domenica 22 gennaio 2012

Dal Corano ai Promessi sposi - Insegnare italiano ai ragazzi stranieri

Dal Corano ai Promessi Sposi.

Il trillo del cellulare mi dice che c’è un nuovo messaggio. Sono sulla Statale 63, un budello sempre più stretto; non posso fermarmi. Leggerò a casa. “Ciao prof, ho preso sei in filosofia! Bacioni!”

Cartesio, era Cartesio l’oggetto (o il soggetto?) dell’interrogazione.

Per Sahar  una conquista degna di Davide e della sua fionda. A inizio anno mi aveva detto: “Filosofia è così difficile! Tutti quei ragionamenti, e perché, poi?” Avrei voluto parlarle di Avicenna ed Averroè, avrei voluto spiegarle che l’abitudine a ragionare delle e sulle cose viene proprio dall’Oriente, dai popoli semiti, prima di passare per la Grecia e per l’Illuminismo, ma è presto, rischio solo di crearle ulteriore caos. È in Italia da soli quattro anni, giusto il tempo di terminare la scuola dell’obbligo in Marocco e, insieme con la madre e il fratello, raggiungere il padre, per tutta la vita incontrato unicamente in estate. Non frequenta più il corso d’italiano, ma è comunque spesso presente, per un saluto, per una richiesta di spiegazione sulle materie scolastiche, per fare quattro chiacchiere tra donne sulle cose delle donne.

Parlava un buon francese quando è arrivata, tuttavia, a scuola, qui alle superiori, ti chiedono subito l’uso dell’italiano. E non dell’italiano per la semplice conversazione, no: serve immediatamente la padronanza della lingua per lo studio. Vallo a spiegare ai professori che è cosa impossibile. Che persino il papa tedesco, residente in Italia da decine d’anni, non si esprime poi tanto correttamente e dice “Cesù Kristo” e “cioia”. Alle superiori si parte, senza indugio, con i “Promessi sposi”. E con le interrogazioni. E con i brutti voti.  

Al primo incontro, anni fa, la bellezza, la freschezza e l’autenticità delle ragazze mi sorprendono. Non sono per niente intimidite. Si rapportano con me con grande rispetto, quasi da persone adulte con buona esperienza di rapporti interpersonali. Ti chiedi se è l’educazione ricevuta o se è la socialità diversa che hanno nel loro vissuto, ma è cosa positiva che ti mette a tuo agio. Più tardi scoprirò che l’apparente maturità dei ragazzi stranieri, la loro forza, nasconde in realtà una grande fragilità derivata dall’aver saltato delle tappe, dall’esser dovuti crescere troppo in fretta, e la natura non fa salti, non perdona.

Rifletto sul fatto che ho davanti persone che conoscono più lingue, mentre io padroneggio alla meno peggio il mio francese scolastico. Tra le ragazze, per esempio, c’è Zahra, che è stata inserita in una delle classi prime del liceo linguistico.

Strano, ha l’aspetto di una donna adulta. Perché in prima? Non serve comunicare in francese con lei: capisce e si esprime già in italiano, ma con un forte accento americano. Americano? Mi spiega che è nata in Marocco, ma che poi, dopo il divorzio dei genitori, si è trasferita in Virginia col padre e una delle sorelle e che là ha frequentato ben quattro anni della “High school”. Padroneggia l’inglese, il francese, ovviamente l’arabo, un po’ di spagnolo e di italiano. Ha quasi diciotto anni. Ed è stata inserita in classe con delle quattordicenni. Seguirò le ragazze per due anni, poi perderò di vista un po’ tutte, tranne Sahar, che continua ancora oggi a raccontarmi via sms, sulle chat e su face book i suoi successi (o insuccessi) scolastici. Oppure a chiedermi spiegazioni sulla Rivoluzione francese. O a dare sfogo ai suoi dubbi riguardo al fidanzamento e al matrimonio, dato che in casa cominciano a presentarle dei cugini, ipotetici mariti



Al primo impatto, scopro che, nonostante per anni, alle scuole elementari, mi sia capitato di seguire bambini immigrati, non so niente, assolutamente niente, né della lingua araba né delle lingue dell’ex Unione sovietica.  

