C’è un’antica leggenda, “The Wood Spirits”, che ha origine tra gli abitanti delle foreste primordiali. Parla degli esseri che le abitavano e che potevano rapire chi vi entrava.
Tuttavia, nei boschi vivevano anche gli spiriti buoni degli alberi, capaci di proteggere dal male. Così, prima di spingersi nell’intrico delle selve, gli uomini bussavano su un albero per risvegliarne lo spirito, in modo che li tutelasse. Si passò in seguito a intagliare queste figure nei tronchi e a sistemarle in casa, o davanti alle fattorie, come salvaguardia e benedizione.
Gli spiriti del bosco avevano facce antiche, barbute, ascetiche.
A Casale di Talada, dove abita, li sbalza adesso Roberto Giorgini, scultore autodidatta. Senza alcun dubbio, quei volti corrucciati un po’ gli rassomigliano. “Veramente, la mia barba è ottocentesca”, precisa lui, “mi piacciono le cose retrò: fosse per me, guiderei un’auto d’epoca e mi vestirei come in quel periodo.”
Nato nel centro storico di Castelnovo ne’ Monti (già i suoi bisnonni erano lì), il suo legame con l’Ottocento e le barbe rinascimentali è concreto perché, guarda caso, la sua abitazione si trovava nella via intitolata a Carlo Franceschini, il grande carbonaro di Burano, più precisamente a “Porta Martana”. “Franceschini” fu anche il nome di battaglia da partigiano dell’onorevole Pasquale Marconi.
I volti scolpiti da Roberto ricordano un po’ Rasputin e un po’ i rivoluzionari cubani, ma lui scansa abilmente la provocazione e replica: “Il titolo Wood Spirits viene da mia cugina Paola che, fino a due anni fa, viveva negli Usa. Aveva visto i miei barbuti e mi aveva rivelato che erano identici, appunto, alle sculture in legno usate là a protezione delle tenute agricole. I miei barbuti, se proprio devo accostarli a qualcuno… insomma: tra i rivoluzionari cubani e Rasputin, preferisco i primi!”
Roberto iniziò a lavorare da adolescente con il padre, decoratore imbianchino. Lavorare con un genitore è sempre impresa delicata. Per lui, pian piano, divenne a tal punto impraticabile da spingerlo a cercare un’attività altrove.
Alla fine, la trovò in una piccola fabbrica vicino al Casino di Castelnovo. Ha poi lavorato anche come muratore, ma ora vorrebbe vivere di scultura. È la sua passione, nata per caso, ma che da un po’ di tempo sta cercando di tramutare in un vero mestiere, con risultati piuttosto soddisfacenti.
“Un bel giorno, rividi un amico di mio nonno, un anziano falegname di Scandiano. Non lo incontravo da tanto tempo. Fu lui a riconoscermi; tra le altre cose, mi disse che intagliava il legno. Aveva già più di ottant’anni. Andai a trovarlo e lui mi mostrò come fare alcuni intagli, poi mi fece provare. Tornato a casa, azzardai una scultura della Pietra di Bismantova in altorilievo. Mi uscì piuttosto bene, tanto che decisi di continuare. Regalai quella Pietra a uno dei miei migliori amici, con la speranza che non la bruciasse. Dopo due o tre anni, mi ritrovai tra le mani un travetto di legno da carpentiere, di quelli usati per le armature, e ci intagliai un elfo molto stilizzato. Il risultato mi piacque e mi invogliò a proseguire, anche se tanti mi dicevano di farne un hobby soltanto e di cercarmi un lavoro.”
In quel periodo non si trovava proprio lavoro e Roberto aveva appena chiuso una partita Iva, pertanto, cominciò a creare gli “spiriti del bosco”: gli animali, i funghi, le candele, i volti.
“Le idee scaturiscono quando vedo un ciocco di legno. In genere si tratta di castagno, il più reperibile dalle nostre parti: un legno molto duro, con una fibra che consente di lavorare come si deve, regalando ottimi risultati. Mentre il pino e l’abete si scheggiano facilmente, il castagno tiene il taglio della sgorbia e dello scalpello. In un ceppo di castagno vedo, più o meno, cosa potrà uscire, in genere, animali o figure fantastiche: elfi, fate, spiriti… gli spiriti dei boschi nordici.”
L’incontro con il vecchio amico del nonno riporta ad altri anziani molto importanti nella vita di Roberto. La mamma abitava, appunto, in via Franceschini, di fronte alla casa della nonna materna Enrica (originaria della Magonfia di Felina) ed è stata quella nonna a crescerlo.
