Pachamama
La luce scivolava, specchiando lampi sui sassi.
Il riverbero, scambiato da un macigno all’altro, era puro divertimento. Gioco.
Rachele lo sentiva: il gigante sarebbe riapparso.
“Dove sei?” gridò al cielo.
Gridare al cielo è stupido. Soprattutto quando lassù ronza un elicottero. Riprese a salire. Certo, doveva esserci un gigante a curare quelle pietre. Il gigante di Nasseta.
Lui sarebbe ricomparso. Ecco: avrebbe accarezzato piano le rocce, ne avrebbe ricollocato alcune e avrebbe rassettato il giardino, rimuovendo le immondizie dimenticate. Rimasugli di presenza umana: plastica, cartacce, bottiglie di vetro e lattine.
Un gigante giardiniere padrone della montagna.
Peccato che abitasse solo le fiabe. E i suoi sogni.
Rachele procedeva, cauta, sui massi asciugati dall’aridità, intuendone forza, potenza, saldezza.
Erano vivi. Non potevano che essere vivi. E discutevano della loro indulgenza all’attività umana.
Il brusio arcaico si confondeva col vento, col garrire delle rondini, col fischio delle marmotte.
La ragazza camminava scrutando, alto, l’abisso di bellezza che saliva al cielo. L’eco profondo dei passi attutito dal feltro dell’erba e dell’humus.
“Pietre o esseri viventi? Lei che dice?”
L’uomo era uscito dall’ombra e lambiva i fiorellini rosa di saponaria aggrappati al calcare, piante capaci di moltiplicarsi sulla roccia assimilando l’acqua della condensa.
Gioielli colorati delle fate.
“Io? Le pietre… Sì, creature vive, forse. A passeggio anche lei?”
Rachele sfilò un rovo dai jeans e studiò l’individuo.
Gran bel tipo, senza dubbio. E non pareva un gigante. Lui sorrise, rassicurante.
Poteva essere una strega, la ragazza, e l’uomo sentiva che fermarsi con lei, metà angelo e metà incantatrice, era forse troppo azzardato.
Rachele continuava a lottare con le spine. “Dicono ci siano le streghe, da queste parti. Sì, mi servirebbero. Se ne incontra una, la mandi da me.”
“Davvero le serve una strega? Stia solo più attenta: rischia di farsi male. Non vorrà mettersi nei pasticci come l’assessora scomparsa.”
Di nuovo la ragazza era incespicata nelle spine.
“L’assessora? C’è l’elicottero, vede lassù? Sì, povera Giovanna: speriamo che la trovino.” disse lei tentando di liberarsi.
Aveva, nei capelli il riflesso del piumaggio delle rondini, discordante con l’incarnato di neve. E gli occhi verdi seguivano, nell’effervescenza, il sorriso delle labbra. Il rosso dei cornioli maturi delineava la bocca e accendeva le gote.
Bella da mangiare. Juan si stupì a pensarla simile alle pietanze locali che aveva conosciuto da quando era capitato lì. E doveva essere speciale, come un erbazzone, di cui portava i colori dei chicchi di riso, la freschezza delle bietole; e aveva, nelle forme e nella voce, il calore e l’allegria delle castagne abbrustolite.
“Sa cucinare?” le chiese.
Lui pensò al profumo delle castagne. Bella, come una dolce polenta di castagne. Juan non riusciva a liberarsi da quella sensazione.
“Ho qualche difficoltà”, rispose lei, “ma mi sto impegnando. Lei non è italiano…”
“Peruviano, mi chiamo Juan. Piacere.” Le tese la mano.
“Rachele…”, rispose lei. .
Juan lisciò i fiori di saponaria. Intorno, gli enormi macigni delle sassaie, come del resto i monti, erano collocati in un disordine non casuale, piacevole, e disegnavano un’opera d’arte.
“Lei è nata qui?”, domandò Juan.
