Editoriale di "Tuttomontagna", maggio 2013
Stiamo franando. E non si tratta soltanto del territorio. Una delle convinzioni che il consumismo e il capitalismo selvaggio istillano in persone e società è che le energie spese nella cura siano improduttive, quindi da abolire. La cura non produce effetti immediati, visibili, non dà un ritorno finanziario diretto e veloce, anzi: è una spesa. La cura ha un prezzo sempre. Costa quando si tratta di fare figli e allevarli, costa quando si tratta di tenere aperte le scuole e investirci. Costa quando si promuove la cultura non tanto con quegli eventi occasionali (il grande nome che richiama centinaia di persone nell’evento estivo) che ravvivano l’immagine dei vari enti, ma quando ci si sforza di non tagliare sulla conduzione e apertura delle biblioteche, per esempio. La cura è sempre mal vista da chi ragiona in termini di profitto e l’idea di tempo, denaro e energie spese per l’accudimento di persone e territorio passa per qualcosa di stupido (o di ingenuo, a voler essere benigni). Insomma: è roba da poco furbi. Intelligente e furbo, in lingua inglese, si traducono con “smart”, anche se un amico britannico mi spiegava che, in realtà, essi usano tre termini: “intelligent”, quando si parla per esempio di uno studente che riesce subito a capire quello che gli si insegna, “clever”, riferendosi a qualcuno che riesce a trovare la soluzione non convenzionale, che riesce sempre a tirarsi fuori dal problema con astuzia, “smart” per definire la persona che è piena di talento, oltre che bello, elegante, brillante. Credo che noi stiamo franando – noi: la montagna e la società tutta – perché, invece di una società di veri intelligenti che mettono al primo posto la cura, quindi la costruzione del futuro, abbiamo lasciato che, negli ultimi venti/trent’anni, si condensasse (come un coagulo mortifero), una società di furbi. Questa frase del teologo Vito Mancuso offre, in proposito, parecchi spunti di riflessione: “… in Italia i più ritengono che il singolo sia più importante della società, e per il bene del singolo non si esita a depredare il bene comune della società.
Da qui il tipico male italiano che è la furbizia, uso distorto dell’ intelligenza. Il furbo è un intelligente che sbaglia mira, che non ha un oggetto adeguato su cui dirigere l’ intelligenza, che non capisce il primato dell’ oggettività e la dirige solo su di sé. Al contrario chi sa usare davvero l’ intelligenza capisce che la vita contiene valori più grandi del suo piccolo Io, e di conseguenza vi si dedica. L’ intelligente gravita attorno a una stella, il furbo invece fa di se stesso la stella attorno a cui tutto deve ruotare. Con l’ ovvio risultato che un insieme di intelligenti è in grado di creare un sistema, in questo caso non solare ma sociale, mentre un insieme di furbi è destinato semplicemente al caos e alla reciproca sopraffazione.”. Nell’omelia della sua prima messa, papa Francesco ha parlato con forza della necessità di custodire il creato, mettendoci in guardia dalla nostra rapacità, la rapacità dei furbi: “E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.” Non è poi così difficile identificare gli “Erode” che sono diventati ormai virus, malattie per il pianeta e, di conseguenza, per l’uman
ità. Agire la cura significa allora sviluppare capacità concrete, operative; l’habitat è realtà naturale, con dimensione biologica ed ecologica, ma è anche cultura, bellezza, radicamento comunitario, luogo di incontro, densa realtà antropologica. Prima che sia troppo tardi, recuperiamo la cura. Prima che le frane devastino del tutto la montagna, il tessuto sociale, le famiglie, e, soprattutto, le nostre anime.
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