande, travolgente era stato l’entusiasmo di Umberto: “Sono riuscito, da oltre cento metri, a fare subito delle foto alla femmina mentre stava covando. Il biancone cova un solo uovo per circa un mese e mezzo però, nel frattempo, ad aprile era nevicato. Io temevo che i genitori avrebbero abbandonato il nido per spostarsi, magari, verso il mare, dove qualche rettile era già uscito dal letargo. Invece, dopo qualche giorno eccoli sul pino silvestre; evidentemente non erano mai andati via, avevano continuato a covare. Questo mi ha portato a riflettere sul fatto che ciò che non vediamo non è detto che non esista... In quei giorni non avevo visto bianconi, ma loro c’erano e stavano covando; poi ho visto nel nido il piccolo: un batuffolino bianco. Ero felicissimo, mi sono detto: adesso crescerà, gli porteranno i serpenti, sarà bello…” Le foto che aveva scattato, intanto, venivano pubblicate e diffuse sulle pagine social di diversi quotidiani e riviste; una delle straordinarie immagini è poi finita sul National Geographic: una foto di eccezionale bellezza che ha raccolto moltissimi like. Ricordiamo che in quel gruppo ci sono i migliori fotografi del mondo, i quali hanno così potuto conoscere e apprezzare il biancone… reggiano!
E poi la grandine...
“Mi piace pensare che a sud del deserto, a fine inverno, i bianconi si chiedano, l’un l’altro. verso quali lidi migrare, e ci sia un cartello con una freccia che indica… montagna reggiana!”
Il batuffolino di piume bianche veniva, intanto, nutrito a rettili, che la madre gli sminuzzava prima di imboccarlo (il maschio non lo fa: caccia, però non sa nutrire il pullo) e tutto sembrava andare per il meglio. Umberto, un po’ zio e padrino di quel piccolo, lo osservava ogni giorno con gioia e un filo di apprensione, viste le condizioni climatiche ballerine del periodo. E aveva ragione a preoccuparsi: “Purtroppo, un pomeriggio ci fu una grandinata tremenda e il piccolo biancone non ce l’ha fatta... La sera ho visto la femmina andare comunque sul nido, ma il giorno dopo i due genitori volteggiavano in cielo, come per salutare il luogo; sul nido non sono più tornati. Se penso che a marzo erano a sud del Sahara e da là sono volati qui, tra Codena, Ottosalici, Cagnola, e Maillo, per nidificare, mi scendono le lacrime!”
Dice Umberto che i fotografi naturalisti di avifauna (quelli veri) di solito approntano un capanno fotografico a una distanza di circa cinque o sei metri dall’eventuale pozza o dal posatoio. Siccome, però, il biancone costruisce il nido su pendii scoscesi, praticamente inaccessibili, lui, anche per rispetto alla coppia che stava nidificando, ha cercato di tenersi a una distanza di non meno di 50/60 metri. Ecco perché gli serviva un’ottica con molti ingrandimenti. Tanta fatica, tanto impegno, e non riuscire a vedere il piccolo spiccare il volo è stato triste.
Tanta fatica per nulla?
“Pensate che, dal momento in cui me lo hanno segnalato, il venerdì santo, sono andato in quella vallata tutti i giorni, anche due volte e per sette ore - e più - di appostamento. So bene che è improprio parlare di ‘fatica’ , quella la fanno i contadini che tribolano con i fieni, in questi mesi. Però, proprio alcuni di loro mi dicono che non riuscirebbero mai a stare tutte quelle ore appostati, magari per nulla…”. Che cosa ha lasciato questa esperienza al nostro studioso e fotografo autodidatta? “Su questi rapaci meravigliosi ho scoperto e imparato tanto. Due cose, in particolare, mi hanno colpito: nella loro rotta di migrazione verso il Sahara si è visto, grazie all’anello Gps, che evitano volentieri i tratti di mare. Preferiscono fare più chilometri volando sulla terra ferma. Si pensa che ciò sia dovuto alle correnti termiche ascensionali che, sull’acqua, sono molto più deboli rispetto a quelle sulla terra ferma. Ecco perché scelgono di allungare il viaggio, percorrendo la rotta ad ali ferme, piuttosto che volare per tratti dove dovrebbero battere le ali e fare più fatica. La seconda cosa affascinante è che questo rapace non sarebbe immune al veleno delle vipere. Ciò fa sì che non le predi volentieri. Il biancone vola a 400/500 metri e guarda giù per vedere di individuare dei rettili. Dunque, in volo e a quell’altezza, distingue probabilmente le vipere, che disdegna, perché il loro veleno qualche problema glielo creerebbe”.
Il biancone in un buon equilibrio ecologico
Umberto è tornato, di recente, dalle parti del nido dei bianconi e ha visto che dentro c’era qualcosa di strano: qualcosa color crema che ricordava i piccoli poianini già fotografati in precedenza. “Mi sono spostato sull’altro lato della vallata, a più di cento metri, e ho scattato una foto. Incredibile! Il nido, sulla sommità di un pino silvestre, sembra ora foderato da foglie di acero. Cosa potrebbe essere successo? Una volta morto il piccolo, che poi sarà stato predato da qualche faina o altro rapace, ecco che il nido era rimasto vuoto, disponibile. Dunque, un altro falco - forse il pecchiaiolo o l’astore o lo sparviere - trovando questa “casa” abbandonata, ha pensato bene di occuparla, perché in natura non si butta via nulla. Tuttavia, essendo il nido molto grande, lo ha rivestito, quasi costruendo un ‘cappotto’ interno, con dei rametti fogliati.”
Intanto, Umberto si è spostato in un’altra vallata dove c’è la presenza di pini e ha continuato i suoi appostamenti. Fino a che… ecco un altro biancone: “Era in volo e si dirigeva verso Cola. Immagino sia andato a caccia di rettili…” Il biancone, essendo all’apice della piramide ecologica, è un po’ la cartina di tornasole che rivela un ambiente ancora naturale, ed è indicativo di un buon equilibrio tra prede e predatori, garanzia per la salute di un ecosistema.
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