sabato 1 luglio 2023

GATTA/ DAL MEDIOEVO IMMAGINARIO L'AMORE CONTRASTATO TRA LEDA E RAIMONDO


Dipinto del pittore Fabio Rota: Leda che si trasforma in serpente

Sono quasi scomparse, sui nostri monti, le leggende che narravano di mostri, serpenti, giganti, folletti dispettosi. Poi c’era il diavolo che appariva qua e là, specialmente - da bravo capitalista - nei dintorni o dentro ai mulini. “La commovente vicenda di Leda, figlia di Azzo signore della Gatta, e di Raimondo, figlio del Conte di Vallisnera” è un’antica novella  - già pubblicata su Tuttomontagna nel 2011 - che vogliamo riprendere per analizzarne i simboli e i contenuti, i quali riportano, in parte, proprio a quelle figure magiche. 


Palazzo Gatti

Ci spiega Fabrizio Fontana, di Civago, che la famiglia Gatti è proprietaria di molti terreni nella zona di Carniana, comune di Villa Minozzo. La terra in questione ha inizio a Carniana e si sviluppa fino al Secchiello; proprio a metà c'è una specie di avvallamento dove sembra nasca un piccolo rio: potrebbe essere quella la sorgente “del Groppo” di cui si narra nella favola? Il Concilio di Trento - e la seguente opera di cancellazione dei culti pagani – debellò quasi del tutto le “superstizioni” rimaste intatte nelle zone più remote. I pochi miti scampati alla cristianizzazione si fusero, in seguito, con le vicende cantate nel Maggio drammatico: episodi su paladini, re, crociate, guerre contro il male, la stessa Matilde di Canossa. Insomma: il Medioevo “immaginario” che un po’ tutti ci portiamo dentro. Come afferma la professoressa Francesca Roversi Monaco: “Il medioevo corrisponde a un esotismo temporale, l’Oriente a un esotismo spaziale”. Perché il passato è come “un paese straniero” e il Medioevo è davvero esotico. Lo dichiarava anche Giosuè Carducci: “Al poeta è lecito, se vuole e può, andare in Grecia e in India nonché in Persia e nel Medioevo”. 


Raimondo e Melusina

A proposito dei Maggi, tre sono le ipotesi circa la loro nascita e il loro sviluppo: la prima riguarda il legame tra il Maggio e i riti primaverili ancestrali; la seconda è legata alla lauda medievale, divenuta poi col tempo “Sacra rappresentazione”; la terza - come ben chiarisce il professor Davide Villani in un suo saggio - “...indicherebbe l’origine dei Maggi come frutto della classe dirigente toscana ottocentesca che, per soddisfare il proprio programma etico - politico, innestò tratti morali e ideologici su una rudimentale struttura già appartenente alle popolazioni rurali toscane”. Ma torniamo alla leggenda raccolta nel 1961 da Quinto Veneri e pubblicata sul Resto del Carlino. Intanto, la protagonista è Leda, figlia di un ipotetico Azzo della famiglia Gatti. Azzo è un nome longobardo che, con le varianti Atto, Attone, Azzone, dovrebbe significare “nobile”; Leda ricorda, invece, la bellissima regina di Sparta, sedotta da Zeus - trasformato in cigno - e poi diventata la madre di Elena di Troia. Il toponimo “Groppo” potrebbe altresì derivare dal dialetto “gròp”: collinetta, oppure sempre dal dialetto “gröp”: nodo, nodosità. In quest’ultimo caso ricordiamo che la difterite veniva chiamata “mâl dal gröp” perché chiudeva la gola e strozzava. Nella famiglia Gatti è presente il nome Azzio, che però deriva dal latino Accius o Attius (Azia, della gens Atia/Attia, era la madre di Ottaviano Augusto) e non ha a che fare con Azzo. È proprio Azzio Gatti, nel 2011, a ritrovare e salvare questa favola.