“Mio nonno era uno scalpellino, lavorava la pietra. Per le case, per costruirle. Ma era anche un artista. Scolpiva. Sì, sono nata qui.”
Lui la fissò dritto negli occhi.
“Mio nonno cominciò a fare lo scalpellino a quattordici anni…”, proseguì lei, riparandosi gli occhi feriti dalla luce. “Ma la ricchezza più grande, ora, potrebbe essere l’acqua potabile: l’oro blu. Sa che presto anche qui arriverà una multinazionale che comprerà le concessioni dell’acquedotto pubblico?”
“Certo che lo so. Sono in Italia anche per questo.”
Rachele sbiancò:
“ È un funzionario della Eau claire et fraîche?”
“Tutt’altro!” Rise lui.
“Allora è un giornalista… contrario alla Eau claire et fraîche…” Rachele rise e, tastando, raccolse lo zaino.
“Invece lei è nipote di uno scalpellino…”
“Certo, per di più sono in lotta con la stessa multinazionale.”
“Qualche problema agli occhi?”, chiese lui dubbioso, “ In effetti anche a me è entrata parecchia polvere…”
“Gli occhi, sì… avrei bisogno di una strega; se ne incontra una, le ripeto, me lo faccia sapere.”
Si incamminarono tra i macigni tinteggiati dai licheni a larghe pennellate.
“Vede quei terreni?” disse Rachele, “quelli erano terreni di Nasseta, dati in “uso comunitario” già da Carlo Magno alle popolazioni locali, e oggi vorrebbero privarli dell’acqua, pensi un po’. E fargliela pagare, carissima, in bottiglia.”
“Dovrà parlarmene! La Eau claire et fraîche ha già fatto troppi danni nel mondo.” disse lui.
Juan la osservò. Aveva gambe lunghe, affusolate, e camminava leggera, anche se un po’ indecisa, per via dei rovi.
Eppure, il suo incedere e l’ondeggiare dei capelli le donavano una bellezza che trascendeva il corpo. Equilibrio. Era equilibrio.
Ed ecco, lei si voltò.
“Sto perdendo la vista, sa?”
“Oh mio Dio! Per quello cercava una strega?”
“Sì, oppure il gigante buono di Nasseta…”
Dal bosco, un gruppo di volontari della Croce Verde giunse sul sentiero, trasportando una barella su cui pareva esserci una persona.
“Che succede?” chiese Rachele ai volontari.
“L’assessora all’ambiente… l’abbiamo trovata. Un incidente.”
“Morta?” indagò Juan.
“Purtroppo sì… caduta in un burrone.”
“ La Eau claire et fraîche non avrà a che fare con tutto questo?” mormorò lui. “Ma torniamo ai suoi occhi…”
“Una malattia degenerativa: diverrò cieca.”
Juan le si avvicinò, le posò le mani sul capo.
“Mai sentito parlare degli sciamani peruviani?”
Lei trasalì e fece cenno di no.
“Ecco: io sono un Curandero Q’ero, benedetto dalla “Pachamama.”
“La Madre Terra?”
“Sì, siamo vittime di una forma di pulizia etnica in Perù. Uno degli sciamani destinati alla morte, Inüma Bautista, è riuscito a sopravvivere e ha testimoniato sul coinvolgimento del fratello del sindaco della città di Balsa negli omicidi. Io sono fuggito in Italia.”
“Non ho parole…”
“Rachele, ti fidi di me?”
“Sì…”
“Essere uno sciamano oggi vuol dire conoscere la natura e usare le sue leggi per aiutare gli altri. Non è magia: l’amore e la conoscenza stanno alla base del mio potere. Ed ora… ti guarirò.”
A volte si aprono passaggi imprevisti, ne sprizza chiarore che scopre strade ignote.
Sotto le mani calde di Juan, gli occhi di Rachele riacquistarono luce.
Anche Juan, lì sul Ventasso, riconobbe il cammino.
La via luminosa della Madre Terra.
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