Fino a non molti anni fa, da queste parti, la sera del Sabato Santo, si celebrava il rito dei falò. Erano le potature delle viti, con altri sterpi - residui di pulizia delle siepi - a formare le cataste che poi venivano incendiate per “bruciare la Quaresima”. Era una tradizione di probabile origine celtica che decretava il passaggio dall’inverno alla primavera e che riguardava le due sponde dell’Enza, oltre alla valle del Tassobbio, fino al monte Battuta di Soraggio. Un rito ben descritto dall’antropologo James Frazer nel suo saggio “Il ramo d’oro”. Siamo nella parte più a sud del comune di Canossa e l’abitato è quello di Borzano. In alto, il monte (colle) Staffola, (base longobarda *staffal = palo o cippo, segno di confine), digrada nel verde dei campi primaverili, dove i fiori dei ciliegi e dei pruni selvatici dialogano con il bianco della neve ancora presente a sud, sul Cusna e sull’Alpe di Succiso. L’acqua che scorre in tanti rigagnoli è segnalata dai salici e dai pioppi. Il toponimo Albareto (uno dei borghi) potrebbe derivare da “albaròt”, nome dialettale di un tipo di pioppo (Populus alba?). In tanta bellezza, emerge il campanile rosa, svettante, della chiesa di Roncaglio, che si accorda con le querce a ciuffi sui colli.
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Piccola scultura e peso da campane |
Schiviamo una lepre che attraversa la strada e ci avviamo verso la chiesa di Borzano. Nel volumetto “Percorsi canossani”, a cura di Giuliano Cervi e Mario Iotti, si legge: “La particolare morfologia del luogo (…) ha favorito la frequentazione della zona già in epoca romana: ne sono testimonianza i reperti fittili venuti alla luce in occasione di arature.” Dai racconti degli abitanti pare che siano stati trovati, in loco, ruderi di antiche fortificazioni e resti di sepolture. Può essere che la chiesa fosse in precedenza situata all’interno di un fortilizio e poi, più tardi, ricostruita dove si trova ora, riciclando anche parte delle pietre originarie. È dedicata a S. Bartolomeo apostolo, nominata nel 1560 come filiale della Pieve di Bazzano ed è su un rilievo sovrastante le “Case Papini”. Sul prospetto sud sono murati due conci di cui uno enigmatico, con una serie di simboli, forse numeri arabi e latini: incisione davvero sorprendente. Riprendendo dal volume di Cervi e Iotti: “Ma ciò che, nel caso di Borzano d’Enza, desta ancora più sorpresa, è il rintracciare, all’interno della chiesa parrocchiale, un’interessantissima scultura, nella quale sono raffigurati ben tre volti coniugati a un simbolo cristiano...” Secondo gli abitanti di Borzano la figura scolpita proviene da un’altra costruzione. Forse dal luogo ancora oggi denominato “castello”? Si dice che fosse inserita in un muro dal quale era poi stata levata, lasciando quasi di sicuro parte del terzo “volto” sul muro stesso. Dopo essere comparsa in foto nel libro sopracitato, era sparita: il parroco, don Efrem Giovanelli, l’aveva riposta non si sa dove e, per diverso tempo, nessuno l’aveva più vista.
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Lato con qualcosa che potrebbe essere una falce di luna o un uccello |
Si tratta di una scultura in arenaria con tre volti e tre corpi: forse una divinità? Oppure, solo lo scherzo (cosa non rara, riportata dal professor Giuseppe Giovanelli) di qualche scalpellino? Il manufatto è veramente unico nel suo genere. Vediamo i volti: uno, il primo, con occhi tondi ma non sporgenti, ha il naso appena accennato e la bocca a fessura. Sotto al viso compaiono cinque bugne - di cui una parzialmente distrutta - che ricordano dei seni o delle lune. In corrispondenza della “pancia”, invece, c’è un disco con una croce che è senz'altro “patente”. La croce “pattée” ha le braccia più strette verso il centro e larghe in fondo, somiglianti alle zampe degli animali. È un simbolo antichissimo, presente già nel Neolitico in Turchia e in Persia, dove compaiono analoghi simboli cruciformi. Le croci patenti sono nelle ceramiche delle culture di Susa e Samarra tra il V e il II millennio a. C. e si ritrovano anche nell'Europa orientale, nella Cultura Cucuteni (5000-3500 avanti Cristo). I cruciformi, simboli solari, potrebbero essere indicatori di credenze nel ciclo della vita, simbolismo della persistenza dell'anima dopo la morte. Sono presenti in tutti i popoli e potrebbero aver influenzato indirettamente, in seguito, le forme delle prime croci cristiane, trovando nel cristianesimo un nuovo significato. Il secondo volto ha uno zigomo molto marcato, è più grande, la bocca è semiaperta, gli occhi rotondi e il naso meglio delineato; sotto, in basso, si distingue la sagoma di ciò che pare un uccello (un’anatra?). Il terzo volto ha solo l’ovale, è il più piccolo e sovrasta un disco vuoto. I lati del manufatto sono quattro, ma il quarto è grezzo.
