PREMESSE E PROMESSE SULLA RIFORMA DELLA CHIESA.
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37089. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Il consenso degli italiani verso il papato è schizzato in men che non si dica dal 47% (dicembre 2012) al 62%: «Sono bastate poche parole e un nome, Francesco, che di per sé è un programma», osserva Famiglia Cristiana (23/3), che riporta i dati di un’inchiesta affidata a Demopolis in base alla quale, sintetizza il settimanale, «l’83% degli intervistati esprime fiducia nell'attuale papa, (il 95% dei cattolici e il 61% dei non cattolici); il 58% crede nella sua capacità di contribuire a un rinnovamento della Chiesa, toccati per il 72% e il 67% dalla sua semplicità e spontaneità e dal linguaggio vicino alla gente».
Numeri che dimostrano quanto dev’essere forte il desiderio di cambiamento nella Chiesa, a testimonianza della percezione corretta o meno fra i fedeli, stante Benedetto XVI, di un immobilismo improduttivo se non deleterio per la comunità cattolica.
La speranza di novità (o, potremmo dire, la fiducia inossidabile in questa novità, come dimostrano i commenti sulle pagine facebook di Adista) è fondata su gesti e parole di papa Francesco apprezzati da tutti per semplicità, amicizia, familiarità, compresi in un arco di tempo che raggiunge a malapena la settimana; e che non denotano solo uno stile, ma sostanziano un pensiero e una prassi che non potranno rimanere senza conseguenze, pena una schizofrenia di comportamento che sarebbe ingiustificabile e insensata e un’ambiguità, un’ambivalenza che potrebbe richiamarci un ancora non chiarito passato (v. notizia successiva). Fra i gesti, su uno in particolare vogliamo soffermarci: Bergoglio ha voluto accanto a sé, durante la cerimonia di intronizzazione, il 19 marzo, un ospite speciale, il cartonero Sergio Sanchez – un povero che vive appunto raccogliendo cartoni – che ha fatto accomodare vicino ai rappresentanti del governo argentino, fra i suoi familiari. Il commento di Sanchez è stato: «Non potevo credere di essere lì a soli quattro metri di distanza da lui, nei posti dedicati alla sua famiglia. Poi ho capito: la sua famiglia siamo noi, tutte le persone povere che ogni giorno lavorano per strada in Argentina».
Poveri e giornalistiNumeri che dimostrano quanto dev’essere forte il desiderio di cambiamento nella Chiesa, a testimonianza della percezione corretta o meno fra i fedeli, stante Benedetto XVI, di un immobilismo improduttivo se non deleterio per la comunità cattolica.
La speranza di novità (o, potremmo dire, la fiducia inossidabile in questa novità, come dimostrano i commenti sulle pagine facebook di Adista) è fondata su gesti e parole di papa Francesco apprezzati da tutti per semplicità, amicizia, familiarità, compresi in un arco di tempo che raggiunge a malapena la settimana; e che non denotano solo uno stile, ma sostanziano un pensiero e una prassi che non potranno rimanere senza conseguenze, pena una schizofrenia di comportamento che sarebbe ingiustificabile e insensata e un’ambiguità, un’ambivalenza che potrebbe richiamarci un ancora non chiarito passato (v. notizia successiva). Fra i gesti, su uno in particolare vogliamo soffermarci: Bergoglio ha voluto accanto a sé, durante la cerimonia di intronizzazione, il 19 marzo, un ospite speciale, il cartonero Sergio Sanchez – un povero che vive appunto raccogliendo cartoni – che ha fatto accomodare vicino ai rappresentanti del governo argentino, fra i suoi familiari. Il commento di Sanchez è stato: «Non potevo credere di essere lì a soli quattro metri di distanza da lui, nei posti dedicati alla sua famiglia. Poi ho capito: la sua famiglia siamo noi, tutte le persone povere che ogni giorno lavorano per strada in Argentina».
E se le parole hanno un senso, quelle sulla povertà pronunciate nel discorso ai giornalisti il 16 marzo – «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!» – potrebbero essere foriere di cambiamento a tutti i livelli ecclesiastici, a partire dal Vaticano. Anche per quanto riguarda i poveri, cui la Chiesa egli auspica dedita, si vedrà quale sarà la prassi futura. L’attenzione di Bergoglio finora è stata di stampo caritatevole, non politico.
Comunque, nell’ambito di questo incontro con i media, va segnalato anche un riconoscimento ai giornalisti, i quali l’avranno accolto con soddisfazione e sollievo; soprattutto dopo essere stati accusati nei giorni del Conclave dalla Segretaria di Stato e da p. Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa, di «maldicenza», «disinformazione», «calunnia» (v. Adista Notizie n. 9/13). Papa Francesco li ha ringraziati «per le fatiche di questi giorni particolarmente impegnativi», invitandoli «a cercare di conoscere sempre di più la vera natura della Chiesa e anche il suo cammino nel mondo», assicurando loro «che la Chiesa, da parte sua, riserva una grande attenzione alla vostra preziosa opera»: essa «necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo».
Collegialità. E perché no un Concilio?
Dopo il saluto «fratelli e sorelle, buonasera!», nell’affacciarsi dalla basilica di San Pietro appena eletto il 13 marzo, il nuovo papa ha detto: «Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo. Ma siamo qui, vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo». «E adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi».
