Una piacevole sorpresa, questo libro. La conferma che si può irretire il lettore con una narrazione ben architettata, offrendogli sprazzi di poesia nella sensuale descrizione dell’ambiente e degli eventi naturali, oppure ritratti scabrosi, ruvidi, dei personaggi che costellano la storia. Come quando parla di Noè, il brigante della Garfagnana: Come gli alberi delle cime, avvinghiati alle rocce, nani, oppure alti e ricurvi, ritorti e mutilati, quasi lebbrosi vegetali scacciati dalle foreste più a valle, sembrava modificato dal vento, dalla neve, dal freddo, dalla carenza di cibo e, insieme al suo corpo, ostentava senza vergogna di aver guasto anche l’animo.Un libro ambientato in un’epoca storica inconsueta nella letteratura di oggi, la fine del Medioevo, che pur restando così lontana dal mondo contemporaneo in termini di tempo cronologico, risulta per certi aspetti attuale, proprio, per esempio, nell’argomento che sta più a cuore a Normanna: la condizione delle donne.
Madonne, cortigiane, ostesse, monache, contrabbandiere, molto diverse tra loro, eppure accomunate da un unico destino di subalternità, di dipendenza, sottomissione, sfruttamento e abuso.In ognuna di loro Normanna instilla quell’essenza, quell’humus vitale e magico che le rende forti, combattive, indomabili anche quando sembrano arrese, ingabbiate, prigioniere, succube.
Lucrezia Fina sceglie l’astinenza e la penitenza fino all’anoressia, per non concedersi a un marito impostole contro la sua volontà; l’ostessa si dà la morte con un veleno pur di non cadere nelle mani di chi l’aveva catturata e imprigionata come un animale selvatico delle foreste, diventando spirito libero delle selve; Orsola è costretta a mettere il suo corpo in vendita, ma preserva il suo affetto per chi la stima e la ama.
E poi le figure maschili, frutto di invenzione, tranne due, frate Mauro,geografo e cartografo, e Pietro da Talada detto Maestro di Borsigliana, pittore del ‘400.
Personaggi caratterizzati in maniera potente, espressiva, attraverso un uso calibrato di dettagli e di riferimenti storici che li rendono reali, vivi.
Pare di vederli in azione, come in sequenze cinematografiche, inseriti in un contesto ambientale che arriva ad essere partecipe delle vicende umane, senza risultare semplicemente sfondo, ma trasformandosi quasi in elemento narrativo.
È il paesaggio dell’Appennino, le montagne dell’Autrice, quelle dove vive ed è nata, per le quali nutre un amore viscerale che traspare nel libro attraverso pennellate che le ritraggono con estrema finezza e sensibilità.
Leggere il libro dà la possibilità di attraversarle, di risalirne i fianchi fino ai crinali, lasciandosi avvolgere dalle sinestesie suggerite.
Ma nel libro sono diverse le situazioni che vengono proposte, per cui è possibile passare da scene cruente e crudeli ad altre soffuse di erotismo e passione.
Una bella mescolanza accuratamente studiata e intessuta in una narrazione pregevole.
