A fianco di Linda, si cammina per una Reggio post unitaria,
dove ancora si respira il Risorgimento e dove, via via, fanno la loro comparsa
lo spirito socialista di Camillo Prampolini e i primi segnali di un pericoloso
nazionalismo. Linda è venuta al mondo nel 1882, in via Mura di Porta Castello,
da Agostino Comparoni, nato a Castelnovo ne’ Monti nel 1841, e Maria Rossi, di
Reggio Emilia.
La neonata, in realtà, viene battezzata come Rosalinda, ma
preferirà poi farsi chiamare “Linda”, ritenendolo un nome più agile e moderno.
La bambina ha radici in quel di Cerreto Alpi, dove il nonno Andrea si
guadagnava da vivere come guardia daziaria, prima di spostarsi con la famiglia
a Castelnovo per meglio seguire i propri affari.
A fianco di Linda, ormai ragazza, che perde la madre a dieci
anni e il padre a ventidue – restando con la sorella maggiore Ida - ci si
immerge nella vita di una città dove gli avvenimenti del mondo si inseriscono e
toccano da vicino la vita delle persone.
Come la guerra, la terribile Grande Guerra che sconvolge
tutto, con il suo contorno di dolore e disagi. Fin dagli inizi, fin da quando
ancora ci si divideva tra interventisti e neutralisti (com’era Prampolini), la
guerra fa da sfondo alle vicende delle due sorelle che, intanto, lavorano sodo
per mantenersi. Si definivano “irredentisti” coloro che volevano entrare nel
conflitto armato, come si trattasse della continuazione del Risorgimento, non potendosi
considerare compiuta l’unità nazionale e conquistate le “terre irredente”. A
Reggio, quasi certamente, Linda seguì con apprensione il comizio del socialista
irredentista Cesare Battisti al politeama Ariosto, sfociato in tumulti e
repressione con due morti e molti feriti.
La sorella Ida vedrà poi partire il fidanzato Francesco per
il fronte, dal quale non tornerà mai. Intanto, in città arriva il colera e le
due giovani si impegnano in iniziative assistenziali coordinate da Viginia
Guicciardi Fiastri, scrittrice, e dal suo “Comitato di preparazione civile”. Per
Linda, un incontro importante quello con la dinamica e colta signora della
borghesia reggiana, come fondamentale sarà l’incontro con Giovanni Zibordi,
riformista turatiano, originario di Padova e arrivato a Reggio nel 1904,
convinto che la città fosse “il principale laboratorio di vita socialista”.
Questo è solo l’incipit del voluminoso libro di Carlo
Pellacani “Il figlio di Linda – La vita breve di Silvio D’Arzo”, edito da
Consulta Libri e progetti in occasione del centenario della nascita dello
scrittore reggiano. L’autore lo definisce “romanzo”, ma si tratta di qualcosa
di più e di diverso, ed è lo stesso Pellacani a spiegarlo: “La ricostruzione
degli eventi che hanno interessato l’Italia cent’anni fa non lascia
indifferenti, soprattutto se si avverte il riproporsi di situazioni e di strategie
che hanno favorito il materializzarsi di una condizione politica e sociale che
ha prodotto segni indelebili nelle coscienze e nelle esistenze delle
generazioni che ci hanno preceduto. Al di là di queste evocazioni, il contesto
dell’esistenza di Ezio Comparoni propone paradigmi che si rifanno a teorie sul
ripetersi ciclico della storia e sollecita un’attenta analisi di fatti e di
esperienze.”
Le parole stesse di Silvio D’Arzo fanno parte essenziale
della narrazione, insieme a testimonianze e documenti d’archivio che rendono il
libro vero, fedele alla realtà. Le citazioni autobiografiche sono “pietre
d’angolo” che forniscono attendibilità ai fatti e alla descrizione della
condizione socio culturale di cinquant’anni di storia italiana del Novecento.
La ricostruzione viene attuata attraverso venti “quadri” che delineano
l’evoluzione del contesto storico nel quale si è sviluppata la vita dello
scrittore e la sua attività letteraria. All’inizio di ogni capitolo, sono posti
brani di sue poesie che ne anticipano i contenuti. Altro apporto significativo,
l’analisi grafologica della professoressa Giovanna Malanca sui testi dei due
protagonisti, dai quali emergono i caratteri delle personalità.
La grafologa spiega che, per esempio, dall’esame delle firme
di Ezio e Rosalinda si può comprendere per quali motivi il loro legame
affettivo sia rimasto solido per tutta la vita: “La madre, con un carattere
forte e sicuro, poteva essere guida e sostegno per il figlio, anche quando
questi era diventato adulto (…) D’altro canto Ezio, fin da piccolo, con la sua
precoce intelligenza e straordinaria capacità di apprendimento doveva essere
per la madre la fonte da cui attingere la forza per andare avanti e superare le
avversità, certa che quel figlio avrebbe raggiunto importanti traguardi.”
Un lungo racconto, dunque, che intreccia le vite dei due
protagonisti, Linda ed Ezio, con quelle di altri personaggi più o meno
importanti, più o meno famosi, tra i quali (l’autore tace, ma lo lascia
intuire, pur senza sbilanciarsi tra due possibili nomi) c’è sicuramente il
padre “ignoto” di Ezio.
Nel 1919, anno in cui cessa la pandemia della “spagnola” - che
tanti morti aveva fatto anche nel reggiano - Linda sale a Cerreto Alpi in
visita ai parenti. Cinque ore di un viaggio faticoso con la corriera “Aemilia”
e poi lo sfogo con la cugina, alla quale racconta di aspettare un bambino che,
però, non avrà un padre in grado di riconoscerlo.
Quel bambino, entrerà poi al liceo “Lazzaro Spallanzani” di
via Farini, una volta concluse le scuole elementari, su consiglio di Virginia
Guicciardi Fiastri. Il padre di Ezio, la cui identità Linda non rivelerà mai,
si era impegnato fin da subito a sostenere economicamente la madre e a far
studiare quel figlio. “Hai gli occhi intelligenti, vedrai che non troverai difficoltà
a superare l’esame di ammissione”, dirà il preside al ragazzo.
Tra i compagni di studi di Ezio, Luciano Serra, che poi
diventerà un grande poeta, con il quale condividerà molte scorribande e che
ritroverà a Bologna, all’università. E poi la guerra, e i libri, le
pubblicazioni, il lavoro come docente, il rapporto tormentato con Ada, la
malattia.
Sarà una leucemia a portarsi via Ezio Comparoni e la notizia
della morte prematura giunse anche a un diciottenne di Guastalla, Umberto
Bonafini che, a proposito del giovane insegnante, disse: “Impossibile non
ricordarne l’eleganza e lo spirito”. Cinquant’anni dopo, il 25 novembre del
2001, ormai direttore della Gazzetta di Reggio, Bonafini ne ricorderà la figura
sul quotidiano.
Conclude la prefazione al volume Carlo Pellacani: “Ci si
augura che questo ritratto composito indirizzi nuove energie verso una meritata
valorizzazione del grande scrittore reggiano, com’è nelle attese degli aderenti
all’Associazione culturale ‘Per D’Arzo’ che, dal 2010 – su sollecitazione di
Luciano Serra – propone studi e ricerche.”
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