Qui la novità, come è stato da più parti sottolineato, sta nel fatto che Bergoglio si è presentato come vescovo di Roma, non come papa; sì con la peculiarità di presiedere tutte le Chiese, «nella carità», ma vescovo fra vescovi, facente parte di un collegio dove tutti portano le loro singolarità, parlano e ascoltano, discutono, valutano, decidono in fratellanza. Modello confermato da quanto il papa ha detto ricevendo i cardinali il 15 marzo: durante il Conclave «abbiamo pregato insieme, condividendo fraternamente i nostri sentimenti, le nostre esperienze e riflessioni. In questo clima di grande cordialità è così cresciuta» quella «reciproca conoscenza» e quella «mutua apertura» che «ci hanno facilitato la docilità all’azione dello Spirito Santo. Egli (…) fa tutte le differenze nelle Chiese, e sembra che sia un apostolo di Babele. Ma dall’altra parte, è Colui che fa l’unità di queste differenze, non nella “ugualità”, ma nell’armonia».
Da tali espressioni potrebbe discendere una maggiore schiettezza nei rapporti fra Chiesa di Roma e Chiese locali, una maggiore autonomia di queste, un qualificato decentramento. Fino ad arrivare, perché no, a trasformare il Sinodo dei vescovi da organo consultivo a deliberativo, o ad indire un Concilio.
La misericordia infinita di Dio
La misericordia è poi un suo tema forte, un concetto sul quale si è già soffermato un paio di volte. All’Angelus di domenica 17 marzo, ha citato un libro del card. Walter Kasper, nel quale l’autore – ha riassunto Bergoglio – «diceva che sentire misericordia, questa parola, cambia tutto. È il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza», mentre «noi ci stanchiamo, noi non vogliamo, ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare».
La Chiesa sarà da questo momento molto più misericordiosa? Sarà misericordiosa, per esempio, con i divorziati risposati riammettendoli all’eucarestia?
Gli “Erode” in agguato contro gli esseri umani e la natura
Nell’ambito della misericordia sono insiti non solo il perdono e la cura, ma anche la custodia. Il richiamo alla custodia del creato è stato il concetto sul quale papa Francesco ha insistito nell’omelia della messa di intronizzazione, prendendo spunto dal comportamento del santo del giorno, Giuseppe, cui Dio aveva affidato Maria e Gesù. Innanzitutto, «in lui vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire però – ha aggiunto – non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore». Quando l’essere umano, ha osservato ancora, «viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna».
Da qui il richiamo a «tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo "custodi" della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!».
Forse da quest’uomo possiamo attenderci parole univoche contro il capitalismo neoliberista e la finanziarizzazione dell’economia, e solidarietà finora inusitate verso coloro che lottano contro lo sfruttamento troppo spesso mortale degli esseri umani e della natura, compromettendo l’equilibrio ecologico della Madre Terra. Sta venendo infine il momento di una manifestazione di vicinanza, per esempio, alla popolazione della Patagonia e al vescovo che l’accompagna, mons. Luis Infanti de la Mora, che da anni si oppongono strenuamente ai disastrosi megaprogetti idrici e affini nella zona di Aysén (v. Adista nn. 15 e 42/11, 15/12; 7/13)?
No al potere: il ministero del papa è servizio
Durante la stessa omelia della festa di intronizzazione, papa Francesco ha messo l’accento sul ministero petrino come servizio per custodire il «Popolo di Dio». «Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta?». «Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr. Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!».
Da queste parole in poi, vien da dedurre, niente onori per il papa e ogni altro livello gerarchico, niente titoli, prebende, esenzioni, solo oneri derivanti dal servizio, compromissione con i più necessitati, dedizione ai bisognosi, dismissione di ogni potere mondano. D’altronde, aveva detto papa Francesco nell’omelia ai cardinali elettori, nella messa “Pro Ecclesia” (14/3): «Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio».
Dialogo. Perché siamo responsabili
Il 20 marzo, in un pregevole gesto di ospitalità da nuovo “padrone di casa” che si aggiunge ad una comunità preesistente, papa Bergoglio ha ricevuto – così li ha chiamati – i «delegati delle Chiese ortodosse, delle Chiese ortodosse orientali e delle Comunità ecclesiali di Occidente», «rappresentanti del popolo ebraico» e «amici appartenenti ad altri tradizioni religiose, innanzitutto i musulmani». A tutti, ha assicurato: «La Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza che ha la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose, questo voglio ripeterlo: promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose». «Lo attesta anche il prezioso lavoro che svolge il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Essa è ugualmente consapevole della responsabilità che tutti portiamo verso questo nostro mondo, verso l’intero creato, che dobbiamo amare e custodire. E noi possiamo fare molto per il bene di chi è più povero, di chi è debole e di chi soffre, per favorire la giustizia, per promuovere la riconciliazione, per costruire la pace. Ma, soprattutto, dobbiamo tenere viva nel mondo la sete dell’assoluto, non permettendo che prevalga una visione della persona umana ad una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma: è questa una delle insidie più pericolose per il nostro tempo».
Papa Francesco non ha dimenticato i non credenti: «Sentiamo vicini – ha detto – anche tutti quegli uomini e donne che, pur non riconoscendosi appartenenti ad alcuna tradizione religiosa, si sentono tuttavia in ricerca della verità, della bontà e della bellezza». Un percorso comune fra tutti gli uomini e le donne di buona volontà per il bene dell’umanità è quanto propone ancora papa Francesco, in questo somigliando ai due papi che l’hanno preceduto.
Sarà venuto il momento della necessaria riforma della Chiesa? Le premesse ci sono. Le promesse anche. Il “dire” c’è, sul “fare” c’è legittima attesa. (eletta cucuzza)
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