Storia del paese, leggende, ricordi di guerra, ma anche un poeta bizzarro e le sue satire
Le maestre, Alda Roffi e Giovanna Bottazzi Salimbeni, erano giovani - tuttavia già con una bella e varia esperienza di insegnamento alle spalle, come accadeva un tempo - e gli alunni erano divisi in due pluriclassi. Con Alda lavorò poi anche il maestro Marco Pignedoli. Si trattava di un ambiente educativo nel quale lo spazio dell’aula era dilatato fino a includere il territorio, coinvolgendo la comunità che diventava davvero “educante”. I processi formativi ruotavano, in genere, intorno a progetti interdisciplinari per i quali era indispensabile attivare e migliorare la relazione tra alunni, genitori, insegnanti e tutto il resto del paese. L’anno scolastico era il 1970/’71 e il plesso quello di Villaberza, frequentato da 14 bambini. Il progetto si intitolava “Il corriere di Villaberza” e, come tutti i fascicoli o i volantini che venivano diffusi in quel periodo, era stato sia battuto a macchina, sia scritto a mano dagli alunni e poi riprodotto con il ciclostile. “La sezione storica non era forse molto precisa”, ci riferisce Alda, “mentre i racconti degli scolari, quelli di guerra e le antiche leggende, derivavano dalle interviste che essi avevano fatto ai nonni, ai genitori, agli anziani della zona. Inoltre, per ottenere le satire del poeta Isaia Zanetti, avevamo coinvolto don Valter Aldini”. Immaginare uno studioso di Kant e docente di filosofia, del livello di don Valter, andare a casa di un anticlericale insofferente e riottoso com’era Isaia, rende bene l’idea di Villaberza (e dintorni) tanto simile al “Mondo piccolo” di Guareschi.
E se, come diceva qualcuno, ogni parrocchia ha il prete che la rispecchia, i parroci di Villaberza un po’ eccentrici lo sono sempre stati. Prima di don Battista Zini, nato a Pontone nel 1885 (secondo altri dati nel 1883), ordinato nel 1910 e deceduto nel 1961, la parrocchia era stata retta dal 1879 da don Guglielmo Amorosi. Nel 1912 il Regio Ecomomato dei Benefici Vacanti di Bologna “sequestrò” il beneficio parrocchiale di Villaberza per incapacità a gestirlo (malattia mentale) del don Amorosi. Nel 1914 la parrocchia venne affidata a don Zini che diventò poi parroco effettivo nel 1915 e lo restò fino alla sua scomparsa. La parte storica del “corriere”, in realtà, è accurata e ricavata da documenti d’archivio. Alcune notizie, come quella del 1645, quando l’incendio non doloso della canonica costruita in legno causò la morte di due nipoti di don Giorgio Primavori, per sua fortuna assente, sono davvero significative. In un altro episodio, registrato nel 1670 da don Angelo Pizzarelli, due pastori di Monteorsaro, ragazzini in transumanza, morirono mentre giocavano sotto un castagno che, sradicato, li schiacciò: “… dal gran vento divelto ed essi, essendo stati oppressi e morti subitaneamente, furono portati a questa chiesa…” Nella stessa pagina si dice che un uomo, essendogli stata “...sferrata un’archibugiata in chiesa nel celebrarsi la messa, passò a miglior vita”. Nel 1875, del parroco, don Antonio Gianferrari, si scrive che “indulgens vino”, cioè che beveva troppo. Riguardo alla prima chiesa di Villaberza mancano notizie precise: per ciò che riporta il giornalino potrebbe essere sorta intorno al mille; di sicuro si sa che nei secoli successivi dipendeva dalla Pieve di Castelnovo ne’ Monti e che, comunque, è stata ricostruita più volte. Il vecchio cimitero era sul monte delle Croci, sovrastante la chiesa e il campo sportivo, e l’ultimo parroco a esservi sepolto fu il predecessore di don Zini. Una delle due satire di Isaia riportate sul “corriere” riguarda proprio don Battista. Il poeta lo qualifica come “priore” e lo autorizza a benedirgli la casa, tanto lui non ci sarà; poi conclude: “...perché Zini, il signor don Battista/ è scritto in ruolo capitalista./ Ha due mezzadri e in più la chiesa/delle mie miserie lui se ne frega./Io faccio le rime, non faccio l’amore/buon giorno e grazie signor Priore.”
