Umberto Chiarini con uno dei figli, Damiano |
Qui un'intervista rilasciata a Tuttomontagna:
“I fatti accaduti a Scanzano Ionico tra la fine del 2003 e l’inizio del
2004, quando l’opposizione di un’intera regione è riuscita a far retrocedere il
Governo nel suo disegno di realizzare in quell’unico sito il deposito nazionale
delle scorie radioattive italiane, e il ventesimo anniversario del più grave
incidente ad un impianto nucleare, l’esplosione del reattore n.4 a Chernobyl
(26 aprile 1986), mi hanno spinto a riguardare i documenti relativi alla
mobilitazione di tutta la popolazione della Bassa contro la localizzazione
della centrale atomica da 2.000 MW nella Lombardia sud-orientale. I documenti
non sono stati esaminati semplicemente come pezze d’archivio ma come un vissuto
intenso, carico di emozioni, idealità e responsabilità pubbliche, da consegnare
alle nuove generazioni come prova che la realtà si può cambiare” É in
questo modo che nasce il libro “La
bassa contro l’atomo. La centrale nucleare nel Mantovano: documenti 1975-1987” del professor Umberto
Chiarini, di Casalmaggiore, barba bianca da pescatore dei mari del Nord,
intensi occhi azzurri da sciamano russo, mitezza nei modi e nel comunicare.
A Reggio Emilia, presso la piccola ma ben rifornita libreria
Infoshop Mag 6, in
Via Sante Vincenzi, 13/a (laterale via Matteotti, zona Mirabello), Chiarini
presenta il suo lavoro e incontra gli amici reggiani, compreso qualche
montanaro. Come mai questo contatto con la montagna? Perché nel comune di
Castelnovo ne’ Monti, a Costa de’ Grassi, il professore trascorse momenti di
vacanza con la famiglia, ospite dell’amica Emma Ielli. E proprio il padre di
quest’ultima, Giuseppe Ielli (Jusfin), deceduto da poco tempo, da giovane a baratto di castagne col granoturco nel
mantovano e cremonese, durante una manifestazione era ospite del professore, tanto
da trovarsi immortalato in una foto e consegnato alla storia nel libro di
Chiarini. Per mano, Jusfin tiene Damiano, uno dei quattro figli di Chiarini, il
quale, con la moglie Luisa, ha costruito una famiglia che è un inno alla vita. “ Ho chiamato Davide il mio primo figlio
– dice il professore – perché in Israele avevo
lavorato come volontario in un kibbutz.” Poi è arrivato Alfredo, adottato
in Guatemala, e, quasi in contemporanea, Luisa si è accorta di aspettare
Damiano. Ma la storia più bella riguarda una splendida ragazza con gli occhi cerulei
del padre, Matilde, che un solerte ginecologo voleva eliminare perché
pericolosa per la salute della madre. Come risposta, Luisa cambiò ginecologo e
si tenne la bambina. Tutto l’impegno di Luisa e Umberto contro il nucleare fa parte
del loro credere nella vita, non con le chiacchiere, ma con la testimonianza di
vero servizio per la famiglia e la comunità. “Il libro non vuol essere semplicemente un revival, ma secondo me ha
una forte attualità. – spiega Chiarini – Affermavo questo con Alex Zanotelli che mi diceva delle sue lotte un
po’ disperate, forse inutili. Gli ho
risposto che non bisogna disperare, che la gente deve darsi da fare e che il
nostro è un esempio di come la lotta non violenta, alla fine, vince.“ Nel novembre
del 2006 c’è stato il ventennale del referendum abrogativo contro il nucleare e
il giorno 4 è uscito il libro. “La nostra
è stata una lotta durata tredici anni;– continua il professore – trovare la costanza di tenere mobilitati i cittadini
e le Province coinvolte, non è stato facile. Non è stato semplice trovare gli esperti, ricorrere alla stampa
straniera, a libri scritti in inglese, in francese, recuperati e cominciare a
fare della contrinformazione, impegnandoci ad andare a tutti i dibattiti che
organizzava l’enel e l’enea. La gente ci ha seguito.Il potere politico aveva
deciso nel piano energetico nazionale addirittura una ventina di centrali
nucleari. Ce n’erano già quattro, una che non ha mai funzionato, quella di
Caorso, una a Trino Vercellese, una a Latina e un’altra, piccola, al
Garigliano.” Scattarono contro di noi le denunce, qualcuno finì in carcere
con l’accusa di interruzione di pubblico servizio. L’alleanza con gli
agricoltori fu fondamentale: Cernobyl aveva dimostrato che i primi ad essere
danneggiati sono loro. La radioattività presente nei campi, nei prodotti
agricoli, il divieto di consumere il latte e le verdure, avevano svelato che
l’attività economica che più avrebbe sofferto per la presenza della centrale
era l’agricoltura. “Non è stato facile
convincere delle persone con una loro storia una loro cultura a fare opposizione
popolare non violenta. – racconta Chiarini – Sedersi per terra, bloccare l’accesso ai campi, non reagire di fronte
alla celere, alla polizia, agli scudi, ai lacrimogeni. Questo è stato vincente.
