martedì 18 febbraio 2025

A BORZANO D’ENZA UN MASSO AFFASCINANTE - LA SACRALITÀ DELLE ROCCE: “LA PIETRA È DIO MA NON LO SA”



Da Bismantova fino alle pietre di confine, il legame profondo tra l'uomo e la materia litica, attraverso secoli di credenze e riti, dal culto delle montagne alle tradizioni locali.

Foto di Rosanna Bandieri

Nei dialetti della montagna reggiana, il termine Bismantova è poco usato, tranne che per riferirsi, con l’aggettivo “bismantovino”, agli abitanti dei borghi ai suoi piedi. La rupe, invece, è chiamata semplicemente, da sempre, “la Prêda” (la Pietra). Secondo Meister Eckhart, “la pietra è Dio, ma non lo sa, e per questo resta una pietra”: la sua forma e saldezza la rendono eterna, simbolo di quella "casa del divino" che si trova nelle montagne, dimore degli dei in molti miti e religioni. La Bibbia, per esempio, è ricca di riferimenti a pietre sacre, come nel caso di Giacobbe, che usa una pietra come guanciale e la consacra come segno divino. Anche la cultura degli antichi Liguri venerava le rocce come manifestazioni sacre, un culto delle vette che si trasformò, via via, nel culto cristiano dei santi.


Il Terminus Saloni di San Pellegrino in Alpe

Il dio Terminus


Le rocce erano utilizzate anche per definire i confini, protetti da divinità come Terminus, dio dei confini nella Roma antica, dove la pietra stessa diveniva il segno del diritto e della stabilità.
Nel dialetto della nostra montagna, queste pietre si chiamano “terni” (o “termi”?), ma c’è un luogo, sul monte Battuta - versante di Villaberza - definito “Terme”: da lì passava il confine tra i due ducati di Parma e Piacenza e Modena e Reggio. A Terminus, che è il “Limite”, i Romani sacrificavano al margine dei campi, nel culto pubblico e nel culto privato. Esemplare, a riguardo, la roccia “termine” di San Pellegrino in Alpe, che è quello scoglio - in parte lavorato - sul quale, ogni anno, ai primi di agosto, viene rinnovata e piantata la croce di legno.
Ne parla l’archeologo Nicola Cassone: “Una antica mappa dei dintorni di S. Pellegrino, risalente al 1686, raffigura un roccione posto poco a sud dell’ospitale sormontato da una alta croce; non v’è dubbio che si tratti proprio del ‘terminus Saloni’ oggetto delle rivendicazioni del Vescovo di Reggio nel 1436.”

Coppelle in zona Ceriola - Foto Roberto Ronchetti

La litolatria, venerazione delle pietre

Oltre alla sacralità legata ai confini, i massi erano oggetto di venerazione diretta attraverso la litolatria, che associava la solidità e l’immortalità della materia al divino. Scrive infatti l’antropologo Massimo Centini che la pietra è stata un riferimento non solo per gli usi pratici, ma anche appunto, per la venerazione. E qui si inseriscono le implicazioni associate alla fertilità, che possono aver svolto un ruolo eminente diventando il motivo del culto. Questo si osserva anzitutto nel simbolismo del “fallo litico”, a cui si riallacciano culti e tradizioni (sopravvissuti nel folklore) dove pietra e procreazione sono collegate. Inoltre, per analogia, e forse pareidolia, le sue caratteristiche di solidità e stabilità la vedono in funzioni e ruoli sia maschili, (se disposta verticalmente, come le colonne e gli obelischi) sia femminili (quando presenta scavature, fori, cavità o grotte, negli scivoli della fertilità e nelle pietre a forma di pancia).

La Pietra sacra dei Druidi a Locronan


I menhir francesi e il masso di Borzano d’Enza

“La pietra sacra dei Druidi” Ar Gazeck ven (La Pietra della Giumenta) dona alle donne sterili le gioie della maternità. La roccia è un enorme blocco di granito di 13 metri di circonferenza, adagiato sul fianco del Menez Lokorn (monte Locronan), in Francia. Locronan è un comune situato nel dipartimento del Finistère nella regione della Bretagna. È in corrispondenza di un antico luogo di culto druidico nella foresta di Nevet, un quadrilatero il cui perimetro era suddiviso in dodici punti contrassegnati ognuno da un menhir. Forse il tracciato rappresentava il percorso degli astri nel cielo nel corso dei mesi dell'anno. Alla pietra dei Druidi di Locronan sono legate diverse leggende e pratiche religiose, come testimoniano i suoi diversi nomi.“Ar gazeck ven” è l sua denominazione più comune. La leggenda le attribuisce il potere di combattere la sterilità e di assicurare la prole alle donne che venivano lì a sedersi, a sdraiarsi e a massaggiarsi il ventre. È impressionante la sua somiglianza con la roccia a forma di sedile di Borzano d’Enza.

