il Blog di Normanna Albertini - Insegnante e scrittrice. "Ogni persona brilla con luce propria fra le altre. Ci sono persone di un fuoco sereno, che non sente neanche il vento e persone di un fuoco pazzesco, che riempie l'aria di scintille. Alcuni fuochi, fuochi sciocchi, né illuminano né bruciano, ma altri si infiammano con tanta forza che non si può guardarli senza esserne colpiti, e chi si avvicina si accende." (Eduardo Galeano)
mercoledì 31 ottobre 2012
giovedì 18 ottobre 2012
MIO INTERVENTO AL SEMINARIO DI APERTURA DELLE SCUOLE DI ITALIANO DELLA DIOCESI DI MILANO - 20 ottobre 2012
http://www.chiesadimilano.it/chisiamo/struttura-persone/2.1293/ufficio-per-la-pastorale-dei-migranti/news-per-home/parlare-con-cura-luogo-di-apprendimento-e-spazio-di-socialit%C3%A0-1.65134
sabato 20 ottobre 2012
di
Normanna Albertini
Insegnare
l’italiano come seconda lingua puntando sulla funzione relazionale
della lingua stessa e non sull’acquisizione delle regole
grammaticali è cosa differente dall’insegnamento della lingua
straniera.
sabato 20 ottobre 2012
Il Seminario di apertura delle scuole di italiano per stranieri in parrocchia avrà luogo sabato 20 ottobre a partire dalle ore 14.30 a Milano presso la Fondazione Lazzati (Largo Corsia dei Servi, 4)
Dopo undici anni di "Tra le righe: la scuola di italiano per stranieri in parrocchia" ripartiamo dallo slogan degli inizi. Per fare il punto della situazione, per verificare la validità di una filosofia, per vedere se "siamo ancora sul pezzo".
Qual'è il senso del nostro essere volontari oggi? E l'esserlo da cristiani o, comunque, in un luogo cristianamente connotato?
Si prega di segnalare la propria presenza al Servizio per la Pastorale dei Migranti tel. 02.8556.455/456 - fax 02.8556.406, migranti@diocesi.milano.itQual'è il senso del nostro essere volontari oggi? E l'esserlo da cristiani o, comunque, in un luogo cristianamente connotato?
Abstract del mio intervento
Una
lingua diversa in terra straniera
Infatti,
per gli immigrati, sia adulti e sia bambini, l’italiano non è la
“prima” lingua - quella materna - ma nemmeno si tratta della
lingua straniera veicolata dai libri di testo a scuola. È una lingua
in cui essi sono immersi e che, in parte, viene acquisita
spontaneamente.
È
importante dunque, per i docenti di ogni ordine scolastico, prenderne
atto e, al di là dell’organizzazione didattica e curricolare,
capire che la figura tradizionale dell’insegnante e la
strutturazione altrettanto abituale delle classi, non sono più
adeguate alle necessità di questa nostra nuova società multilingue
e cosmopolita.
lunedì 15 ottobre 2012
SHEMAL - CAPITOLO VI
Cap.
6
HABEMUS
PONTIFICEM!
– Che
dite, Pedro, credete che gli Spagnoli e i Portoghesi gradiranno
questo decreto?
Papa
Alessandro VI parlava al fido camerlengo Pedro Calderon, detto
Perotto, al quale aveva appena ultimato di dettare una lettera
indirizzata a Ferdinando ed Isabella, sovrani di Spagna. In realtà,
più che di una semplice missiva, si trattava di un decreto con il
quale egli fissava la linea di spartizione del novello continente,
entro la quale erano contenuti i possessi spagnoli. A oriente di tale
tracciato, tutto apparteneva per diritto al Portogallo.
–
Santità, non saprei
– rispose dubbioso Calderon – mi sembra, comunque, un’epistola
molto ben scritta, direi… persuasiva! Volete che la rilegga?
