sabato 14 ottobre 2023

LE ULTIME RISULTANZE ARCHEOLOGICHE SUL MONTE LULSETO E NOTE A MARGINE


CROVARA /CONFERENZA DI GIULIANO CERVI  


L’enigma delle canalette incise e le nuove scoperte: coppelle, triangoli, simboli fallici e altro ancora. E poi la testa in pietra di Crovara: un manufatto celtico o una semplice “Marcolfa”?



Partecipata e degna di interesse è stata la conferenza dell’architetto Giuliano Cervi il 25 agosto scorso a Crovara di Vetto; dopo aver ripercorso le conoscenze già acquisite grazie al comitato scientifico del Cai, e già pubblicate, Cervi ha presentato le ultime risultanze archeologiche sulle incisioni del Lulseto. Un luogo di culto, ha confermato lo studioso, dove l’acqua aveva un’importante funzione sacrale, attestata dalla presenza di una fonte: un incavo nella roccia a forma di bacile.

Fonte nella roccia
(forse da indagare tutto intorno?



Ha inoltre avanzato un’ipotesi senz’altro verosimile sul “diavolo di Crovara”, il volto con le “corna” murato su una parete della chiesa. A margine della conferenza, sorgono alcune considerazioni e interrogativi. Il primo riguarda lo scopo e la formazione delle canalette: cosa sono? Perché e come sono state incise? Con quali attrezzi, visto che la roccia è arenaria silicea, certamente meno friabile rispetto ad altre e, d’altro canto, più dura da lavorare? L’ipotesi di Cervi è che quei solchi siano stati scavati in tempi molto lontani - benché più recenti rispetto ad altri segni - e poi ripassate, negli anni, accentuandone l’incavo, dai bambini dei dintorni, i quali le usavano come scivolo e parco giochi. Di primo acchito, rievocano le “cart ruts”, i famosi “solchi di carro”, sennonché, soprattutto in questo caso, le canalette non possono essere state impresse da ruote, sia pure rivestite di ferro, o da slitte – le “tragge” – dato che la troppa inclinazione della roccia non ne avrebbe favorito l’utilizzo e anche perché non sono linee parallele. Vediamo di cosa si tratta.

L'architetto Giuliano Cervi durante la conferenza
(foto di Davide Costoli)

“Cart ruts”, manufatti o impronte?

Le canalette incise sono ovunque. Le vediamo a Pompei, dove, sulle vie, disegnano solchi paralleli, quindi, in questo caso, sono state realmente impresse dal passaggio dei carri. Ma altrove?


A Cerveteri, per esempio, le cart ruts ricoprono un’intera collina, passando tra le tombe e le vasche, intersecandosi come uno scalo ferroviario. Sono anche a Gravina di Puglia, sono in Sardegna (necropoli di Su Crocifissu Mannu) e sono in altri siti etruschi, come la necropoli di Norchia. Sembrano marcare luoghi di culto e sepoltura di alcune popolazioni e, in qualche zona, sulle cart ruts sono stati eretti, in seguito, edifici religiosi cristiani; è il caso di La Madeleine a Tursac, in Dorgogna, dove le canalette, con coppelle, si trovano accanto a una piccola cappella cristiana. Dimostrazione, ancora una volta, che il cristianesimo, non riuscendo a cancellare i luoghi sacri pagani, li ha incorporati. Si ipotizza per le cart ruts una datazione molto antica, in periodo preistorico, proprio per l’usuale coesistenza di cart ruts e siti preistorici. È l’isola di Malta, però, a detenere il maggior numero di questi solchi. E, come in Sardegna, pure a Malta, a Clapham Junction, al di sotto delle cart ruts ci sono caverne e anfratti opera dell’uomo. L’antropologo Massimo Frera, che ha studiato questo fenomeno, afferma trattarsi di una “…manifestazione rituale, probabilmente connessa a un pensiero religioso che aveva al suo centro la Grande Madre e l’acqua, sua teofania”, esattamente come ipotizzato da Cervi. Certo, la loro associazione con le necropoli fa riflettere anche riguardo al Lulseto...

