Sono lì, all’aperto, sotto le intemperie, da migliaia di anni. Enormi massi che si palesano tra gli alberi, pietre sulle quali si individuano coppelle, petroglifi, camminamenti nella roccia. Quel monte, quei sassi sono visibili a tutti da sempre. Li ricopre soltanto la vegetazione - il muschio e l’edera soprattutto - rimossi dagli appassionati di bouldering: gli arrampicatori. Può darsi che siano stati proprio questi a imbattersi, per primi, nel mistero dell’intrigante località a due passi da Ceriola, nel comune di Carpineti.
Elena Magliano, giovane mamma di Felina, sa di cosa si tratta proprio per lo sport praticato dal figlio Francesco: “È un posto magico! Come si imbocca la carraia adiacente alla strada comunale, il bosco sembra infittirsi, quasi a voler nascondere un tesoro. Avanzando ancora un po’, si inizia a intravedere il primo grande masso e, poco più avanti, una radura da cui si diramano i sentierini che portano fino a Ceriola alta. Ho scoperto questi ‘sassi’ grazie a mio figlio Francesco e alla sua passione per l'arrampicata. Fin dal primo istante abbiamo avuto la sensazione di essere minuscoli frammenti in anni di storia: le incisioni lo dimostrano e non abbiamo potuto fare altro che porci delle domande sulla loro natura. È un luogo semplice da raggiungere ma, nonostante questo, poco conosciuto in Appennino. Racchiude sport, natura e cultura e va rispettato. Il mondo degli arrampicatori (almeno quelli che conosco io ), ama i luoghi che frequenta e li rispetta!”
Anche Daniele Canossini, da quarant’anni guida ambientale escursionistica, già collaboratore con enti pubblici, privati ed editori per la stesura di guide e cartine, racconta di come li ha scoperti.
“Durante un lavoro per il comune di Carpineti, nel 1989, individuai un percorso (sulla guida è diventato il P, sulla carta di oggi il 618N) tra La Gatta e il monte Fòsola, attraverso un castagneto dove enormi massi componevano figure strane. Tornandoci, negli anni successivi, diversi angoli di questo bosco mi svelarono tagli improvvisi, rocce gemelle spianate con cura, poi un monte livellato e tre rocce a comporre una sorta di dolmen. Confrontando tutto ciò con altri siti simili (il vallone di Pezzalunga o dell’Inferno, sotto La Nuda), assicuro che si ha la sensazione, entrandoci, di profanare luoghi sacri di qualche antica civiltà.”
Molti di questi massi sembrano provenire da un crollo, da una frana, però l’insieme ricorda una sorta di santuario. La suggestione - ha ragione Canossini - è davvero tanta: “Vi sono quattro siti principali: uno riguarda i massi ai piedi del monte Sassoso, appena sopra la strada. Ce n’è uno, con incisioni a losanga, che sembra raffigurare un parto, mentre, sulla sommità concava, forse modellata di proposito, si trova una croce incisa. Era tipico dei cristiani cambiare la religione ai luoghi sacri ‘pagani’ incidendovi croci; sapevano benissimo cosa rappresentava quella pietra, non facevano croci a caso. La seconda zona sacra è una specie di "acropoli": il Monte Sassoso, sulle carte, una replica in piccolo della Pietra di Bismantova… stessa forma e orientamento.
La spianata sud est, come per la sorella maggiore, presenta incisioni, coppelle scavate, file di sedute orientate verso l’alba di solstizi o verso i tramonti, allineamenti incisi: sembra un santuario solare. Questi segni si ripetono poi su tutta la sommità e, lungo il bordo, vi sono buche quadrate, scavate nella roccia forse a sorreggere una palizzata. Il terzo sito sono i massi ai piedi dell’ ‘acropoli’, disposti lungo un fosso (un ruscello, nei tempi remoti di un clima diverso). Vi sono segni di tagli e rocce spianate posizionate lungo l’acqua: con il sole e il parto, i misteri sacri di una civiltà molto semplice. Il quarto sito è il monte Lagoforno, più in alto. È pareggiato in cima, di sicuro non per cause naturali. C’è un grande masso coppellato lungo le pendici e poi una grotta che pare non dovuta a intervento umano. Davanti all'ingresso, c’è una pietra piatta e concava con uno sfogo a filo, come per far defluire liquidi. Oltre, un’apertura simile a un camino. Nell’ultimo secolo è diventata metato per le castagne e rifugio in tempo di guerra.
Il Monte Lagoforno è vicino alla chiesa di Santa Maria Maddalena, tra Saccaggio e Pontone. Massi simili, forse legati al parto e ai riti della fertilità, sono attigui a oratori e chiese dedicate alla stessa santa. Al Ventasso, per esempio, così come un masso coppellato si trova di fronte alla chiesa sul Valestra. La quarta Maria Maddalena era sulla Pietra, era la chiesetta del castello, ma è franata nel Seicento verso Fontanacornia. Coincidenze? La Maddalena è comunque ancora molto venerata, anche solo per far festa, a dispetto dell’oblio e del culto residuale relegato dalla Controriforma. Ha cristianizzato luoghi sacri alla fertilità, non solo nel reggiano: se andate in Provenza ve ne renderete conto.”
Il culto di Maria Maddalena, infatti, si era rafforzato proprio con la Controriforma che ne aveva fatto un emblema della possibilità di salvezza attraverso il libero arbitrio, in contrapposizione alla teoria luterana della giustificazione per sola fede.