–
Certamente, Perotto,
procedete…
“Abbiamo
con piacere appreso che vi eravate già proposti di ricercare e
scoprire alcune isole e terreferme lontane e sconosciute, e fino a
ora mai trovate, per ridurre i loro abitanti a venerare il Redentor
nostro e professare la fede cattolica e che, fino ad ora, non avevate
potuto attuare il vostro proposito, ma che, finalmente, a Dio
piacendo, recuperato l’anzidetto regno, per raggiungere il vostro
intento avete scelto il diletto figlio Cristoforo Colombo, uomo
degnissimo e ragguardevole…”
– Già,
– lo interruppe il pontefice – Cristobál Colón, il mio alleato
genovese che tutti consideravano pazzo… un uomo predestinato, nato
facto, Cristoforo come portatore di Cristo che traversa le acque
le acque del Mare Oceano. Cristobál Colón, figlio di papa Innocenzo
VIII, di sangue ebreo e arabo ma vi prego, proseguite… andate
all’ultima parte, quella che esamina la concessione delle terre.
– Ah!
Sì, ho capito – continuò Perotto – ecco:
“Noi,
pertanto, di motu proprio e non già in seguito a vostra istanza o
petizione, ma di nostra pura liberalità e certa scienza e nella
pienezza della nostra apostolica podestà… tracciata una linea da
Nord a Sud la quale disti da Occidente a Mezzogiorno cento milia da
qualsiasi delle isole che volgarmente si chiamano ‘de los Azores y
Cabo Verde’, tutte le isole o terreferme trovate o da trovare,
scoperte o da scoprire al di là di detta linea verso Occidente e
Mezzogiorno, quando siano state per mezzo di vostri inviati scoperte,
non siano più possedute da alcuno altro principe cristiano e per
l’autorità dell’Onnipotente Dio a Noi concessa… a voi e ai
vostri eredi (Re di Castiglia e di Leòn) in perpetuo doniamo,
concediamo, assegniamo con tutti i loro domini, città, castelli,
luoghi e ville, diritti, giurisdizioni ed ogni pertinenza, e di essi
Voi e i vostri eredi e successori facciamo signori, con piena, libera
e completa autorità e giurisdizione. Romae, 4 Nonas Maij 1493…”
–
Bene, bene, –
Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI, si soffregò le mani soddisfatto
– credo proprio che lo accetteranno… Hanno speso talmente tanti
anni per persuadersi che Colón aveva ragione… che ora conviene
loro non trattare la spartizione delle nuove terre da me proposta!
Ah! Chissà quanto veleno avrà inghiottito re Giovanni di Portogallo
quando, l’8 marzo scorso, si è visto piombare a corte l’Ammiraglio
con alcuni marinai e diversi nativi delle Indie e… l’oro! Bene,
bene: ho di che essere contento!
sabato 13 ottobre 2012
PIETRO DEI COLORI - Romanzo
CAPITOLO V
IL MAESTRO DI BORSIGLIANA
Sullo spiazzo del duomo luccicavano le selci nelle ultime ore del sole.
Pietro meditava quanto fosse bello stare là in alto, davanti al ventaglio delle Apuane sontuosamente allargato, scenario di monti nivei, bigi, e di boschi cupi. Sporgendosi dal parapetto, rimirò la cittadina di coppi rossi distesa lì sotto, gli orti e i giardini, abbracciati dal limite interno delle case, dove si affaccendavano donne al pozzo, tra il rumore dei mulini, dei frantoi, delle cartiere, delle tintorie, e il vociare dei bambini che inseguivano i cervi volanti strillando al cielo la loro allegria.
– Qui non si esigono imposte né gabelle, vero frate Mauro? E come mai? – chiese il ragazzo.
– Siamo a Barga, mio caro, – rispose il religioso, – qui si dipende da Firenze, non da Lucca, e nemmeno dagli Estensi, com’è per il tuo piccolo villaggio di Talada.
– Come? Firenze? È là che mi portate, vero? Non ho mai visto Firenze, è lontana e… – rimase un attimo pensoso, – avrei una lettera da recapitare da quelle parti. Ma scusate, perché Barga dipende da Firenze?
– Mai sentito parlare dei condottieri di ventura?
– Ah sì! Corrado e Lucio Lando, poi Corrado da Fogliano, mi pare.

– Dunque, le gabelle?
– Barga scelse liberamente la sottomissione a Firenze e venne ricompensata con l’esenzione dai tributi sulle merci importate ed esportate.
– E il Piccinino?
domenica 7 ottobre 2012
ISABELLA - mio secondo romanzo
MESSIEURS LES VERRIERS,
A L’OUVREAU!

- Che c’è, che vuoi? – don Paolino indugiava,
seduto a lato del focolare, l’“Imitazione di Cristo” tra le
mani, intanto che Isabella sciacquava i piatti della cena.
