giovedì 18 agosto 2022

TRACCE DELL’OCCUPAZIONE FRANCESE A PUIANELLO - 1799/AL PASSAGGIO DELLE TRUPPE NAPOLEONICHE, CIVILI TORTURATI E FUCILATI


Si narra che a Reggio tutto sia cominciato nel 1796 per un cespo d’insalata; qualche mese prima, il 2 marzo, Napoleone era stato nominato comandante dell'armata d'Italia e l’11 marzo era partito per invadere la penisola. A Reggio, il 20 di agosto, un granatiere del duca Ercole III volle comprare dell’insalata da un’erbivendola in piazza San Prospero, ma si intestardì a pagarla solo due bolognini. L’erbivendola non accettò il sopruso. Fu la miccia che innescò la rivolta: il popolo si sollevò e, la mattina del 21 agosto, Reggio fu finalmente “liberata” dagli Estensi.

“I bravi abitanti di Reggio hanno scosso il giogo della tirannia di loro iniziativa…” dichiarò Napoleone Bonaparte. In piazza Duomo venne eretto l’albero “della Libertà” (un gelso) e il 29 agosto vide la luce la “Repubblica Reggiana”. In seguito, il Bonaparte la soppresse, trasformandola in semplice “municipalità” e si costituì la repubblica Cispadana, comprendente Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, poi, con il trattato di Tolentino, in essa confluirono anche la Romagna e, successivamente, la Garfagnana, Massa e Carrara. Pochi mesi dopo, per volontà di Napoleone, la Cispadana e la Transpadana si fusero con la Repubblica Cisalpina. A novembre la nostra regione fu suddivisa in sette dipartimenti: Crostolo, con capoluogo a Reggio; Panaro, con Modena; Reno, con Bologna; Alta Padusa, con Cento; Lamone, con Faenza; Rubicone, con Rimini; Basso Po, con Ferrara. Erano dunque arrivate, in Italia, con Napoleone, “Liberté, Égalité, Fraternité ” e la popolazione aveva accolto i francesi come liberatori?

Non fu del tutto così. L’ostilità verso il regime napoleonico crebbe senza sosta e fu un dato diffuso nei ceti popolari, soprattutto a causa della destrutturazione della società e dell’economia: uno stravolgimento che, in realtà, aveva aumentato difficoltà e miseria. Inoltre, secondo ciò che riportano anche alcuni documenti reperiti negli archivi parrocchiali, nella nostra zona ci furono violenze sui civili da parte dei francesi, come, per altro, nel resto d’Italia.


Puianello e La Vecchia: fucilazioni e torture


È lo storico Giuseppe Giovanelli ad aiutarci nella lettura, traduzione e analisi delle seguenti note redatte in latino nel 1799 dall’arciprete Domenico Fioroni. Ci spiega Giovanelli: “Vezzano era il punto di ingresso delle vie per la montagna. Ciò significava gente di passaggio e osterie piene di viaggiatori che attendevano, ogni giorno, il momento giusto per passare la Campola. Nelle osterie e nello stallo scoppiavano litigi e, nel guado, sia del Crostolo che della Campola, c’era chi affogava (anche qualche felinese). Proprio per evitare questi due guadi, la strada antica saliva stando il più possibile alla sinistra della Campola, guadandola dove il restringimento del letto e l’acqua bassa rendevano più facile e sicuro attraversare.”

Non sappiamo perché siano stati catturati, uccisi e persino orribilmente torturati – torture del tutto simili a quelle delle guerre odierne - gli uomini di cui parla don Fioroni, forse per pura fatalità o forse perché scambiati dai francesi per fiancheggiatori delle truppe imperiali austriache? Queste le annotazioni sui registri:

“32. 1799. Defunti

Giorno dodici giugno 1799

11. Geminiano Vedriani di Montalto, mentre fuggiva nei boschi di proprietà delle Monache Bianche*, alla Costa, fu colpito a morte da fucilate delle Truppe Galliche e il suo corpo è stato portato in questa chiesa cadavere dopo quattro giorni in questa chiesa è stato tumulato davanti ad Angelo Medici e Giovani Baricca. (* Dovrebbe trattarsi delle monache carmelitane di Santa Teresa di Reggio).”

“Giorno tredici giugno dell’anno 1799.

Lorenzo figlio (...) Lolli di Montalto e Pellegrino Bedeschi di Viano sono stati catturati dalle truppe galliche presso il Crostolo in località chiamata La Vecchia e sono stati condotti in questa parrocchia e in particolare davanti alla finestra della casa delle sorelle Rosa e Giuseppina Volpi, Le loro flebili voci e le urla si ascoltavano dal Cielo, tuttavia in terra sono stati giudicati senza misericordia e colpiti con sei pallottole in testa hanno reso la loro anima a Dio, e i loro corpi sono stati sepolti in questa chiesa davanti ad Angelo Medici e Giovanni Baricca. Dopo aver celebrato le esequie private ecc. Giorno di grande e amara tristezza. Meglio se non fossero nati.

