Potremmo definirli “maestri di frontiera”: sono tutti quelli che, tra il primo e il secondo dopoguerra, accrebbero in modo rilevante l’alfabetizzazione della popolazione, con un dispendio di energie che oggi sarebbe impensabile. Se avessimo potuto intervistarli tutti, avremmo ricavato testimonianze omogenee. Maestri “di frontiera” in quanto raggiungevano gli avamposti più remoti, non solo isole o montagne sperdute, ma anche i borghi del nostro Appennino, luoghi marginali perché quasi inaccessibili, nonostante la relativa vicinanza ai centri più grandi.
Infatti, i concetti di distanza, isolamento, separazione sono mutati solo dopo gli anni sessanta, con la costruzione delle strade e, più recentemente, con l’avvento delle nuove tecnologie telematiche.
Qualche dato: nel 1951, in Italia, su poco più di 47 milioni di abitanti, 7.581.622 anziani erano analfabeti, 13.037.627 adulti erano privi di titolo di studio anche se sapevano leggere qualcosa, 24.946.399 avevano la licenza elementare (anche solo la terza) e 3.514.474 possedevano la licenza media inferiore, mentre 1.379.811 erano i diplomati e solo 422.324 i laureati.
I “maestri di frontiera” hanno concorso a rimettere in piedi la nazione con un lavoro silenzioso e forse mai abbastanza riconosciuto. Abbiamo raccolto due di queste storie, quelle dei maestri Alda e Nello, proprio per ricordare anche tutti gli altri che hanno percorso i nostri monti e colline, e la natura in fondo “pionieristica” della loro azione pedagogico didattica e pure biografico esistenziale.
La scuola popolare per adulti a Febbio fu la prima esperienza di insegnamento per la Alda Roffi, diplomata nel 1955 all’istituto magistrale di Reggio Emilia. La giovanissima maestra aveva trovato alloggio a pensione lassù e tornava a casa al sabato mattina, neve permettendo. “I miei studenti mi prendevano in giro perché regolarmente, ogni sabato, quando aprivo la porta, trovavo un muro di neve. Una volta, per varcare la neve fino alla corriera, mi caricarono su un asino. Un’altra volta, mi diede un passaggio il dottore ma, su un ponte, l’auto cominciò a sbandare e io mi presi un grande spavento. Poi, ci fu una frana enorme, per cui si doveva prendere una corriera fino al cedimento della strada, camminare sulla frana, infine salire su un secondo autobus che aspettava dall’altra parte.”
Alda era cresciuta a Fariolo e aveva frequentato le elementari a Felina, spostandosi a piedi sotto la vigilanza di Bianca, una bimba più grande. Erano tempi difficili: si era nelle settimane successive all’8 settembre del ‘43, proprio agli inizi dell’occupazione nazifascista: “Un giorno, da Reggio telefonarono a scuola, ci dissero che stavano arrivando i tedeschi e che dovevamo tutti andare a casa. Io corsi a più non posso, spaventatissima. A un certo punto, da lontano, vidi la colonna; anche i nazisti mi videro e cominciarono a salutarmi. Io avevo solo cinque anni, perché ero andata a scuola un anno prima… che paura!”
Arrivata in quinta, Alda si ritrovò come maestro Remo Torlai, il quale la spinse a dare l’esame per accedere alle scuole medie.
Nello Roncroffi - in seguito diventato suo marito - aveva invece frequentato alcune classi delle elementari a Roncroffio, mentre era dovuto andare per un periodo a scuola a a Villaberza - a piedi insieme ad altri bambini - fino all’istituzione delle classi mancanti nel suo paese.
Nello ricorda con gratitudine il maestro di quinta, Enzo Zanetti, di Marola, che poi lo esortò a proseguire gli studi.
L’andare a piedi (o in bicicletta) era allora di tutti: studenti, postini, preti, levatrici, muratori, braccianti agricoli; tutti camminavano o pedalavano, non per sport, ma per bisogno. Forse, i primi a fornirsi di moto o auto, dopo il cavallo e la bicicletta, furono i dottori “di condotta”.
Con in mano il diploma di licenza elementare, Alda e Nello sostennero e superarono l’esame di ammissione alle scuole medie. Lo sforzo per continuare gli studi era enorme proprio per le distanze e lo stato della viabilità del periodo: molte strade erano ancora bianche o, addirittura, erano solo carraie che univano alla statale i paesini più sperduti. Difficoltà, queste, da sommare al fattore economico e ai sacrifici che si accollavano le famiglie che, di solito, avevano più figli, come quelle di Alda e Nello. Per i maschi, l’alternativa era frequentare le scuole medie interne al seminario vescovile di Marola (private e a pagamento).
Nello scelse quindi di entrare in seminario, ma, alla fine dei tre anni, dovette sostenere un altro esame per convertire il proprio diploma in quello di scuola statale. Alda, invece, con un gruppo di altri ragazzi che partivano da Felina, inforcando ogni giorno la bicicletta, frequentò le medie a Castelnovo ne’ Monti: “Era faticoso ma anche divertente ritrovarci e partire salendo per la statale.”