Mentre, a una prima valutazione, il Cai, che occupandosi dei sentieri ben conosceva il luogo, era propenso a ritenere le figure nelle rocce di origine naturale, ora il Comitato scientifico sezionale di Reggio Emilia riconosce trattarsi anche di tracce antropiche e ha coinvolto la sovrintendenza per un più accurato esame. Un altro studioso di antichi reperti, pietre incise, simboli, è Rino Barbieri, appassionato ricercatore di Agnino, piccolo borgo del comune di Fivizzano, che recentemente ha visitato Ceriola. Bancario e direttore di filiale, ora in pensione, innamorato della sua Lunigiana, Barbieri cerca e interpreta da tempo segni e ritrovamenti che, a partire dalla sua terra, ci raccontano del passato. Come i circoli concentrici, rappresentazione dell’acqua, o l’origine e il valore del fiore della vita, del segno a cuore, del segno a M, del segno a X e molto altro ancora. Tutte scoperte che ha comunicato pubblicandole nei suoi studi.
Barbieri non concorda con la genesi del tutto naturale di molti segni: “Ci sono, è vero, motivi enigmatici e massi lavorati solo dal vento e dall'acqua. Ma ci sono - e questo è importante - incisioni che sono riconducibili soltanto a mano umana. Segni che poi ritroviamo pari pari in tante altre parti del mondo e sempre con lo stesso valore. Visitando questa collina, ho intuito subito essere un luogo cerimoniale dedicato alla fertilità. Soprattutto l’enorme roccia a circolo con dentro ripetute forme a rombo, a losanghe (derivazione geometrica della mandorla che è poi la rappresentazione dell'organo femminile che porta la vita) me lo ha confermato.”
Il masso con una sorta di ‘rete’ incisa a formare tante losanghe, proprio su una protuberanza che ricorda il momento del parto, è davvero interessante. Qualcuno afferma trattarsi di semplici affilatoi, ma, come appurato da Barbieri, il simbolo della losanga, insieme a quello della mandorla, indica proprio l’organo genitale femminile. Ancora oggi, per alcuni popoli come i cechi, gli slovacchi e gli ungheresi, disegnare questo simbolo con la diagonale verticale è considerato un tabù e anche pronunciarne il nome (piča o pyča, o picsa) è ritenuto volgare. Altra strana coincidenza è la scoperta di un segno simile in una grotta, a Gorham, Gibilterra. L’incisione, dalle analisi biochimiche sui depositi minerali sovrapposti, verrebbe attribuita all’uomo di Neanderthal, dunque risalirebbe a un tempo che va oltre i 40 mila anni fa.
Esplorando buona parte del sito di Ceriola, Barbieri si è inerpicato fino al monte Sassoso: “Sono salito sulla groppa del monte, da dove la vista è meravigliosa sia verso est, dove sorge il sole, sia verso ovest, dove tramonta, vicino alla Pietra di Bismantova. E ricordiamo che in località Campo Pianelli sono state trovati insendiamenti e tombe dell'età del rame. Ebbene, la sommità rocciosa è tutta bucata da enorme coppelle dove, probabilmente, venivano accesi fuochi in onore alla dea Hola o Ola, una dea della fertilità. Il fuoco non è altro che il sole terreno e, come il sole, dà luce e calore. Quindi, nel solstizio estivo, sicuramente venivano accesi fuochi tutto attorno alla collina rocciosa dove, difatti, corre un sentiero con scalini incisi nella roccia per facilitarne il percorso. Inoltre, lungo detto percorso, si trovano coppelle e buchi quadrati che servivano forse a sorreggere palificazioni, quasi certamente dei puntatori solari verso il punto in cui sorgeva il sole o per gli equinozi.
Ma la cosa che più mi ha stupito è quando, nel punto più alto, su uno sperone di roccia disseminato di coppelle, ho subito percepito trattarsi di un puntatore verso il nord... ebbene: è successo che, quando ho collocato lì la bussola, questa indicava proprio zero gradi: il nord esatto! Altra particolarità, è il fatto che verso la Pietra di Bismantova, e quindi verso il tramontare del sole, il masso roccioso è stato inciso profondamente con una lunga linea ovalizzata per parecchi metri. Dunque: io credo si tratti della raffigurazione del glande, cioè che sia una forma fallica. La rappresentazione del maschio che è poi la forza riproduttiva della natura. Proprio qui, a Collegnago di Fivizzano, ho scoperto un masso fallico con tale analoga e certa simbologia preistorica. Insomma: Ceriola come luogo cerimoniale in cui si pregava il sole perché continuasse a portare la fertilità e la vita sulla terra.”
Conclude Elena Magliano: “Sarebbe bello creare una sana convivenza, una collaborazione tra il mondo del bouldering (arrampicata su sassi bassi senza corde) e il mondo dell'archeologia. Si vedono sempre più spesso parchi con ottime organizzazioni e gestioni nel far conciliare diverse realtà, in egual modo importanti. Quindi perchè no… un giorno forse si potrà andare a Ceriola per ammirare le sue incisioni rupestri, fare una passeggiata con la famiglia e arrampicarsi in piena sicurezza su roccia. Ovviamente, i massi con rilevanza storica andrebbero ripuliti da anni di muschi e messi in sicurezza per il solo uso storico.”
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