La lingua araba: un coacervo di lingue orali con tratti distintivi dialettali, che fa riferimento a un’unica lingua scritta: l’arabo classico. La lingua fusha, quella del Corano, quella classica che i bambini dei paesi arabi studiano a scuola. Ma la lingua degli affetti e della casa è la darija, quella della famiglia, di cui tante sono le varianti, condizionate da vari elementi, comprese le lingue coloniali. Così l’aereo è “àvion” (dal francese, ma con accento sbagliato) e la nave è “bato”, sempre un francesismo e sempre con pronuncia imperfetta. Imparo persino che “culla” si traduce “cuna”, come nel nostro dialetto e che “castagne” suona più o meno “balot”, come le nostre castagne bollite. Con le marocchine analfabete che seguo negli altri corsi per adulti ho poi scoperto che realmente i loro termini dialettali sono altra cosa rispetto all’arabo. Il coniglio, in arabo “àrnabon”, in dialetto è “cunìa”. Per non parlare della lettera T, da me presentata con il nome di persona “Tina” che fa scoppiare a ridere tutte le donne; con il senso dell’umorismo che le contraddistingue, mi spiegano, a gesti, che “Tina” è quella cosa che ha ogni donna e che piace tanto ai mariti…

 Al limite dell’esoterico la definizione di “lettere solari” e “lettere lunari”:  le lettere dell’alfabeto arabo si dividono infatti in due gruppi, “solari” e “lunari” e sono precisamente 14 lettere per ogni gruppo. Tutte le parole che iniziano con le lettere lunari mantengono la loro pronuncia inserendo l’articolo determinativo “al”, mentre, al contrario, tutte le parole che iniziano con le lettere solari cambiano la loro pronuncia inserendo l’articolo determinativo “al”. Mi sorprendo a pensare che il termine “sole”, in arabo, è femminile, mentre “luna” per qualcuno è maschile, per altri femminile, per altri ancora può essere di entrambi i generi, dipende dalle fasi. Il sole femmina? Nei paesi musulmani si pensa che la lingua araba, quella del Corano, e quindi di Dio, sarebbe stata la lingua primigenia dell’umanità, e allora ecco: se il sole è femmina, mi viene da fare i collegamenti con le dee madri.

Secondo l’insegnamento tradizionale dell'Islam, la lingua «adamitica» era la «lingua siriaca», “loghah suryaniyah”, che significa «illuminazione solare». La lingua di “shems”, il sole – donna. Sì, facile sconfinare nell’esoterismo quando si tratta di lingue orientali, nate nel silenzio assolato del deserto. 

 E il duale? In italiano si fa riferimento al singolare e al plurale. In arabo si parla di singolare, duale e plurale. Duale riferito a due persone o cose.

Quando poi spiego i pronomi personali a chi, di lingua araba, non è passato per lo studio del francese, mi ritrovo in un mare di guai. Perché “tu” esiste sia nella forma maschile sia al femminile, non solo…   

Tra gli adulti ho anche alcuni inglesi (dopo la Toscana, è sul nostro Appennino emiliano che stanno acquistando le case), e un giorno Paul, ingegnere cinquantenne che ha scelto l’Italia perché stanco del caos londinese, si trova proprio nel bel mezzo di una discussione tra Safhia e Ahlem, compagne di banco. Le donne polemizzano sull’obbligatorietà del velo e iniziano a scaldarsi un po’ troppo. Paul arrossisce, mi guarda e sussurra: “Peace, peace…”. 

Durante gli anni, si creano, all’interno dei corsi, amicizie impensate: Marcia è brasiliana, la sua migliore amica diventa Aziza, marocchina, con la quale mantiene un bel legame anche in seguito. Endang è indonesiana; stringe amicizia con Olha, moldava, e con Alla, Ucraina, ma non basta. Poiché è sposata con un italiano ed ha imparato dalla cognata diverse ricette dei nostri luoghi, un giorno invita a casa Ana Claudia, brasiliana, per insegnarle a cucinare i tortelli di patate.  