Più tardi, la grande forza di volontà, unita alla bravura, li avrebbe indotti a spostarsi in città per proseguire gli studi, in convitto lei e a pensione lui.
Le magistrali, infatti, erano a Reggio e fu lì che Nello e Alda si diplomarono. Tra i professori che Alda ricorda con piacere, il poeta e letterato Luciano Serra, amico di Pier Paolo Pasolini e studioso del dialetto reggiano.
I due giovani maestri avrebbero voluto in seguito iscriversi all’università, ma ciò significava chiedere troppo alle famiglie, quindi cominciarono subito a lavorare in attesa dei concorsi.
Le prime supplenze di Nello furono a Busana, a Piolo e a Marmoreto poi, nel ‘63, anche lui insegnò nella scuola popolare proprio nel suo paese, a Roncroffio. La scuola popolare era stata istituita con decreto legislativo nel 1947: “E' istituita una scuola popolare per combattere l'analfabetismo, per completare l'istruzione elementare e per orientare all'istruzione media o professionale...”
Da ciò che riportano oggi i coniugi Roncroffi, le lezioni erano partecipate, non solo perché gli studenti miravano alla licenza elementare, ma anche perché erano interessati a informazioni di tipo pratico: compilare un vaglia, pagare un bollettino in posta, districarsi in banca, calcolare lunghezze e aree. I maestri spiegavano anche diversi articoli della Costituzione, illustravano i rapporti internazionali dell’Italia e invitavano esperti a parlare di agricoltura.
“Uno degli allievi mi disse, per esempio, che stava per costruire una botte”, racconta Nello, “e voleva sapere come fare per calcolarne la capacità.”
Anche a Gombio arrivò la scuola popolare, sotto forma di “centro di lettura”, e Alda ricorda che, con gli studenti adulti, organizzò diverse gite durante le quali, regolarmente, alcuni finivano per perdersi..
Nel 1964, Nello sostenne e vinse il concorso nazionale mentre insegnava come supplente a Tizzola. E qui si torna al problema degli spostamenti e della viabilità, legati anche agli inverni di montagna, lunghi e con tanta neve. In genere, i maestri si fermavano nell’alloggio della scuola, se c’era, o in casa di privati. Competeva ai maestri anche la raccolta delle iscrizioni, che dovevano essere corredate dal certificato di nascita e di vaccinazione. In quegli anni poi, il “Patronato scolastico” aveva creato la refezione in alcuni plessi, come Tizzola e Gombio, dove i bambini e i maestri potevano pranzare gratis.
Nello tornava sempre a casa, non si è mai fermato in sede. Come tornava? Nel 1946, il progettista Corradino d’Ascanio, ingegnere areonautico, aveva inventato un motorino un po’ particolare, tanto da far esclamare ad Enrico Piaggio: “Pare una vespa!”.
Ed è su questo mezzo di locomozione che Nello sfrecciava per le vie dei monti: “Andavo a Tizzola in vespa, passavo da Razzolo, poi scendevo verso la Lucola, parcheggiavo il mio veicolo nei pressi di un caseificio, attraversavo un bosco a piedi e arrivavo a scuola. Solo nella tarda primavera riuscivo ad arrivare in vespa fino alla meta.”
Intanto, Alda aveva continuato con le supplenze; a Vallisnera, che ricorda per il vento gelido, a Primaore, raggiungibile andando in corriera fino a Cerrè Sologno e poi incamminandosi a piedi nel bosco (la domenica notte) per giungere sul posto ed essere a scuola il lunedì mattina.
Nel 1961, Alda vinse il concorso e, dopo una supplenza a Montecastagneto, nel 1962 approdò a Gombio. Qui, alloggiava presso Linda e Brenno Albertini. Scendeva a piedi il lunedì con i bimbi di Soraggio e rientrava al sabato in auto con il dottor Boccazzi, che aveva l’ambulatorio in paese, oppure ancora a piedi, quando il dottore, per via della neve, restava a casa. “Un giorno, arrivata sotto Soraggio, mi trovai in piena bufera di neve, non capivo più dov’ero. Poi, finalmente, intravidi le case in alto e mi feci coraggio. Piano piano, raggiunsi Fariolo.”
I suoi scolari di allora raccontano che, influenzati dai nonni, genitori e ragazzi più grandi, si aspettavano di dover riempire i quaderni con le “aste”, invece, la giovane maestra Alda li sorprese. Intanto, arrampicandosi sui banchi, fissò subito alle pareti i cartelloni dell’alfabetiere e partì con le vocali: in pochissimo tempo, tutti sapevano leggere e scrivere (e far di conto). Era tempo di matite, penne, calamaio e carta assorbente, ma, a Natale della prima elementare, i bambini erano quasi tutti in grado di scrivere con l’inchiostro – non sempre senza macchie! - la letterina di auguri per la propria famiglia. Alda era rigorosa il giusto, precisa, ma anche molto “mamma”, attenta ai bisogni dei bimbi e sempre in buoni rapporti con i genitori. Riusciva ad individuare le capacità di ognuno e sapeva aiutarlo a coltivarle, per esempio portando a scuola libri in più da leggere.