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Chiesa di Borzano d'Enza |
Ritorniamo al luogo dove l’opera è custodita: Borzano, che si trova a 15 minuti d’auto dagli scavi archeologici di Luceria (nata come centro mercantile attorno al IV secolo a.C. nella Gallia Cispadana, sullo snodo di tre importanti vie di comunicazione). Borzano è a 17 minuti da monte Venere, dove c’era un insediamento dell’età del bronzo, e a 20 minuti da Pianzo, sulla cui chiesa è murata una sirena bicaudata. In paese è presente una roccia coppellata (ofiolite), a forma di sedile che guarda il monte Lulseto (dove c’è il famoso complesso incisorio preistorico). Vicinissimo a Borzano c’è il paese di Trinità, con il suo trivio di strade. Forse il crocevia c’era anche nell’antichità e lì, a protezione, era posta una divinità? In questo caso, il manufatto potrebbe ritrarre Giano, con un volto giovane e uno vecchio (il futuro e il passato), mentre il terzo volto, visibile solo agli iniziati, rappresenterebbe l’eterno presente. La tipologia dei volti della figura è molto simile a quella di altre riconosciute come celtiche e presenti in vari musei, dalla Gran Bretagna, all’Irlanda, Francia, fino alla Turchia. Tra i Celti, diverse erano le divinità tricefale poste a protezione dei crocicchi (le tre Brighit, le tre Morrigan), ma anche della confluenza di torrenti: il Tassobbio s'innesta nell'Enza proprio più in basso di Borzano. Altre dee trine di altre religioni erano le deae Matres o Matronae (affini alle Parche), le dee tripartite (Moire, Esperidi, Danaidi) e poi Ecate trimorfa o tricefala, raffigurante la giovane, la madre e l’anziana. Ecate era inoltre incaricata di condurre negli inferi le anime dei defunti (funzione che avevano pure alcuni uccelli, come l’anatra). Sono comunque infinite le triadi divine nel politeismo storico: ricordiamo la triade capitolina romana: Giove, Giunone e Minerva.
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Chiesa di Borzano d'Enza |
Abbiamo chiesto un parere sulla scultura al professor Gian Luca Malatrasi, autore del volume “Pietre Matildiche”, Edizioni San Lorenzo: “Collocherei l’opera tra il IX e il XII secolo (comunque prima del periodo antelamico). La rotondità, la pienezza delle forme e l’espressività mi farebbero propendere per un’opera già romanica, anche se in Appennino abbiamo almeno una scultura, con volumi accentuati, riportabile al IX-X secolo: una lastra in pietra raffigurante un battesimo conservata presso i Musei civici di Reggio Emilia a cui faccio riferimento nel mio libro. Difficile capire quale collocazione la figura di Borzano potesse avere in un edificio: magari era un semicapitello (dalla forma inconsueta), forse un cippo, tenendo in considerazione i crocicchi della zona. Per il significato manca un contesto sicuro cui fare riferimento, anche perché sono numerose le lacune dovute al deterioramento delle figure. Mi sentirei però di escludere un rimando al dio Giano, non tanto perché i due volti sono differenti - potrebbero infatti essere un giovane e un vecchio - ma perché non guardano in direzione contraria. Inoltre la possibile presenza di un terzo volto risulterebbe difficile da comprendere, a meno che non si consideri l’interpretazione che riguarda le tre età dell’uomo, il che permetterebbe di identificare la figura mancante come quella del bambino. In questo caso potrebbe trattarsi di un manufatto del XII secolo. Interessante e plausibile è un legame dell’oggetto con Trinità come incrocio di vie e, più in basso, di fiumi, e il rimando a influenze celtiche, sostenibili dal punto di vista stilistico ma che non sono in grado di argomentare a partire da elementi figurativi specifici, a parte naturalmente la croce patente.” Per la dottoressa Anna Losi, archeologa, la croce è sicuramente patente e il piccolo elemento scultoreo trimorfo potrebbe rappresentare, appunto, le tre età della vita, simbologia che si ritrova in ambito cristiano; tuttavia, aggiunge che tutto, in zona, è ancora da studiare e approfondire.