Drago

Il “cattivo” del racconto è un certo Conte di Vallisnera, un vecchio che vorrebbe sposare la bella Leda e che minaccia Azzo: “Se me la darai in sposa, i miei maghi di Pradarena ti aiuteranno ad estendere il tuo dominio fino ai confini del mio; se no …” Azzo non accetta e Leda viene trasformata in serpe dal Mostro dei Rivoni, un drago che infestava le zone del Secchia e del Secchiello, sentinella del regno dei maghi di Pradarena. Leda, però, una volta all’anno, poteva riacquistare sembianze umane e, in quei giorni, compiere prodigi. Il mito della sirena (e fata) Melusina è chiarissimo, in questa parte, anche se rovesciato: Melusina, nella fiaba originaria, era donna per una settimana, poi, per un giorno, si allontanava e ritornava serpente, lavandosi nelle acque di una fonte. Confidando nelle capacità prodigiose di Leda, il Conte di Vallisnera sperava di essere tramutato in un bel giovane del quale lei si sarebbe innamorata. Il sortilegio del Mostro sarebbe caduto e lui avrebbe potuto sposarla. Il padre di Leda, però, decise nel frattempo di andare a chiedere sostegno a Matilde di Canossa; la contessa lo accolse e gli consigliò di farsi aiutare dai paladini perché uccidessero il Mostro dei Rivoni e tutti i briganti (o maghi?) di Pradarena. Azzo obbedì e, magicamente, comparvero Carlo Magno e il paladino Orlando che, però, non riuscirono a trovare né il drago, né i maghi: “Dove è la Croce - concluse Carlo imperatore - il diavolo fugge”. Ed ecco che arrivò re Teodorico dall’Etna, ma anch’egli fallì. A nulla valse persino l’intervento di San Giorgio con la spada sguainata. 


San Giorgio e il drago

Figura mitico-religiosa venerata dai Longobardi - ma per influsso bizantino - San Giorgio era il santo guerriero uccisore del drago - simbolo del male - ma, in questo caso dovette battere in ritirata. Un bel giorno, mentre, sotto forma di serpente, Leda strisciava tra erba e cespugli, avvertì che stava mutandosi in donna e, intanto, udì dei lamenti. Si mise a correre finché raggiunse un vallone più in alto, dove trovò un ragazzo sanguinante. “Salvami – la implorò lui - e mio padre, il Conte di Vallisnera, ti darà quanto vorrai”. Anche se, al nome del Conte, Leda rabbrividì, senza esitare un istante di più colpì con un ramo la roccia vicina. Ed ecco che l’acqua sgorgò, lavando via il sangue, mentre le ferite si rimarginavano, e il ragazzo, che si chiamava Raimondo, riprendeva vigore. I due si innamorarono… Raimondo decise pertanto di andare a sconfiggere i maghi di Pradarena e il Mostro dei Rivoni, in modo che Leda restasse per sempre donna e non fosse costretta a sposare il vecchio Conte di Vallisnera. Non fece nemmeno in tempo ad arrivare sull’Alpe che già il capo dei briganti lo colpì, squarciandogli il petto. Nel momento in cui Raimondo moriva, Leda si trasformò in serpente e si attorcigliò al cannello della fonte prodigiosa, formando un nodo (un gröp, in dialetto). Rimase avvinta in quella maniera, finché l’anima sua e quella di Raimondo non s’incontrarono nell’alto dei cieli. Quinto Veneri concludeva così la favola:  “Sulla terra era il tramonto: il Mostro dei Rivoni scoppiò dalla rabbia e tutta la montagna fu scossa da uno spaventoso terremoto. Molte fontane seccarono, quella del Groppo continuò a zampillare limpida e fresca. Si disse persino che, al cadere del sole, versasse acque miracolose; ma nessuno poté mai assaporarle, impedito come era da due occhi iniettati di sangue. A nessun patto il Mostro dei Rivoni voleva darsi per vinto”. Alcune figure (come Orlando...) della favola sono prese pari pari dal Maggio drammatico, passando, forse, anche per l’ “Orlando furioso”, dove, nel decimo canto, Angelica, offerta in sacrificio all’Orca, mostro marino, viene slegata dalla roccia da Ruggero a cavallo di un Ippogrifo.