G. Domenico Fioroni Arciprete”

“Giorno tredici giugno 1799

13. Giacomo figlio di Francesco Bonacina e Pietro figlio di Antonio Bertoli, ambedue della Parrocchia di Rivalta, presso la Vasca sono stati fermati dalle truppe Galliche, Polacche e Cisalpine, e da loro catturati a causa dell’aquila imperiale trovata sul capo e condotti per la pubblica strada a Puianello, e ritornando quindi indietro fino alla Forche . . . . crudelmente e ferocemente colpiti con le spade e tagliate le dita dei piedi, e cavati gli occhi, in una casa del detto luogo (le Forche) e in particolare nel campo a oriente della casa di loro proprietà sono stati lasciati semivivi, sanguinanti, castrati hanno pazientemente consegnato la loro anima, e i corpi il giorno seguente sono stati sepolti in questa chiesa davanti a Giovanni Baricca e Giuseppe Cola.

Io Gian Domenico Fioroni arciprete di questa chiesa anche se queste miserabili circostanze sono avvenute lontano dalla parrocchia, dopo ho scritto su questi avvenimenti perché siano custoditi a memoria dei posteri. Il numero delle truppe sunnominate accampate parte in Vezzano, parte in questa parrocchia per lo spazio di sedici ore, cioè dalle ore 4 pomeridiane delli 12 sino alle 9 mattutine delli 13 corrente con la peggio (...) ed il sacco dato alle sostanze di questi abitanti, furono da ottomila circa e due mila e due mila di queste erano accampate in questa mia canonica e colle. Lascio a voi pensare qual sarà stato il danno arrecatomi.”


Le truppe imperiali austro russe

Con l’arrivo di Napoleone, furono aboliti i titoli nobiliari, le livree, gli stemmi gentilizi, furono soppressi i feudi, eliminata qualsiasi giurisdizione privilegiata degli ecclesiastici e ogni loro esenzione fiscale, liberalizzati gli scambi commerciali. Ciò avvenne insieme alle requisizioni di guerra e all’imposizione - sulle rendite e sui patrimoni dei cittadini - di contributi in denaro e vettovaglie, che danneggiarono l’economia e alimentarono lo scontento. La vendita dei beni ecclesiastici andò a vantaggio dell’ex nobiltà e della ricca borghesia, anche grazie ai legami sociali con gli uomini di governo. Non fu realizzata alcuna riforma agraria, invece, che andasse a vantaggio della piccola proprietà. In alcune zone dell’Emilia si costituirono allora vere e proprie bande di “insorgenti”, e, in tutti i casi, la repressione fu durissima. Nell’ultimo documento di cui sopra, si parla di una “aquila imperiale trovata sul capo” dei due prigionieri, dunque i francesi potrebbero aver pensato a due fiancheggiatori delle truppe austro russe. Ma cosa ci faceva l’esercito imperiale austriaco in Italia? Era semplicemente coinvolto in una delle guerre “di coalizione” combattute da Napoleone. Il 10 ottobre 1797 i francesi avevano appoggiato una rivolta in Valtellina e la Repubblica Cisalpina era riuscita a prendere il controllo di Campione d'Italia e della Valtellina dai Grigioni, formando la Repubblica Elvetica. Ma la Svizzera, all'epoca, faceva parte del Sacro Romano Impero, con Vienna come capitale, e la Russia era alleata con l’Austria che, fedele ai propri doveri, inviò un esercito per liberare i territori elvetici occupati. Furono gli austriaci a chiedere che le armate austro-russe venissero guidate dal generale russo Aleksandr Suvorov. Le stesse milizie, affiancate dalle bande di “insorgenti”, dilagarono poi in Italia, anche in Emilia, sconfiggendo solo provvisoriamente le truppe “galliche”.


Le insorgenze anche in montagna?

Sempre il professor Giovanelli riporta queste notizie: “Una vecchia strada, in parte ‘cava’ che portava direttamente da Cavola a Cerè Marabino, era chiamata "la via dei francesi". Secondo quanto raccontato dalla gente, questa sarebbe la ragione: durante il periodo della rivoluzione (o occupazione?) francese, erano giunti sul luogo dei soldati francesi che maltrattavano la popolazione, soprattutto cercavano di approfittare delle donne. Un gruppo di cereliani, quindi, tese loro un’imboscata in un punto nascosto e isolato. Al passaggio di quei soldati, ne uccisero due. Per rappresaglia, i francesi incendiarono poi il paese di Cerè. Tradizione confermata da don Raimondo Zanelli. Poi, c’è l’uccisione di altri soldati francesi a La Magompia di Felina. Nell’immediato dopoguerra (1945-1946) nell’abbattere un muro interno di una casa vennero rinvenuti due cadaveri in uniforme francese. Avevano commesso soprusi e violenze sulla gente del posto, perciò erano stati uccisi e murati perché nulla restasse di loro. Alla scoperta dei cadaveri, nulla si disse per paura che, stante la guerra, gli abitanti della casa avessero noie. Gli scheletri vennero nuovamente fatti scomparire. Informazione di don Artemio Zanni, chiamato a dare loro una benedizione sommaria.” La vittoria di Napoleone sugli austriaci a Marengo, il 14 giugno 1800, rese nuovamente i francesi padroni d'Italia e a nord fu ripristinata la Repubblica Cisalpina (dal 1802 chiamata Repubblica Italiana). In realtà, l’intero ex Ducato era in subbuglio: a Sant’Ilario sedici soldati francesi vennero bastonati dai contadini in una osteria, per esempio, mentre a Bagnolo e a Scandiano furono abbattuti gli alberi della libertà. Oltre ai cambiamenti sociali ed economici e alle nuove tasse, ciò che spingeva a ribellarsi era la coscrizione obbligatoria (pro Napoleone) degli uomini, che dovevano essere equipaggiati e finanziati dalla loro circoscrizione.

