Questo è il tempo in cui si ha paura della differenza di opinioni. Che poi è una conseguenza del manicheismo istillato, nelle persone più fragili, ma un po’ in tutti, dall’uso (abuso?) di piattaforme come facebook, oltre che da decenni di televisione spazzatura. In rete, si può bloccare chi non la pensa come te, mandare a quel paese chi ha detto qualcosa che non ti va a genio. In rete, spesso, ci si racconta e ci si relaziona solo attraverso insinuazioni e ingiurie. In altro modo, non si può esprimere una disapprovazione che viene subito capita come fosse un’offesa, quando, invece, è solo un tentativo di discussione. Dalla rete e dai litigi televisivi, la non comunicazione, la non relazione si è riversata nella vita reale. Questo è il tempo in cui, invece di socializzare, l’indolenza e l’inettitudine all’iniziativa divengono la ragione per cui si chiede un azzeramento delle opinioni, il famoso “reset”, agli altri. E in questa parola, azzeramento/reset, è nascosta tanta violenza. Se vuoi stare con me… se dici di pensarla come me… se mi vuoi bene... devi “resettare”, non essere più tu, ma aderire completamente a quel che io penso. Il castelnovese Federico Zannoni, dottorando in Pedagogia nel Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, ha trattato esaurientemente queste tematiche nel volume “La società della discordia – Prospettive pedagogiche per la mediazione e la gestione dei conflitti”. Già nelle sue altre pubblicazioni, Zannoni aveva esaminato approfonditamente gli argomenti degli stereotipi e dei pregiudizi etnici in età adulta ed evolutiva; si era occupato dei figli degli immigrati, della conflittualità e mediazione sociale, delle dinamiche di scontro e convivenza tra culture e religioni differenti nei contesti urbani, dei minori stranieri a scuola. “Viviamo nella società della discordia. – dice Zannoni nell’introduzione - Spesso fatichiamo a gestire l’aggressività perfino all’interno delle relazioni con chi ci sta accanto. Siamo vulnerabili all’odio; guerre e violenze ci lasciano talvolta insensibili. Esistiamo in un individualismo crescente. Disorientati dal disordine e dall’imprevedibilità delle risposte, ricorriamo alla sopraffazione per perseguire i nostri obiettivi e soddisfare i nostri intenti. Non sappiamo condividere, comunicare, capirci, venirci incontro. Eppure, il conflitto è parte di noi. Se gestito con saggezza, può rivelarsi motore di cambiamento e progresso. L’idea del libro, Federico Zannoni l’ha avuta qualche anno fa e ne ha parlato con Antonio Genovese, professore ordinario di Pedagogia interculturale del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, che si occupa d’interculturalità, dei processi migratori e delle loro ripercussioni sui fatti educativi e sociali. Uno dei tanti libri del professor Genovese, scritto con la moglie, Mariagrazia Contini, è “Impegno e conflitto – Saggi di pedagogia problematicista”, quindi il lavoro di Federico si inseriva in un cammino già tracciato e in cui si sente il bisogno di trovare risposte. “È importante analizzare le dinamiche psicologiche, sociologiche, economiche, antropologiche, politiche, filosofiche, biologiche ed etologiche contenute nelle realtà conflittuali. – spiega Federico - In aggiunta a queste, risulta quanto mai urgente imparare inedite modalità per approcciarsi al conflitto, è necessaria una educazione che sappia rivoluzionare attitudini e atteggiamenti. Occorre promuovere e legittimare nuovi orientamenti e nuovi strumenti per arginare e opporsi alle spinte devastatrici che la contemporanea società della discordia ci dispensa con perfida violenza. Per rendere possibile tutto ciò, anche le discipline e le professionalità pedagogiche devono assumersi l’onere, l’onore e l’impegno di ricoprire un ruolo di primo piano.” Undici gli autori del volume, che diventerà un testo universitario: docenti universitari, mediatori familiari e culturali, pedagogisti. Oltre a Zannoni e Genovese, ci sono Paola Cosolo Marangon, consulente educativa nell’area “Prima infanzia, adolescenza e genitorialità” che collabora con il Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti di Piacenza (CPP); Giordano Ruini, educatore e animatore culturale, blogger e scrittore, che ha ideato e realizzato il progetto Mediterraneo, patrocinato