La Pietra sedile di Borzano d'Enza

Posta ai margini di un campo, rivolta a Sud Ovest, potrebbe essere uno delle poche rocce - nell’antichità oggetto di venerazione - non fatte saltare con la dinamite dai contadini che le ritenevano un ostacolo per l’aratura e la semina. Di questa pietra si sa che, fino a pochi decenni fa, era comunque il “centro” del paese, il luogo in cui gli abitanti si ritrovavano la sera per stare in compagnia.


Pietra di Locronan


Il pittore Angelo Davoli e la pietra magica


Ma c’è un personaggio particolare legato a questa “pietra magica”: si tratta del pittore Angelo Davoli, ricordato lo scorso 12 settembre 2024, nel decennale della scomparsa, alle ex Reggiane a Reggio Emilia. L’evento era stato organizzato da Cristina Bolognesi, moglie dell'artista, musa e vestale delle sue opere, insieme ai tanti amici che desideravano rendergli onore. Anche la gente di Borzano ha voluto ricordare Angelo, ponendo una targa sulla “pietra magica” dove il pittore saliva spesso per guardare il cielo. Molto sentito, in proposito, il racconto della moglie Cristina riguardo alla loro abitazione a Borzano: “Qui c’era il secondo studio di Angelo, al cospetto della natura, dove poteva verificare il cielo e trovare le nuvole. Di fronte a casa nostra c’è un masso dove Angelo saliva per poter contemplare i castelli di Canossa e Rossena, con una veduta fino al monte Cimone”. Era stato lì, sul prato del sasso, che i due avevano organizzato il loro matrimonio “al calar della sera del dì 21 che della settimana è domenica, in quel di luglio dell’anno 1966… per chiesa il prato… per cupola la volta celeste” riprendendo, forse inconsapevolmente, gli antichi riti della fertilità propri anche delle pietre sacre di Locronan.


Il pittore Angelo Davoli


Nelle pietre si riflette il divino

Le rocce, nel cristianesimo, nel Nuovo Testamento, dove Gesù ribattezza Simone con il nome di Pietro, conferendogli il compito di fondare la Chiesa, diventano un simbolo della Chiesa stessa, un'idea che rimanda alla solidità della fede. Le pietre sacre non sono solo oggetti, ma luoghi in cui si riflette la presenza del divino, come nel caso della Pietra di Bismantova, monolite che, per i montanari reggiani, incarna veramente il culto delle montagne. D’altra parte, a Bismantova è stata rinvenuta una sepoltura ligure e grande importanza rivestiva presso i Liguri uno speciale culto delle vette, attestato in particolar modo nella zona del Monte Bego, in Liguria. Nel lontano anno 1868 venne pubblicato a Genova un libro sulla religiosità dei Liguri: si tratta de “Le teogonie dell’antica Liguria”, ora liberamente scaricabile in rete, dell’avvocato Emanuele Celesia. I nomi di molte loro divinità sono andati perduti, ma non quello di Penn, il dio che i Romani avrebbero tramutato in Giove Pennino (da cui Appennino) e che era legato al culto delle montagne. Il culto del "dio sconosciuto", simboleggiato dalle rocce, con l’arrivo del cristianesimo si trasforma, come dicevamo, nel culto dei santi e della Madonna.

Giacobbe che si addormenta con una
pietra sotto al capo


Antichi riti sopravvissuti fino agli anni ‘70

Un esempio di questo tipo di culto è documentato in un film documentario di Luigi Di Gianni, che mostra un rito di venerazione delle pietre in Abruzzo, dove i devoti si avvicinano e si strofinano alle rocce con gesti rituali, credendo che esse abbiano poteri miracolosi. Unico documentario girato da Di Gianni in Abruzzo, primo premio del Film Etnografico e Sociologico al Festival dei Popoli 1967, “Il culto delle pietre” testimonia una liturgia che si svolgeva tra il 6 e il 7 maggio a Raiano, in provincia dell'Aquila, in occasione della festa del patrono San Venanzio. Un altro esempio interessante viene dalla Sardegna, dove il culto della pietra è legato alla fertilità, con rituali che coinvolgono le pietre sacre nei santuari cattolici, come la "scivolata" su rocce che si crede abbiano poteri di guarigione e protezione. Il rito è stato documentato dal regista Fiorenzo Serra nel 1967 e riguarda le feste (novene) nelle chiese campestri in Sardegna. È importante perché comprova proprio gli scivoli della fertilità e l’uso, come medicamento, della polvere raschiata dalle rocce. La roccia dello scivolamento è chiamata “Su brazzolu” o “Su barzolu”. Sono antichi rituali magico-religiosi, sacri e profani, ancora praticati nel santuario di Nostra Signora di Gonare (Orani) e in altre parti della Sardegna almeno fino agli anni '60/'70. “Su brazzolu” sarebbe stata la culla dove, secondo la leggenda, la Madonna avrebbe deposto il bambino: è una pietra della “glissade”, la “scivolata”. La pietra, quindi, è sempre stata un tramite tra l'uomo e il divino, un simbolo di eternità e di connessione con la sacralità della natura.


 
Documentario di Luigi Di Gianni

Ceriola, masso inciso - Foto Daniele Canossini



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