lunedì 27 novembre 2023

“FROLE E BAGGI”, LE POESIE DI RALFO MONTI IN LIBRERIA - UNA NUOVA EDIZIONE DI “ALTE VOCI”


Il poeta dipinge, con affetto, ironia e tenerezza, una realtà umile, scomoda: quella dei monti, dei piccoli borghi (Civago e dintorni), della più varia umanità. A quarant’anni dalla scomparsa, un omaggio al cantore del crinale



Sono come tracce sulla neve, quando dopo una nevicata, se non si usava la pala, le impronte poi ghiacciavano, formando essenziali passaggi tra le case, le stalle, i pollai.

Sono come macchie di colore, squarci nei quali si insinuano immagini lontane. Sono le poesie di Ralfo Monti, bella voce di Civago, per fortuna ancora presente nella memoria collettiva.

Un poeta montanaro, tuttavia marinaio, dato che i montanari si son sempre dovuti spostare al piano, al mare, perfino al di là dell’oceano; “nomadi” per bisogno ma anche perché, dall’alto dei monti, l’orizzonte si allarga e appare più vasto, e affascina: chiama all’avventura.

Raccolte, finalmente, in una pubblicazione di “Consulta libri e progetti” - dall’elegante veste grafica di Elisa Pellacani – le poesie sono ora nelle librerie con il titolo “Frole e baggi”.

La selezione, la sequenza e la revisione dei testi sono state curate da Lino Paini e Paola Ranzani, mentre le note introduttive e la postfazione sono di Benedetto Valdesalici, dello stesso Paini, e di Emanuele Ferrari.

“Frole e baggi” sarebbero le fragole e i mirtilli e viene dai versi dedicati apertura della strada Civago – Piandelagotti. È un testo in cui, con impudente ironia e, soprattutto, con sarcasmo beffardo, il poeta dipinge l’evento, non trascurando qualche frecciatina diretta ai politici e agli amministratori.

Questa la conclusione: “La strada!/ Non vi dico che vantaggi!/Andremo in vespa fino in Garfagnana,/spediremo col camion frole e baggi/e le greggi di pecore in Toscana/e in autunno la bella cameriera/a servizio, d'accordo, ma in corriera!”

La poetica di Ralfo ha tanto della pittura; a volte è impressionista, con la capacità di recuperare immagini parziali, collegando, nello stesso momento, più fatti e sensazioni.

È colta, come quella del Pascoli, soprattutto nei sonetti: “Là dove il cielo al mare si confonde/di rosea luce si dipinge a sera./È l’ora in cui mia madre si nasconde/il volto in seno e dice una preghiera./Triste una lieve nenia si diffonde/forse è il mare che bacia la scogliera/O forse è il pianto abbandonato all’onde/di donna che pel figlio suo dispera.”

Ralfo Monti


L’influsso dei due anni di studi nel Seminario Vescovile di Reggio Emilia è indubbio. La poesia di Ralfo non è naif, non è ordinaria; la padronanza, da parte del poeta, delle forme metriche della poesia lirica e della poesia narrativa emerge chiaramente. Forse perché in seminario si studiava latino fin da subito, insieme alle altre discipline? Il latino, infatti, con la sua complessa sintassi, affina e potenzia le capacità linguistiche dell’italiano.

Erano tempi in cui, per accedere alle medie del seminario, si doveva sostenere un difficile esame di ammissione dopo le elementari; la quinta non era obbligatoria, quindi il piccolo Monti l’avrà frequentata “in più” proprio per continuare gli studi e perché era un ottimo allievo.

Colto, dunque, ma spontaneo, genuino. In altre rime, come facevano i macchiaioli, Ralfo dipinge una realtà umile, scomoda, non certo da mondo intellettuale. È quella dei monti, dei boschi, dei piccoli borghi (Civago e dintorni), delle campagne, della più varia umanità, sempre guardati, comunque, con implicita tenerezza.