Foto rielaborata da Italo Garavaldi


Incisioni, ipotetico calendario celtico e… Halloween

Le canalette del Lulseto sono sette e sono inframmezzate da coppelle, alcune delle quali grandi abbastanza da formare una comoda scala. Il collegamento delle canalette con i siti preistorici, le necropoli e i luoghi sacri, di cui parlavamo prima, non si può ignorare osservando il lastrone. Proprio all’inizio, una serie di piccole coppelle unite da solchi formano una sorta di tridente, nel complesso simile alla costellazione dello Scorpione. “Quell’incisione, in comune con la costellazione dello Scorpione ha solo il tridente. I presupposti mi sembrano un po' forzati…”, dice però Roberto Ronchetti, serio studioso appassionato di archeoastronomia (scienza che analizza i reperti usati anticamente per l’osservazione dei corpi celesti). Si potrebbe comunque supporre, senza scadere nella fantarcheologia, che il numero delle canalette dovesse indicare i sette mesi “luminosi” del calendario celtico, mesi che, durante l’Età del Ferro, si concludevano a novembre con la levata eliaca (all’alba) di Antares, stella rossa dello Scorpione. Tuttavia… sempre Ronchetti: “In generale, i calendari, sin dalle registrazioni del paleolitico, presentano segni in numeri che possiamo mettere in rapporto tra loro e il movimento degli astri. In questo caso dovremmo rapportare le coppelle alla canalette, ma le prime sono distribuite in modo poco ordinato, caotico, mentre il tempo ha ritmi costanti. Vorrei ricontrollare con metodi che ho messo a punto da poco, perché, per ora, oltre al fatto che sono sette, non trovo altri indizi. Non penso, al momento, che ci siano aspetti calendariali al Lulseto; ci sono invece aspetti astronomici tipici dei siti cultuali preistorici che troviamo anche al Sassoso, a Montecagno, al Ventasso e in altri luoghi. Nel caso del Lulseto, il dato è l'esposizione del lastrone, rivolto al tramonto solstiziale invernale, aspetto rimarcato da un ‘podio’ e anche da un allineamento sottostante”.

Calendario Celtico di Pietro Gambarelli
per Bergogno

Quello di Ronchetti è un parere affidabile: come ricercatore ha esaminato e misurato quelle che lui definisce “le meridiane dei pastori” - massi indubbiamente orientati, con funzione di proto meridiana, con segni antropici non riconducibili a un semplice riparo - riportando poi i risultati in un saggio non ancora pubblicato. Tornando ai Celti, per loro lo scorrere del tempo era ciclico, si snodava in spirali, in cicli di cinque anni (di mesi lunari) inseriti in altri di trent’anni: non seguiva una linea retta come è per noi. Un calendario celtico territoriale è stato ricostruito da Pietro Gambarelli nella sua pubblicazione “Bergogno terra di Matilde tra storia e leggenda”.
Pietra "podio"


L’attuale 31 ottobre/1º novembre, per i Celti corrispondeva a Samhain, il loro capodanno. In tutto questo, l’importanza della luna e dei suoi cicli è stata ben documentata da molti autori latini e, soprattutto, dal calendario celtico presente su una tavola di bronzo rinvenuta a Coligny, in Francia, nel 1897. E veniamo ad Halloween… La festa discende da quella celtica di “Trinvxtion Samoni”, “le tre notti di Samonios”, festività che si teneva proprio dal 31 ottobre in avanti, quando le forze degli spiriti dei morti potevano unirsi al mondo dei viventi, stemperando la paura della morte nell’allegria del capodanno. Il cristianesimo si sovrappose a Samhain/Halloween, tuttavia in Irlanda la festa sopravvisse per poi essere esportata negli Usa dai migranti irlandesi e, in seguito, riportata in Europa - anche in Italia - negli ultimi decenni.


Cernunnos, il dio con le corna

L’intuizione di Giuliano Cervi riguardo al volto in pietra murato sulla chiesa di Crovara, che tanto ricorderebbe un dio celtico, è davvero credibile. Il dio cornuto Cernunnos (pronunciare: Kernùnnos) porta corna o palchi di cervo e, come lo stesso animale, signore della foresta, può avere gli zoccoli. Una delle prime rappresentazioni di un essere “cornuto” è tra le pitture rupestri della Val Camonica, ma di Cernunnos si sa poco. Il suo nome è apparso solo una volta, associato alla sua immagine, sul “Pilastro dei nauti” (Nautae Parisiaci), scolpito a Parigi durante il I secolo d.C.; il manufatto raffigura una serie di divinità romane e gaeliche, tra cui, appunto, Cernunnos.


Il "diavolo": notare una sorta di baffo e un pizzetto sul mento

Il “diavolo di Crovara”, come dice Cervi, è diverso dalle teste apotropaiche presenti nei paesi intorno, per esempio Ceredolo dei Coppi. Ha le “corna”, gli occhi a fessura, qualcosa che sembra un labbro superiore pronunciato - ma potrebbero essere baffi gallici - e un pizzetto a triangolo sul mento. Figure scolpite molto simili sono presenti nei musei inglesi.

La testa, per i Celti, aveva una grande importanza, infatti le teste mozzate dei nemici venivano appese al collo dei cavalli. Erano di persone di sesso maschile (mai di donne), adulti, già defunti, e morti, nel fiore degli anni, della “bella morte”, cioè combattendo. Da alcuni documenti, risulta che le teste venissero imbalsamate per esporle davanti alle case. Nel 2018, gli archeologi lo hanno confermato con il ritrovamento, nel sito celtico di Le Cailar, in Francia, delle prove di questa abitudine: teste imbalsamate risalenti a più di duemila anni fa.

Il fatto che, dall’esposizione delle teste vere si sia poi passati alle teste in pietra, è più che plausibile e spiegherebbe questa usanza diffusa in tutto il nostro Appennino, soprattutto nel modenese (con le “Marcolfe”). L’architetto Cervi ha specificato che nei pressi dei luoghi di venerazione venivano piantati dei fittoni con raffigurazioni di volti umani; può essere dunque che la testa di Crovara sia testimone e “segnale” dell’antico luogo di culto del Lulseto.