dalla provincia di Reggio Emilia; Maria Rosa Mondini, pedagogista, formatrice e mediatrice in campo penale, familiare, scolastico e sociale, che ha introdotto in Italia il modello di mediazione umanistica elaborato da Jacqueline Morineau; Rosalia Donnici, allieva di Paolo Jedlowski, specializzata in Discipline Sociologiche presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (E.H.E.S.S.) di Parigi, mediatrice dei conflitti in ambito penale, sociale, scolastico e familiare presso il C.I.M.F.M. di Bologna; Serena Marroncini, educatrice professionale. Studiosa e cultrice dell’opera e del pensiero di Danilo Dolci; Manuela Vaccari è dottoranda in Scienze Pedagogiche presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna; Alessandra Gigli, ricercatrice in Pedagogia generale e sociale del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, dove insegna Pedagogia delle famiglie e Pedagogia della comunicazione e della gestione dei conflitti; Alessandro Zanchettin, docente a contratto di Teorie e pratiche di teatro in educazione; Federica Filippini, dottore di ricerca in Pedagogia, docente a contratto presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Il volume si compone di due parti, pensate in continuità e in dialogo reciproco. La prima parte, più teorica, dedicata ai conflitti e alle relative tecniche e strategie di gestione. La seconda parte, più pratica, è interamente dedicata alla mediazione dei conflitti, intesa e declinata nei suoi molteplici ambiti. La tesi di fondo del libro è che oggi la conflittualità è in aumento in tutti i settori, ma le persone sono meno in grado di gestirla, questo per trasformazioni sociali, disgregamento delle comunità, sostituite dal concetto, meno impegnativo, di “rete”, carenza di vera socialità, vero e proprio autismo individuale, famigliare, sociale.
l'autore, Federico Zannoni |
Dice Alessandra Gigli: “Il momento attuale si differenzia dal passato recente non solo e non tanto per un aumento della conflittualità, ma soprattutto per un incremento della difficoltà ad “agire il conflitto”. Sappiamo bene che, per le proprietà tipiche degli eventi conflittuali, un conflitto represso tenderà a ripresentarsi, spesso con un aumento della sua intensità e del suo potenziale distruttivo. Penso all’immagine della pentola a pressione: il vapore al suo interno preme con forza, portando inevitabilmente all’esplosione qualora non si apra la valvola. A questa considerazione va aggiunto che, in relazione a fenomeni culturali dominanti, la cultura della mediazione è “regredita”, che sono diminuite le risorse primarie e che, con il processo di individualizzazione, si è persa la funzione ammortizzatrice delle reti sociali”. Molto bella la copertina, di MarcoBigazzi. Una copertina con una bella storia: un viaggio a Sarajevo di Federico Zannoni e Antonio Genovese, l’incontro con il ponte (lo Stari Most, “vecchio ponte”, che attraversa il fiume Narenta) con la sua storia, la distruzione da parte delle forze croato-bosniache la mattina del 9 novembre 1993 e la successiva ricostruzione, terminata nel 2004. Il ponte come simbolo della discordia, ma anche della capacità di ricomporre le relazioni gestendo i conflitti. Conclude Federico:“ Il confronto spaventa, e ancora di più il conflitto: possono aprire ferite, rimettere tutto in discussione, allora meglio evitarli, meglio non correre il rischio di cortocircuiti esistenziali. Meglio riempire i ragazzi di premure e regali, piuttosto che ascoltarli, affrontarli, offrire loro l’opportunità di sbattere in faccia tutto quello che non va. Meglio risparmiare la fatica della relazione più intima, il tempo è sempre poco, un sorriso nella fotografia sa far dimenticare il ricordo di un pianto soffocato nel petto.” Il libro aiuta davvero a comprendere come la conflittualità i sé non abbia una valenza negativa, ma permetta, al contrario, di esprimere, entro la cornice decisiva della relazione con l’altro, le proprie aspirazioni, richieste e debolezze senza coprirne la natura e, pertanto, senza nasconderne il significato per timore di indebolire la relazione. Il punto risiede nell’accettazione del conflitto quale variabile determinante di qualsivoglia relazione umana.
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