Anche con “malinconia”, nell’accezione di nostalgico rimpianto e desiderio irrealizzabile che questo termine assume dalle nostre parti: “e sogno le tranquille ore passate/in casa tua, fra un litro di buon vino/e una padella colma di bruciate./Vedo Graziella intorno al lavandino/fra piatti ed acqua fresca dei miei monti,/Silvio è in lettura, scherza Edda con Lino.”

Civago in una vecchia foto

E poi c’è l’ottava rima, che Ralfo usa in più componimenti, costituita da strofe in endecasillabi, sei in rima alternata e le ultime due che terminano con lo stesso suffisso.

La stanza, o ottava, ebbe grande successo sia tra i poeti letterati sia tra i poeti privi di istruzione.

È sempre stata trasversale al mondo “colto” e al mondo “popolare”: la usò Boccaccio, ma la ritroviamo nell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. L’ottava è utilizzata anche nelle “Stanze per la giostra” di Poliziano.

È giocosa e arguta, la poesia in ottava in cui Ralfo Monti descrive una villeggiante bolognese che tenta di allontanare un vecchio rognoso cane dalla sua preziosa cagnetta: “Quella signora bionda che d'estate/viene in villeggiatura da Bologna/tutte le furie in corpo ha scatenate/e rossa in viso e piena di vergogna/strilla e cerca di prendere a sassate/un vecchio can bastardo con la rogna/frustandolo col guinzaglietto rotto/dalla cagnetta che gli sta di sotto.”

Alcune poesie, invece, sono in sestine, quartine, terzine, verso libero, sempre con lo stesso stile disinvolto e in bella commistione fra cultura alta e popolare. D’altra parte, già ai tempi di Dante – e anche in seguito - la Divina Commedia era stata studiata dagli eruditi e, al contempo, recitata a memoria dal popolino. Anche dai pastori.


Proprio dalle parti di Pàvana, il paese di Francesco Guccini, nell’Appennino pistoiese, proveniva la pastora analfabeta Beatrice Bugelli, conosciuta come Beatrice di Pian degli Ontani: la più grande poetessa-cantante dell’ottava rima di tutto il 1800, diventata celebre dopo che Niccolò Tommaseo l’aveva scoperta sui monti nel 1832. Un tempo, quando né radio, né televisione, né internet esistevano, le piazze dei paesi e le aie, in estate, e le case o le stalle, in inverno, erano luoghi d’incontro, dove bambini, giovani e anziani, tutti insieme, si davano al ricordo, al canto e al racconto. Nel mondo tradizionale, l’arte del cantare improvvisando, del poetare, ha consentito anche a persone poco istruite - o analfabete - di esprimersi e ritagliarsi un proprio spazio creativo, riconoscibile e riconosciuto.

Beatrice Bugelli

Dice Lino Paini nella sua introduzione: “Ralfo guarda il suo paese da un osservatorio privilegiato, le navi mercantili su cui ha solcato i mari di mezzo mondo. In calce a molte poesie, Ralfo si premura di indicare il mare che stava solcando in quel momento: non a caso, sono proprio le poesie che più di altre lo avvicinano al paese, agli amici, alla mamma.”

Ralfo Monti morì a soli 58 anni, il 27 aprile 1983. Era tornato a Civago dopo essere andato in pensione, e questo solo due anni prima. Di certo, non aveva “risparmiato il fiato”, come dovrebbero fare i montanari.

Nella sua poesia “Cos’è”, Ralfo risponde alla levatrice che, davanti a un neonato (suo figlio?), dipinge i montanari come molto arretrati, tanto da non riuscire a piangere alla nascita: “In pianura s'immagini/che perfino i neonati/acutamente strillano/in segno di protesta/mentre qui appena frignano/e chinano la testa./Il montanaro è semplice/e forse più educato..."/ "Nooo... si risparmia il fiato.”





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