(Donatella Righi)
QUALCHE DOMANDA A NORMANNA ALBERTINI
Da dove è nata l’idea di scrivere questo libro?Pietro da Talada è un pittore realmente esistito e, qualche anno fa, a Talada, nel comune di Busana, si organizzò una mostra con delle riproduzioni dei suoi quadri sparsi per la Garfagnana. Lo “conobbi” in quella circostanza e rimasi piacevolmente sorpresa di fronte alla sua capacità di imprigionare e diffondere la luce. Ma ciò che più mi toccò furono i volti diafani, sempre soffusi di mestizia delle sua Madonne; una, in particolare, suscitò la mia curiosità: era Maria che insegnava a sillabare a Gesù tenuto sulle ginocchia. Un donna che insegnava a leggere e scrivere? Per di più utilizzando la pagina del Magnificat, la preghiera più sovversiva e rivoluzionaria che sia mai esistita? La donna e la scrittura? Ho cominciato a riflettere su questo. Ho ripensato ad Elia, in Monte Cinque di Coelho, che scopre la scrittura di Biblo che cominciava a diffondersi: “…tra tutte le armi di distruzione che l’uomo era stato capace di inventare, la più terribile, e la più potente, era la parola.” La scrittura quindi, la grande invenzione, quasi divina, permette l’immortalità e la rottura delle barriere del tempo. Per gli antichi Egizi, fu Seshat, Dea delle Librerie, a inventare tutte le forme di scrittura e la misurazione del Tempo (la donna/luna misura il tempo attraverso le mestruazioni, quindi è il primo orologio biologico). Essi credevano che Seshat avesse inventato la scrittura (per segnare il tempo delle semine? Il tempo dell’incubazione delle uova? I baratti e gli scambi di prodotti della terra?), mentre Thoth, fratello e marito, se ne fosse impossessato per insegnarla all’umanità. Ma ad una sola parte del mondo: quella maschile. Con quali danni? Quanto ci è costato escludere la donna per millenni non solo dal diritto alla parola, ma dalla parola scritta, che è immortale? Pietro, il pittore che fa della donna un’insegnante, doveva essere un uomo speciale; poiché di lui non si sa niente, tranne che sapeva dipingere, ho immaginato e costruito la sua storia.
E’ un libro che ha numerosi riferimenti storici e una contestualizzazione ben precisa. Come ti sei documentata?
Prima di cominciare a scrivere, nonostante l’idea iniziale ti spinga a riempire subito la pagina bianca, mi impongo sempre di leggere il più possibile, cerco libri e documenti nelle biblioteche, così come in rete. Comincio a scrivere soltanto quando so che posso permettermi di scivolare nell’ambientazione storica senza dubbi. Poi, nei limiti del possibile, vado sui luoghi di cui voglio parlare. Anche in questo caso, se non mi riesce di farlo fisicamente, ricorro a internet. La Garfagnana è qui a due passi; l’ho visitata più volte e, sempre, mi sono lasciata trasportare dall’arcaica magia dei luoghi, dove è facile immaginare Pietro che viaggia con la sua bisaccia colma di colori, i briganti, gli operai delle ferriere, i pastori.
La narrazione è accompagnata da una presenza dominante, la luna. Che cosa simboleggia?
Per noi la Luna è femmina, ma nasce come dio maschile, il dio Sin che guidava con la sua luce i movimenti delle primitive genti nomadi, dominava le maree e faceva tracimare i fiumi divenendo dio della fertilità. Pare che i Sabei (popolazione araba del sud della Mesopotamia) denominassero Allat il dio Sole femminile (in arabo anche oggi il sole, Shems, è femmina!), e Allah il dio Luna. La due divinità si congiunsero poi nel culto monoteista e gli aspetti femminili, sotto il fardello di una cultura patriarcale, vennero assorbiti dall’aspetto maschile. E’ interessante che le due prerogative impiegate dai musulmani (ma anche dagli Ebrei! “Misericordia”, in ebraico, si traduce con “viscere”, in senso femminile) per descrivere Dio, Ar-Rahman e Ar-Rahim, derivino dalla radice R-H-M, il cui significato è “utero.” La Luna dio/dea/utero che precede la nascita del patriarcato era quindi anche colei che aveva inventato la scrittura! Crudelmente represso il suo culto dalla cristianità, la venerazione della dea venne o demonizzata o trasformata nel culto mariano. La Madonna di Pietro che insegna a scrivere? Luna/Artemide/Diana, in realtà, era una figura protettrice, assisteva le partorienti e le balie, presiedeva alla crescita di ogni genere. Non solo: la tessitura e la filatura, simboli del divenire ciclico, sono associati alla Luna. La filatura richiede un movimento ritmico, circolare, simile a quello lunare ed è infatti attribuita alle dee lunari l’invenzione della tessitura. I fili di un tessuto, nella continuità, creano un legame, diventando simbolo del destino che delimita e assoggetta l’uomo. E a me pare che la scrittura, soprattutto quella femminile, somigli alla tessitura di una grande coperta o di un tappeto variopinto. Sempre in arabo, o in persiano, non ricordo, c’è un termine, “Khaleh”, che indica un legame psichico particolare. È somigliante alla parola spagnola “comadre”: una sorta di amicizia femminile stretta, vicendevolmente materna, tenera e premurosa. La tessitura della Luna/Dea Madre è anche in questi rapporti tipicamente femminili e non so cosa sarebbe l’umanità se non esistesse l’attitudine alla cura reciproca tra donne che, può darsi, nel mondo occidentale, sulla spinta di un esasperato individualismo, andiamo perdendo, con danni sempre più evidenti.