Inoltre, anche Alda aveva comprato una vespa e la pilotava con destrezza sulla ghiaia della provinciale, caricando pure qualche bambino che scendeva da Soraggio.
Con lei, a Gombio, c’era la maestra Antonietta Grossi e, nei lunghi intervalli, i bambini giocavano tutti insieme. Una di loro, Liviana Gardetti ricorda le sue elementari con grande tenerezza e afferma che, in fondo, erano scolari felici. Lo si vede bene dai sorrisi nelle foto, anche dopo, quando Nello arrivò e si prese le classi che erano state di Alda.
Racconta Liviana ridendo: “Eravamo in pluriclasse e due bambini di prima, Angelo e Claudio, il primo giorno di scuola scavalcarono la finestra e saltarono in cortile. La maestra li riacciuffò, ma loro scapparono di nuovo e scomparvero nel bosco. Scena incredibile: le maestre a correre per recuperarli gridando… Credo che, alla fine, ci siano riuscite…”
Mentre Alda veniva trasferita da Gombio a Villaberza, poi a Fariolo, Nello da Lusignana arrivava a sostituirla, ma non usava più la vespa: si era comprato una Bianchina.
Negli anni successivi avrebbe insegnato a Pontone, a Maro, a Berzana, a Fariolo e poi, come Alda, avrebbe concluso la sua carriera a Felina.
Per descrivere cosa fosse diventata quella Bianchina, sulla quale Nello stipava, ogni giorno, i bimbi di Soraggio, è utile ascoltare Mariapia Corsi, oggi infermiera, che fu sua alunna a Berzana: “Il primo anno, nel 1971, arrivò con una Bianchina modello Fantozzi, dove però riusciva a caricare alcuni bimbi del Boaro. Alto, magro, giovane, gentile… entrava in classe e noi tutti in piedi, senza che dicesse niente. L’anno dopo si presentò con una Renault 4, un po’ più “molleggiata”. Ogni tanto dava un passaggio anche a un bambino di Felina che frequentava a Berzana, poi, con il ‘pullmino Renault’, riportava a casa i bimbi. Era autorevole, ma mai autoritario. Era anche ironico. Una volta, per verificare il livello di due bimbi che si erano trasferiti lì, chiese loro quale verbo avrebbero usato per dire che un gatto andava su un albero. ‘Il gatto rampa’, rispose la bimba, e lui: ‘Grazie! Meglio però per tutti se facciamo un po’ di ripasso dei verbi!’ Non ci dava tanti compiti a casa, perché non voleva sovraccaricare le mamme. Alcuni compiti erano… non urlare perché nessuno era sordo e aiutare sempre i compagni più deboli.”
A Gombio, il maestro Nello era presente all’inaugurazione della scuola nuova (oggi circolo Arci), insieme al Provveditore agli studi, venuto apposta da Reggio Emilia.
Anche lui, come Alda, a volte se l’era dovuta fare a piedi per la neve: “Nel ‘66, per la famosa grande nevicata, mi ero incamminato in direzione Gombio, però, poco prima di Predolo, avevo incontrato don Valerio, il parroco, che mi aveva detto: ‘Andùa vèt? Gli avevo risposto che andavo a scuola, e lui: ‘Ma cùsa vöt andâr a fâr c’an ghè ninsün!’ Infatti, quando arrivai non trovai nessuno.”
Una volta trasferiti tutti e due a Fariolo, Alda e Nello parteciparono con le loro e le altre classi a diversi concorsi, vincendo premi e riconoscimenti, come il “Nettuno”, riguardante una ricerca sull’ambiente. Approdati poi a Felina, fecero in tempo a sperimentare, dopo le pluriclassi, la scuola a tempo pieno e a moduli, oltre a insegnare ai figli di alcuni loro ex scolari.
Questi “maestri di frontiera” provenienti da famiglie non borghesi o di città, ma dallo stesso mondo rurale dei loro studenti, proprio grazie alle loro origini avevano la capacità di capire situazioni per altri incomprensibili, di mediare, di “tradurre” il sapere in un linguaggio accessibile ai ragazzi e, dall’altra parte, di “tradurre” e valorizzare le conoscenze pratiche già in possesso dei ragazzi stessi. E quei ragazzi non lo hanno dimenticato.
Un giorno, poco prima che scoppiasse la pandemia del coronavirus, Alda ha sentito suonare il campanello e si è affacciata alla porta. Si è trovata di fronte un signore dai capelli bianchi di più di sessant’anni. “Non mi riconosci?” le ha chiesto lui.
In quel momento è uscito Nello: “Carlo! Sei Carlo!”
Era Carlo Zorra, uno dei loro scolari di Gombio la cui famiglia, dopo la quinta, si era trasferita in pianura. Eppure, quell’ex scolaro un po’ Gian Burrasca i suoi maestri li porta ancora nel cuore.
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