Il fascicolo è suddiviso in sezioni: “Villaberza nella storia”, “Gli attrezzi e le abitudini in disuso”, “Ricordi di guerra”, “Leggende e satire inedite”, “Il mio paese come lo vedo io” e “Un po’ di statistica”. Tra le abitudini in disuso, Rita Merli racconta quella dei “Processionisti”, processioni di qualche chilometro con delle tappe dove ci si fermava e dove le persone del luogo offrivano ai “pellegrini” (che, probabilmente, portavano una Madonna o un crocifisso) del vino e del pane bianco. Dai racconti della gente di Predolo, pare che don Zini improvvisasse processioni salendo dal Pozzone con una Madonna (forse su un carro), seguita da fedeli che pregavano e cantavano a squarciagola, per poi ridiscendere dalla Battuta; i maliziosi dicevano che lo facesse per una sorta di competizione con la “peregrinatio Mariae”, in diocesi, della Madonna Pellegrina. La seconda satira di Isaia si intitola “Schola cantorum” ed è del 1935; il progetto di don Zini sarebbe stato quello di formare un coro, ma il materiale umano, in quanto a doti canore, pare fosse abbastanza scadente: “E gh’è Carlo ad Pantaliùn/ c’al s’intandrē d’èsr ad chi bûn, / es darē anc ad l’importânsa, /ma lì ün di pèş ch’el cânta”. Tanti sono i ricordi di guerra, esperienze traumatiche di zii, nonni, genitori; il primo è riportato da Bruno Giambisi, che era in terza elementare. Bruno, detto in seguito Jambo, divenne poi, da adulto, un punto di riferimento per bambini e ragazzi in ambito sportivo, ma è purtroppo scomparso troppo presto nel 2020. Il suo racconto parla di Vito, un fratello del nonno che, per sfuggire alla mitragliatrice dei tedeschi cercò di nascondersi dietro all’unico albero in mezzo a un campo, il cui tronco era “più magro di lui”, e che si salvò per miracolo. Era il 3 aprile 1943 e i nazifascisti stavano andando verso Casa Ferrari e Gombio. Daniele Corti, prima elementare, figlio della bidella Teresa, racconta del quattordicenne Francesco Attolini che si era nascosto in un bosco (alle Case di sopra) per osservare il convoglio militare, quando i tedeschi, vedendolo da lontano, pensarono a un partigiano e lo uccisero. Molto importante, come documento antropologico, la parte dedicata alle leggende, dove ritroviamo tutti gli archetipi dell’immaginario folklorico. Abbiamo folletti, campane misteriose che suonano di notte in determinati luoghi, gatti magici e parlanti, tesori nascosti, i “carabinieri” del diavolo ma, soprattutto, donne che filano. Germana Bacci racconta proprio di un folletto che suo nonno vedeva ogni sera ballare ai piedi del letto: “...prese la spinta per dargli un calcio, ma si ruppe l’alluce destro contro la spalliera”. Ancora, Rita Merli scrive che vicino a casa sua, a Zugognago, si “vedeva” una vecchia che filava e che tutti chiamavano “la Patria”; c’è, infatti, proprio lì, un campo che si chiama “Campo della Patria”. Come non pensare alle Parche (Parcae) le tre divinità romane che controllavano le sorti del destino degli uomini? “Sic volvere Parcas”: “così filano le Parche”, scrive Virgilio nell’Eneide. Germana Bacci, presente nel giornalino con la sorella Romana, era in quinta con la maestra Salimbeni e conferma che le leggende raccolte non erano state inventate da loro, ma riportate dagli anziani. Ricorda anche che il fascicolo era stato stampato in parecchie copie e venduto in paese. Alla sorella Tiziana, allora di solo quattro anni, Germana ha raccontato che a Montecastagneto la chiamavano nelle case a leggere a voce alta le satire di Isaia, perché leggere il dialetto - che comunque era la lingua madre parlata da tutti - per i paesani era difficile. La parte dei dati statistici ci dice che “il frumento rende in media circa 15 sementi” e che “si semina il san pastore, il mentana, il fiorello”; le patate rendono anche 30 sementi e l’uva (lambrusco, uva tosca, lancellotta, barbera) serve per il fabbisogno domestico di vino. La locale latteria lavorava circa 11.000 quintali di latte l’anno, con una produzione di 160 quintali di burro e 700 quintali di parmigiano reggiano.
Oggi la latteria sociale non c’è più, sono scomparse le viti maritate agli alberi, mentre il “san pastore”, il “mentana” e il “fiorello” non sono frumenti adatti alle mietitrebbia. Non c’è più il parroco, non c’è più la scuola, non c’è più il bar e, nel campo sportivo dove si giocava anche il Torneo dell’Amicizia, entrano i trattori a fare il fieno.
Munciasera, il monte tra Predolo e Villaberza |
Nessun commento:
Posta un commento