Personalmente mi ero opposto quando un gruppo di veneti presenti alle
manifestazioni volevano sabotare le macchine delle ditte appaltatrici per conto
dell’enel che facevano i sondaggi. ‘Voi manifestate, ma non create nessun
danno, non vogliamo passare dalla parte del torto’. Questo è stato vincente. E
ha trascinato, piano piano, il mondo politico” La posizione dei partiti fu molto varia; fin
dall’inizio c’erano quelli contrari al nucleare, l’estrema sinistra, i verdi,
che tra l’altro sono nati in questo periodo, e poi l’Msi e il partito radicale.
I partiti dell’arco costituzionale, allora al governo che aveva varato nel 1975
la legge 393 sulla localizzazione delle centrali nucleari, erano favorevoli,
salvo distinzioni a livello locale. Così la Dc era favorevole a Roma, ma contraria a Viadana,
a San Benedetto Po, così il Psi, così il partito socialdemocratico. Favorevoli,
invece, sia al centro sia in periferia, erano il partito repubblicano e il
partito liberale, che andavano di pari passo con le esigenze degli industriali.
Il Pci fu quello che ha visse il più grande travaglio, perché all’inizio era
favorevole. Dopo Cernobyl, anche il Pci entrò tra gli antinucleari. I sindacati
confederali, in un primo tempo, appoggiarono il nucleare, poi ci fu la protesta
degli iscritti a livello locale, che si dissociarono dalla posizione
provinciale. Anche la Chiesa
prese posizione, visto che gli abitanti della Bassa erano contro il nucleare;
per i referendum locali, il vescovo della zona, attraverso i parroci, invitò i
cittadini a partecipare al voto. “La
vicenda fu locale,– dice Chiarini – riguardò la bassa. Per me, come per altri, i
fiumi uniscono; sono stati usati nella storia a livello politico per segnare
dei confini, ma in realtà le genti rivierasche proprio grazie al fiume sono state
sempre in forte contatto. In questa vicenda, a livello locale, c’erano le
popolazioni della bassa reggiana, parmense, cremonese e mantovana, quelle che
insistono sul Po. Ma attraverso questi documenti, salta fuori un po’ tutta la
storia del nucleare italiano, perché qua si è combattuta una battaglia di
valenza nazionale.” Nacque il Movimento
contro il nucleare, che lavorò in sinergia con gli agricoltori, con le
associazioni ambientaliste di sigla nazionale, ma anche con tante altre sigle a
livello locale. Tutti uniti per dire “no” non a livello locale, ma per dire no
al nucleare come scelta strategica a livello nazionale, puntando su altre forme
di energia. È l’esempio di una lotta popolare non violenta che riesce a
raggiungere un obiettivo lavorando sulle coscienze, sull’informazione, sugli
aspetti culturali. “Io sono convinto che
il nucleare, anche oggi, sia una scelta sbagliata, immotivata, perché ci sono i
dati e i documenti che lo dimostrano. In occasione del ventesimo del referendum
eravamo a Roma con Zanotelli e abbiamo sentito le dichiarazioni di Rubbia,
premio nobel per la fisica, che ha detto no al nucleare che vogliono proporci
oggi, anche se parlano di centrali di terza o di quarta generazione, perché c’è
ancora il nucleare da fissione, che lui distingue dal nucleare da fusione. Chi
ha un minimo di conoscenze in fisica sa la differenza.”. Parole di Rubbia:“Il nucleare va studiato con grande attenzione, ma bisogna puntare sui
rinnovabili, la vera ampia finestra per il futuro. Le centrali nucleari
rappresentano una delle soluzioni, ma
debbono essere condivise dai cittadini. Ma chi è pronto ad accettarle nel
proprio ‘backyard’?”. Allora? Chi ha
interesse a proporre centrali nucleari? “L’industria
nucleare che deve continuare a vivere. – risponde Chiarini – Sono gli unici che hanno veramente
interesse, avendo visto diminuire drasticamente le commesse a livello mondiale.
Si dice che il nucleare conviene, invece, prima di dieci anni, queste centrali
che ti vogliono fare adesso, non sono economicamente convenienti. Poi non si
parla delle scorie, che non è un’incognita e un costo da poco, e neanche di
decommissionamento, cioè di smantellamento della centrale e di confinamento
delle sue parti. Inoltre, riuscire a far passare un centrale nucleare, in
qualsiasi sito in Italia, mi sembra una cosa impossibile.” Pensare di fare le centrali elettronucleari
dove c’è la maggior domanda di energia, nel nord, usando il Po, sapendo in che
condizioni si trova e la guerra che stanno facendo le associazioni agricole con
le Regioni per disciplinare il rilascio dell’acqua dei bacini montani, pensare
di usare il Po, con i tassi d’inquinamento e la scarsità d’acqua per
raffeddare, costruire un impianto nel cuore più popolato dell’Italia, non è
possibile. E allora? Perché si ripropone il nucleare? “Tante volte si guadagna solo proponendo,– è il parere di Umberto
Chiarini – solo facendo vedere dei progetti, solo
approvando dei pezzi di carta, senza smuovere neanche una badilata di terra. È questo
che rende in Italia: creare delle società di progettazione, con dei capitali
minimi, l’importante è che ci sia un ok da parte degli enti o delle
amministrazioni incaricate e tu cominci già a ricevere.”
(Guarda il video...)http://youtu.be/NAMAq33b_O4
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