Più in basso, il frastuono dei boscaioli intenti a tagliare gli alberi riecheggia tra i versanti dei monti, sovrastando il gracchiare dei corvi che disturbano una poiana.
Sotto l’erba fresca della primavera, il terreno roccioso si fa sempre più duro e spoglio via via che ci si avvicina al precipizio. Il lupo sfrega il naso a terra: no, non è il profumo di lei, della Fata.
Non è quello della faina, non è quello del tasso, non è quello delle aquile.
È l’energia dell’uomo, è l’odore del luparo, anzi: l’odore dei due lupari – per sua fortuna amici - che lui conosce molto bene. Li ha osservati spesso mentre salivano lassù, persino sotto gli acquazzoni autunnali o in pieno inverno, avanzando a fatica sulla neve fresca.
Il loro sentore è una lunga scia che scende giù tra i faggi, perdendosi nel dirupo.
Si dice che i lupi non amino le altezze, e quella scarpata rocciosa, che gli umani chiamano “Porta del diavolo”, disegnata dalle intemperie, fatta di massi e grotte lavorati dal vento, dal ghiaccio e dalle piogge, un po’ lo inquieta.
La sua desiderata preda ci viveva, invece - senza problemi - balzando da una roccia all’altra, come avesse le ali, con la grazia che può avere soltanto una Fata.
La cima secondaria di quel monte, il Ventasso, si chiama “La Grotta delle Fate”. Lassù, secondo la leggenda, due fate pretendevano offerte dai pastori e, se questi non le accontentavano, le greggi rischiavano di finire in fondo ai burroni. Erano fate cattive…
Lei no, lei era una Fata Bianca, libera e in pace con tutti. Una capra scappata al suo pastore, in balìa dei lupi e delle aquile che, tuttavia, aveva scelto di vivere lassù, condividendo il territorio con i suoi possibili predatori.
Non è quello della faina, non è quello del tasso, non è quello delle aquile.
È l’energia dell’uomo, è l’odore del luparo, anzi: l’odore dei due lupari – per sua fortuna amici - che lui conosce molto bene. Li ha osservati spesso mentre salivano lassù, persino sotto gli acquazzoni autunnali o in pieno inverno, avanzando a fatica sulla neve fresca.
Il loro sentore è una lunga scia che scende giù tra i faggi, perdendosi nel dirupo.
Si dice che i lupi non amino le altezze, e quella scarpata rocciosa, che gli umani chiamano “Porta del diavolo”, disegnata dalle intemperie, fatta di massi e grotte lavorati dal vento, dal ghiaccio e dalle piogge, un po’ lo inquieta.
La sua desiderata preda ci viveva, invece - senza problemi - balzando da una roccia all’altra, come avesse le ali, con la grazia che può avere soltanto una Fata.
La cima secondaria di quel monte, il Ventasso, si chiama “La Grotta delle Fate”. Lassù, secondo la leggenda, due fate pretendevano offerte dai pastori e, se questi non le accontentavano, le greggi rischiavano di finire in fondo ai burroni. Erano fate cattive…
Lei no, lei era una Fata Bianca, libera e in pace con tutti. Una capra scappata al suo pastore, in balìa dei lupi e delle aquile che, tuttavia, aveva scelto di vivere lassù, condividendo il territorio con i suoi possibili predatori.