Ne parla Savino Rabotti a proposito di un rogito datato 2 aprile 1805: “Colla presente seppure privata scrittura, … qualmente il sig. Antonio Rabotti e di lui fratello Michele di Donadiolla, Comune del Rebecco, dipartimento del Crostolo, sborsarono e diedero in tante buone e regali monete la somma e quantità di Gigliati zecchini n° quarantaquattro da L. 45 reggiane, parte nell’annata della carestia anno 1801 e l’altra nell’anno 1804 per il pagamento di un cambio per l’armata della coscrizione, nella prima sborsarono li due Rabotti Gigliati venti e nella seconda Gigliati ventiquattro”. La coscrizione militare rappresentò sia il più diffuso strumento di controllo dei ceti popolari, sia un fattore di disgregazione sociale e una crescita di marginali, renitenti e disertori. La diserzione fu una forma di opposizione a uno Stato sentito estraneo e ostile.



San Napoleone e la propaganda


I fermenti nei Dipartimenti del Panaro e del Crostolo, in Emilia, nei primi mesi del 1803, vanno messi in relazione anche all’istituzione della “carta di sicurezza” (carta che permetteva ai cittadini maschi sopra i 15 anni di circolare liberamente), una tra le norme che colpiva di più i lavoratori migranti, tantissimi in quel periodo. Un moto di rivolte, fra il dicembre del 1805 e il febbraio del 1806, interessò l’arco appenninico bolognese, parmense e piacentino. Molti provvedimenti napoleonici colpirono, in Appennino, la struttura familiare di tipo patriarcale, la cui economia si basava sulle piccole proprietà e lo sfruttamento degli usi civici, soprattutto pascoli e boschi. Il malcontento popolare sfociò in forme di resistenza passiva e di boicottaggio: dal rifiuto da parte dei parroci di cantare il “Te Deum” in onore di Napoleone, al mandare i figli nelle scuole statali, alla diserzione da parte dei fedeli delle messe dei “novelli sacerdoti” che avevano giurato sugli “articoli gallicani”, al portare le coccarde con il tricolore francese; non per niente, per la bandiera italiana si scelse, forse per contestazione, il verde al posto del blu e un primo tricolore verde, bianco e rosso sventolò a Fariolo di Felina ottanta giorni prima della data ufficiale di Reggio. I felinesi si erano arrabbiati con il loro feudatario, Conte Chiodini, che aveva soppresso le confraternite trasformandole in “Opera Pia” laica, con relativo incameramento dei beni. Il 7 settembre 1803, dopo quello francese del 1801, era stato firmato il Concordato italiano (che però entrò il vigore solo il 1° giugno 1805). In quello spazio di tempo, Napoleone vi inserì arbitrariamente articoli che ridussero di numero tutti gli ordini religiosi e i conventi, assegnando al demanio i loro beni. Il ricavato delle vendite fu versato al “Monte di Napoleone”, costituito per estinguere il debito pubblico. L’introduzione del culto di San Napoleone - santo mai esistito – festeggiato il 15 agosto, attingeva volutamente alle forme della tradizione liturgica cattolica. Il catechismo del 1806 venne pensato dagli estensori fedeli a Napoleone come strumento di propaganda e di adulazione verso l’imperatore. Insieme con le pastorali dei vescovi, con i “Te Deum” per le vittorie, con Saint-Napoleon, doveva tenere a freno le moltitudini rurali, su cui il governo non aveva troppa presa, e piegarle al pagamento dei tributi e alle leve necessarie per la guerra perpetua. E, nell’insieme, riprendendo le parole dell’arciprete di Puianello, don Domenico Fioroni: “Lascio a voi pensare qual sarà stato il danno…” per le piccole comunità dei nostri paesi.







2 commenti:

  1. Che il nostro territorio abbia nel dna. La lotta al potere è risaputo, meno sapevo dei soprusi che l’esercito napoleonico. La storia , sommariamente lo ha sempre definito un liberatore delle caste. Che delle frange del suo esercito approfittasse non ne sapevo. E comunque ogni invasore rimane invasore. Normanna de continui così puoi prendere il posto di Piero Angela e elargire storia

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  2. Grazie per il graditissimo commento! Sono solo mille gradini più in basso di Piero Angela, però!

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