Lo spostamento della viabilità
moderna con la costruzione di nuove strade, adatte al movimento delle
automobili e degli altri veicoli su ruota, ha fatto sì che molte borgate, nei
secoli precedenti collegate tra loro e ai centri più grossi, perdessero di importanza
e ne venisse in gran parte dimenticata anche la storia. Addirittura si fatica a
capire come potessero apparire terre appetibili per i nobili che, abitualmente,
se le contendevano.
È nel 1315 che compare nel “Libro
dei fuochi” (che sarebbe poi il registro, estimo, dei capi famiglia del
distretto di Reggio), l’elenco dei nomi di quelli di Talada, comune composto da
tre borghi: Casale, Ca’ Ferrari, Talada.
In quel periodo i signori Dalli
di Piolo, con i signori di Vallisnera, di Bismantova, con i Fogliani e i
Canossa, avevano l’incarico di garantire la sicurezza delle strade di montagna,
compresa quella di Talada, sulle quali si muoveva il commercio tra Lucca e
Reggio e persino quello tra Venezia e Genova. Nel settembre del 1315, per
esempio, in alta Val Secchia una carovana di mercanti veneziani venne assalita
dai banditi e ci furono morti, feriti e, ovviamente, furti.
A Simone da Dallo il comune di
Reggio darà poi, cinque anni dopo, l’autorizzazione a imporre un pedaggio sulle
merci in transito lungo la via regale della Lunigiana. Non è difficile capire
il perché si cercasse di avere il controllo su queste vie di comunicazione e
quanto fosse ragguardevole il ritorno economico. Un ramo dei Dalli, longobardi
provenienti dalla Garfagnana, dopo Piolo si insedierà a Busana, come risulta da
un diploma ducale del 1442.
I feudi di Busana, Crovarola,
Quara e Gova vennero formalmente investiti ai conti Galasso e Luigi (Aloixe)
Dalli nel 1453; per Crovarola, si intende proprio Talada.
Il 15 settembre 2019, in occasione
del millenario di questa minuscola parrocchia di montagna, è uscito il
pregevole libro di Giuseppe Giovanelli “Talada terra di San Michele” - dedicato
a monsignor Giovanni Costi nel sessantesimo della sua ordinazione sacerdotale -
frutto di un’immane lavoro di ricerca tra i manoscritti degli archivi e le
pubblicazioni reggiane dei secoli scorsi.
Da questo notevole volume sono
tratte le notizie che riportiamo, con l’invito a leggere il libro per
completare il quadro storico.
Un toponimo unico in Italia: un
nome longobardo, Talada, perché è ai Longobardi che si deve la sua nascita. Nella
lingua dei Longobardi, “tal” (o thal) significa “valle”, dunque, il nome di
luogo “Talada” significherebbe “vallata”.
Viene dunque a cadere l’ipotesi
di “calada” in ricordo di una enorme frana che, secoli addietro, avrebbe dato
origine a quel breve tratto pianeggiante su cui sorge la borgata.
Per le vie longobarde della zona,
Talada rappresentò da subito un punto centrale dove fermarsi per aspettare di
poter guadare il fiume, protetti, in alto, dalla fortezza della Crovarola (in
dialetto, “creuvre” significa proprio coprire).
Il borgo è infatti in un sito
strategico di passaggio verso il Secchia e il suo guado; la via che da lì procedeva,
scendendo dal Monte Ca’ di Viola, doveva già essere stata usata dal servizio
pubblico romano, visto che sulla sponda di Sologno c’era un “campo camelasio”,
cioè una stazione attrezzata per il cambio dei cavalli.
Nello stesso luogo, poi, Matilde
di Canossa, nel 1106, asseconderà l’eremita prete Gerardo nella fondazione di
un edificio di accoglienza e ristoro per i viandanti: un “hospitale pauperum”.
Come per tutti gli insediamenti longobardi
(dopo la loro conversione al cristianesimo), ecco la dedicazione della chiesa
di Talada al loro santo: l’arcangelo Michele.
Scrive nell’introduzione al
volume don Alcide Mariotti: “Conosceremo fatti e personaggi, finora noti se non
a poche persone, che hanno fatto grande e ricca la storia di Talada. Possiamo
conoscere Gerardo, fondatore, nel secolo XIII, del famoso convento di Spirito
Santo fuori della cinta muraria di Reggio; conosceremo pure Donna Margherita,
volontaria taladese del XIV secolo, dedita alla cura dei poveri e dei malati…”
E Margherita, che nel 1346
risiede a Reggio, risulta essere figlia di un certo Pietro da Talada, defunto.
Che ci sia una parentela, una familiarità con l’omonimo, ormai famoso pittore
detto anche Maestro di Borsigliana?
Il rosso robbia caratterizza i
suoi dipinti, e la pianta tintoria cresce spontanea nella zona di Casale di
Talada. C’è pure un cognome, Rovia, che potrebbe avere quell’etimologia, e
sull’altra sponda del Secchia, in località Gacciola, funzionava ancora,
nel XIX secolo, una tintoria medievale in cui le famiglie dei paesi limitrofi
portavano le stoffe da tingere. Così come era presente un’altra tintoria al
Pianello di Bondolo. E la tintura rossa si ricavava dalla robbia.
Riprendendo le parole di don
Mariotti, il libro di Giuseppe Giovanelli “è un invito a sostare sul cammino
vissuto da tante persone e a custodirne la memoria accogliendo il “testimone”
della loro vita e della loro fede”.
Nel 1910, il socialista Telemaco
Dallara fa visita al parroco di Talada, don Alfredo, e ne ricava un lungo
articolo (riportato nel volume), che merita di essere letto, così come merita
una ponderata lettura tutto il libro.
Chi fosse interessato può
richiederlo alla Pro loco di Talada.
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