“Sono cresciuto con lei perché mia madre era infermiera e, in quel periodo, nel ’79, mia nonna era rimasta vedova, per cui, dei suoi sei nipoti, scelsero me per tenerle compagnia. Una grande, grandissima nonna. Un po’ troppo ‘di chiesa’, com’erano le donne di una volta, ma è stato il mio pilastro, quella che mi ha indirizzato, anzi: ‘drizzato’. Dagli otto ai sedici anni ho vissuto con lei, mia madre era ferrista in sala operatoria e i suoi orari erano troppo complicati per occuparsi anche di me. Proprio davanti a noi c’era il bar cooperativa gestito da Osvaldo Predieri, alias Veniglio, un covo di ex partigiani comunisti e socialisti ‘di razza’, di quelli di una volta. Di giorno, stavo con mia madre, quando non era di turno, e di sera andavo da mia nonna. Ogni lunedì, una fiumana di persone, da tutta la montagna, si riversava in quella strada; si fermavano a bere da Veniglio, prendevano delle ‘balle’ atomiche e cantavano fino alle due di notte. Di conseguenza, a sei anni imparai ‘Bandiera rossa’. Rientrai da mia nonna - lei religiosissima - fischiettando quel motivo. La poveretta andò su tutte le furie, mi fece mettere in ginocchio e mi sgridò, dicendomi che quella era la canzone del diavolo!”
Racconta del giorno di mercato, Roberto, quando la via dei bar e delle osterie si riempiva: c’era la cooperativa, l’attuale ‘Geremia’, che allora era ‘Tullio’, il bar di Piera, poi altri sulla “via della Scimmia”: il Moro, in alto ‘l’Ernesta Tric e Trac’, un fenomeno di donna altissima, che fumava il sigaro e indossava abiti con le frange,.
“Di fianco a me abitavano Germano e Luigi Bizzarri; Ines, la loro madre, era la sorella di Osvaldo Predieri, Veniglio, che era stato un partigiano pluridecorato. Veniglio era zoppo, non so se per una ferita in battaglia o per altro, e alle manifestazioni portava la bandiera rossa che, a causa della sua zoppia, si scorgeva oscillare su e giù. Erano tanti, allora, i partigiani; vicino a me viveva Tacito Bagnoli, ‘Tarzan’, anche lui decorato. Diciamo che gli eroi decorati comunicavano meno, mentre gli altri erano più logorroici. Tacito giocava a biliardo, ma era di poche parole. In questo momento, noi del centro storico ci stiamo impegnando perché a ‘Tarzan’ venga intitolata una strada. Mi reputo fortunato a essere nato in quel periodo e in quel luogo pieno di personaggi autentici. Il mio nonno paterno, per esempio, era un socialista, aveva fatto la Resistenza, era stato deportato, eppure stava in disparte. Nel centro storico non c’erano solo i partigiani. C’era Pietro Manenti, una sorta di ‘barbone’, uomo buono, che parlava un italiano correttissimo. Le famiglie ci spaventavano ripetendoci di non andare da lui, eppure, Pietro con noi era gentile e faceva il buffone per farci ridere. Poi c’era Paganini, (erano tutti mezzi matti… ma accettati), un pittore che disegnava benissimo. E suonava. Tirava fuori il suo violino e suonava male, malissimo: canti di lotta socialista e anarchica. Infine, dietro casa mia, c’era la Govoni, la megera, la fattucchiera del borgo carica di collane d’oro. Quanti dispetti le abbiamo fatto! La mia infanzia è stata anche tempo passato con gli amici: Angelo Boni e Rafic Al Halabi, con i quali andavo al campetto della canonica a giocare a calcio. Avevamo l’Inter in testa, con grande dispiacere di mio padre milanista. Le giornate le passavo tra il campetto di don Battista e la pineta del Castello con la mia amata torre. Poi, alla morte di mia nonna, mia madre si trasferì vicino alle scuole medie, e lì cominciò la mia adolescenza un po’turbolenta. Se avessi un figlio come me, lo legherei e lo slegherei al compimento dei suoi quarantacinque anni!”
Parlando del bosco, il nostro artista dice che preferisce sempre andarci da solo e che non gli dà calma, ma energia. Nei tronchi morti, amputati, come dice lo scrittore Fabio Gaccioli, lui vede già le sculture che ne ricaverà. “Come procedo? Faccio un esempio, citando il mio amico scultore ‘Fabretti’: tu devi immaginare di avere l’oggetto dentro una vasca da bagno e devi farlo emergere togliendo il tappo e lasciando uscire l’acqua, cioè il materiale in eccesso. Ci vuole calcolo, ci vogliono molti accorgimenti, ci si impiega un po’di tempo… dalla terza volta in avanti, però, ci metti sempre meno a creare un oggetto.”
Ci sono leggende degli spiriti del bosco in tutte le culture. Gli intagliatori li cercavano nei tronchi per liberarli. Un albero morto è comunque energia e, intagliandolo, questa si libera, allontana il dolore e la sfortuna. Un po’ come si libera nel fuoco, scaldando gli ambienti.
Ha scolpito anche un’aquila, Roberto Giorgini, la regina dei cieli, l’uccello che più di tutti riesce ad avvicinarsi al sole, il rapace collocato nella parte sommitale del palo totem dei pellerossa.
Ora, l’aquila ‘wood spirit’ di Roberto è a custodire e proteggere la casa che l’ha accolta.
Sei un grandissimo ROBERTO!!! Ti ricordo sempre con grande affetto. BARONCINI IVAN (il Milanese)
RispondiEliminaRobby N.1. TVB. IVAN BARONCINI Il Milanese
RispondiEliminaGrazie per i commenti!
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