Per noi la Luna è femmina, ma nasce come dio maschile, il dio Sin che guidava con la sua luce i movimenti delle primitive genti nomadi, dominava le maree e faceva tracimare i fiumi divenendo dio della fertilità. Pare che i Sabei (popolazione araba del sud della Mesopotamia) denominassero Allat il dio Sole femminile (in arabo anche oggi il sole, Shems, è femmina!), e Allah il dio Luna. La due divinità si congiunsero poi nel culto monoteista e gli aspetti femminili, sotto il fardello di una cultura patriarcale, vennero assorbiti dall’aspetto maschile. E’ interessante che le due prerogative impiegate dai musulmani (ma anche dagli Ebrei! “Misericordia”, in ebraico, si traduce con “viscere”, in senso femminile) per descrivere Dio, Ar-Rahman e Ar-Rahim, derivino dalla radice R-H-M, il cui significato è “utero.” La Luna dio/dea/utero che precede la nascita del patriarcato era quindi anche colei che aveva inventato la scrittura! Crudelmente represso il suo culto dalla cristianità, la venerazione della dea venne o demonizzata o trasformata nel culto mariano. La Madonna di Pietro che insegna a scrivere? Luna/Artemide/Diana, in realtà, era una figura protettrice, assisteva le partorienti e le balie, presiedeva alla crescita di ogni genere. Non solo: la tessitura e la filatura, simboli del divenire ciclico, sono associati alla Luna. La filatura richiede un movimento ritmico, circolare, simile a quello lunare ed è infatti attribuita alle dee lunari l’invenzione della tessitura. I fili di un tessuto, nella continuità, creano un legame, diventando simbolo del destino che delimita e assoggetta l’uomo. E a me pare che la scrittura, soprattutto quella femminile, somigli alla tessitura di una grande coperta o di un tappeto variopinto. Sempre in arabo, o in persiano, non ricordo, c’è un termine, “Khaleh”, che indica un legame psichico particolare. È somigliante alla parola spagnola “comadre”: una sorta di amicizia femminile stretta, vicendevolmente materna, tenera e premurosa. La tessitura della Luna/Dea Madre è anche in questi rapporti tipicamente femminili e non so cosa sarebbe l’umanità se non esistesse l’attitudine alla cura reciproca tra donne che, può darsi, nel mondo occidentale, sulla spinta di un esasperato individualismo, andiamo perdendo, con danni sempre più evidenti.
Ricorre più volte nel libro il suggerimento dell’ostessa rivolto alle donne che vuole aiutare: “ Devi far paura, devi far paura, se vuoi salvarti!” Che cosa racchiude?
Per molte donne la soluzione per l’emancipazione è fare paura, diventare insensibili e feroci come gli uomini, diventare come i maschi per salvarsi. O per raggiungere posti di potere e sentirsi al riparo, magari schiacciando e prevaricando gli altri con fare tipicamente maschile. È questo il senso di: “ Devi far paura, devi far paura, se vuoi salvarti!” gridato dall’Ostessa, l’unica vera ribelle della mia storia, ma ribelle su modelli maschili. Far paura è una falsa soluzione, è perdente da subito. Innanzitutto perché mai, mai le donne riusciranno a raggiungere il grado si violenza degli uomini. Poi, perché vorrebbe dire accettare un mondo di brutalità e di prepotenza dei più forti sui più deboli, indipendentemente dal sesso, un mondo autodistruttivo, senza riparo, senza futuro, completamente votato alla morte. E noi donne siamo “la vita”.