- Oh! C’è il diavolo nella stalla! Bisogna che
voi, zio, veniate con l’acqua benedetta!
- Il diavolo? Ma che dici!
Il vecchio parroco si alzò a fatica, scocciato
dalla visita, importuna a quell’ora; lasciò cadere il libro sul
tavolo e si accinse ad calzare gli scarponi.
- Va bene, andiamo a vedere, e vieni anche tu,
Isabella: non è bene che resti sola in casa…con il signor
Francesco!
Isabella arrossì: proprio non riusciva a bloccare
quel segno che palesava così vivamente le sue emozioni.
- Ma zio, lui dorme! Comunque vengo, vengo. - poi,
rivolta alla sorella: - Insomma, vuoi spiegarci cos’è successo?
- Beh, il maiale sta male!
Don Paolino scoppiò a ridere, mentre si
infagottava nel tabarro e s’infilava un largo basco sui folti
riccioli bianchi.
- Come… sta male? – rise sarcastico - Tanto
tuo padre deve ammazzarlo! Dai, andiamo. Cosa c’entra poi il
diavolo con un maiale che sta male, mah!
Uscirono nella neve. Il prete marciava
velocemente, e allungava i passi, almeno per quel che gli
consentivano le sue corte gambe, bofonchiando tra sé e sé:
- Per un maiale, mi chiamano! Oh Signore! Tanti
studi, il seminario, la teologia, i filosofi e poi…per un maiale,
mi chiamano! Oh… “miserere mei, Deus secundum magnam
misericordiam tuam…”
L’aspersorio, agitato stizzosamente nella mano
destra, rifletteva barlumi della luna illividita.
IL BAGNO DELLE CASTAGNE E I FUNGHI SULL'AIA - Racconto d'ottobre
La zuppa
nel latte era la colazione. Non c’era altro: latte appena munto,
rigorosamente bollito, pane e zucchero, caffé d’orzo che a fatica
coloriva la mistura. Una scodellona: tanto pane da sprofondarci il
cucchiaio così da farlo stare dritto, e dovevi arrivarci in fondo.
Perché poi non c’era altro.
Eppure, a
volte, nel latte ci si inzuppava la polenta del giorno prima, a volte
la carsenta fritta avanzata, a volte – raramente – qualche
rimasuglio di brasadella dolce.
Solo più
tardi arrivarono i biscotti “Famiglia”, grossi come piccoli
panini, che ne bastavano tre per riempire la tazza.
Non mi
piaceva la zuppa nel latte, era una tortura e una sera feci
addirittura sciopero, rifiutandomi di mangiarla. Già, perché la
scodellona me la porgevano, unica alternativa, anche a cena.
Mia nonna
Eva non s’arrabbiò, quando m’impuntai nel respingere quel
ripetitivo menù; semplicemente, mise in serbo la scodella con la
“mia” zuppa nel tricantùn di sala (non avevamo il
frigorifero) e me la ripresentò, fredda, a colazione.
“Chi
non mangia ha già mangiato”, dettava legge mia nonna Eva, e in
casa nessuno si è mai troppo impensierito per l’inappetenza di un
bambino o per il fatto che qualcuno saltasse un pasto, mentre -
questo sì - ci si arrabbiava parecchio se si sciupava il cibo.
E quando
in terza elementare studiai Sparta e Atene, mi resi conto di essere
cresciuta davvero in modo… spartano e parteggiai in seguito per i
perdenti cittadini di Sparta, oltre che per i “perdenti” in
generale.
Comunque,
dopo aver passato la notte con i crampi allo stomaco, assolutamente
ravveduta e redenta nei riguardi della mia scelta, ci misi un attimo
a dimenticare intenzioni e pensieri rivoluzionari e divorai la zuppa,
quando, molliccia e un po’ viscida, la ritrovai sul tavolo al
mattino.
Fu quello
il mio unico sciopero della fame; avevo forse otto anni e scoprii
soltanto da adolescente che quell’atto si poteva definire
“sciopero” e che ero stata, a mio modo, una bambina sovversiva.
Non mi
piaceva la zuppa, perciò, non appena in autunno si cominciavano a
bollire le castagne secche, esultavo per la colazione, dato che nel
latte potevo buttarci loro: le bascotle.
venerdì 5 ottobre 2012
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