venerdì 21 febbraio 2025

COMETE, COSTELLAZIONI E ALTRI GRAFFITI SULLA CHIESA DI SANTA MARIA - IL CASTELLO DI QUERCIOLA E I SUOI ENIGMI

 

Già da tempo, grazie ai suoi interessi archeologici e storici, Nadia Davoli era a conoscenza di antiche mappe stellari incise sulle rocce; la sorpresa è stata ritrovarle, in seguito, al Castello di Querciola

Foto da Italo Garavaldi -
GAB - Gruppo Storico Archeologico Bibianellum

Nadia Davoli è una ceramista progettista che, dopo trent’anni, ha rivolto le proprie energie verso un’altra grande passione, con la speranza di trasformarla in una attività vera e propria: le materie prime da profumo. In questo ambito, organizza, infatti, conferenze ed eventi multisensoriali a tema olfattivo, botanico, storico e artistico. Nadia vive da sempre nel comune di Albinea, più precisamente in quel paesino ricchissimo di storia che è Borzano. Tra i tanti interessi, che in parte confluiscono nei suoi progetti lavorativi, ci sono la storia antica e medievale, l’archeologia, la scrittura, la lettura, l’astrologia, il giardinaggio. Per quanto riguarda l’archeologia, ha partecipato a due campagne di scavi al castello di Borzano, quando ancora i volontari potevano collaborare liberamente e attivamente. Inoltre, ha contribuito alla stesura dei testi di alcune pubblicazioni ad opera del Gruppo Archeologico Albinetano, di cui, con altri, è stata socio fondatore. È grazie a Nadia Davoli se siamo venuti a conoscenza di alcune particolari incisioni presenti sulla chiesa di Santa Maria al Castello di Querciola; con lei come guida (ed esperta) abbiamo visitato il luogo, usufruendo della sua competenza e delle sue chiare spiegazioni.

Chiesa di Santa Maria - Foto di Rosanna Bandieri

Nadia, come è venuta a conoscenza delle incisioni sulla Chiesa di Santa Maria al Castello di Querciola?

La scoperta/non scoperta dei graffiti sulla chiesa di Santa Maria è stata puramente casuale: in quel periodo, con amici appassionati di archeologia, si rifletteva sulle pietre coppellate (più antiche del periodo medievale), così, il giorno dell’inaugurazione del restauro della vicina canonica (con annesso oratorio cinquecentesco), sono andata a guardare meglio quella strana chiesetta romanica tutta piena di incisioni… Una in particolare ha attratto la mia attenzione: mi ricordava una costellazione precisa, anche perché avevo saputo dai residenti che una delle iscrizioni riguardava una famosa eclissi di sole del Duecento. Mi è bastata qualche ricerca in Internet per scoprire che in quella costellazione era comparsa una cometa nell’anno inciso in caratteri romani proprio accanto allo stesso graffito. E, nello stesso anno, si era inoltre verificata un’altra eclissi di sole.

Foto Domenico Albertini

Mi sembrava una cosa grossa che, però, non ero in grado di approfondire, non avendo alle spalle alcun genere di studio astronomico. Così ho cercato, sempre in rete, qualcuno esperto del settore che fosse disposto a venire a verificare di persona. In questo modo ho conosciuto l’ingegner Pierpaolo Ricci, appassionato di astronomia. Dopo poche settimane, dal Trentino, dove viveva, Ricci è venuto a Querciola e… ha scoperto molte altre novità.

Foto Domenico Albertini

In seguito ho saputo che diversi studiosi avevano già notato i graffiti e le incisioni, ma, a parte quella riferita all’eclissi duecentesca, nessuno aveva dato spiegazioni se non la forse troppo semplice: “si tratta di passatempi degli scalpellini”.


Foto Domenico Albertini


Cosa può dirci della storia di questo luogo?

Le prime notizie sono antecedenti al Mille: il castello di Querciola non fu mai feudo dei Canossa, fu invece proprietà dei Vescovi di Reggio, i quali, fino alla metà del Duecento, qui passavano la stagione estiva.

martedì 18 febbraio 2025

A BORZANO D’ENZA UN MASSO AFFASCINANTE - LA SACRALITÀ DELLE ROCCE: “LA PIETRA È DIO MA NON LO SA”



Da Bismantova fino alle pietre di confine, il legame profondo tra l'uomo e la materia litica, attraverso secoli di credenze e riti, dal culto delle montagne alle tradizioni locali.