Per molte donne la soluzione per l’emancipazione è fare paura, diventare insensibili e feroci come gli uomini, diventare come i maschi per salvarsi. O per raggiungere posti di potere e sentirsi al riparo, magari schiacciando e prevaricando gli altri con fare tipicamente maschile. È questo il senso di: “ Devi far paura, devi far paura, se vuoi salvarti!” gridato dall’Ostessa, l’unica vera ribelle della mia storia, ma ribelle su modelli maschili. Far paura è una falsa soluzione, è perdente da subito. Innanzitutto perché mai, mai le donne riusciranno a raggiungere il grado si violenza degli uomini. Poi, perché vorrebbe dire accettare un mondo di brutalità e di prepotenza dei più forti sui più deboli, indipendentemente dal sesso, un mondo autodistruttivo, senza riparo, senza futuro, completamente votato alla morte. E noi donne siamo “la vita”.
Nei libri che hai scritto, protagoniste sono sempre le donne vittime di soprusi, violenze, pregiudizi, ma in epoche storiche diverse e lontane. Sembra quasi tu rifugga dal qui ed ora, dalla tentazione di parlare della condizione della donna oggi. E’ così?No, non rifuggo dal qui e ora, nel presente sono ben radicata, anche con un impegno in campi che oggi suscitano aspri contrasti, vedi quello dell’immigrazione. Ciò che faccio con i miei romanzi è situare le mie storie in un tempo per noi ormai riconciliato, di svelenire i temi mi interessano per indurre a riflettere con l’obiettività che solo la distanza temporale permette. In realtà, è un po’ come tenere il lettore al riparo dal dolore del contingente, per farglielo vedere da lontano ed aiutarlo a comprenderlo. Parlare di un’anoressica del 1400, per esempio, ti consente il distacco giusto per affrontare lo stesso problema nell’oggi. Mi ha poi sempre coinvolto la riabilitazione, la rivelazione di una “storia” nascosta, taciuta, occultata, della storia smascherata, umiliata, sotterranea, quella delle donne, soprattutto. C’è ora un film che in uscita in tutto il mondo che in Italia nessuno vedrà perché non sarà distribuito. Si tratta della storia di Ipazia, una scienziata del 300 d.C., che è stata uccisa in un modo atroce per le verità che raccontava e per le conoscenze che divulgava. Sembra che gli esempi di donne positivi, che comprovano il genio della donna, non debbano andare in giro. Quindi: andare nel passato per raccontare il presente. Diceva Wu Ming: “Il “presente” escresce, fuori dalla gabbia che lo comprime. Si gonfia ed esonda, spacca le sbarre dell’attenzione. A rigore, tutti gli scrittori raccontano il loro presente, anche quando scrivono di medioevo o di un futuro post-atomico. Il presente fa irruzione in ogni riga, in ogni scelta linguistica e narrativa, in ogni emozione che si deposita sulla pagina. Ogni romanzo si rivolge all’oggi (e al domani, ma questo è un altro discorso), ogni romanzo parla anche dell’oggi.” Per concludere, cito la scrittrice femminista canadese Margaret Atwood: “Quando siamo nel mezzo di una storia, ciò in cui effettivamente ci troviamo non è affatto una storia, ma soltanto confusione: un frastuono nel buio, un momento di cecità, un cumulo di vetri rotti e di imposte scheggiate, come una casa investita da un tornado (…) È soltanto in un secondo momento che questa esperienza diventa una storia: quando cioè la raccontiamo a noi stessi o a qualcun altro” (Atwood, 1997).
http://viadellebelledonne.wordpress.com/2009/11/10/pietro-dei-colori-di-narmanna-albertini/
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