domenica 11 aprile 2021

IL RITORNO DEL CORMORANO - STORIE VERE DAL BOSCO DAL CIELO E DAL FIUME

 


È una larga ferita, l’alveo del fiume: una spaccatura netta tra le rocce evaporitiche di gesso che genera pareti a picco, biancastre e rilucenti. L’acqua scorre tranquilla, appena gorgogliante in alcuni punti, più vivace in altri. Indecisa, tuttavia, su dove allargarsi e proseguire il viaggio, tra ghiaie, cespugli e alberi cresciuti sul greto.

Qui, da un po’ di tempo, soggiorna un uccello che da molti anni era scomparso; un animale migratore, ma autoctono, protetto, del quale è vietata la caccia, eppure che, per la sua abilità di pescatore e per la sua ingordigia, viene incolpato oggi di ridurre più del dovuto la fauna ittica.


Difficile incontrarlo se non attraverso le attrezzature (apparecchi fotografici e fototrappole) che appassionati naturalistici usano per individuare e identificare gli animali.

Da quaggiù, dove i salici stanno per fiorire, appena fuori dal Parco nazionale, l’argine sinistro del Secchia, appare fragile poiché, per diversi tratti, dà sui declivi di campi coltivati.

Più su, il Monte dei vivi, il Monte dei morti e il Monte dei santi, come li identifica l’amico naturalista Umberto, sfumano in lontananza e sorvegliano la valle, anche se non sono certo maestosi come i gessi triassici. Guardano a una sorta di Pietra di Bismantova in miniatura, un masso sul monte Sassoso, proprio sopra al borgo di Ceriola, alle pendici del Fosola, ben riconoscibile in inverno. Proprio sul Sassoso, nel corso del 2017, un gruppo di ricerca del Cai individuò tracce di interventi umani molto antichi. Il ritrovamento in loco di reperti ceramici riconducibili tra la tarda età del bronzo e l’età del ferro portò a pensare che si trattasse di un castelliere appenninico protostorico, un sorta di fortificazione (ligure?).


La vita sul fiume, quaggiù, non è soltanto nelle gemme argentee dei salici, gonfie e pronte ad schiudersi, nei fiori gialli della Tussillago farfara, così simili a margherite – i primi ad aprirsi – o nell’agitarsi di una ghiandaia ben mimetizzata tra i rami rossastri del Cornus sanguineus (il sanguinello, buono per farci le ramazze).


È febbraio, è pieno inverno. La vita, in tutta la sua determinazione ed eleganza, è anche nella gallinella d’acqua – ripresa dalla fototrappola - che si muove come un giocattolo a molla, mentre becchetta in una pozza. Procede a scatti, tanto da somigliare davvero a una gallina da cortile, pur avendo le dimensioni di un piccione nerastro. Nera, ma con una losanga rossa tra il becco e il capo, una macchia chiara nel sottocoda e fianchi bordati di bianco.

Dall’alto di un salice, un pettirosso arruffato la osserva.

Ama le acque quiete, la gallinella, quelle che scorrono senza fretta, quelle delle sinuosità più placide del fiume, dove le piante acquatiche crescono indisturbate e dove è più facile, per lei, acciuffare insetti, larve, piccoli pesci, molluschi e germogli. Dicono che abbia una voce stridula, fastidiosa e che nessuno l’abbia mai vista volare in stormo perché, per migrare, preferisce il buio della notte. Dicono anche che costituisca famiglie solide, dove i genitori tengono salda l’autorità perfino sui figli della prima nidiata, obbligandoli a occuparsi dei fratellini della seconda.


Non è lei, comunque, il pescatore abilissimo e vorace che stiamo cercando. E non è nemmeno l’aristocratico airone bianco maggiore che arriva, con il suo passo elegante, nella pozza formata da un piccolo fosso che s’immette nel fiume. Nemmeno è il minuscolo scricciolo, immortalato da Umberto, né l’airone cenerino, immobile come una statua, talmente mimetico sullo sfondo del cielo, grazie al suo colore, da risultare invisibile ai pesci.

“Nella pozza formata dall’affluente ci sono tanti pesciolini”, racconta Umberto, “vaironi o piccoli cavedani. Trovano rifugio in questi immissari perché le trote, una volta diventate adulte, non si cibano più di insetti, larve, pupe, ninfe, ma mangiano quasi esclusivamente piccoli pesci che qui, invece, si sentono al sicuro. Peccato che alcuni uccelli lo abbiano scoperto e arrivino in questi luoghi per beccarne il più possibile”.