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Libro del professor Gian Luca Malatrasi |
Riguardo alla croce, precisa il professor Malatrasi: “Un’altra ipotesi è che quella croce sia templare. La presenza dei templari è attestata a Reggio e nell’attuale Puianello (Mucciatella) già a partire dalla prima metà del XII secolo. Controllavano diverse vie di comunicazione strategiche nell’ambito dei pellegrinaggi e delle crociate. La croce, oltre che l’ovvia allusione a Cristo, andrebbe vista in stretta relazione alle crociate e il volto che la sovrasta potrebbe essere quello di un soldato. Ho notato, nelle foto, che il volto pare circondato da un rilievo e che il naso potrebbe essere, in realtà, il coprinaso degli elmi in uso fino al XII secolo. È vero che l’elmo dei crociati è l’elmo a staro, ma, se non ricordo male, tale elmo entrò in funzione solo partire dal XIII secolo. In questo caso avremmo quindi un elemento che collocherebbe la produzione del manufatto nel primo periodo dell’insediamento dei templari tra Reggio e Mucciatella. L’altro volto, pur frutto della medesima mano, ha caratteristiche molto diverse. In particolare colpisce la grandezza e la rotondità degli occhi, quasi ad alludere ad uno sguardo divino, è più voluminoso e potrebbe avere la barba, il che porterebbe inevitabilmente a leggere questa figura come Cristo nel Sepolcro. La figura inferiore, che all’inizio ho fatto molta fatica a riconoscere come un uccello, alluderebbe in qualche modo alla Resurrezione, oppure potrebbe essere un grifone. Le cinque bugne potrebbero alludere alle cinque parti che compongono la parte nera del vessillo dei templari.” In effetti, la croce patente sulla scultura, a differenza delle croci precristiane, è cerchiata e, questo, nel simbolismo templare, raffigurerebbe l'androgino primordiale il cui tema faceva parte della dottrina del Tempio.
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Esempio di croce patente |
Ai vescovi, a partire dal 1563, era stato affidato il compito della prima sorveglianza sulle immagini. La rappresentazione della Trinità fu sempre molto discussa, specialmente a partire dal Quattrocento. Era accettato soltanto il Trono di grazia: Dio padre che sostiene il crocifisso, con l’immagine sovraimposta della colomba, mentre “si devono biasimare i pittori quando dipingono delle cose contrarie alla fede, quando rappresentano la Trinità come una persona a tre teste”. Forse, il parroco di Borzano si era ricordato di queste disposizioni? Alla fine del Concilio di Trento uscì un cattolicesimo che rifiutava presenze iconografiche ingombranti o apocrife. I Cavalieri del Tempio si pongono, nondimeno, sotto il numero 3, mistero della Trinità ma anche numero sacro, simbolo della perfezione, della completezza, che condivide con il 7 e il 10. E il numero 5, quello delle bugne presenti sula piccola scultura? Nel simbolismo medioevale, i cinque sensi erano rappresentati nei cinque petali di molti fiori; in oriente corrispondeva ai cinque punti cardinali più il centro. Per il cristianesimo, cinque furono i pani con i due pesci che Gesù condivise alla folla affamata, cinquemila il numero delle persone presenti all’evento a gruppi di 50. Cinque sono infine i lati dei tabernacoli che custodiscono le ostie consacrate, cinque le piaghe della crocifissione. Cinquanta sono i giorni dopo la Pasqua in cui lo Spirito Paraclito scende sugli Apostoli e su Maria (Pentecoste).
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