Foto di Rosanna Bandieri

Nei dialetti della montagna reggiana, il termine Bismantova è poco usato, tranne che per riferirsi, con l’aggettivo “bismantovino”, agli abitanti dei borghi ai suoi piedi. La rupe, invece, è chiamata semplicemente, da sempre, “la Prêda” (la Pietra). Secondo Meister Eckhart, “la pietra è Dio, ma non lo sa, e per questo resta una pietra”: la sua forma e saldezza la rendono eterna, simbolo di quella "casa del divino" che si trova nelle montagne, dimore degli dei in molti miti e religioni. La Bibbia, per esempio, è ricca di riferimenti a pietre sacre, come nel caso di Giacobbe, che usa una pietra come guanciale e la consacra come segno divino. Anche la cultura degli antichi Liguri venerava le rocce come manifestazioni sacre, un culto delle vette che si trasformò, via via, nel culto cristiano dei santi.


Il Terminus Saloni di San Pellegrino in Alpe

Il dio Terminus


Le rocce erano utilizzate anche per definire i confini, protetti da divinità come Terminus, dio dei confini nella Roma antica, dove la pietra stessa diveniva il segno del diritto e della stabilità.
Nel dialetto della nostra montagna, queste pietre si chiamano “terni” (o “termi”?), ma c’è un luogo, sul monte Battuta - versante di Villaberza - definito “Terme”: da lì passava il confine tra i due ducati di Parma e Piacenza e Modena e Reggio. A Terminus, che è il “Limite”, i Romani sacrificavano al margine dei campi, nel culto pubblico e nel culto privato. Esemplare, a riguardo, la roccia “termine” di San Pellegrino in Alpe, che è quello scoglio - in parte lavorato - sul quale, ogni anno, ai primi di agosto, viene rinnovata e piantata la croce di legno.
Ne parla l’archeologo Nicola Cassone: “Una antica mappa dei dintorni di S. Pellegrino, risalente al 1686, raffigura un roccione posto poco a sud dell’ospitale sormontato da una alta croce; non v’è dubbio che si tratti proprio del ‘terminus Saloni’ oggetto delle rivendicazioni del Vescovo di Reggio nel 1436.”

Coppelle in zona Ceriola - Foto Roberto Ronchetti

lunedì 17 febbraio 2025

L’ORATORIO DI SANT’ELISABETTA (VISITAZIONE) A SORAGGIO DI GOMBIO - UN ANTICO SANTUARIO IGNORATO

 



UN ANTICO SANTUARIO IGNORATO

L’ORATORIO DI SANT’ELISABETTA A SORAGGIO DI GOMBIO


Dall’apparizione di Sant’Elisabetta a un pastore, all’edificazione del primo edificio ai margini del bosco, dove le spose imploravano di diventare madri, fino all’oratorio attuale

In origine era un vero e proprio santuario, uno di quelli dove si recavano, per supplicare protezione, le donne in gravidanza o quelle che avrebbero voluto concepire un bambino. Si tratta dell’oratorio di Soraggio di Gombio, dedicato a Santa Elisabetta, o meglio: a “Maria della Visitazione”; edificio sacro nel quale è comprovato, già dal 1575, il culto di un’immagine della Madonna che avrebbe compiuto miracoli. Soraggio è una delle tante borgate di Gombio, quella più in alto, a 710 metri, proprio alle pendici del monte Battuta. Ovvia l’etimologia da “supra”, ma qualcuno ipotizza un “superioribus agri”, cioè “il terreno più elevato”. Scrive lo storico Giuseppe Giovanelli che, a quei tempi, l’oratorio“riscuoteva maggiore devozione e maggior accorrere di pellegrini che non (forse) la stessa Madonna di Bismantova, il cui santuario iniziò nel secondo decennio del ‘600.”