Certo che i contenuti della nostra scuola, a livello umanistico, per molti stranieri sono assurdi. Come fa una marocchina a capire chi o cosa è la monaca di Monza? O fra’ Cristoforo? Nella cultura islamica non esiste la figura del religioso non sposato, sia esso maschio o femmina. L’Islam insegna ai musulmani come accontentare i propri istinti sessuali in modo responsabile, non spinge a reprimerli, nemmeno a causa di Dio, perciò raccomanda il matrimonio come una buona azione, opponendosi con forza al celibato e alla vita monastica. Insomma: il matrimonio non è per nulla un impedimento sul cammino spirituale, ma, al contrario, aiuta chi lo percorre. Come faccio a chiarire cos’è una suora? È veramente complicato e io capisco che il vissuto delle ragazze è lontano anni luce dal mio, e che la lingua è, forse, l’ostacolo minore. Provo a parlare dei monaci musulmani sufi, so che nel sufismo la castità è accettata e praticata, ma le ragazze non sanno nemmeno cosa siano i sufi. Verifico la conoscenza che hanno delle varie correnti dell’Islam; soltanto l’americana, che è nipote di un imam, sa che esistono i sunniti, gli sciti, i wahabiti, e sa anche che questi ultimi, provenienti dall’Arabia Saudita, si stanno dando un gran da fare, da un po’ di tempo, per predicare nelle moschee del Nord Africa la loro visione di un Islam “puro” da contaminazioni occidentali. Le altre sanno a malapena di essere sunnite e continuano a ripetere che l’Islam è uno solo e che, ad esempio, una musulmana indonesiana sposata con un cristiano non convertito non può essere una vera musulmana.  Capita anche di dovermi scontrare con la tesi creazionista dell’Islam. Ecco: ancora una volta sono profana in materia, non so cosa dicano il Corano né gli altri testi dell’Islam e una ragazza sembra quasi offesa, non accetta di studiare certe pagine di scienze, dice che non è vero niente, che Allah ha creato tutto fin dall’inizio. Provo a tranquillizzarla, spiegandole che non sta facendo niente di male, che se lei è convinta di ciò che è scritto nel Corano e non può discuterlo, è libera di farlo, che anche altre religioni cristiane sostengono le stesse tesi creazioniste, come le chiese evangeliche, ma che, per quanto riguarda la scuola, lei sarà interrogata su “quella” tesi scientifica ed è “quella” che dovrà studiare. Episodi del genere si ripeteranno frequentemente, mettendo a dura prova i miei nervi e il mio umano bisogno di adagiarmi in rassicuranti pregiudizi. Mi dice Sahar che ha avuto modo di vedere un libro di religione “cristiana” e che vi ha scorto un disegno in cui Dio veniva raffigurato con la barba e i capelli bianchi. “Come si può pensare di rappresentare Dio? – mi chiede indignata. – Nessuno ha mai visto Dio, nessuno sa come sia. Come si può crescere pensando a lui come a un vecchio identico ad un uomo? Non è una bugia? Un ragazzo non può maturare bene con una bugia così grande!” Ne discutiamo. Mi pare di aver letto che nel Corano non compaiano precisi richiami alla condanna nei confronti di chi produce immagini, ma che vi siano maledizioni verso chi si serve delle immagini e, soprattutto, come nel Vecchio Testamento, verso chi le adora. Si trovano, invece, divieti nelle Hadiths, le raccolte di detti, azioni e gesta del Profeta, risalenti alla seconda metà del IX secolo. Tale atteggiamento ostile alla pittura causò nel mondo arabo l’enfatizzazione della parola a svantaggio dell’immagine, e la calligrafia divenne lo strumento privilegiato di diffusione della parola di Dio. Rispondo a Sahar chiarendole che Dio, per i cristiani, è diventato visibile nella figura di Gesù Cristo, (per loro il profeta Isa) e che, comunque, nella Bibbia c’è scritto che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, quindi noi lo ritraiamo a nostra immagine e somiglianza. Ribatte che è comunque mancanza di rispetto. Le dico che forse ha ragione, perché Dio, per chi ci crede, proprio in quanto Dio, è impossibile da immaginare. Aggiungo che in realtà, nel Vangelo, anche Gesù dice che il Padre nessuno l’ha mai visto, tuttavia siamo esseri umani con un assoluto bisogno di entrare in contatto con ogni nostro altro attraverso i sensi, vista compresa.

Rifletto: la lingua veicola una cultura; ecco perché i popoli occupanti, per prima cosa, impongono la loro lingua e cercano di cancellare quella degli occupati, tagliando le radici di una cultura.

Ecco perché gli ebrei, da sempre, hanno conservato, perfino di nascosto, la loro.
(Articolo inserito nel Notiziario della Rete Radiè Resch, dicembre 2011)
http://www.rrrquarrata.it/indialogo/dicembre2011/dicembre2011.html

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