Ovviamente, tra questi predatori di pesci, c’è anche il più esperto, il migliore dei pescatori, il “saccheggiatore” (secondo alcuni) che stiamo cercando.


Intanto, però, in alcune immagini osserviamo un altro uccelletto, il merlo acquaiolo. “È un uccello tanto straordinario da essere diventato il simbolo della Norvegia”, spiega Umberto, “è l’unico passeriforme in Italia in grado di immergersi: può resistere sott’acqua, nuotando, per oltre un minuto in apnea. Emette un richiamo ad altissima frequenza che gli permette di comunicare con i suoi simili in questi ambienti molto rumorosi di montagna”.

Sì, c’è vita, sul Secchia, vita che continua anche in inverno su questo fiume che, già dal III secolo d.C., era chiamato “Secula”, “Secla” dal secolo VIII. Un idronimo che trarrebbe origine nella radice preindoeuropea “seik”, “versare”, “spargere”, riscontrabile anche in “Senna” (Sequana, in latino) e “Segre” (lat. Sicoris, fiume spagnolo).


A un certo punto, nei video di una delle fototrappole di Umberto, compare una rissa tra due pescatori alati e piumati. Sui rami, intorno alla pozza, c’è ancora un po’ della neve caduta, ma l’acqua brulica di pesciolini e i due antagonisti se li contendono.

Eccolo, il nostro “pescatore reggiano”, il più abile, il più vorace, quello che la Bibbia, nel Levitico, pone tra gli uccelli che “avrete in abominio”, da non mangiare. È il cormorano, il “corvo di mare”.

Si azzuffano, lui e un airone, e starnazzano, schizzando l’acqua intorno.


Così simile a un corvo (lo dice l’etimologia del nome), nell’antichità il cormorano era sacro al dio Odino, proprio come i corvi. Per i popoli nordici, questo uccello totem aiuterebbe a ritrovare la strada nei momenti di sconforto e di sfiducia; forse perché, nonostante appaia goffo e sia costretto a sostare con le ali aperte al sole per asciugarle - avendo la ghiandola che secerne il sebo protettivo atrofizzata - è un nuotatore abilissimo e molto veloce.

Nuota con il corpo immerso nell’acqua e il capo obliquo, rivolto verso l’alto. Le grandi zampe palmate sono un ottimo propulsore e la coda funge da timone. Cattura i pesci afferrandoli proprio dietro la testa con il becco e utilizzando l’uncino all’apice dello stesso per trattenerli.

Poi, risale in superficie per ingoiare la preda, la posiziona dalla parte del capo e la ingerisce intera.

I pescatori neri arrivano da noi in autunno, quando le avverse condizioni climatiche nel loro sito d’origine (Danimarca e Paesi Bassi) e il cibo ormai scarso per il ghiaccio li spingono a intraprendere il viaggio lungo le vie del cielo. La silhouette in volo ricorda una croce, per le dimensioni del collo e della coda e magari è per questo che in Norvegia sono “sacri”.

Il “liver bird”, un cormorano, dopo aver probabimente soppiantato un’aquila, è il simbolo della città di Liverpool, infatti appare sul suo stemma con un’alga nel becco. Sue riproduzioni si trovano in tutta Liverpool anche sotto forma di statue, come “Bertie” e “Bella”, che, ad ali aperte, svettano sulle torri dell’orologio del Royal Liver Buidling. 


Dopo un periodo buio in cui hanno rischiato l’estinzione, dagli anni Novanta sono pian piano ritornati, e ciò è un buon segno perché indica un miglioramento delle condizioni delle nostre acque di superficie. Sono riapparsi sui fiumi, sui laghi, sul mare.

D’altra parte, il cormorano potrebbe proprio essere il “corvo marino” che non si era ripresentato da Noè con buone notizie, dopo il diluvio, e che, invece, ora, è tornato da noi.

“Crocifisso sulla roccia/croce immobile di pelo nero”, lo descrive Pablo Neruda in una sua poesia. E conclude: “… ma d’improvviso fuggì nel cielo,/ volò come una freccia nera/ e salì ciclico volando/col suo vestito di neve nera,/e con pausa di stella o di nave./E sul disordine del mare/ - dentate di mare e di freddo -/ volò volò volò/ la sua equazione pura nello spazio.”


1 commento:

  1. Una bella pagina, l' osservazione naturalistica che diventa racconto.

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