Dipinto dietro l'altare - Foto Umberto Gianferrari

C’è una leggenda relativa alla nascita di questo culto e di questo edificio religioso, che soltanto i più vecchi - ancora negli anni sessanta - ricordavano. Ogni anno, a giugno luglio, le tempeste devastavano i raccolti del grano e ciò significava la fame per la popolazione. Un giorno, un pastore, che riposava all'ombra di una quercia, vide apparire una donna seduta su un ramo dello stesso albero: una signora anziana che si presentò come Santa Elisabetta. La donna chiese al pastore di costruire in quel luogo una cappella a lei dedicata e di onorarla con una sagra la prima domenica di luglio. In cambio, per la popolazione di Soraggio, lei avrebbe fatto sì che le tempeste cessassero. La leggenda dice anche che la santa avrebbe poi fatto scaturire buona acqua potabile da una roccia, spezzata perfettamente a metà: la sorgente, ancora presente più in basso, di Rio del Monte. Gli abitanti di Soraggio eressero quindi l'oratorio lì a valle, sul margine che divide un castagneto da un campo tuttora denominato “La maestà”.


Maria ed Elisabetta - Foto Umberto Gianferrari


Celebrata dai frati minori fin dal 1263, sotto papa Urbano IV, l’istituzione della festa della Visitazione è dovuta all'Ordine francescano. In accordo con quanto descritto dal Vangelo di Luca, in cui si narra che, dopo l’Annunciazione, il 25 marzo, Maria rimase da Elisabetta fino alla Natività di san Giovanni Battista, il 24 giugno e, presumendo un'attesa di altri otto giorni per il rito dell'imposizione del nome, la festa in origine cadeva il 2 luglio, cioè l’ultimo giorno della visita di Maria. Infatti, a Soraggio, la si celebrava la prima domenica di luglio.

domenica 16 febbraio 2025

TRE VOLTI CONIUGATI A UNA CROCE PATENTE - LA MISTERIOSA SCULTURA DI BORZANO D'ENZA

 


Fino a non molti anni fa, da queste parti, la sera del Sabato Santo, si celebrava il rito dei falò. Erano le potature delle viti, con altri sterpi - residui di pulizia delle siepi - a formare le cataste che poi venivano incendiate per “bruciare la Quaresima”. Era una tradizione di probabile origine celtica che decretava il passaggio dall’inverno alla primavera e che riguardava le due sponde dell’Enza, oltre alla valle del Tassobbio, fino al monte Battuta di Soraggio. Un rito ben descritto dall’antropologo James Frazer nel suo saggio “Il ramo d’oro”. Siamo nella parte più a sud del comune di Canossa e l’abitato è quello di Borzano. In alto, il monte (colle) Staffola, (base longobarda *staffal = palo o cippo, segno di confine), digrada nel verde dei campi primaverili, dove i fiori dei ciliegi e dei pruni selvatici dialogano con il bianco della neve ancora presente a sud, sul Cusna e sull’Alpe di Succiso. L’acqua che scorre in tanti rigagnoli è segnalata dai salici e dai pioppi. Il toponimo Albareto (uno dei borghi) potrebbe derivare da “albaròt”, nome dialettale di un tipo di pioppo (Populus alba?). In tanta bellezza, emerge il campanile rosa, svettante, della chiesa di Roncaglio, che si accorda con le querce a ciuffi sui colli.


Piccola scultura e peso da campane

Schiviamo una lepre che attraversa la strada e ci avviamo verso la chiesa di Borzano. Nel volumetto “Percorsi canossani”, a cura di Giuliano Cervi e Mario Iotti, si legge: “La particolare morfologia del luogo (…) ha favorito la frequentazione della zona già in epoca romana: ne sono testimonianza i reperti fittili venuti alla luce in occasione di arature.” Dai racconti degli abitanti pare che siano stati trovati, in loco, ruderi di antiche fortificazioni e resti di sepolture. Può essere che la chiesa fosse in precedenza situata all’interno di un fortilizio e poi, più tardi, ricostruita dove si trova ora, riciclando anche parte delle pietre originarie. È dedicata a S. Bartolomeo apostolo, nominata nel 1560 come filiale della Pieve di Bazzano ed è su un rilievo sovrastante le “Case Papini”. Sul prospetto sud sono murati due conci di cui uno enigmatico, con una serie di simboli, forse numeri arabi e latini: incisione davvero sorprendente. Riprendendo dal volume di Cervi e Iotti: “Ma ciò che, nel caso di Borzano d’Enza, desta ancora più sorpresa, è il rintracciare, all’interno della chiesa parrocchiale, un’interessantissima scultura, nella quale sono raffigurati ben tre volti coniugati a un simbolo cristiano...”