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Anthony a destra |
Si sente spesso parlare
di immigrati che arrivano ed io sono uno di loro, mi ritengo molto
fortunato ora anche se il mio viaggio è stato molto doloroso. Mi
chiamo Anthony Yankey. Vengo dall'ovest del Ghana, da un paesino al
confine con la Costa d'Avorio, Aiyinase. Vengo da una famiglia
povera, sono l'ultimo di dieci fratelli; quando sono nato mio padre
era già amputato ad una gamba, non poteva lavorare per assicurarci
una vita dignitosa né per farci studiare. Io, fin da piccolo, ho
coltivato il desiderio di studiare per non fare la fine della maggior
parte dei miei amici, che trascorrevano le giornate in strada,
arrangiandosi per sopravvivere, e che poi così avrebbero continuato
a fare anche una volta adulti. Ho iniziato la scuola, ma l'ho dovuta
interrompere dopo pochi anni perché la mia famiglia non poteva
mantenermi negli studi, così sono andato a lavorare per tre anni in
Costa d'Avorio con uno zio, e con lui ho imparato a fare l'orafo. A
tredici anni sono ritornato a scuola, dove però venivo preso in giro
dai ragazzini più piccoli con i quali ero in classe. A scuola ero
bravo e quando rientravo a casa la mamma era molto contenta che
riuscissi negli studi, ma allo stesso tempo dispiaciuta per non esser
riuscita a fare studiare anche tutti gli altri. Fu un insegnante dei
primi anni di scuola che mi mantenne alle superiori; io l'ho sempre
considerato come un papà e lo aiutavo nelle faccende domestiche. Il
mio sogno era diventare un giornalista che raccontasse le notizie e
le condizioni delle persone nelle varie parti del mondo. Per aiutare
la mia famiglia, ho insegnato in una scuola privata, ma i soldi
rimanevano pochi e altri lavori più vantaggiosi economicamente non
si trovavano, quindi ho cominciato a desiderare di andare a lavorare
in Libia. Per potermi permettere il viaggio, ho cercato un lavoro più
redditizio e sono stato assunto da un benzinaio per alcuni mesi.
Il
desiderio di partire per approfondire gli studi non mi ha mai
abbandonato, così durante un turno di lavoro, una notte, ho iniziato
il mio viaggio, senza avvisare nessuno a casa, ma dopo aver
attraversato il confine con il Burkina Faso ho telefonato ad un mio
amico dicendogli dove avevo nascosto dei soldi da dare a mia mamma e
di avvisarla che ero partito. Era il 2007 e già all'inizio la strada
si fece difficile perché l'autista del pullman, che doveva caricare
me e tanti altri, dopo aver raccolto i soldi, si è dileguato. Così
si è ripresentato il problema di cercare altri soldi e ho trovato
lavoro come venditore di acqua. Dopo otto mesi siamo partiti su un
pick-up; eravamo in 44, quarantadue uomini e due donne, ma eravamo
così stretti che le nostre gambe e braccia avevano perso ogni
sensibilità e quando ci si fermava l'autista veniva a muoverci per
riattivarci la circolazione. Avevamo con noi un po' di biscotti e
farina di manioca. Eravamo ancora in Burkina Faso quando, nel
deserto, siamo stati assaliti dai briganti che ci hanno spogliati di
quel poco che avevamo, ci hanno lasciato solo acqua ed hanno rapito
le due donne di cui non abbiamo più saputo nulla!