Tuttavia, nel nostro caso, Leda è una “donna serpente”, la stessa che, in un racconto di Thüring von Ringoltingen, scrittore svizzero del 1400, è denominata Melusina. Ebbene: per lo scrittore si tratta appunto di una fata e il suo innamorato si chiamava proprio… Raimondino, come quello di Leda. Il luogo in cui le fate vivono è in genere immerso nei boschi, vicino all’acqua e alle rocce. Di sicuro, le fate del Medioevo discendono dalle Parche e dalle ninfe. Il termine “fate” e il vocabolo “fatuae” hanno in comune le divinità campestri legate al dio Fauno (chiamato Fatuus nella religione dei latini). L’acqua ha sempre generato stupore dando vita a leggende e credenze sulle acque miracolose e curative. Per quanto riguarda il drago Mostro dei Rivoni, nella tradizione longobarda soltanto i draghi erano soliti accumulare e vegliare preziosi tesori, e quel mostro vegliava sicuramente i tesori dei briganti. Il drago richiama alla memoria anche il “serpente regolo”, un animale fantastico della tradizione toscana, umbra, abruzzese, sabina e delle Marche. Ma nel folklore c’è un’altra figura simile proprio in Garfagnana, a poca distanza da Pradarena: il “Devasto”. “Si dice che una volta… ci fosse un serpente gigantesco chiamato Devasto… Lo strano  animale attraversava la strada di Minucciano e, al suo passaggio, la gente era terrorizzata. Qualcuno sostiene che, ancora oggi, ci si potrebbe imbattere nei suoi figli”. Invece, l’accenno a uno “spaventoso terremoto” potrebbe essere stato aggiunto in seguito e riguardare quello del 1920, che colpì atrocemente il comune di Villa Minozzo.                        

Nodo di Salomone

Per quanto riguarda la simbologia del nodo, senza stare a scomodare il “nodo di Salomone” o il “tyet”, nodo della dea Iside, accogliamo le suggestive parole del matematico Piergiorgio Odifreddi: “La vita incomincia con un nodo, fatto dall'ostetrica all’ombelico, e continua con nodi quotidiani di ogni genere: alla cravatta, ai lacci delle scarpe, al fazzoletto (…). Alcune categorie di persone annodano per professione: i marinai le vele, i pescatori le reti (…). La vita può anche terminare con un nodo, se si finisce strangolati da un cappio come gli impiccati, dal proprio velo come Antigone, o dalla propria sciarpa come Isadora Duncan. A partire dall'immagine delle Parche, che annodano e snodano il filo del destino, il simbolismo del nodo compare in molte espressioni più o meno metaforiche...” 

 Era stata Ines, nonna di Azzio Gatti, a ritagliare e conservare l’articolo di Veneri. Azzio aveva poi chiesto all’amico pittore Fabio Rota di condensarne l’immagine su tela: “Il risultato è ora visibile, c’è una linea del tempo, il profilo della montagna che digrada al fiume, che unisce i tempi antichi (rappresentati dalle rive di Secchia) ai nostri giorni (rappresentati dalla nostra casa in Gatta) e su questa linea, in qualche tempo si interseca la vita di Leda, nel momento più triste, quello in cui, a causa della perdita del suo amore, si pietrifica accanto all’acqua che scorre”.

Nodo di Iside



 

2 commenti:

  1. Ricerche accurate e come sempre spazi nel tempo, nella storia è nella letteratura. Normanna sempre unica, completa, con le sue considerazioni personali

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    1. Grazie, questi sono commenti che fanno sempre piacere. Per il toponimo "Gatta", ho trovato questo: "Bologna, una via che si chiamava "gatta marza": "da gata, gatta, gattum con il significato di graticcio, cancello, da cui l’inglese gate: altra possibile derivazione da guaita (dal germanico watha), con il significato di guardia (nel medio evo i turni di guardia erano associati a zone della città così che le guaite o guayte identificavano in tale maniera queste zone, es. guaita sancti Leonardi oppure guayta burgi strate sancti Vitalis…).
      Si segnala però l’uso di ghata come denominazione urbanistica in un rogito di Albizzo Duglioli del 23 agosto 1480, di una donazione di una casa posita … in ghata vocata la pugliola mozza iuxta via publica dicte ghate desup, etc."

      E potrebbe significare anche GUADO:
      vadum
      Radice indoeuropea *uadh / *uedh = andare (IEW 1109).
      Germanico *wadha = guado.
      Latino vadum = luogo di attraversamento, guado: tratto poco profondo di fiume o di acquitrino o anche passo montano.
      Latino medioevale vadaculum / vadellum / guadum / gadium / gudum / wacta (Du Cange).

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