Le “corna” del volto di Crovara, restando in ambito celtico, potrebbero però dipendere, come racconta Diodoro Siculo, dalla pratica dei Celti di impiastrare i loro capelli con acqua di calce per schiarirli, tanto da somigliare poi a divinità cornute: “Lavano, infatti, frequentemente le chiome con acqua di calce e le tirano indietro dalla fronte alla sommità della testa e giù fino alla nuca, così da sembrare simili nell’aspetto ai Satiri o a Pan: a seguito di questo trattamento, i capelli diventano tanto pesanti da non differire in nulla dalla criniera dei cavalli.”


Nuovi ritrovamenti al Lulseto

Coppelle e canalette

Procedendo sul sentiero verso il lastrone inciso, a destra si incontra la sorgente (sulla quale si dovrebbe forse indagare, ripulendone i contorni), e più su, nel bosco, c’è una serie di massi messi quasi a semicerchio. È su questi massi che sono state scoperte ed esaminate dal Cai nuove coppelle collegate da solchi; sullo stesso masso, Roberto Ronchetti ha in seguito “riconosciuto” un triangolo con la punta in basso, chiaro simbolo del pube femminile. Di più: di fronte al triangolo c’è una pietra a forma di fallo. Secondo Ronchetti: “La fattura suggerisce un modellamento, o quanto meno che siano stati elaborati alcuni dettagli per evidenziarne la forma ispiratrice, tuttavia non presenta evidenti segni di lavorazione. Volendo classificare il fallo e anche il ‘triangolo pubico’ come naturali, l’iconicità del primo e il simbolismo di entrambi sono stati quasi certamente riconosciuti, dato il sistema di coppelle e canalette inciso appresso, e forse ulteriormente valorizzati dall’incisione stessa”.

E qui entra in gioco la “pareidolia”, ben spiegata da Ronchetti, cioè l’illusione subcosciente che ci induce a riconoscere volti o forme conosciute in oggetti dalla forma casuale. In pratica, l’uomo sarebbe intervenuto con: “...segni che non modificano l’immagine, ma che di fatto ‘marcano’ l’oggetto (…) immediatamente vicini a massi recanti incisioni o lavorazioni antropiche”, cioè aggiustando appena ciò che la natura aveva creato. E, nella conferenza, Cervi ha confermato che l’esistenza di coppelle e reticolo di canaletti identifica una funzione offertoria.

Ronchetti ha notato che un triangolo con il vertice in alto (simbolo maschile) e un segno naturale vulviforme sono comunque presenti pure sul lastrone. Inoltre: “Pochi passi sotto il ‘santuario’, a valle di un grande masso di arenaria, si nota una testa di rettile, un serpente o una tartaruga, di cui il blocco raffigurerebbe il corpo, sebbene sproporzionato. Sospettiamo che qualche dettaglio sia stato realizzato da mano umana: gli occhi e una linea che demarca il collo. Se, in ogni caso, fosse naturale, riteniamo che la figura sia stata considerata per ciò a cui assomiglia, dato che, oltre ad essere prossima al ‘santuario’, alle spalle della testa è stata scolpita una grossa coppella”.


Il rettile



Sul masso sono presenti altri segni da verificare e, vicino al “rettile” c’è qualcosa che ricorda uno “scivolo della fertilità”. Sempre sul sentiero, a sinistra c’è poi una pietra rettangolare posizionata a “podio”, dalla quale, quando gli alberi sono spogli, si può osservare l’orizzonte: “Questo podio è pensato per far osservare il tramonto del solstizio invernale, per indicarlo e celebrarlo”, ci spiega Ronchetti con la solita, scrupolosa correttezza.

In attesa della pubblicazione dello studio sulle nuove scoperte da parte del comitato scientifico del Cai, è importante riprendere le parole del ricercatore Luca Bettosini, perché un conto è formulare ipotesi da verificare, come fanno Cervi e Ronchetti, un conto è affermare verità (fantasy) alla Peter Kolosimo: “L'archeologia e la ricerca storica richiedono un approccio rigoroso basato su prove e dati concreti. Creare storie senza fondamento scientifico non solo distorce la verità, ma può anche minare la fiducia del pubblico nell’importanza della conservazione e dello studio di questi antichi reperti (…) la vera bellezza dei massi con coppelle risiede nella loro autenticità storica, nelle storie che possono raccontare delle civiltà passate e nella connessione con il nostro patrimonio culturale”.



Relazione di Giuliano Cervi:
 https://youtu.be/sfgR-RRNHfY?si=2m5C33ppjuGmqxLA





2 commenti:

  1. Non una parola di chi ha scoperto il sito .

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  2. Gentilissimo anonimo, chi ha scoperto il sito è già comparso in altri articoli. Cosa facciamo: ripetiamo all'infinito le stesse notizie? Se permette, decido io (poiché nessuno mi paga), cosa scrivere o meno. Lei è liberissimo di fare altrettanto. Tra l'altro, l'educazione non sarebbe male ricordarla, quando si interviene pubblicamente su un blog

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